N. 249 SENTENZA 8 - 16 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Appalti - Prescrizione dell'obbligo di una verifica istruttoria delle
 offerte  da  ritenersi economicamente incongrue - Omessa previsione -
 Non condivisibilita' dell'interpretazione  della  norma  impugnata  -
 Possibilita'  di  una  pluralita' di tesi interpretative - Difetto di
 rilevanza -  Non  fondatezza  nei  sensi  di  cui  in  motivazione  -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge  11  febbraio 1994, n. 109, art. 31-bis, terzo comma, aggiunto
 dall'art. 9 del d.-l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito nella legge 2
 giugno 1995, n. 216; legge 2 giugno 1995, n.  216,  art.  1,  secondo
 comma).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 77, ultimo comma, 97 e 113).
(GU n.31 del 31-7-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare
 MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott.
 Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY,
 prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3,
 della  legge  11  febbraio  1994,  n. 109 (Legge quadro in materia di
 lavori pubblici), introdotto dall'art. 9 del decreto-legge  3  aprile
 1995,   n.  101  (Norme  urgenti  in  materia  di  lavori  pubblici),
 convertito nella legge 2 giugno 1995, n. 216; dell'art. 1,  comma  2,
 della  legge  2  giugno  1995,  n.  216  (Conversione  in  legge, con
 modificazioni, del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, recante norme
 urgenti in materia di lavori pubblici); dell'art. 1, comma  2,  della
 legge  29 marzo 1995, n. 95 (Conversione in legge, con modificazioni,
 del decreto-legge  31  gennaio  1995,  n.  26,  recante  disposizioni
 urgenti per la ripresa delle attivita' imprenditoriali), promossi con
 ordinanze  emesse  il  2  agosto  1995  dal  tribunale amministrativo
 regionale  della  Lombardia,  il  29  giugno   1995   dal   tribunale
 amministrativo  regionale  della Puglia, II sezione di Lecce, il 16 e
 il  30  novembre  1995   dal   tribunale   amministrativo   regionale
 dell'Emilia-Romagna, rispettivamente iscritte ai nn. 779 del registro
 ordinanze  1995,  255  e 358 del registro ordinanze 1996 e pubblicate
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  48,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1995, 13, prima serie speciale, e 17, prima serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visti  gli  atti  di  costituzione  della Ambro Elettrica S.p.a. ed
 altre, e dell'azienda ospedaliera Istituto ortopedico "Gaetano Pini",
 nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 28 maggio 1996 il giudice relatore
 Enzo Cheli;
   Uditi gli avvocati  Aldo  Bozzi  per  la  Ambro  Elettrica  S.p.a.,
 Giangaleazzo  Bettoni  per  l'azienda ospedaliera Istituto ortopedico
 "Gaetano Pini" e l'avvocato dello Stato Pier  Giorgio  Ferri  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.   -   Nel  corso  di  tre  giudizi  per  l'annullamento,  previa
 sospensione, di altrettanti verbali di aggiudicazione di  appalti  da
 parte dell'azienda ospedaliera "Gaetano Pini" di Milano, il tribunale
 amministrativo  regionale  della  Lombardia ha sollevato questioni di
 legittimita' costituzionale:
     1)  dell'art.  9,  comma  3,  della  legge  2 giugno 1995, n. 216
 (recte, dell'art. 31-bis, comma 3, della legge 11 febbraio  1994,  n.
 109,  aggiunto  dall'art.  9 del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101,
 convertito nella legge n. 216 del 1995), in riferimento agli artt. 24
 e 113 della Costituzione;
     2) dell'art. 1, comma 2, della stessa legge n. 216 del 1995,  che
 fa salvi gli effetti prodotti in base all'art. 5 del decreto-legge 31
 gennaio 1995, n. 26, soppresso dalla relativa legge di conversione 29
 marzo  1995,  n.  95, in riferimento all'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione;
     3)  "in  via  meramente  subordinata"   rispetto   alla   seconda
 questione,  dell'art.  1,  comma 2, della legge n. 95 del 1995, nella
 parte in cui, dopo aver disposto  la  soppressione  dell'art.  5  del
 decreto-legge n. 26 del 1995, non prescrive l'obbligo di una verifica
 istruttoria  delle  offerte da ritenersi economicamente incongrue, in
 riferimento all'art. 97 della Costituzione (r.o. n. 779 del 1995).
   La prima delle tre norme  impugnate  stabilisce  che,  nei  giudizi
 amministrativi  aventi  ad  oggetto controversie in materia di lavori
 pubblici in relazione  ai  quali  sia  stata  presentata  domanda  di
 provvedimento  d'urgenza,  i  controinteressati  e  l'amministrazione
 resistente possono chiedere che la questione venga decisa nel merito.
