N. 181 SENTENZA 27 - 31 maggio 1996

 
 
 
 Giudizio  di  legittimita'   costituzionale   in   via   incidentale.
 Ordinamento penitenziario - Beneficio del permesso premio da parte di
 persona  condannata  per  il  reato  di rapina aggravata - Precedente
 revoca della misura alternativa alla  detenzione  della  semiliberta'
 per  gravi indizi relativi alla commissione di altre rapine - Effetti
 preclusivi - Non operativita' per intervenuta sentenza di assoluzione
 perche' il fatto non sussiste o per non  aver  commesso  il  fatto  -
 Omessa  previsione  -  Erroneita'  dei  presupposti interpretativi da
 parte del giudice a quo - Non fondatezza.
 
 (Legge 26 luglio 1975,  n.  354,  art.  58-quater,  primo  e  secondo
 comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).
(GU n.23 del 5-6-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
 VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  58-quater,
 commi   1   e   2,   della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
 sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
 privative e limitative della liberta'), promosso con ordinanza emessa
 il  19  luglio  1995  dal  magistrato  di sorveglianza di Alessandria
 nell'istanza proposta da Roviera  Marino,  iscritta  al  n.  538  del
 registro  ordinanze  1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Udito nella camera di consiglio  del  17  aprile  1996  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  magistrato  di  sorveglianza  di Alessandria, chiamato a
 pronunciarsi sulla istanza diretta ad ottenere  un  permesso  premio,
 presentata   da  detenuto  condannato  per  uno  dei  reati  previsti
 dall'art. 4-bis,  comma  1,  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354
 (precisamente,  per  il  reato  di rapina aggravata), a cui era stata
 revocata la misura alternativa alla detenzione della semiliberta' con
 provvedimento del 25 ottobre 1994 del tribunale  di  sorveglianza  di
 Torino perche' sussistevano a suo carico gravi indizi di colpevolezza
 in  ordine  alla  commissione di altre rapine, rilevava che l'istanza
 avrebbe dovuto essere  dichiarata  inammissibile;  infatti,  a  norma
 dell'art.  58-quater,  comma 3, l'interessato avrebbe potuto di nuovo
 aver accesso al beneficio del permesso premio soltanto il 25  ottobre
 1997  (tre  anni  dalla data del provvedimento di revoca della misura
 alternativa), nonostante fosse stato assolto in ordine ai fatti per i
 quali la revoca era stata disposta. E cio' perche'  l'interpretazione
 giurisprudenziale  e'  nel  senso  che  se  non  sia  stata  proposta
 impugnazione  avverso  il  provvedimento  di  revoca   della   misura
 alternativa  gli  effetti  di  essa permangono qualunque sia la sorte
 dell'eventuale procedimento penale che ha provocato la revoca.
   Tanto premesso, ha, con ordinanza del 19 luglio 1995, sollevato, in
 riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  dell'art.  58-quater, commi 1 e 2, della
 legge  26  luglio  1975,  n.  354,   introdotto   dall'art.   1   del
 decreto-legge  13  maggio  1991,  n.  152,  convertito dalla legge 12
 luglio 1991, n.  203, nella parte in cui non prevede  "che  l'effetto
 preclusivo  indicato  nelle suddette norme non opera nei casi in cui,
 dispostasi la revoca di una misura  alternativa  per  sussistenza  di
 indizi  di  colpevolezza  a  carico  del  condannato, in relazione al
 procedimento penale  pendente,  intervenga  sentenza  di  assoluzione
 perche' il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto".
   L'art.   27,   terzo  comma,  della  Costituzione  sarebbe  violato
 profilandosi  un  irragionevole  ostacolo  al   perseguimento   della
 finalita' rieducativa della pena.
   Risulterebbe  vulnerato  anche  il  principio  di  eguaglianza  per
 l'irrazionale equiparazione della disciplina della revoca  di  misure
 alternative  per  soggetti  poi  assolti che non abbiano impugnato il
 provvedimento di revoca  alla  disciplina  della  revoca  stessa  nei
 confronti   di   soggetti  condannati  con  sentenza  definitiva  per
 comportamenti illeciti tenuti nel corso di esecuzione della misura.
