N. 175 SENTENZA 27 - 31 maggio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  - Assenza del difensore per legittimo impedimento -
 Rinvio  dell'udienza  preliminare  -  Omessa  previsione  -  Presunta
 vulnerazione  del  diritto di difesa sotto il profilo dell'assistenza
 tecnica - Richiamo alla giurisprudenza della Corte di  cassazione  in
 materia  -  Differenza dei presupposti posti a base delle fattispecie
 processuali dell'udienza preliminare e di quella dibattimentale - Non
 fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 420, terzo comma).
 
(GU n.23 del 5-6-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.   Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare
 MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.
 Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
 prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 420, terzo
 comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa
 il  26 giugno 1995 dal Tribunale di Livorno nel procedimento penale a
 carico di Berti Pasquale ed altri, iscritta al n.  728  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  costituzione di Berti Pasquale nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nella udienza pubblica del 5 marzo 1996 il  giudice  relatore
 Giuliano Vassalli;
   Udito  l'avvocato  Tullio  Padovani per Berti Pasquale e l'Avvocato
 dello Stato  Carlo  Salimei  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il Tribunale di Livorno, con ordinanza del 26 giugno 1995, ha
 sollevato, su eccezione dei difensori degli imputati, in  riferimento
 all'art.   24,   secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' dell'art. 420, terzo  comma,  del  codice  di  procedura
 penale,  nella  parte  in  cui  non  prevede  nel caso di assenza del
 difensore  per   legittimo   impedimento   il   rinvio   dell'udienza
 preliminare.
   2. - In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta come tutti i
 difensori  che  hanno  formulato  l'eccezione di legittimita' avevano
 dedotto e documentato davanti al giudice per le indagini preliminari,
 il  proprio  legittimo  impedimento  a  presenziare  all'udienza  per
 concomitanti   impegni  professionali  e  che  il  giudice,  pur  non
 escludendo la  legittimita'  degli  addotti  impedimenti,  non  aveva
 concesso  il  rinvio per l'ostacolo derivante dalla norma denunciata;
 un'interpretazione  assolutamente  corretta  prevedendo  l'art.  420,
 terzo  comma,  in  caso  di assenza del difensore, la designazione di
 altro difensore. Con la conseguenza che ove la Corte dovesse ritenere
 illegittima  la  norma  in  contestazione   il   Tribunale   dovrebbe
 dichiarare  la nullita' dell'udienza preliminare e del decreto che ha
 disposto il giudizio, ai sensi dell'art. 178, primo comma, lettera c,
 del codice di procedura penale,  in  relazione  all'art.  179,  primo
 comma, dello stesso codice.
   3.  - In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva
 che l'udienza preliminare, pur assolvendo principalmente una funzione
 di controllo sull'esercizio dell'azione penale, puo'  anche  svolgere
 una  funzione  ulteriore  nell'ambito  della quale possono collocarsi
 "ampi e significativi interventi della difesa", in relazione sia alla
 scelta del rito abbreviato sia alla deduzione  di  nullita'  relative
 non  deducibili  in  giudizio, sia, infine, all'anticipata assunzione
 della prova, a norma  degli  artt.  392  e  seguenti  del  codice  di
 procedura penale (v. sentenza n. 77 del 1994).
   Dunque,  conclude  il  giudice  a  quo dalla mancata partecipazione
 all'udienza preliminare del difensore legittimamente impedito possono
 discendere  gravi  pregiudizi  per  l'imputato,  cosi'   da   rendere
 irragionevole  la  mancata applicazione, anche con riferimento a tale
 udienza, dell'art.   486,  quinto  comma,  del  codice  di  procedura
 penale.  Con  conseguenti,  impliciti  riverberi  anche  quanto  alla
 conformita' della norma denunciata all'art. 3 della Costituzione.
   4. - Si e' costituita la parte privata Berti Pasquale rappresentata
 e  difesa  dagli  avvocati  Fabio Lorenzoni, Tullio Padovani e Natale
 Giallongo, chiedendo che la questione sia  dichiarata  ammissibile  e
 fondata.
   5.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 domandando il rigetto della questione.
   Rileva l'Avvocatura che, conformemente all'art. 2, numero 77, della
 legge-delega  n.  81  del  1987,  l'art.  420 del codice di procedura
 penale preclude l'applicabilita', per  il  caso  di  impedimento  del
 difensore,  dell'art.  486,  quinto comma, dello stesso codice, norma
 riferibile esclusivamente al dibattimento. D'altro canto,  la  tutela
 costituzionale  del diritto di difesa non si estende fino a garantire
 che l'imputato debba sempre  essere  assistito  da  un  difensore  di
 fiducia.