 L'udienza fissata a tal fine deve avere luogo entro novanta giorni o,
 nel caso in cui l'istanza sia proposta all'udienza gia'  fissata  per
 la  discussione  del  provvedimento d'urgenza, entro sessanta giorni.
 Il  tribunale  rimettente  espone  che  in  tutti  e  tre  i  giudizi
 l'amministrazione resistente si e' costituita, chiedendo la reiezione
 delle  domande  dei  ricorrenti  ed  avanzando  istanze  di immediata
 fissazione dell'udienza di merito ai sensi della norma impugnata.  Il
 giudice  ha  accolto  temporaneamente  le  istanze di sospensione dei
 provvedimenti impugnati, con espressa  riserva  di  riesame  dopo  la
 definizione  delle  questioni  di  costituzionalita'.    Il tribunale
 amministrativo regionale della  Lombardia  interpreta  la  norma  nel
 senso  che  la  presentazione dell'istanza di trattazione della causa
 nel merito preclude al giudice  la  possibilita'  di  sospendere  gli
 effetti   del   provvedimento   impugnato,  restando  ogni  ulteriore
 esercizio della funzione giurisdizionale  assorbito  nella  sollecita
 trattazione nel merito. Cio', ad avviso del giudice, sarebbe coerente
 con  l'intenzione  del  legislatore  di  impedire  pronunce cautelari
 capaci  di  ritardare  indefinitamente  la  realizzazione  dell'opera
 pubblica,  ma  comporterebbe  dubbi sulla legittimita' costituzionale
 della norma.  Infatti, anche nel pieno rispetto dei  tempi  stabiliti
 dalla  legge, al termine stabilito si aggiungerebbe comunque il tempo
 necessario  per  il  deposito   della   sentenza.   Potrebbe   dunque
 verificarsi l'eventualita' della realizzazione dell'opera prima della
 conclusione  del  processo,  soprattutto  per  gli appalti di modesta
 entita',  come  quelli  oggetto  dei  giudizi  in  corso  davanti  al
 tribunale  amministrativo regionale rimettente. Di conseguenza l'art.
 31-bis in  parola,  determinando  tempi  processuali  non  facilmente
 gestibili  e  comunque superiori a quelli ipotizzati dal legislatore,
 sarebbe in contrasto con gli artt.   24  e  113  della  Costituzione,
 rendendo  la  tutela  "meramente  nominale  e  fittizia",  senza  che
 l'eventuale azione di risarcimento davanti al giudice  ordinario  sia
 sufficiente ad apprestare un'adeguata garanzia.  La seconda questione
 riguarda  la norma che fa salvi gli effetti prodotti in base all'art.
 5  del  decreto-legge n. 26 del 1995 - soppresso dalla relativa legge
 di conversione n. 95 del 1995 -, che conteneva tra l'altro, al  comma
 8,  una  disciplina  delle  offerte  anomale  negli appalti di lavori
 pubblici di importo inferiore alla  soglia  comunitaria,  consentendo
 alle  amministrazioni  di  prevedere nei bandi e negli avvisi di gara
 l'esclusione  automatica  delle   offerte   che   presentassero   una
 percentuale  di  ribasso  superiore  ad un limite stabilito. La norma
 impugnata e' contenuta nella  legge  di  conversione  del  successivo
 decreto-legge   n.   101  del  1995,  che,  tra  l'altro,  disciplina
 diversamente, anche  in  via  transitoria,  le  offerte  anormalmente
 basse.    Il  giudice  a  quo,  premesso  che motivo dei ricorsi, nei
 giudizi  a   quibus,   e'   la   mancata   applicazione,   da   parte
 dell'amministrazione  in  sede  di  aggiudicazione,  della disciplina
 delle  offerte  anomale,  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1,  comma  2,  della legge n. 216 del 1995, in riferimento
 all'art. 77, ultimo comma,  della  Costituzione,  avendo  esso  fatto
 salvi  gli  effetti  prodotti da una norma contenuta in un precedente
 decreto-legge,  dopo  che  questa   aveva   perduto   efficacia   fin
 dall'origine   e   dopo  che  era  mancata  ogni  diversa  disciplina
 transitoria da parte del legislatore in sede di conversione.  "In via
 meramente subordinata" rispetto all'anzidetta questione, il giudice a
 quo dubita, infine, della legittimita' dell'art. 1,  comma  2,  della
 legge  n.  95 del 1995 (norma che fa salvi gli effetti dei precedenti
 decreti-legge)  nella  parte  in  cui,  essendo  stata  disposta   la
 soppressione  dell'art.  5  del  decreto-legge  n.  26  del 1995, non
 prescrive l'obbligo di una  verifica  istruttoria  delle  offerte  da
 ritenersi  economicamente incongrue, in riferimento all'art. 97 della
 Costituzione.  Alle procedure in itinere al momento della conversione
 del decreto-legge n. 26 del 1995 (e della soppressione  del  suddetto
 art.  5,  comma  8)  -  rileva  il  giudice  -  non e' applicabile la
 disciplina delle offerte anormalmente basse ivi contenuta, ne' quella
 posta dal successivo decreto-legge n. 101 del 1995: sarebbe,  dunque,
 violato  il  principio  del  buon  andamento di cui all'art. 97 della
 Costituzione, mancando ogni possibilita' di riscontro della  serieta'
 e dell'affidabilita' delle offerte piu' basse presentate.