   2. - Nel giudizio davanti alla Corte non si e' costituita la  parte
 privata  ne'  ha  spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
                        Considerato in diritto
   1. - Il  magistrato  di  sorveglianza  di  Alessandria  dubita,  in
 riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della
 legittimita'  dell'art. 58-quater, commi 1 e 2, della legge 26 luglio
 1975, n.  354, introdotto dall'art. 1  del  decreto-legge  13  maggio
 1991,  n.   152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nella
 parte in cui "non prevedono che l'effetto preclusivo  indicato  nelle
 suddette norme non opera nei casi in cui, dispostasi la revoca di una
 misura alternativa per sussistenza di indizi di colpevolezza a carico
 del   condannato,   in  relazione  a  procedimento  penale  pendente,
 intervenga sentenza di assoluzione perche' il fatto  non  sussiste  o
 per non aver commesso il fatto".
   Piu'  in  particolare,  richiesto  della concessione di un permesso
 premio da parte di persona condannata per  uno  dei  delitti  di  cui
 all'art.  4-bis  della legge n. 354 del 1975 (precisamente il delitto
 di rapina aggravata), persona  alla  quale  era  stata  revocata  dal
 tribunale di sorveglianza la misura alternativa alla detenzione della
 semiliberta'  per  la  sussistenza  a  suo  carico di gravi indizi di
 colpevolezza relativamente alla commissione di  altre  rapine,  dalle
 quali era stato successivamente assolto con sentenza del tribunale di
 Milano  in  data  16  maggio  1995, il giudice a quo, premesso che la
 richiesta sarebbe da ritenere ugualmente  inammissibile  operando  la
 rigorosa   preclusione  derivante  dalle  norme  denunciate,  ravvisa
 nell'assetto normativo cosi'  censurato  violazione,  oltre  che  del
 principio  della  funzione  rieducativa della pena, anche dell'art. 3
 della Costituzione, per l'irragionevole  equiparazione  dell'identico
 regime preclusivo discendente dalla revoca di misure alternative alla
 detenzione  nei  confronti  di  soggetti poi assolti relativamente ai
 reati che avevano provocato la  cessazione  della  misura,  a  quello
 operante  nei  riguardi  di chi, invece, in ordine a tali reati abbia
 riportato condanna.   L'impossibilita'  di  conseguire  il  beneficio
 troverebbe,   peraltro,   un'univoca  conferma  interpretativa  nella
 giurisprudenza della Corte di cassazione, ricordata  dal  rimettente,
 attenta  a  precisare  come  la decisione assolutoria non rimuove gli
 effetti  dell'ordinanza  di  revoca  della   semiliberta',   divenuta
 esecutiva per non essere stata impugnata. Cosicche', solo nel caso in
 cui  il  condannato  abbia  proposto  ricorso  per cassazione avverso
 l'ordinanza  di  revoca  della  misura  sarebbe  divenuto   possibile
 accedere al richiesto beneficio.
   2.  -  La  questione  non  e' fondata per essere erroneo proprio il
 presupposto interpretativo da cui muove il giudice a  quo.  Donde  la
 necessita'  di  individuare  gli  esatti  passaggi ermeneutici che il
 rimettente avrebbe dovuto percorrere.
   3. - Come e' noto, l'art. 58-quater, comma 1, della  legge  n.  354
 del 1975 preclude l'ammissione al lavoro esterno, ai permessi premio,
 all'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  e  alla detenzione
 domiciliare ai condannati per  uno  dei  delitti  previsti  dall'art.
