N. 178 SENTENZA 27 - 31 maggio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte   in  genere  -  I.R.Pe.F.  -  Deducibilita'  dal  reddito  -
 Erogazioni liberali a favore dei fedeli di  quelle  sole  confessioni
 religiose  che  abbiano stipulato "un'intesa" con lo Stato italiano -
 Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova - Discriminazioni  fra
 confessioni  "con  intesa"  e  confessioni  "senza intesa" - Presunto
 contrasto con il principio supremo di laicita' dello Stato e  con  il
 principio  di uguale liberta' delle confessioni religiose - Richiesta
 di sentenza additiva - Difetto di un modello  univoco  con  il  quale
 possa  estendersi ad ogni confessione "senza intesa" la deducibilita'
 di cui e' questione - Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10, primo comma,  lettere  e),
 i), ed l)).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 8, 19 e 53).
(GU n.23 del 5-6-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando
 SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo
 CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10  del  d.P.R.
 29  settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul
 reddito delle persone fisiche) - recte: art. 10, primo  comma,  lett.
 e),  i)  ed l), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del
 testo unico delle imposte sui  redditi)  -,  promosso  con  ordinanza
 emessa il 15 dicembre 1994 dalla Commissione tributaria di I grado di
 Milano  sul  ricorso  proposto  da  Fabiani Giandomenico Paolo contro
 l'Intendenza di Finanza di Milano, iscritta al n.  908  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto l'atto di costituzione di Fabiani Giandomenico Paolo, nonche'
 gli  atti  di intervento della Congregazione dei Testimoni di Geova e
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 16 aprile 1996 il giudice  relatore
 Renato Granata;
   Udito l'avv.to Paolo Barile per Fabiani Giandomenico Paolo e per la
 Congregazione  Cristiana  dei  Testimoni  di Geova e l'Avvocato dello
 Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso del giudizio promosso da Fabiani Giandomenico Paolo,
 avente  ad  oggetto il riconoscimento della spettanza della deduzione
 dal reddito imponibile della somma di lire 2.000.000 versata a titolo
 di erogazione liberale a favore  della  Congregazione  cristiana  dei
 Testimoni  di  Geova per scopi di culto, la Commissione tributaria di
 primo grado di Milano con ordinanza del 14 dicembre 1994 ha sollevato
 - in riferimento agli artt. 2, 3, 8, 19 e  53  della  Costituzione  -
 questione di legittimita' costituzionale in via incidentale dell'art.
 10  del d.P.R. 29 settembre 1973, n.597 nella parte in cui dispone la
 deducibilita' dal reddito,  ai  fini  dell'I.R.Pe.F.,  di  erogazioni
 liberali a favore dei fedeli di quelle sole confessioni religiose che
 abbiano stipulato un'intesa con lo Stato italiano.
   In  particolare  la  Commissione  rimettente  -  nel  richiamare la
 sentenza  n.195  del  1993  con  cui  questa  Corte   ha   dichiarato
 illegittimo,   per   violazione  degli  art.  8,  19,  2  e  3  della
 Costituzione, l'art. 1 della legge della  Regione  Abruzzo  16  marzo
 1988,  n. 29, nella parte in cui limitava l'accesso ai contributi per
 la realizzazione degli edifici di culto alla Chiesa cattolica e  alle
 sole altre confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato fossero
 disciplinati ai sensi dell'art.  8, terzo comma, della Costituzione -
 rileva  che  le  diverse confessioni religiose, purche' non contrarie
 all'ordinamento italiano, hanno  tutte  pari  diritti  nei  confronti
 dello  Stato  e delle altre istituzioni pubbliche. Altresi' i singoli
 individui hanno pari diritto di abbracciare  liberamente  la  propria
 fede  religiosa  e  di esercitarne il culto, purche' non si tratti di
 riti contrari al buon costume.
   Quindi - conclude la Commissione rimettente -  risulta  viziata  di
 incostituzionalita'  ogni norma che crei discriminazioni tra le varie
 confessioni religiose o tra i cittadini ad esse fedeli e  che,  anche
 solo indirettamente, incida sulla loro pari dignita' e liberta'.
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 chiedendo  -  anche  con  successiva  memoria  -  che la questione di
 costituzionalita' sia dichiarata inammissibile o infondata.
