N. 172 SENTENZA 27 - 31 maggio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro - Lavoratrici - Licenziamento delle  lavoratrici  in  caso  di
 gravidanza  e  puerperio - Recesso dal contratto del datore di lavoro
 per esito negativo della  prova  -  Inapplicabilita'  del  divieto  -
 Omessa previsione - Violazione del principio di uguaglianza sia sotto
 il   profilo   del   principio   logico  di  razionalita'  e  di  non
 contraddizione,  sia  nel  senso  della  pratica   ragionevolezza   -
 Vanificazione  della  tutela che il patto di prova assicura al datore
 di lavoro con violazione del principio dell'autonomia contrattuale  -
 Sussistenza  comunque  dell'obbligo  del datore di lavoro di spiegare
 motivatamente le ragioni giustificatrici del giudizio negativo  circa
 l'esito    dell'esperimento   -   Illegittimita'   costituzionale   -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204,  art.  2,  terzo  comma;  legge  30
 dicembre 1971, n. 1204, art. 1).
 
 (Cost., artt. 3, 41 e 42).
(GU n.23 del 5-6-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare
 MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott.
 Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY,
 prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della
 legge 30 dicembre 1971, n. 1204  (Tutela  delle  lavoratrici  madri),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il 12 gennaio 1995 dal Tribunale di
 Varese  nel  procedimento  civile  vertente  tra   Anelli   Sonia   e
 Immobiliare  Tunisia  Settala s.a.s., iscritta al n. 499 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione di Anelli Sonia;
   Udito nell'udienza pubblica del 14 maggio 1996 il giudice  relatore
 Luigi Mengoni;
   Udito l'avvocato Roberto Muggia per Anelli Sonia.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso del giudizio civile promosso da Sonia Anelli contro
 la s.a.s. Immobiliare Tunisia Settala per ottenere  la  dichiarazione
 di  nullita',  con  i  provvedimenti  conseguenti,  del  recesso  dal
 rapporto di portierato intimatole dalla datrice di lavoro durante  il
 periodo  di  prova  per  esito  negativo  dell'esperimento, mentre la
 lavoratrice  si  trovava  in  stato  di  gravidanza,  la   Corte   di
 cassazione,  con  sentenza  22  aprile 1993, n. 4747, ha annullato la
 sentenza del Tribunale di Milano confermativa della sentenza di primo
 grado che aveva respinto la domanda, formulando il seguente principio
 di diritto "la disposizione dell'art. 1 del d.P.R. 25 novembre  1976,
 n.  1026  -  recante  il  regolamento  di  esecuzione  della legge 30
 dicembre 1971, n. 1204,  sulla  tutela  delle  lavoratrici  madri  -,
 secondo  cui  le  norme che vietano il licenziamento di queste ultime
 non  escludono  il  recesso  per  esito  negativo  della  prova,   e'
 illegittima  e,  pertanto, quale atto amministrativo, va disapplicata
 dal giudice ordinario a norma dell'art. 4 della legge  abolitiva  del
 contenzioso  amministrativo, stante il suo contrasto con le finalita'
 perseguite dalla legge della cui esecuzione si tratta".
   Cosi'   interpretati,   come   non   eccettuanti   dal  divieto  di
 licenziamento il recesso per esito negativo della prova, gli artt.  1
 e  2 della legge n. 1204 del 1971 sono impugnati, in riferimento agli
 artt.  3, 41 e 42 della Costituzione, dal  Tribunale  di  Varese,  al
 quale  la  causa e' stata rinviata, con ordinanza del 12 gennaio 1995
 (pervenuta alla Corte costituzionale il 20 luglio 1995), nella  parte
 in  cui  non  prevedono  l'eccezione esclusa dal principio di diritto
 prescritto al giudice di rinvio.
   Ad  avviso  del  tribunale  rimettente,  la   normativa   impugnata
 contrasta  con  l'art.  3 della Costituzione sia sotto il profilo del
 principio di eguaglianza, attesa l'analogia  del  recesso  per  esito
 negativo  della  prova  con la risoluzione del rapporto di lavoro per
 scadenza del termine, caso,  quest'ultimo,  espressamente  eccettuato
 dall'art.  2, terzo comma, lett. c), della citata legge, sia sotto il
 profilo  del  principio  di  ragionevolezza,  atteso che il datore di
 lavoro  viene  costretto  a  mantenere  in  servizio  la  lavoratrice
 nonostante  che  l'esperimento,  oggetto del patto di prova, ne abbia
 dimostrato l'inidoneita' alle mansioni per le quali e' stata assunta.