   1.1.  - Si sono costituite le parti ricorrenti dei giudizi in corso
 davanti al tribunale amministrativo, chiedendo  la  dichiarazione  di
 incostituzionalita'  dell'art.  9,  comma 3, del decreto-legge n. 101
 del 1995 (recte, dell'art. 31-bis della legge n. 109 del 1994)  e  di
 inammissibilita'  e/o  infondatezza  delle altre due questioni.   Con
 riferimento alla prima questione, si osserva che la  norma  impugnata
 non dispone nulla per conservare lo status quo e rendere effettiva la
 tutela   offerta  dalla  successiva  pronuncia  di  merito;  essa  si
 limiterebbe a precludere  l'esame  dell'istanza  cautelare  a  fronte
 della  previsione  di  un  termine  meramente acceleratorio, privo di
 sanzione nelle prevedibili  ipotesi  di  inosservanza.    La  seconda
 questione  sarebbe  irrilevante  per  il  giudizio  a  quo perche' il
 rispetto della disciplina dell'esclusione  automatica  delle  offerte
 anormalmente  basse si imponeva all'amministrazione non gia' in forza
 della norma impugnata, bensi' in forza, per un verso, dell'art.    1,
 comma  6,  del  decreto-legge n. 101 del 1995 (che ha posto la regola
 tempus regit actum), per un altro verso, della nuova disciplina delle
 offerte anormalmente basse contenuta nell'art. 7,  comma  1,  lettera
 b),   dello  stesso  decreto-legge.  La  questione  sarebbe  comunque
 infondata,  sia  perche'  una  disciplina delle offerte anomale vi e'
 sempre stata, sia perche' l'art. 77 della Costituzione non impone  al
 legislatore  di  regolare  i  rapporti  giuridici  sorti  in  base ai
 decreti-legge  non   convertiti   contestualmente   al   rifiuto   di
 conversione,  essendo  sempre possibile - quando non vietata da altre
 disposizioni costituzionali - la disciplina retroattiva dei  rapporti
 giuridici  sorti  in  base  a decreti non convertiti.   Non essendovi
 state interruzioni nella disciplina, sarebbe inammissibile e comunque
 infondata anche la terza questione.  Nell'imminenza dell'udienza,  le
 imprese   ricorrenti   hanno  presentato  una  memoria,  nella  quale
 insistono sulle conclusioni gia' proposte nell'atto di costituzione.
   1.2. - Si e'  costituita  anche  l'amministrazione  resistente  nei
 giudizi  a  quibus,  per  chiedere  alla  Corte di dichiarare, in via
 preliminare,   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
 costituzionale   e,  nel  merito,  la  infondatezza  delle  questioni
 medesime.  La prima questione sarebbe irrilevante  per  i  giudizi  a
 quibus,  in  quanto  si fonderebbe su un'interpretazione errata della
 norma:  questa non escluderebbe la tutela cautelare, ma  prevederebbe
 una  riduzione  dei  tempi  per la decisione nel merito. La questione
 sarebbe comunque infondata, essendo la norma coerente con il  diritto
 comunitario,  che  richiede la rapidita' della tutela giurisdizionale
 in materia (direttiva 89/665/CEE).  La seconda e la  terza  questione
 sarebbero  irrilevanti,  attinendo  alla  definizione del processo di
 merito e non di quello cautelare.  Esse sarebbero altresi' infondate.