 4-bis,  comma  1, della stessa legge, che abbiano posto in essere una
 condotta punibile ex art. 385 del codice penale. Un divieto che opera
 per il periodo di tre anni da quando e'  stata  posta  in  essere  la
 condotta  di  evasione  (art. 58-quater, comma 3).  L'art. 58-quater,
 comma 2, stabilisce, a sua volta, lo stesso divieto nei confronti dei
 condannati a cui sia stata revocata una misura alternativa  ai  sensi
 degli  artt.  47,  undicesimo comma (affidamento in prova al servizio
 sociale: nel caso in cui il  comportamento  del  soggetto,  contrario
 alle  leggi  o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la
 prosecuzione della prova), 47-ter, comma 6  (detenzione  domiciliare:
 se  il  comportamento  del  soggetto,  contrario  alle  leggi  o alle
 prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione  delle
 misure),  51, primo comma (semiliberta': il provvedimento puo' essere
 in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi  idoneo  al
 trattamento).  In  tali casi il divieto dei benefici opera sempre per
 un periodo di tre anni decorrenti, pero', da quando e'  stato  emesso
 il  provvedimento  di  revoca  (art.  58-quater, comma 3).   Cio' per
 sottolineare, anzitutto,  come  i  provvedimenti  di  revoca  di  cui
 all'art.  58-quater,  comma  1, sono (o possono essere) pronunciati -
 salvo che per chi abbia posto in essere una condotta punibile a norma
 dell'art. 385 del codice penale -  non  in  conseguenza  di  contegni
 oggetto  di una specifica descrizione normativa, ma per comportamenti
 genericamente incompatibili (o inidonei) con  la  prosecuzione  delle
 misure.  E  fra  tali  comportamenti  e' sicuramente da annoverare la
 addebitata commissione di un fatto reato, tanto piu' quando, come nel
 caso all'esame del giudice a quo, la fattispecie criminosa contestata
 rientri nelle previsioni del comma 1 dell'art. 4-bis della  legge  n.
 354 del 1975.  Ne deriva che quando il comportamento esaurisca la sua
 significazione   debordante  dalle  esigenze  del  trattamento  nella
 commissione di un fatto reato, l'accertamento della sussistenza delle
 condizioni  che  integrano  la revoca non puo' essere attribuita alla
 cognizione del magistrato di sorveglianza  al  quale,  pero',  e'  da
 ritenere,  spetta  la verifica - in relazione alla tipologia di reato
 addebitato e alle circostanze del fatto - in ordine alla  sussistenza
 delle  condizioni  previste dagli artt. 47, undicesimo comma, 47-ter,
 comma 6, e 51, primo comma, della legge n. 354  del  1975,  prima  di
 adottare  il  provvedimento  di sospensione cautelativa (art. 51-ter)
 che  deve,  a  sua  volta,  essere  "ratificato"  dal  tribunale   di
 sorveglianza  competente  per  la revoca della misura (art. 70, primo
 comma).  Il tutto alla stregua della linea interpretativa  pressoche'
 costante  in  giurisprudenza,  nel  senso che possono essere valutati
 fatti storici costituenti ipotesi di reato riferibili al  condannato,
 senza   necessita'   di   attendere   la   definizione  del  relativo
 procedimento,   indipendentemente   dalla   circostanza    che    dal
 comportamento  contestato  possa  derivare  o no una condanna penale;
 perche'  cio'  che  conta  e'  la  valutazione  della  condotta   del
 condannato   al  fine  di  stabilire  se  lo  stesso  -  prescindendo
 dall'accertamento  giudiziale  della  sua   responsabilita'   -   sia
 meritevole  dei  benefici  penitenziari  alternativi alla detenzione.