   La diversita' fra udienza preliminare e dibattimento rende, quindi,
 non  irragionevole  la  diversa  misura  della tutela predisposta dal
 legislatore.
   Tale diversita', peraltro, sembrerebbe non cosi' evidente nel  caso
 in  cui,  attraverso  l'utilizzazione  dei  riti  di  deflazione  del
 dibattimento, il processo venga definito davanti al  giudice  per  le
 indagini  preliminari;  il tutto senza che peraltro le due situazioni
 abbiano a identificarsi.
   Nel caso di giudizio abbreviato  vi  e'  una  profonda  distinzione
 quanto  al  regime  di  utilizzabilita' delle prove e quanto al ruolo
 della difesa in relazione ad una decisione da  adottarsi  allo  stato
 degli atti senza contraddittorio.
   Nel   caso   del   patteggiamento,   poi,   provenendo   la  scelta
 "esclusivamente"   dall'imputato   e,   per   giunta,   nei    limiti
 dell'accordo,  non sembra che dalla mancanza del difensore di fiducia
 possa derivare alcuna lesione del diritto di difesa.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale di Livorno dubita, in  riferimento  all'art.  24,
 secondo  comma, della Costituzione, della legittimita' dell'art. 420,
 terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non
 prevede,  nel  caso  di  assoluta  impossibilita'  del  difensore  di
 comparire  determinata  da  un  legittimo  impedimento,   il   rinvio
 dell'udienza   preliminare.    Il  diritto  di  difesa  dell'imputato
 risulterebbe vulnerato  sotto  il  profilo  dell'assistenza  tecnica,
 tenuto   conto  delle  significative  attivita'  difensive  che  sono
 esplicabili in tale sede, riguardanti, oltre che gli epiloghi  propri
 dell'udienza  preliminare,  rilevanti  iniziative  processuali per le
 quali e' altrettanto determinante il ruolo del  difensore,  quali  la
 scelta del rito abbreviato, la deduzione di questioni di nullita' non
 piu' proponibili dopo il rinvio a giudizio, la richiesta di incidente
 probatorio.   Pur  non  menzionando  esplicitamente  l'art.  3  della
 Costituzione, il giudice a quo prospetta anche una possibile  lesione
 del  principio  di  uguaglianza, per il diverso trattamento riservato
 all'impedimento del difensore in sede dibattimentale dall'art.   486,
 quinto comma, del codice di procedura penale.
   A  ben vedere, anzi, quest'ultimo parametro viene ad assumere nella
 verifica di costituzionalita' valore integrativo rispetto  al  primo,
 non  foss'altro perche' il diritto di difesa risulterebbe compromesso
 solo  dalla  mancata  previsione,  anche  nella   fase   dell'udienza
 preliminare,  dell'applicazione  dell'art.  486,  quinto  comma,  del
 codice di procedura penale.
   2. - La questione non e' fondata.
   Poiche' il giudice a quo pur denunciando l'art. 420,  terzo  comma,
 del  codice  di procedura penale, ha di mira l'applicazione dell'art.
 486, quinto comma, dettato per il legittimo impedimento del difensore
 nella  fase  del   dibattimento,   appare   necessario   individuare,
 anzitutto,  l'esatto  valore  prescrittivo  di  tale disposizione. Il
 detto precetto e' stato introdotto in attuazione della  direttiva  di
 cui  all'art.   2, numero 77, della legge-delega 16 febbraio 1987, n.
 81, che prescrive l'"obbligo di sospendere o rinviare il dibattimento
 quando risulti che  l'imputato  o  il  difensore  sono  nell'assoluta
 impossibilita' di comparire per legittimo impedimento".
   L'originaria  previsione,  che  si riferiva al solo imputato, venne
 estesa al difensore a seguito di un emendamento presentato  dal  Sen.
 Leone  nella  seduta  pomeridiana  dell'Assemblea  del  Senato del 20
 novembre 1986, e, come risulta dai lavori preparatori della legge  di
 delegazione,  venne  giustificata con l'esigenza di potenziamento del
 ruolo della difesa in un modello processuale di tipo accusatorio  (v.
 in  particolare  l'intervento del Sen. Gallo nella seduta Ass. Senato
 del 21 novembre 1986).
