N. 494 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 1996
N. 494 Ordinanza emessa il 5 marzo 1996 dal Tribunale di Messina nel procedimento civile vertente tra Garufi Domenico e comune di Messina ed altra Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altre enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo nonche' delle espropriazioni di aree edificabili e aree agricole - Incidenza sul principio della tutela del diritto di proprieta', sul diritto di difesa, per atti illeciti, e sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. e della responsabilita' dei funzionari e dipendenti della p.a. - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 188/1995 e 442/1993. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma). (Cost., artt. 3, 24, 28, 42 e 97).(GU n.23 del 5-6-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa n. 584/88 tra: Garufi Domenico rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Mazzei, attore, contro il comune di Messina in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Sacca' e la Cooperativa edilizia Fiamme Oro in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. prof. Enzo Silvestri. Svolgimento del processo Con atto di citazione del 12 febbraio 1988 Garufi Domenico conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale il comune di Messina e la Cooperativa edilizia Fiamme Oro, in persona dei legali rappresentanti pro-tempore. Esponeva che, con decreto notificato l'8 novembre 1982, il sindaco del comune di Messina aveva autorizzato la Cooperativa edilizia ad occupare parte di un fondo di sua proprieta' sito in Messina, contrada Gazzi, per la realizzazione di un complesso di edilizia economica e popolare costituito da due corpi di fabbrica. Eseguita la costruzione era decorso il termine di durata dell'occupazione senza che fosse emanato il decreto di espropriazione. Chiedeva pertanto la condanna in solido dei convenuti all'integrale risarcimento dei danni conseguenti alla definitiva privazione delle aree da determinare come per legge, oltre rivalutazione e interessi, anche ai sensi dell'art. 1283 codice civile. Instauratosi il contraddittorio la cooperativa ed il comune di Messina eccepivano che l'occupazione era tuttavia legittima in quanto avvenuta in forza di un decreto sindacale notificato l'8 ottobre 1982 che aveva fissato in anni cinque il termine di occupazione. Senonche' l'occupazione, che doveva scadere nell'ottobre del 1987, aveva beneficiato, secondo la cooperativa, di quattro proroghe legali: quella disposta dall'art. unico della legge 23 dicembre 1982, quella di cui all'art. 1, comma 5-bis del decreto legislativo 22 dicembre 1984, n. 901, convertito in legge 1 marzo 1985, n. 42, quella prevista dall'art. 14 del decreto legislativo 29 dicembre 1987, n. 534, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 47, e quella della legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22, per cui l'occupazione in questione sarebbe scaduta nell'ottobre del 1993. Analoghe difese svolgeva il comune di Messina. L'attore contestando l'eccezione avversaria sosteneva l'inapplicabilita' della legge 20 maggio 1991, n. 158. Espletata consulenza tecnica, la quale concludeva per la edificabilita' del terreno quantificando conseguentemente il danno, e rimessa la causa al Collegio, questo, con ordinanza del 16 giugno 1993, ritenuto che il valore venale del fondo dovesse essere calcolato alla data della cessazione dell'occupazione legittima, novembre 1990, disponeva un supplemento di consulenza. Rimessa nuovamente la causa al Collegio, in esito al supplemento di consulenza, prima dell'udienza di discussione entrava in vigore la legge 28 dicembre 1995, n. 549, che all'art. 1, comma 65, ha cosi' disposto: "Il comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e' sostituito dal seguente: "6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto"". Nella comparsa conclusionale, l'attore, ritenuta la rilevanza della disposizione citata ai fini della quantificazione del risarcimento dei danni prodotti dall'illecito dei convenuti, avendo interesse al risarcimento integrale come richiesto in citazione, oltre rivalutazione ed interessi, senza subire la radicale decurtazione conseguente all'applicazione dei criteri determinati per le espropriazioni legittime, deduceva l'incostituzionalita' della norma, che sottopone allo stesso regime due fattispecie radicalmente diverse: un atto lecito e legittimo quale l'espropriazione per pubblica utilita', conseguente a regolare