 Una linea che parrebbe escludere soluzioni alternative,  sia  perche'
 il  decreto  del  magistrato  di  sorveglianza e' destinato ad essere
 caducato ove il provvedimento di revoca del tribunale non  intervenga
 entro  trenta  giorni  dalla  sospensione della misura sia perche' la
 legge non pare autorizzare il tribunale di sorveglianza a  sospendere
 la  decisione.    Vero  e'  che avverso il provvedimento di revoca e'
 consentito il ricorso per cassazione; ma in tale sede le censure  che
 alla  Corte  di  cassazione  sara'  consentito  prendere in esame non
 potranno che investire l'assenza dei presupposti per la  revoca  (nei
 termini  peraltro genericamente indicati dagli artt. 47, primo comma,
 47-ter, comma 6, 51, primo comma, della legge n. 354 del 1975).    Fa
 da  sola  eccezione  al  detto  regime, sempre nell'ipotesi in cui il
 presupposto da cui e' scaturita la revoca della misura  si  esaurisca
 nell'addebito  di  un  fatto costituente reato, la disciplina dettata
 relativamente al delitto di evasione. L'art. 51,  quarto  comma,  ha,
 infatti,  previsto,  in  via preliminare, come effetto della denuncia
 per il reato di cui all'art. 385 del codice penale esclusivamente  la
 sospensione della semiliberta' e, solo in conseguenza della condanna,
 la revoca della misura.
   4.  -  L'effetto  ineludibilmente preclusivo additato dal giudice a
 quo deriva da una non corretta individuazione del regime normativo ed
 in particolare dei rapporti tra  revoca  della  misura  e  successiva
 possibilita'  di accesso ai benefici di cui all'art. 58-quater, comma
 1.   Per restare  alla  misura  della  semiliberta',  e'  chiaro  che
 l'inidoneita'  al trattamento determinata da addebiti non costituenti
 reato   assume   i   medesimi    connotati    finalistici    rispetto
 all'inidoneita'  determinata dall'elevazione di un'imputazione per un
 fatto costituente reato.  Quelli che divergono sono, pero', almeno in
 taluni  casi,  i  poteri  cognitori   spettanti   al   tribunale   di
 sorveglianza.  Nel primo caso, infatti, ci si trovera' in presenza di
 una cognitio plena, destinata a coinvolgere il  fatto  addebitato  in
 tutta  la  sua  rilevanza  funzionale;  nel secondo caso, invece, non
 potra' scaturire che un giudizio meramente incidentale sull'effettiva
 consistenza del fatto contestato; ma in entrambi i casi in  relazione
 ad  esigenze  che  appartengono  esclusivamente  alle  finalita'  del
 trattamento.  Ne consegue che quando la revoca e' determinata da  una
 causa  "generica",  la  questione,  assumendo  per  il  tribunale  di
 sorveglianza carattere principale,  comporta,  almeno  di  norma,  il
 passaggio in giudicato della relativa statuizione ove avverso di essa
 non  venga proposto ricorso per cassazione. Quando, invece, la revoca
 derivi da un  comportamento  costituente  reato  e  il  tribunale  la
 disponga  solo  per  la  gravita'  e  le  caratteristiche  di esso in
 relazione alle esigenze del trattamento, la statuizione,  considerata
 la  sua  natura incidentale, viene resa soltanto rebus sic stantibus,
 donde la successiva incidenza della  decisione  sul  fatto-reato  ove
 questa  si  sostanzi  in  una pronuncia proscioglitiva e sempre ferma
 restando  per  il  tribunale  di  sorveglianza  la  possibilita'   di
 ponderare  il fatto in tutte quelle connotazioni che possano incidere
 sul trattamento.
   5. - Dalle considerazioni che precedono puo' quindi  ricavarsi  una
 prima essenziale conclusione. Che, cioe', la disposizione del comma 2
 dell'art.  58-quater  (cosi'  come  quella  del  comma 1 dello stesso
 articolo) sia stata non del tutto correttamente  chiamata  in  causa,
 proprio   perche'   l'impossibilita'   di  usufruire  dei  "benefici"
 rappresenta esclusivamente la conseguenza della revoca  delle  misure
 alternative.     Dunque,  poiche'  gli  effetti  derivanti  dall'art.
 58-quater, commi 1 e 2, scaturiscono soltanto dalla  revoca  di  tali
 misure,  e' al terzo comma dello stesso articolo che sara' necessario
 soprattutto aver riguardo oltre che  al  regime  della  revoca  delle
 misure alternative quale delineato dai piu' volte ricordati artt. 47,
 undicesimo  comma, 47-ter, comma 6, e 51, primo comma, della legge n.