   1.3. - E' intervenuto nel giudizio davanti alla Corte il Presidente
 del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 dello  Stato,  per  chiedere  che  le  questioni siano dichiarate non
 fondate.  Per quanto riguarda la questione relativa  all'art.  31-bis
 della  legge  n.  109  del  1994,  si  rileva  che appare preferibile
 l'interpretazione secondo la quale la  proposizione  dell'istanza  di
 trattazione  della causa nel merito non elimina la potestas iudicandi
 sulla   domanda   cautelare.   Da   un   lato,   infatti,    seguendo
 l'interpretazione  del  tribunale  amministrativo,  in  tale  istanza
 dovrebbe ravvisarsi una causa di inammissibilita' sopravvenuta  o  di
 improcedibilita'  della  domanda  cautelare: tale, cioe', da produrre
 effetti che di regola il diritto processuale  riserva  ai  soli  casi
 espressamente  previsti  da  una norma.   Dall'altro lato, la diversa
 lettura proposta sarebbe compatibile con la  ratio  della  norma:  la
 quale mira ad attenuare l'esigenza dell'anticipazione cautelare degli
 effetti  della  sentenza  e  ad  evitare una prolungata situazione di
 stallo derivante dalla sospensione del provvedimento,  attraverso  la
 concentrazione  della  fase  cautelare  e  della fase di merito. Deve
 peraltro ritenersi, prosegue l'Avvocatura, che -  una  volta  che  la
 legge  assegna  un  termine  certo  e  sufficientemente  breve per la
 conclusione del giudizio di merito - la sospensione del provvedimento
 dovra' essere accordata solo  nei  casi  in  cui  il  danno  grave  e
 irreparabile  possa  verificarsi prima dell'udienza di merito fissata
 nei termini stabiliti.   Premessa la difficolta'  di  individuare  un
 collegamento  tra  le  altre  due  questioni  che  possa  spiegare la
 subordinazione prospettata dal giudice rimettente,  la  difesa  dello
 Stato si sofferma su quella relativa all'art. 1, comma 2, della legge
 n.  216  del  1995  che, a giudizio dell'Avvocatura, e' infondata. Si
 rileva al riguardo che, in una vicenda normativa cosi' peculiare come
 quella in esame, ben poteva il legislatore, nell'esercizio della  sua
 discrezionalita',  intervenire  con  legge  per  regolare gli effetti
 prodottisi in base ad una norma soppressa in sede di conversione  del
 relativo decreto-legge.
   2.   -   Nel  corso  di  un  giudizio  per  l'annullamento,  previa
 sospensione, del verbale dell'amministrazione provinciale di Brindisi
 di  aggiudicazione  di  un  appalto,  il   tribunale   amministrativo
 regionale  della  Puglia, II sezione di Lecce, ha sollevato questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge
 n. 109 del 1994, in riferimento agli artt. 3,  97,  24  e  113  della
 Costituzione  (r.o.  n.  255  del  1996).    Il  tribunale rimettente
 premette che  nel  giudizio  a  quo  l'impresa  controinteressata  ha
 chiesto,  ai sensi dell'art. 31-bis, comma 3, che l'istanza cautelare
 fosse trattata unitamente al merito, nonche' che il Presidente  della
 sezione  ha ritenuto di sottoporre la richiesta al collegio il quale,
 all'esito della  camera  di  consiglio  fissata  per  la  trattazione
 dell'istanza    cautelare,    ha    sollevato    la    questione   di
 costituzionalita' in oggetto.    Anche  il  tribunale  amministrativo
 regionale  della  Puglia,  come il tribunale amministrativo regionale
 della  Lombardia,  ritiene  che  la   norma   impugnata   attribuisca
 all'amministrazione  resistente  ed  ai  controinteressati  un potere
 inibitorio in ordine  alla  trattazione  dell'istanza  cautelare  (la
 quale  potrebbe essere conosciuta, forse, solo unitamente al merito).
 Il giudice a  quo,  pur  apprezzando  l'obiettivo  di  conciliare  le
 esigenze  di tutela del ricorrente e di celerita' nella realizzazione
 dei lavori pubblici e nella definizione delle  controversie,  ritiene
 incostituzionale l'esclusione della tutela cautelare: soprattutto ove
 si  consideri  che,  nell'arco di tempo necessario per la trattazione
 della  causa  in  udienza,  la  concreta  utilita'  a  cui  tende  il
 ricorrente potrebbe risultare pregiudicata. Cio' potrebbe avvenire in
 particolare  quando  -  come  nel  caso all'esame del rimettente - la
 controversia riguardi l'aggiudicazione dell'appalto per  un'opera  da
 realizzare  in  tempi  brevi,  inferiori  a  quelli occorrenti per la
 definizione del giudizio  nel  merito.    Il  giudice  rimettente  e'
 consapevole  che  la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato,
 specificamente in materia tributaria, che  la  tutela  cautelare  non
 costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale e,
 pertanto, non e' imposta dagli artt.  24 e 113 della Costituzione con
 carattere  di  generalita'. Rileva, peraltro, che in altre occasioni,
 che ritiene piu' rilevanti per il caso  in  esame,  la  Corte  si  e'
 pronunciata  nel  senso  della  necessaria  attribuzione,  all'organo