procedimento previsto dalla legge da cui da cui deriva il diritto all'indennita' di espropriazione, e un illecito, che determina la definitiva perdita della proprieta', attribuendo il diritto ex art. 2043 codice civile all'integrale risarcimento del danno. In questa prospettiva l'attore chiedeva che il Tribunale, ritenuta la questione proposta rilevante e non manifestamente infondata, atteso il contrasto della norma citata con l'art. 3 della Costituzione, volesse sospendere il giudizio e trasmettere gli atti alla Corte costituzionale. Motivi della decisione Al riguardo osserva il Collegio che la questione proposta e' rilevante poiche' la causa non puo' essere decisa indipendentemente dalla soluzione della stessa. Infatti il decreto di occupazione di urgenza cesso' di avere efficacia il 4 novembre 1990 divenendo pertanto in tale data l'occupazione illegittima e pertanto illecita. Invero non solo il decreto sindacale porta la data del 5 novembre 1982, ma, circostanza questa decisiva, la prima disposizione citata dalla cooperativa (e precisamente l'articolo unico della legge 23 dicembre 1982) non ha riguardo al differimento dei termini di occupazione di urgenza, essendo invece relativo alla proroga dell'applicazione dei criteri di determinazione dell'indennita' di espropriazione e di occupazione di urgenza contenuti nella legge 29 luglio 1980, n. 385. Pertanto il decreto di occupazione di urgenza del 5 novembre 1982 e' stato prorogato solo di tre anni complessivamente (di un anno in forza dell'art. 1, comma 5-bis del decreto legislativo 22 dicembre 1984, n. 901, convertito in legge 1 marzo 1985, n. 42 e di due anni in forza dell'art. 14 del decreto legislativo 29 dicembre 1987, n. 534, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 47) venendo quindi a scadere definitivamente, come gia' detto, il 4 novembre 1990, data alla quale risultavano realizzate le opere e non emesso alcun decreto di espropriazione, con l'ulteriore conseguenza della inapplicabilita' della proroga disposta con legge 20 maggio 1991, che, per espressa previsione, si riferiva solo alle occupazioni in corso. Ritenuta pertanto l'illegittimita' dell'occupazione alla data del 4 novembre 1990, con il conseguente diritto al risarcimento spettante all'attore, deve ritenersi altresi' rilevante l'incidenza sulla decisione della nuova norma di cui all'art. 1, comma 65, legge 28 dicembre 1995, n. 549. Essa infatti si applica a tutti i casi in cui, come nella specie, non sia stato determinato in via definitiva il risarcimento del danno, in cio' modificando il precedente regime, che sottoponeva la fattispecie di illecita occupazione, e irreversibile trasformazione del bene, ad un regolamento radicalmente diverso rispetto a quello previsto dalle vigenti norme sulla espropriazione per pubblica utilita'. In particolare nella specie, trattandosi di terreno edificabile, vi e' una notevole differenza tra la misura del danno quantificato in ragione del valore venale e quella risultante dall'applicazione dei criteri sull'indennita' di esproprio. Accertata la rilevanza della questione di costituzionalita' ai fini della decisione deve pertanto decidersi se non sia manifestamente infondata. Il Collegio, conformandosi alla giurisprudenza della Corte costituzionale e confortato in cio' dalla, giurisprudenza della Corte di cassazione, ritiene di dovere dichiarare non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella parte in cui sottopone il risarcimento del danno derivante dal fatto illecito, consistente nell'illegittima trasformazione del fondo altrui, al medesimo regime previsto per la diversa fattispecie della espropriazione e cio' per contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione. La Corte costituzionale, infatti, con sentenza 2-16 dicembre 1993, n. 442, ha precisato che la fattispecie dell'espropriazione di aree edificabili e quella dell'accessione invertita sono "assolutamente divaricate e non comparabili. Nella prima c'e' un procedimento espropriativo secundum legem (ossia nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il proprietario espropriato e vengono quindi in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore al criterio di calcolo dell'indennita' di espropriazione; la seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni di legalita' (perche' e' la stessa realizzazione dell'opera pubblica sull'area occupata ma non espropriata ad impedire di fatto la retrocessione e a comportare l'effetto traslativo della proprieta' del