   Inoltre, in quanto vanificano la  tutela  che  il  patto  di  prova
 assicura al datore di lavoro, le norme impugnate sono censurate anche
 per  violazione  del  principio dell'autonomia contrattuale garantito
 dagli artt. 41 e 42 Cost.
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si   e'
 costituita  la  ricorrente  chiedendo che la questione sia dichiarata
 inammissibile o infondata. Si osserva che il rapporto  di  portierato
 non  e'  equiparabile al lavoro domestico e si richiamano le norme di
 tutela  della  maternita'  nella  Costituzione  e  nelle  convenzioni
 internazionali.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale di Varese ha sollevato, in riferimento agli artt.
 3,   41   e   42   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge  30  dicembre  1971,  n.
 1204,  nella  parte  in  cui  non escludono dall'ambito normativo del
 divieto di licenziamento delle lavoratrici in caso  di  gravidanza  e
 puerperio  il  recesso  dal  contratto del datore di lavoro per esito
 negativo della prova.
   L'esclusione e' prevista dall'art. 1 del regolamento di  esecuzione
 della  legge, approvato con d.P.R. 25 no-vembre 1976, n. 1026. Ma nel
 corso  del  processo  a  quo  la  Corte  di  cassazione  ha  ritenuto
 illegittima la norma regolamentare formulando un principio di diritto
 che vincola il giudice di rinvio a disapplicarla.
   2.   -  In  relazione  all'art.  1  della  legge  la  questione  e'
 inammissibile per una duplice ragione.  Anzitutto  perche'  la  norma
 speciale  del  terzo  comma,  concernente  le  lavoratrici addette ai
 servizi domestici e  familiari,  e'  estranea  al  caso  oggetto  del
 giudizio  a quo in cui si tratta di un rapporto di portierato con una
 societa' immobiliare, non configurabile come una specie  di  servizio
 familiare.  In  secondo  luogo,  perche'  questa norma, additata come
 tertium comparationis ai fini dell'art. 3 Cost., ha una portata  piu'
 estesa   rispetto   alla   questione:   essa   dispone   in  generale
 l'inapplicabilita'  alle  lavoratrici  domestiche  del   divieto   di
 licenziamento previsto dal successivo art.  2, mentre per il rapporto
 di  portierato  in  causa  (come  per  ogni  altro rapporto di lavoro
 diverso da quelli indicati dall'art. 1, terzo comma)  l'ordinanza  di
 rimessione  tende  a  escludere  dal  divieto soltanto il recesso per
 esito negativo della prova.
   3.1.  -  In  relazione all'art. 2, terzo comma, della legge n. 1204
 del 1971 la questione e' fondata.
   Ai fini del principio di eguaglianza non occorre  prendere  partito
 in   ordine  alla  costruzione  dogmatica  del  patto  di  prova.  Si
 costruisca il contratto di lavoro con clausola di prova come fonte di
 due rapporti, uno - il rapporto in prova - a tempo determinato  (cfr.
 sentenza  n.    204  del  1976),  ovvero a termine finale incerto con
 limite  massimo  di  durata,  l'altro  -  il  rapporto  definitivo  -
 sottoposto  a  condizione sospensiva negativa (mancato recesso di una
 delle parti entro il termine massimo della prova), oppure, secondo la
 concezione tradizionale, come unico rapporto  soggetto  a  condizione
 potestativa  risolutiva  (recesso  di  una delle parti entro il tempo
 massimo della prova), in ogni caso la dichiarazione  di  recesso  del
 datore  di  lavoro  per  esito  negativo della prova "non puo' essere
 propriamente qualificata come licenziamento" (Cass. n. 400 del  1978)
 ed  e' invece avvicinabile alla risoluzione del rapporto per scadenza
 del termine, annoverata dall'art. 2, terzo comma,  lett.  c),  tra  i
 casi  ai  quali  il  divieto  di  licenziamento  non  si applica. Nei
 contratti  di  durata  l'avveramento  della  condizione   risolutiva,
 essendo  privo  di  efficacia  retroattiva (art. 1360, secondo comma,
 cod.civ.), e' praticamente equiparato al verificarsi  di  un  termine
 finale originariamente incerto.
   L'art.  1  del regolamento di esecuzione non e' che uno svolgimento
 analitico  della  terza  ipotesi  eccettuata  dalla   legge,   mentre
 l'opposto  principio  di  diritto formulato dalla Corte di cassazione
 attribuisce alla legge un significato contrastante  col  criterio  di
 pari trattamento di casi uguali o simili.