   Gia' la genesi di quello  che  sarebbe  poi  divenuto  l'art.  486,
 quinto  comma, del codice di procedura penale, dimostra, dunque, come
 lo specifico rilievo attribuito  all'impedimento  del  difensore  nel
 corso del dibattimento e' del tutto conseguente all'autonomia che, in
 un  processo  accusatorio,  e' riservata alle parti nell'attivita' di
 individuazione ed elaborazione della prova.  In  un  simile  contesto
 sistematico,  le richieste di ammissione della prova, l'esame diretto
 e  la  stessa  discussione  sul  valore  delle  prove   assunte   nel
 dibattimento  presuppongono  una conoscenza della vicenda processuale
 che non puo' essere  improvvisata,  ne'  potrebbe  essere  "supplita"
 (comunque  impropriamente)  dai  circoscritti  poteri  di  iniziativa
 probatoria del giudice, ignaro, di norma, del contenuto del fascicolo
 del  pubblico  ministero,  da   cui   riceve   impulso   l'istruzione
 dibattimentale.
   Il  tutto  secondo  un'interpretazione  affermata  dalla  Corte  di
 cassazione,  nel  senso  che  il  nuovo  sistema  presuppone  che  il
 difensore    partecipi   attivamente   al   dibattimento,   ditalche'
 "l'effettivita' della  difesa  -  non  ridotta  a  una  mera  formale
 presenza  di un tecnico del diritto pur se non in grado, per mancanza
 di significativi rapporti con le parti, di padroneggiare il materiale
 di causa - e' condizione  per  la  validita'  dello  stesso  rapporto
 processuale" (Cass., Sez. un., 27 marzo 1992, Fogliani).
   3.  -  Diversa  e'  la  funzione  delle  parti,  e quindi anche del
 difensore, nell'udienza preliminare.
   Questo momento processuale, infatti, e' stato  concepito  per  dare
 ingresso  a  un  contraddittorio  orale  sulla  richiesta di rinvio a
 giudizio del pubblico ministero.
   Nell'udienza preliminare, le parti sono chiamate,  rispettivamente,
 a  sostenere  o  contrastare  la richiesta di giudizio sulla base dei
 risultati   dell'attivita'   di   indagine   preliminare,   la    cui
 documentazione  e'  integralmente  (v.  sentenza  n.  145  del  1991)
 depositata dal  pubblico  ministero  nella  cancelleria  del  giudice
 unitamente  all'atto  di  esercizio  dell'azione  penale  (art.  416,
 secondo comma, del codice di procedura penale).
   Un'attivita',  dunque,  che  si  caratterizza  in  senso  riduttivo
 rispetto  a quella dibattimentale, non solo perche' si risolve in una
 discussione sul  significato  e  sulla  concludenza  di  elementi  di
 "prova"  pre-formati,  ma perche', come piu' volte ribadito da questa
 Corte,  anche   dopo   la   caduta   della   regola   dell'"evidenza"
 originariamente  inserita  nell'art.    425  del  codice di procedura
 penale, essa  e'  funzionale  a  una  decisione  comunque  di  natura
 "processuale"  (sentenza  n.  71  del  1996),  la  quale  non esprime
 "valutazioni sul merito dell'accusa", ma sulla "domanda  di  giudizio
 formulata dal pubblico ministero" (ordinanza n. 24 del 1996).
   4.   -   Non   e'   certamente   controvertibile  che  nell'udienza
 preliminare, ed in molti altri momenti  processuali,  possano  essere
 svolti,   come  osserva  il  giudice  a  quo  "ampi  e  significativi
 interventi  della  difesa";  ma,  a  ben  vedere,  questi  non   sono
 strettamente  riferibili  alla  funzione  propria  di  tale  udienza,
 potendo semmai trovare in essa occasione.