   3. - Si e' costituito il  ricorrente  chiedendo  -  anche  con  una
 successiva  memoria  depositata  in prossimita' dell'udienza - che la
 questione sollevata sia riconosciuta fondata. In  particolare  deduce
 che  la  disciplina  della deducibilita' dal reddito imponibile delle
 erogazioni liberali a favore delle confessioni religiose ha lo  scopo
 di  rendere  concretamente  possibile,  e  comunque di facilitare, le
 attivita' di  culto,  incentivando  e  favorendo  la  devoluzione  di
 risorse  alle  organizzazioni  confessionali; sicche' anche in questo
 caso la discriminazione fra confessioni "con  intesa"  e  confessioni
 "senza  intesa"  si appalesa in contrasto con il principio supremo di
 laicita' dello Stato e con il  principio  di  eguale  liberta'  delle
 confessioni   religiose  sancito  dall'art.  8,  primo  comma,  della
 Costituzione. Parimenti e' violato  il  principio  costituzionale  di
 uguaglianza,  posto che la differenza fra le confessioni "con intesa"
 e quelle "senza  intesa"  non  puo'  in  alcun  modo  ragionevolmente
 giustificare un trattamento differenziato che non attiene nemmeno, in
 senso  proprio,  ai  "rapporti"  fra  lo  Stato  e le confessioni, ma
 piuttosto al godimento o meno di un regime di favore per le attivita'
 delle confessioni stesse.
   Inoltre - prosegue la difesa del ricorrente - sarebbero violati gli
 artt. 2, 3 e 19  della  Costituzione,  in  quanto  si  determina  una
 disparita'  di trattamento nel godimento e nell'esercizio del diritto
 (inviolabile ai sensi dell'art. 2), di liberta'  di  religione  e  di
 culto,   sotto   il  profilo  della  possibilita'  di  sovvenire  con
 erogazioni  liberali  alle  necessita'   economiche   della   propria
 confessione  e di renderne cosi' possibile o facilitarne la vita e lo
 sviluppo:  disparita'  di  trattamento  priva  di  ogni   ragionevole
 giustificazione,  in  quanto fondata esclusivamente sulla circostanza
 che la rispettiva confessione abbia o meno stipulato un'intesa con lo
 Stato.
   4. - E' intervenuta la Congregazione  cristiana  dei  Testimoni  di
 Geova  aderendo  alle  prospettazioni  dell'ordinanza di rimessione e
 della difesa della parte privata e quindi -  dopo  aver  premesso  di
 essere legittimata ad intervenire in questo giudizio, per tutelare la
 liberta'  religiosa  sia  dei singoli appartenenti alla Congregazione
 sia della confessione religiosa cui essi hanno dato vita - ha chiesto
 la declaratoria di incostituzionalita' della disposizione  censurata,
 successivamente depositando memoria congiunta con il ricorrente.
                        Considerato in diritto
   1.  -  E'  stata  sollevata  questione  incidentale di legittimita'
 costituzionale - in riferimento agli artt. 2, 3, 8,  19  e  53  della
 Costituzione  -  dell'art.  10  del  d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597
 (Istituzione e disciplina  dell'imposta  sul  reddito  delle  persone
 fisiche), nella parte in cui dispone la deducibilita' dal reddito, ai
 fini  dell'I.R.Pe.F.,  di  erogazioni liberali dei fedeli a favore di
 quelle sole confessioni religiose che abbiano stipulato un'intesa con
 lo Stato  italiano,  per  sospetta  violazione  (principalmente)  del
 principio   di   eguaglianza   sotto   il   profilo  dell'illegittima
 discriminazione sia tra confessioni religiose che tra singoli  fedeli
 in  ragione  dell'esistenza,  o  meno, dell'"intesa" ex art. 8, terzo
 comma, della Costituzione, elemento questo asseritamente  inidoneo  a
 giustificare  la disciplina differenziata della deducibilita' di tali
 erogazioni.
   2. - Preliminarmente va dichiarato ammissibile  l'intervento  della
 Congregazione  cristiana  dei  Testimoni  di Geova atteso che essa e'
 portatrice di un interesse specificamente proprio e  qualificato  per
 il  fatto  di essere destinataria dell'elargizione liberale della cui
 deducibilita' si discute nel giudizio a quo.
   3.  -  Va  poi  precisato  -  disattendendosi   la   eccezione   di
 inammissibilita' avanzata dalla Avvocatura dello Stato sul rilievo di
 una  asserita  equivocita'  della  ordinanza  di  rimessione circa la
 individuazione del testo normativo censurato -  che  la  disposizione
 oggetto  della questione proposta si identifica de plano - in ragione
 del contenuto precettivo chiaramente individuato dal giudice  a quo -
 non gia', come indicato per mero errore in dispositivo, nell'art.  10
 del  d.P.R.    29  settembre  1973, n. 597 (che, nel disciplinare gli
 oneri  deducibili  ai  fini  dell'I.R.Pe.F.,  non   contiene   alcuna
 previsione in tema di deducibilita' di elargizioni liberali in favore
 di  confessioni  religiose), bensi', come indicato nella motivazione,
 nel  successivo  art.  10  del  d.P.R.  22   dicembre   1986,   n.917
 (Approvazione  del  testo  unico  delle  imposte sui redditi), e piu'
 esattamente nel citato  art.  10  come  sostituito  dall'art.  2  del
 decreto-legge  31  maggio 1994, n. 330, convertito in legge 27 luglio
 1994, n. 473, che nel primo comma, lettere e), i)  ed  l),  detta  la
 nuova disciplina degli oneri deducibili in questione.