   3.2.  -  Ancora  piu'  marcata  e'  la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione sotto il profilo del principio di razionalita', sia  nel
 senso  di  razionalita'  formale,  cioe'  del principio logico di non
 contraddizione, sia nel senso  di  razionalita'  pratica,  ovvero  di
 ragionevolezza.
   Poiche'   il  divieto  stabilito  dalla  norma  impugnata  sospende
 soltanto il potere di licenziamento, non il rapporto  di  lavoro,  ne
 consegue   che,   essendo   il  recesso  per  ipotesi  nullo,  quando
 sopraggiunge il termine massimo della prova il rapporto  diventerebbe
 automaticamente  definitivo  malgrado  il  giudizio non favorevole in
 merito all'esito dell'esperimento espresso dal datore sulla  base  di
 comprovati  elementi  oggettivi  di  valutazione.  In  tal modo, come
 osserva giustamente il giudice rimettente, la clausola di prova viene
 vanificata in aperta contraddizione con  la  facolta'  di  stipularla
 attribuita all'autonomia delle parti dall'art. 2096 cod.civ.
   Inoltre,  contro  ogni  criterio  di  ragionevolezza,  il datore di
 lavoro e' messo nell'alternativa o di continuare ad accettare  (salvo
 il  periodo  di  interdizione  dal  lavoro) la prestazione, a lui non
 conveniente, di una lavoratrice dimostratasi inidonea  alle  mansioni
 di  assunzione,  oppure  di  rifiutarla  ma  continuando  a pagare la
 retribuzione pattuita:  e cio' almeno fino al compimento di  un  anno
 di  eta'  del  bambino,  e sempre che l'inidoneita' alle mansioni sia
 tale da giustificare,  dopo  questo  termine,  non  semplicemente  il
 recesso  ai sensi dell'art.  2096 cod.civ. (ormai non piu' possibile,
 essendo  il  rapporto  diventato  definitivo),  ma  il  licenziamento
 ordinario  per  motivo  oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge 15
 luglio 1966, n. 604.
   4. - La dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua
 della  norma impugnata, che si va a pronunciare, non significa che la
 condizione fisiopsichica  in  cui  versa  la  lavoratrice  non  abbia
 riflessi  sulla  disciplina del recesso per mancato superamento della
 prova. L'esonero dall'obbligo di motivazione, secondo  la  disciplina
 generale  degli artt. 2096 cod.civ. e 10 della legge n. 604 del 1966,
 vale soltanto se il datore di lavoro provi o comunque (come nel  caso
 di  specie) sia acquisita la certezza che al momento del recesso egli
 ignorava  lo  stato  di  gravidanza  della   lavoratrice,   salva   a
 quest'ultima  la  prova  che il licenziamento e' stato determinato da
 altri motivi pur sempre  estranei  alle  finalita'  dell'esperimento.
 Altrimenti   subentra   una  disciplina  speciale  analoga  a  quella
 elaborata dalla Corte di cassazione,  e  condivisa  da  questa  Corte
 (sent.  n.  255  del  1989),  per le assunzioni con patto di prova di
 soggetti avviati  obbligatoriamente  al  lavoro:  disciplina  fondata
 sulla  ratio  di  maggiore  tutela  dei  lavoratori che si trovano in
 condizioni fisiche o sociali di particolare debolezza.
   Il datore che risolve il  rapporto  di  lavoro  in  prova  con  una
 lavoratrice  di  cui,  all'atto  del recesso, gli e' noto lo stato di
 gravidanza deve spiegare motivatamente le ragioni che giustificano il
 giudizio  negativo  circa  l'esito  dell'esperimento,  in  guisa   da
 consentire  alla  controparte  di  individuare  i  temi  della  prova
 contraria e al giudice di svolgere un opportuno sindacato  di  merito
 sui  reali  motivi  del recesso, al fine di escludere con ragionevole
 certezza che esso sia stato determinato  dalla  condizione  di  donna
 incinta.
   5. - Restano assorbite le censure riferite agli artt. 41 e 42 della
 Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, terzo comma,
 della legge 30 dicembre  1971,  n.  1204  (Tutela  delle  lavoratrici
 madri), nella parte in cui non prevede l'inapplicabilita' del divieto
 di licenziamento nel caso di recesso per esito negativo della prova;
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1 della legge citata, sollevata, in riferimento agli  artt.
 3,   41  e  42  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Varese  con
 l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                        Il redattore: Mengoni
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C0823