   Cio' appare evidente per alcuni degli esempi formulati dal  giudice
 rimettente  -  peraltro,  riferibili  a  situazioni non rilevanti nel
 processo  a quo - come quelli relativi alla deduzione di  nullita'  o
 alla  richiesta di incidente probatorio. Ma, anche relativamente alle
 scelte verso i procedimenti speciali, va detto che esse non derivano,
 di norma, dagli  sviluppi  dell'udienza  preliminare,  sebbene  dalla
 valutazione  della  consistenza  dei risultati delle indagini e dalle
 prospettive circa l'esito di un eventuale giudizio di  merito;  tanto
 che,   mentre   il   patteggiamento   non  riceve  una  preferenziale
 collocazione normativa in tale fase del procedimento (v. artt. 446  e
 447  del  codice  di  procedura  penale),  la  richiesta  di giudizio
 abbreviato puo' essere proposta anche prima dell'udienza  preliminare
 (art.  439,  primo comma, del codice di procedura penale), e, quindi,
 essere espressa da un imputato posto in  grado  di  ricevere,  a  tal
 fine,   una   tempestiva   consulenza   dal   proprio  difensore.  La
 possibilita'  che  sia   l'attivita'   dell'udienza   preliminare   a
 influenzare   la   scelta   verso  il  rito  abbreviato  si  verifica
 nell'ipotesi particolare della assunzione di  "sommarie  informazioni
 ai  fini  della decisione" (art. 422 del codice di procedura penale),
 che rappresenta pero' una evenienza solo possibile, e  per  la  quale
 non   si   applicano   comunque   le   metodiche  dell'esame  diretto
 dibattimentale, decisive - come si e' detto - per l'introduzione  nel
 nostro  sistema  dell'art. 486, quinto comma, del codice di procedura
 penale.
   5. - L'esigenza che, nel corso del processo, all'imputato (e, ancor
 prima, nei casi previsti dalla legge, alla  persona  sottoposta  alle
 indagini)  sia  costantemente  assicurata  l'assistenza difensiva non
 implica che sempre e comunque tale assistenza debba  essere  prestata
 dal  difensore  precedentemente  nominato, essendo ragionevole che il
 legislatore, in relazione alla importanza della sede processuale e ai
 concreti contenuti in cui si  sostanzia  l'attivita'  del  difensore,
 operi  un  bilanciamento tra l'interesse dell'assistito alla presenza
 del difensore fiduciario e l'interesse pubblico alla  speditezza  del
 processo.
   Ne' la legge processuale ne', tantomeno, la Costituzione assicurano
 incondizionatamente all'imputato il diritto di essere assistito da un
 determinato difensore: se cio' fosse, non potrebbe farsi mai ricorso,
 in  qualunque  fase o momento del procedimento, alla sostituzione del
 difensore  non  comparso  (art.  96,  quarto  comma,  del  codice  di
 procedura penale).
   Percio',  fermo  restando  il principio, insistentemente evocato da
 questa Corte, che il  diritto  di  difesa  deve  essere  inteso  come
 potesta'  effettiva  di  assistenza  tecnica  e  professionale  nello
 svolgimento di qualsiasi processo, in modo che  venga  assicurato  il
 contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni
 delle  parti,  cosi'  da  fare  assumere a tale diritto un'importanza
 essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale (v., gia'  la
 sentenza  n.    46  del  1957),  e' pacifico che le modalita' del suo
 esercizio sono regolate secondo  le  speciali  caratteristiche  della
 struttura  dei  singoli  procedimenti,  senza che le modalita' stesse
 feriscano e  menomino  l'esistenza  del  diritto  allorche'  di  esso
 vengano  assicurati  lo  scopo  e la funzione (v., sentenze n. 46 del
 1957, n. 16 del 1970, 126 del 1971, 125 del 1972, 150 del  1972,  119
 del  1974).  L'effettivita'  del diritto non comporta, quindi, che il
 suo esercizio debba essere disciplinato in modo identico in ogni tipo
 di procedimento o in ogni fase  processuale;  anzi  la  modulabilita'
 delle  forme  e dei contenuti in cui si articola il diritto di difesa
 in relazione alle caratteristiche dei singoli  procedimenti  o  delle
 varie  fasi  processuali  e'  stata  costantemente ritenuta da questa
 Corte legittima espressione della discrezionalita'  legislativa  (v.,
 da ultimo, sentenze n. 220 e n. 48 del 1994).
   6.  -  D'altra  parte, il risalto dato dal legislatore al ruolo del
 difensore nel  dibattimento  non  e'  influenzato  dalla  particolare
 natura  -  fiduciaria  od officiosa - della difesa tecnica, in quanto
 l'istituto disciplinato dal quinto comma dell'art. 486 del codice  di
 procedura  penale  opera  quale  che  sia  la derivazione - privata o
 pubblica - della investitura difensiva. Da cio' puo' desumersi che la
 ratio di tale istituto si identifica esclusivamente nella esigenza di
 assicurare  un'assistenza   difensiva   "informata",   in   relazione
 all'indefettibile   e   insostituibile   ruolo  che  in  questa  fase
 processuale e' assegnato, come sopra ricordato, all'iniziativa  delle
 parti.