   In particolare tale disposizione prevede, alla lettera i) del primo
 comma,  la  deducibilita'  dal  reddito  complessivo delle erogazioni
 liberali in danaro, fino all'importo di due milioni di lire, a favore
 dell'Istituto centrale per il sostentamento del  clero  della  Chiesa
 cattolica italiana. Deducibilita', peraltro, gia' prevista in termini
 testualmente  identici  dall'art.  46  della legge 20 maggio 1985, n.
 222 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per  il
 sostentamento  del  clero  cattolico  in servizio nelle diocesi), nel
 quale si aggiunge soltanto che le relative modalita' sono determinate
 con decreto  del  Ministro  delle  finanze,  ripetendo  alla  lettera
 identica  disposizione  delle  norme  per la disciplina della materia
 degli  enti  e  beni  ecclesiastici   formulate   dalla   commissione
 paritetica   istituita  dall'art.  7,  numero  6,  dell'accordo,  con
 protocollo  addizionale,  del  18  febbraio  1984  che  ha  apportato
 modificazioni  al  Concordato  lateranense  del  1929  tra  lo  Stato
 italiano e la Santa Sede.
   A sua volta, la lettera l) del cit. art.  10  contempla  lo  stesso
 beneficio  della  deducibilita' per le erogazioni liberali in danaro,
 di cui rispettivamente all'art. 29, secondo  comma,  della  legge  22
 novembre  1988,  n. 516 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo
 Stato e l'Unione italiana delle Chiese  cristiane  avventiste  del  7
 giorno),  all'art.  21, primo comma, della legge 22 novembre 1988, n.
 517 (Norme per  la  regolazione  dei  rapporti  tra  lo  Stato  e  le
 Assemblee  di Dio in Italia) e all'art. 3, secondo comma, della legge
 5 ottobre 1993, n. 409 (Integrazione dell'intesa tra il Governo della
 Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione  dell'articolo
 8,  terzo  comma,  della  Costituzione). Si tratta di tre confessioni
 religiose che hanno  regolato  i  loro  rapporti  con  lo  Stato  con
 distinte  intese  (ex  art.  8,  terzo  comma,  della  Costituzione),
 recepite in  legge,  nelle  quali  e'  previsto  il  beneficio  della
 deducibilita'  in  termini  (analoghi, ma) non identici, ne' tra loro
 ne' con riguardo a quelli contemplati dall'art. 46 della legge n. 222
 del 1985 cit. in favore della Chiesa  cattolica.  Infatti  l'art.  29
 della legge n. 516 del 1988 - senza peraltro limitare il destinatario
 dell'elargizione  ad  un  ente  centralizzato della confessione (come
 invece fa l'art. 46 cit.) - prevede il beneficio  per  le  erogazioni
 destinate (oltre che al sostentamento del clero, al pari dell'art. 46
 cit.)  anche  a  specifiche  esigenze di culto e di evangelizzazione.
 Analogamente l'art. 21 della legge n. 517 del 1988 prevede  anche  la
 deducibilita'  di  elargizioni liberali per soddisfare le esigenze di
 cura  delle  anime  e  di   amministrazione   ecclesiastica.   Ancora
 ulteriormente  differenziato  e'  il  beneficio  della  deducibilita'
 riconosciuto dall'art. 3 della legge n. 409 del  1993  cit.  perche',
 oltre  al  fine  di culto, sono previsti anche quelli di istruzione e
 beneficenza nonche' quelli delle Chiese e  degli  enti  aventi  parte
 nell'ordinamento valdese.