 titolare del potere di annullamento dell'atto impugnato,  del  potere
 di  sospenderne  l'efficacia,  nonche'  nel senso dell'illegittimita'
 dell'irragionevole esclusione della tutela cautelare con  riguardo  a
 determinate  categorie  di  atti  amministrativi  o  al tipo di vizio
 denunciato.   La norma sarebbe, dunque, in  contrasto  con  l'art.  3
 della  Costituzione,  in  quanto l'indicata esigenza di accelerazione
 non  sarebbe  sufficiente   a   giustificare   una   ridotta   tutela
 giurisdizionale,   tenuto   conto   che   il  connotato  dell'urgenza
 caratterizza, anche al di fuori della materia  dei  lavori  pubblici,
 una  vasta  gamma di provvedimenti amministrativi.  In secondo luogo,
 la norma violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione, in  quanto
 l'impossibilita'   di   accedere   a   provvedimenti  cautelari  puo'
 comportare la definitiva perdita del bene a cui il ricorrente aspira,
 senza che sia ipotizzabile una  reintegrazione  della  sua  posizione
 giuridica attraverso il risarcimento del danno subito. A quest'ultimo
 riguardo,  il  giudice  a  quo  ricorda  che l'ordinamento prevede il
 risarcimento del danno, in materia di appalti pubblici di lavori o di
 forniture, solo in relazione a lesioni causate da  atti  compiuti  in
 violazione   del  diritto  comunitario  o  delle  relative  norme  di
 recepimento (art. 13 della legge 19 febbraio 1992,  n.  142),  mentre
 l'analoga  previsione,  contenuta originariamente nell'art.  32 della
 legge n. 109 del 1994 (e relativa  alle  lesioni  derivanti  da  atti
 compiuti   in   violazione   della   stessa   legge  e  del  relativo
 regolamento),  e'  stata  eliminata  ad  opera  dell'art.  9-bis  del
 decreto-legge n. 101 del 1995.
   Infine,   la  norma  sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  97  della
 Costituzione,    sotto    il    profilo    del     buon     andamento
 dell'amministrazione, in quanto la scelta di privilegiare comunque la
 piu'  celere  realizzazione dei lavori pubblici, con esclusione della
 tutela cautelare, fa venir meno un  controllo  che  potrebbe  evitare
 alle  amministrazioni  di  incorrere in illegittimita' immediatamente
 rilevabili e nelle loro conseguenze economiche negative.
   2.1. - Nel giudizio davanti alla Corte ha  spiegato  intervento  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura dello  Stato,  per  chiedere  che  la  questione  sia
 dichiarata non fondata.  L'Avvocatura osserva innanzitutto che, anche
 accogliendo  l'interpretazione della norma data dal giudice a quo, il
 principio  dell'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale  sarebbe
 comunque  rispettato,  in quanto la norma non esclude una trattazione
 della misura cautelare unitamente al merito in tempi  accelerati.  In
 secondo  luogo,  l'interpretazione  data dal tribunale amministrativo
 non sarebbe condivisibile: la disposizione  impugnata,  infatti,  non
 escluderebbe  in  alcun  modo  che, prima dell'udienza fissata per il
 merito   in   seguito    all'istanza    dei    controinteressati    o
 dell'amministrazione, venga adottato il provvedimento cautelare.
   3.   -   Nel  corso  di  un  giudizio  per  l'annullamento,  previa
 sospensione, del provvedimento, nonche' degli atti connessi, con  cui
 e' stata annullata da parte dell'Azienda municipalizzata gas acqua di
 Ravenna   l'aggiudicazione   provvisoria   di  un  appalto  a  favore
 dell'impresa Mortellaro,  con  conseguente  aggiudicazione  ad  altra
 impresa,  il  tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna,
 sede  di  Bologna,  nella  fase  del  reclamo  avverso   il   decreto
 presidenziale che aveva dichiarato improcedibile la domanda cautelare
 -  essendo  stata  presentata dalla parte controinteressata, ai sensi
 della norma in questione,  istanza  di  decisione  nel  merito  senza
 anticipato  esame  della misura cautelare - ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  31-bis, comma 3,  della  legge
 n.  109  del  1994,  in  riferimento agli artt. 3, 97, 24 e 113 della
 Costituzione (r.o. n. 358 del 1996).   Il  tribunale  amministrativo,
 premesso di fare propria la tesi, secondo la quale l'art. 31-bis deve
 essere   interpretato   nel   senso  di  consentire  la  facolta'  di
 "permutare" la trattazione cautelare con la trattazione del merito  a
 breve,  aggiunge  che  la  finalita'  della  norma  sarebbe quella di
 determinare non solo l'accelerazione delle controversie in materia di
 lavori pubblici, ma anche l'ultimazione dei lavori senza intralci  ed
 interruzioni    che    non   derivino   dal   sicuro   riconoscimento
 dell'illegittimita' dell'operato dell'amministrazione.  D'altra parte
 -  prosegue  l'ordinanza  di  rimessione,  richiamando   quella   del
 tribunale  amministrativo  regionale  della  Lombardia,  di cui si e'