   7.  - Ma una simile esigenza di informata difesa non e' estranea ad
 alcuna occasione in cui il difensore e' chiamato a  svolgere  la  sua
 funzione.  Questa funzione, tutelata dall'art. 24 della Costituzione,
 non potrebbe dirsi veramente assolta  se  non  fosse  "effettiva",  e
 cioe'  esercitata con conoscenza di causa.  E' questo, certamente, il
 limite invalicabile entro il quale il diritto di difesa  puo'  essere
 adattato dal legislatore alle varie evenienze procedurali.  Ne deriva
 che,  in  ogni  caso,  e  a  seconda delle peculiarita' delle singole
 fattispecie,  al  difensore,  sia  esso  quello  gia'  in  precedenza
 nominato  sia esso quello officiato ad hoc deve essere assicurata una
 adeguata possibilita' di comprensione  e  approfondimento  del  thema
 decidendum  in  modo  che  ogni iniziativa che valga a contrastare la
 tesi accusatoria e  a  produrre  risultati  favorevoli  all'assistito
 possa essere concretamente ed efficacemente dispiegata.
   8.  - Al di fuori dello scenario dibattimentale, resta dunque fermo
 che  il  legittimo  impedimento  del  difensore,  se  non   determina
 necessariamente  il  rinvio  dell'incombente processuale per il quale
 sia prevista, come nell'udienza preliminare, la  presenza  necessaria
 del  difensore, impone comunque che - come gia' a suo tempo affermato
 da questa Corte in un contesto ordinamentale in cui l'impedimento del
 difensore  non  riceveva  specifica  considerazione  nemmeno  per  il
 dibattimento  (sentenza n. 177 del 1972; v. anche ordinanza n. 51 del
 1989) - non  possa  "essere  negato  al  difensore  d'ufficio"  (ora,
 sostituto  del  difensore  non comparso) "nominato statim in luogo di
 quello di fiducia" (o di quello precedentemente nominato  d'ufficio),
 "che  non  si presenti, un congruo termine per lo studio degli atti e
 la preparazione della  difesa,  pena  la  nullita'  assoluta  di  cui
 all'art.  185,  numero  3, del codice di procedura penale" (art. 178,
 primo comma, lettera c, del codice di procedura penale vigente).  Una
 simile conclusione e' del tutto in linea anche con  la  piu'  recente
 giurisprudenza  costituzionale,  per  la  quale spetta "al giudice di
 regolare le modalita' di svolgimento dell'udienza  preliminare  anche
 attraverso  differimenti  congrui alle singole, concrete fattispecie,
 si'  da  contemperare  l'esigenza  di  celerita'  con   la   garanzia
 dell'effettivita'  del contraddittorio" (sentenza n. 16 del 1994), di
 cui e' componente essenziale la difesa tecnica.  Ad analoga ratio del
 resto, risponde l'art. 108 del codice di procedura penale,  che,  tra
 l'altro,  nel  caso di abbandono della difesa, prevede l'assegnazione
 di un termine congruo (di norma non inferiore a tre giorni) al  nuovo
 difensore  dell'imputato  o a quello designato in sostituzione che ne
 faccia richiesta "per prendere cognizione degli atti e per informarsi
 sui fatti oggetto del procedimento".
   Tale  considerazione  da  parte  del  giudice  della  esigenza   di
 assicurare  l'effettivita'  della difesa e', naturalmente, tanto piu'
 doverosa  quanto  piu'  la  natura  delle  imputazioni  o  lo  stesso
 svolgimento   dell'udienza  preliminare  (ad  esempio,  in  relazione
 all'evenienza di nuove contestazioni, o alla decisione del giudice di
 procedere a sommarie informazioni) implichi un'attivita' defensionale
 di particolare impegno.
   9. - Le considerazioni sopra esposte conducono  dunque  a  ritenere
 infondata  la proposta questione di costituzionalita', in riferimento
 ad entrambi i parametri invocati.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.   420,   terzo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,
 sollevata,  in  riferimento  all'art.  24,   secondo   comma,   della
 Costituzione, dal Tribunale di Livorno con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il. 27 maggio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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