   Infine,  la lettera e) del citato art. 10, nella sua seconda parte,
 menziona "i contributi di cui all'art. 30 secondo comma della legge 8
 marzo 1989, n. 101" ripetendo che questi contributi "sono  deducibili
 alle condizioni e nei limiti ivi stabiliti". Disposizione - questa di
 cui  al richiamato art. 30, secondo comma, della citata legge 8 marzo
 1989, n.101 (Norme per la regolazione dei rapporti  tra  lo  Stato  e
 l'Unione  delle  comunita'  ebraiche  italiane)  -  la  quale appunto
 prevede un'ulteriore ipotesi di  deducibilita',  che  pero'  riguarda
 (non   piu'   le  elargizioni  liberali,  ma)  i  contributi  annuali
 corrisposti  dagli  appartenenti alle comunita' israelitiche ai sensi
 dell'art.  18 dello Statuto dell'ebraismo italiano; diversa e'  anche
 la  misura  del  beneficio,  perche'  l'importo di tali contributi e'
 deducibile   dal   reddito   complessivo    imponibile    (ai    fini
 dell'I.R.Pe.F.)  fino  a  concorrenza del dieci per cento del reddito
 per    un    importo     massimo     non     superiore     a     lire
 settemilionicinquecentomila.
   4.   -   Inoltre  va  ricordato  che  la  normativa  ora  riferita,
 successivamente alla ordinanza di rimessione,  si  e'  arricchita  di
 altre disposizioni - art. 16 della legge 12 aprile 1995, n.116 (Norme
 per  la  regolazione  dei  rapporti tra lo Stato e l'Unione Cristiana
 Evangelica Battista d'Italia) ed art.  26  della  legge  29  novembre
 1995, n. 520 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la
 Chiesa  Evangelica  Luterana  in  Italia (CELI)) - le quali prevedono
 ulteriori ipotesi di deducibilita' delle elargizioni liberali  sempre
 previamente concordate in intese, poi recepite in legge, tra lo Stato
 italiano e distinte confessioni acattoliche.
   5.  -  A  ben  vedere, quindi, la censura di costituzionalita' - in
 quanto da intendersi riferita, come  si  e'  chiarito,  all'art.  10,
 primo  comma,  lettere  e), i) ed l), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
 917 - investe alcune delle ipotesi di  deducibilita'  di  elargizioni
 fatte  in  favore  di  confessioni  religiose,  le quali concorrono a
 comporre  il  piu'  complesso  e  variegato  quadro  normativo  sopra
 sinteticamente  tracciato. Ma, pur cosi' identificata la disposizione
 censurata, la questione di  costituzionalita'  e'  inammissibile.  Ed
 infatti,  ove  anche fosse rinvenibile in tale disposizione (la quale
 peraltro dovrebbe essere integrata dalle altre  analoghe  citate  che
 completano il quadro normativo, ma che non potevano non restare fuori
 -  ratione  temporis  -  dalla  questione  come  sopra sollevata) una
 tendenza legislativa favorevole a disciplinare in sede di  intesa  la
 deducibilita'  delle  elargizioni  liberali  in  esame, rispetto alla
 quale fosse in ipotesi configurabile  una  discriminazione  in  danno
 delle  confessioni  senza  intesa, si dovrebbe comunque prendere atto
 che tale orientamento si e' finora  tradotto  sempre  e  soltanto  in
 specifiche   discipline   di   attuazione   di   intese  con  singole
 confessioni,  discipline  similari  ma  nient'affatto  sovrapponibili
 integralmente,  sicche'  mancherebbe  anche  il  modello univoco (sia
 quanto alle finalita', sia quanto alla natura dell'elargizione  e  al
 destinatario   della   stessa,   sia   quanto   alla   misura   della
 deducibilita') che - in ipotesi con una pronuncia additiva  quale  e'
 sostanzialmente quella richiesta dalla Commissione rimettente - possa
 estendersi ad ogni confessione senza intesa.
   Alla  stregua, quindi, della stessa impostazione della questione di
 costituzionalita'  come  proposta  dal   giudice   rimettente,   deve
 constatarsi  che in ogni caso la possibilita' di prendere in esame la
 necessita' di estendere alle confessioni senza intesa la attribuzione
 di un beneficio, che  in  ipotesi  si  assumesse  essere  allo  stato
 illegittimamente  limitato  alle  sole  confessioni con intesa, e' in
 limine preclusa dalla mancanza di quella "disciplina,  posta  da  una
 legge comune, volta ad agevolare l'esercizio" del diritto di liberta'
 religiosa,  quale  e' la disciplina cui ha avuto riguardo la sentenza
 n. 195 del 1993. Vi sono  invece  distinte  disposizioni  specifiche,
 aventi   ciascuna   un   contenuto  precettivo  variamente  modulato;
 contenuto che per tale specifica sua connotazione  rende  appunto  in
 limine   inutile   -   e  quindi  inammissibile  -  lo  scrutinio  di
 costituzionalita'  richiesto   dalla   Commissione   rimettente   per
 estenderne l'ambito di applicazione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 10, primo comma, lett. e), i) ed l), del d.P.R. 22 dicembre
 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi)
 sollevata, in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  8,  19  e  53  della
 Costituzione,  dalla  Commissione tributaria di primo grado di Milano
 con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Granata
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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