 riferito - la soluzione prescelta puo' tradursi in una definitiva  ed
 irreversibile  lesione degli interessi del ricorrente, consentendo la
 realizzazione dell'opera nel corso del processo. E se e' vero che  la
 tutela  cautelare  non  e'  di per se' costituzionalizzata, essa deve
 pero' ritenersi coessenziale  alla  giurisdizione  amministrativa  di
 annullamento,  per  la quale non vale il meccanismo, proprio di altre
 giurisdizioni, della sicura  reintegrazione  successiva  del  diritto
 violato.  Ne'  un'adeguata  garanzia  potrebbe  essere prestata dalla
 possibilita' di ottenere il risarcimento del danno: sia perche'  tale
 risarcimento  e'  sempre qualcosa di diverso e secondario rispetto al
 vantaggio auspicato, sia perche' - considerando che  il  risarcimento
 del danno in materia di appalti di lavori pubblici e' previsto per le
 sole  violazioni  del  diritto  comunitario  e delle norme interne di
 recepimento - esso potrebbe anche essere negato per  gli  appalti  di
 importo  inferiore alla soglia comunitaria. Da questo punto di vista,
 la norma impugnata sarebbe anche in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione,   applicandosi   ugualmente  agli  appalti  di  importo
 superiore e inferiore a tale soglia, ma con effetti  piu'  gravi  nel
 secondo  caso.    Infine, la norma impugnata sarebbe in contrasto con
 l'art.  97  della  Costituzione,   obbligando   l'amministrazione   a
 soggiacere  all'iniziativa del controinteressato, anche quando motivi
 di opportunita'  indurrebbero  a  preferire  il  vaglio  del  giudice
 amministrativo   piuttosto   che  prendere  comunque  un  rischio,  o
 dell'esecuzione di un atto sub judice o dell'intervento in autotutela
 sull'atto stesso.
   3.1. - Nel giudizio davanti alla Corte ha  spiegato  intervento  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura dello Stato.  La  difesa  statale,  rilevato  che  la
 questione   e'   analoga   a  quella  gia'  sollevata  dal  tribunale
 amministrativo regionale della Lombardia, conferma  integralmente  le
 deduzioni  e  le  conclusioni  contenute  nell'atto di intervento nel
 relativo giudizio.
                        Considerato in diritto
   1. - Tutte  le  ordinanze  di  rimessione  sollevano  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 31-bis, comma 3, della legge 11
 febbraio  1994,  n.  109,  aggiunto  dall'art.  9 del decreto-legge 3
 aprile 1995, n. 101, convertito con la legge 2 giugno 1995, n. 216: i
 giudizi  vanno  pertanto  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
 sentenza.    Soltanto  l'ordinanza  n.  779  del  1995  del tribunale
 amministrativo regionale della Lombardia solleva, anche, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge n.  216
 del  1995,  nonche',  "in  via meramente subordinata" rispetto a tale
 questione, dell'art. 1, comma 2, della legge 29 marzo 1995, n. 95, di
 conversione, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 1995, n.
 26.
   2. - L'art. 31-bis, comma 3, della legge n. 109  del  1994  prevede
 che,  nei  giudizi  amministrativi  in materia di lavori pubblici nei
 quali sia stata chiesta la sospensione del provvedimento impugnato, i
 controinteressati e l'amministrazione resistente possono chiedere che
 la questione venga decisa nel merito. L'udienza fissata  a  tal  fine
 deve aver luogo entro novanta giorni o, nel caso in cui l'istanza sia
 proposta   all'udienza   gia'   fissata   per   la   discussione  del
 provvedimento d'urgenza, entro sessanta giorni.   Tutte le  ordinanze
 di  rimessione  muovono  dal  presupposto  che,  ai sensi della norma
 impugnata, la presentazione dell'istanza di decisione della questione
 nel merito  precluda  l'esame  dell'istanza  cautelare,  privando  il
 giudice  amministrativo  del  potere  di  sospendere  l'efficacia del
 provvedimento impugnato, e su tale  premessa  interpretativa  fondano
 tre  diverse  censure  di costituzionalita'.   In primo luogo, l'art.
 31-bis, comma 3, sarebbe in contrasto con gli artt. 24  e  113  della
 Costituzione,  perche'  l'impossibilita'  di accedere a provvedimenti
 cautelari, potendo comportare la definitiva perdita del bene a cui il
 ricorrente aspira,  pregiudicherebbe  la  stessa  effettivita'  della
 tutela  giurisdizionale.   In secondo luogo, sarebbe violato l'art. 3
 della Costituzione, sotto due distinti profili:
     a)  in  quanto  l'esigenza  di  accelerazione  dei  giudizi,  non
 sufficiente   a  giustificare  una  ridotta  tutela  giurisdizionale,
 sarebbe  presente,  anche  al  di  fuori  della  materia  dei  lavori
 pubblici, in una vasta gamma di provvedimenti amministrativi;
     b)  in  quanto,  applicandosi  ugualmente agli appalti di importo
 superiore e a quelli di importo inferiore  alla  soglia  comunitaria,
 determinerebbe  effetti  piu' gravi nel caso dei secondi, non essendo
 per essi previsto il risarcimento del danno.