 354 del 1975.  Vero e' che il giudice a quo ha fondato il giudizio di
 inammissibilita' della  richiesta  su  quella  interpretazione  della
 Cassazione  la  quale  ha  affermato  che,  essendo  ormai  la revoca
 divenuta definitiva, per la forza di giudicato della statuizione  del
 tribunale  di  sorveglianza,  non  sarebbe  consentito  l'accesso  ai
 benefici se non decorsi i termini indicati nel comma 3  dello  stesso
 art. 58-quater (Sez. I, 9 marzo 1994, Curti). Ma occorre sottolineare
 come  in quella occasione oggetto del gravame era - piuttosto che gli
 effetti conseguenti alla revoca della misura - la revoca della misura
 stessa.   Una linea, tuttavia,  quella  ora  segnalata,  da  ritenere
 tutt'altro   che   costante   nella  giurisprudenza  della  Corte  di
 cassazione che, in una diversa occasione, chiamata a decidere  su  un
 ricorso  con  il quale il condannato aveva censurato il provvedimento
 del tribunale di sorveglianza che aveva  disatteso  la  richiesta  di
 ripristino  della semiliberta', revocata per un fatto reato in ordine
 al  quale  era  intervenuta   sentenza   di   assoluzione,   anziche'
 richiamarsi  alla  definitivita'  del  provvedimento, ha annullato la
 relativa ordinanza perche' l'indagine che va condotta  per  stabilire
 se  il  detenuto sia meritevole della misura "verte sui risultati del
 trattamento individualizzato e sull'esistenza  delle  condizioni  che
 possano  garantirne  un  graduale  reinserimento  nella societa'". E,
 proprio dando rilievo alla sentenza di assoluzione per il  reato  che
 aveva  provocato  la  revoca  della misura, la Cassazione ha ritenuto
 "non corretta e non coerente la motivazione posta  a  fondamento  del
 provvedimento  di  rigetto"  (Sez.  I,  27 aprile 1993, Pastafiglia).
 Cosi' da ribadire come, attesa la  natura  incidentale  della  revoca
 della  misura  quando  venga  disposta  per  l'accusa  di  un  reato,
 allorche'  intervenga pronuncia di assoluzione il tribunale e' tenuto
 a verificare se una simile decisione debba o no incidere sulla revoca
 della misura, consentendo in tal  modo  il  ripristino  della  misura
 stessa.
   Solo  per  tale via sara' poi possibile conseguire, anche prima del
 termine indicato dall'art. 58-quater, comma 3, della legge n. 354 del
 1975, l'accesso ai benefici di cui al comma 1 dello stesso articolo.
   6.  -  Possono,  pertanto,   cogliersi   agevolmente   gli   errori
 interpretativi in cui e' caduto il giudice a quo.