suolo per accessione all'opera stessa) e quindi ben puo' operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un danno per effetto di una attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro. Per altro verso e' giustificato che l'ente espropriante, il quale non faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile, subisca conseguenze piu' gravose di quelle previste ove, invece, sia rispettoso dei presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perche' si determini l'effetto di ablazione dell'area". La radicale diversita' delle fattispecie e' stata per altro anche di recente ribadita dalla Corte nella sentenza n. 188 del 17-23 maggio 1995, la quale, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite, ha ritenuto che l'elemento qualificante della fattispecie dell'illecita trasformazione del fondo altrui consista nell'azzeramento del contenuto sostanziale del diritto e nella nullificazione del bene che ne costituisce oggetto. In definitiva cio' che si verifica e' la vanificazione dell'individualita' pratico giuridica dell'area occupata, in conseguenza della materiale manipolazione dell'immobile nella sua fisicita' che ne comporta una trasformazione cosi totale da provocare la perdita dei caratteri e della destinazione propria del fondo, il quale, in estrema sintesi non e' piu' quello di prima. La Corte conclude: "Ed appunto questa perdita e' l'evento che, in quella ricostruzione, si pone in rapporto di causalita' diretta con l'illecito dell'amministrazione. Mentre l'acquisto in capo alla medesima del nuovo bene, risultante dalla trasformazione del precedente si configura, invece, come una conseguenza ulteriore, eziologicamente dipendente non dall'illecito, ma dalla situazione di fatto, realizzazione dell'opera pubblica, con conseguente non restituibilita' del suolo in essa incorporato, che trova il suo antecedente storico nell'illecita occupazione e nell'illecita destinazione del fondo alla costruzione dell'opera stessa". Con cio' si confermava costituzionalmente corretta la ricostruzione operata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 25 novembre 1992, n. 12546 che sanciva l'esistenza di un illecito e di un conseguente credito risarcitorio in una tale fattispecie. Pertanto si evidenzia l'illegittimita' dell'art. 1, comma 65, legge 28 dicembre l995, n. 54, 9, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui sottopone allo stesso trattamento situazioni radicalmente diverse, siccome sono l'illecito della pubblica amministrazione, con conseguente risarcimento del danno, e la legittima espropriazione, cui consegue l'indennita' prevista dall'art. 42 della Costituzione. La disposizione sottoposta ad esame ha, per altro, un effetto dirompente, perche' incide negativamente sul principio di legalita' (art. 42 Cost.), posto dal Costituente a garanzia dei diritti fondamentali dei soggetti tutelati da un regolare procedimento espropriativo, con arbitraria compressione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), aggravata dal piu' breve termine quinquennale previsto per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e perche' contraddice al dettato costituzionale sull'imparzialita' ed il buon andamento della pubblica amministrazione, finendo, al limite, col far preferire alla pubblica amministrazione la via dell'illecito che, non solo, sara' piu' semplice e svincolata dai controlli di legittimita', ma abnormemente piu' favorevole per il beneficiario dell'opera pubblica o di pubblica utilita', e determinera' la riduzione, o addirittura la scomparsa, della responsabilita' dei funzionari della pubblica amministrazione, e degli enti pubblici o privati, cui sia demandato il compimento di atti finalizzati all'espropriazione, per violazione di diritti soggettivi fondamentali.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione della Repubblica e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; In accoglimento della eccezione proposta e parzialmente di ufficio dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 nella parte in cui sottopone il risarcimento del danno alla medesima disciplina della indennita' di espropriazione per contrarieta' agli artt. 3, 24, 28, 42 e 97 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso e dispone che la cancelleria notifichi la presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunichi ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Messina, addi' 5 marzo 1996 Il presidente: Pennisi Il giudice estensore: Malatino 96E0719