   Infine, risulterebbe violato anche l'art.  97  della  Costituzione,
 sotto due distinti profili:
     a)   in   quanto   la  scelta  di  privilegiare  la  piu'  celere
 realizzazione  dei  lavori  pubblici,  con  esclusione  della  tutela
 cautelare,  farebbe venir meno un controllo che potrebbe evitare alle
 amministrazioni  di  incorrere  in   illegittimita'   immediata-mente
 rilevabili e nelle loro conseguenze economiche negative;
     b)   in   quanto  l'amministrazione  e'  obbligata  a  soggiacere
 all'iniziativa  del  controinteressato,  anche   quando   motivi   di
 opportunita'   indurrebbero   a   preferire  il  vaglio  del  giudice
 amministrativo.
   2.1.  -  La  questione  non  e'  fondata  nei  termini  di  seguito
 precisati.
   L'interpretazione  della  norma  impugnata,  che  tutte  le censure
 presuppongono, in base alla quale la richiesta  che  la  causa  venga
 decisa  nel merito paralizzerebbe il procedimento cautelare, non puo'
 essere condivisa.  Innanzitutto, dalle stesse ordinanze di rimessione
 emerge che la tesi interpretativa prospettata dai  giudici  a  quibus
 non  e',  come  messo in rilievo dall'Avvocatura dello Stato, l'unica
 possibile.  Si consideri, a questo proposito, la prospettazione - sia
 pure  dubitativa  -  del  tribunale  amministrativo  regionale  della
 Puglia,   secondo   il  quale  l'istanza  cautelare  potrebbe  essere
 conosciuta solo unitamente al merito, nonche' la circostanza  che  il
 tribunale   amministrativo   regionale  della  Lombardia  ha  accolto
 temporaneamente  le  istanze   di   sospensione   dei   provvedimenti
 impugnati,   anche  se  con  espressa  riserva  di  riesame  dopo  la
 definizione del giudizio di costituzionalita'.   Degno  di  nota  e',
 inoltre,  il  fatto  che,  in  fase di primissima applicazione, altri
 Tribunali  amministrativi  hanno   ritenuto   che   la   proposizione
 dell'istanza  di  fissazione  accelerata  del merito non impedisse lo
 svolgimento del procedimento cautelare e la decisione  sulle  istanze
 di  sospensione proposte.   E invero, dallo stesso contesto dell'art.
 31-bis e' agevole trarre l'interpretazione opposta, secondo la  quale
 la  presentazione  dell'istanza  di cui all'art. 31-bis, comma 3, non
 elimina  il  potere  cautelare  del  giudice,  che  puo'  pur  sempre
 sospendere il provvedimento impugnato in presenza dei presupposti  di
 legge.   L'art. 31-bis contiene, infatti, due disposizioni (commi 2 e
 3) che attengono al processo  amministrativo  in  materia  di  lavori
 pubblici:   entrambe individuano termini brevi per la trattazione del
 merito, ma solo una (comma  2)  fa  esplicito  riferimento  all'esito
 della  fase  cautelare.  Mentre  il  comma  3  - che riguarda tutti i
 giudizi amministrativi aventi per oggetto controversie in materia  di
 lavori  pubblici,  per i quali sia stata proposta istanza cautelare -
 richiama  solo  la   facolta'   per   l'amministrazione   e   per   i
 controinteressati di chiedere l'urgente fissazione del merito e nulla
 dice  sull'esito del procedimento cautelare avviato, il comma 2 - che
 riguarda specificamente i ricorsi  giurisdizionali  proposti  avverso
 provvedimenti  di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori
 pubblici - prevede che il merito deve  essere  discusso  con  urgenza
 ove, invece, sia stata accolta l'istanza di sospensione.  Il rapporto
 di  specialita'  che sicuramente intercorre tra le due fattispecie di
 cui ai commi 3 e 2  -  rientrando  l'esclusione  dalle  procedure  di
 affidamento  di  lavori  pubblici  nella  piu'  ampia categoria delle
 controversie in materia di lavori pubblici - impone di interpretare i
 due  commi  nel  senso   di   rendere   compatibile   la   differente
 regolamentazione   posta   tra  le  due  categorie  di  controversie.