   Il  primo  di essi va individuato nell'avere sollevato la questione
 di legittimita' costituzionale della norma che non consente l'accesso
 ai benefici di cui all'art. 58-quater, comma 1, della  legge  n.  354
 del  1975  in caso di revoca della misura alternativa alla detenzione
 senza previamente verificare - e sulla base del  complessivo  assetto
 interpretativo  in  materia  derivante  soprattutto  dall'esame della
 giurisprudenza, ma attestandosi ad una isolata pronuncia della  Corte
 di  cassazione  -  se un'ipotetica riammissione ai detti benefici non
 richieda la rimozione di quel presupposto ostativo che e'  costituito
 dalla  revoca  della  misura.    Cosi'  da  incorrere in un'ulteriore
 deviazione ermeneutica, per essersi arrogato  poteri  che,  comunque,
 richiedendo una valutazione dei presupposti ostativi, non possono che
 competere  al  tribunale  di  sorveglianza.    Da cio' e' derivato un
 ulteriore vizio interpretativo indotto dalla giurisprudenza  indicata
 dal  giudice  a  quo.  Quello, cioe', di ravvisare nelle pronunce del
 tribunale di sorveglianza in tema di revoca delle misure  alternative
 la  produzione  degli  effetti propri del giudicato.   Senza in alcun
 modo considerare che mentre tale effetto e', di norma, conseguenziale
 all'accertamento della impossibilita' di proseguire  nel  trattamento
 derivante  da  fatti  in ordine ai quali il tribunale di sorveglianza
 dispone di una cognitio  plena,  diversa  e'  la  situazione  che  si
 realizza  quando  l'interruzione  del  trattamento derivi da un fatto
 costituente reato che esaurisca l'intera valenza  della  interruzione
 del  trattamento  penitenziario.    In  tal  caso, proprio perche' la
 cognizione del tribunale di sorveglianza non puo' che ridursi  ad  un
 giudizio   incidentale   limitato   alle  esigenze  teleologiche  del
 trattamento  (significativo  e',  sul  punto,  il  richiamato  regime
 adottato in ordine alla misura della semiliberta' in caso di reato di
 evasione  alla stregua dell'art. 51, quarto comma, della legge n. 354
 del 1975), essendo riservata alla cognizione del  giudice  penale  la
 verifica  della  sussistenza del reato, appare evidente che la revoca
 della misura, da cui dipende l'impossibilita' di accesso ai  benefici
 di  cui all'art. 58-quater, comma 1, della legge n. 354 del 1975, non
 potra' che commisurare la  sua  efficacia  preclusiva  all'esito  del
 giudizio  sul  fatto  reato;  sempre  ferma  restando, ovviamente, la
 cognizione specifica del  tribunale  di  sorveglianza  in  ordine  ai
 profili   che,   nonostante   l'assoluzione   dell'imputato,  possono
 acquisire una valenza ai fini della riammissione al  beneficio.    Il
 tutto senza che possa assumere rilievo di sorta la circostanza che il
 condannato abbia provveduto a proporre ricorso per cassazione avverso
 il   provvedimento   di   revoca,   considerati   sia   i  tempi  per
 l'accertamento del reato sia  la  quasi  paradigmatica  legittimita',
 allo  stato,  di  un  provvedimento  di  revoca: donde il rigetto del
 ricorso quando questo sia  stato  disposto  per  fatti  di  rilevanza
 penale  direttamente  incidenti  sulla  prosecuzione del trattamento.
 Che  tutto  cio',  del  resto,  risulti  conforme  al  sistema  della
 efficacia delle pronunce di revoca deriva chiaramente dal  fatto  che
 la  privazione  del  trattamento  non  puo'  conseguire  se non ad un
 comportamento addebitabile al condannato e che comunque l'effetto  di
 essa deve essere proporzionato (oltre che al quantum di afflittivita'
 che  da  essa  e'  derivato) alla gravita' oggettiva e soggettiva del
 comportamento che ha determinato la revoca (v. sentenza  n.  306  del
 1993).
   7.  - Sancita cosi' l'impossibilita' di conseguire direttamente dal
 magistrato di sorveglianza la riammissione di benefici,  l'unica  via
 percorribile  al  fine  di  proteggere  adeguatamente le finalita' di
 risocializzazione che sono alla base delle misure previste  dall'art.
 58-quater, comma 1, della legge n. 354 del 1975 e' quella di chiedere
 al    tribunale    di    sorveglianza,   sulla   base   dell'avvenuto
 proscioglimento, l'eliminazione del provvedimento  di  revoca  a  suo
 tempo disposto.
   La   norma   denunciata   si   sottrae  pertanto  alla  censura  di
 legittimita', con riferimento sia all'art. 3 che all'art.  27,  terzo
 comma, della Costituzione.
                           Per questi motivi
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 58-quater, commi 1 e 2, della legge 26 luglio 1975, n.  354
 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
 privative e limitative della  liberta'),  sollevata,  in  riferimento
 agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal magistrato di
 sorveglianza di Alessandria con ordinanza del 19 luglio 1995.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C0832