 Nell'ipotesi regolata dal comma 2,  l'abbreviazione  dei  termini  e'
 prevista   nel   caso   di  esito  positivo  dell'istanza  cautelare,
 prescindendo dalla valutazione delle parti. Per  il  resto,  ove  sia
 stata  presentata istanza cautelare - cosi' come previsto dal comma 3
 - l'amministrazione e i controinteressati hanno facolta' di  chiedere
 la  trattazione  urgente del merito, ma questo non deve escludere che
 il giudice sia  comunque  tenuto  a  pronunciarsi  sulla  domanda  di
 sospensione   del  provvedimento  impugnato,  e,  ove  sussistano  le
 condizioni di legge, a concederla.  All'interpretazione  qui  accolta
 conduce  anche la circostanza che sull'istanza di trattazione urgente
 del merito il Presidente decide, ove si pronunci fuori  della  Camera
 di  consiglio  eventualmente  convocata  per  la sospensiva, inaudita
 altera parte, senza che sia prevista  un'opposizione  del  ricorrente
 contro  una  determinazione che - come ritengono i giudici a quibus -
 potrebbe  pregiudicare  irrimediabilmente  il  suo  diritto.     Tale
 interpretazione  -  oltre a trovare conforto nei lavori parlamentari,
 nei quali si parla espressamente di "norme accelerative"  -  risulta,
 d'altro  canto,  pienamente  rispettosa  di  quanto  ribadito in piu'
 occasioni dalla giurisprudenza di questa Corte: che la disponibilita'
 delle misure cautelari e' strumentale all'effettivita'  della  tutela
 giurisdizionale  e  costituisce  espressione del principio per cui la
 durata del processo non  deve  andare  a  danno  dell'attore  che  ha
 ragione,  in  attuazione dell'art. 24 della Costituzione (sentenze n.
 253 del 1994 e n. 190 del 1985). Si  aggiunga  che,  con  riferimento
 particolare     alla     giurisdizione     amministrativa,     basata
 sull'annullamento degli atti illegittimi,  la  Corte  ha,  da  tempo,
 posto  in  luce  il  carattere essenziale della procedura cautelare e
 l'intima compenetrazione della stessa  con  il  processo  di  merito,
 dichiarando  illegittima  l'esclusione  o  la  limitazione del potere
 cautelare con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi
 o al tipo di vizio denunciato (sentenze n. 227 del 1975 e n. 284  del
 1974).    Infine,  non  va  trascurato  che l'interpretazione esposta
 appare   rispettosa  anche  delle  norme  comunitarie  relative  alle
 procedure di ricorso  in  materia  di  aggiudicazione  degli  appalti
 pubblici  al  di  sopra  della  soglia  comunitaria. La direttiva del
 Consiglio n.   665/89, all'art. 2, fa,  infatti,  carico  agli  Stati
 membri  di  disciplinare  i  ricorsi  in  questione  attribuendo alle
 relative  autorita'  il  potere   di   "prendere   con   la   massima
 sollecitudine  e  con  procedura  d'urgenza  provvedimenti provvisori
 intesi a riparare la violazione o  impedire  che  altri  danni  siano
 causati  agli  interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a
 sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica
 di un appalto o  l'esecuzione  di  qualsiasi  decisione  presa  dalle
 autorita' aggiudicatrici".  Alla luce dell'interpretazione adottata i
 diversi   profili   d'illegittimita'   prospettati  vanno,  pertanto,
 dichiarati infondati.
   3. -  L'art.  1,  comma  2,  della  legge,  n.  216  del  1995,  di
 conversione  del  decreto-legge  n. 101 del 1995, prevede la salvezza
 degli atti  e  dei  provvedimenti  adottati,  nonche'  degli  effetti
 prodottisi  e dei rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 5 del
 decreto-legge n. 26 del  1995,  soppresso  dalla  relativa  legge  di
 conversione  n.   95 del 1995, che conteneva tra l'altro, al comma 8,
 una disciplina delle offerte anomale negli appalti di lavori pubblici
 di  importo  inferiore  alla  soglia  comunitaria,  consentendo  alle
 amministrazioni  di  prevedere  nei  bandi  e  negli  avvisi  di gara
 l'esclusione  automatica  delle   offerte   che   presentassero   una
 percentuale di ribasso superiore ad un limite stabilito. Il tribunale
 amministrativo  regionale della Lombardia, premesso che nei giudizi a
 quibus si discute intorno  all'applicazione  della  disciplina  delle
 offerte  anomale,  sostiene  che  la  norma  sarebbe in contrasto con
 l'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, avendo fatto  salvi  gli
 effetti  prodotti da una norma contenuta nel precedente decreto-legge
 n.  26  del  1995,  dopo  che  questa  aveva  perduto  efficacia  fin
 dall'origine   e   senza  che  fosse  stata  introdotta  una  diversa
 disciplina  transitoria  da  parte  del  legislatore   in   sede   di
 conversione.
   3.1. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilita'
 sollevata  dalle  parti  ricorrenti  secondo  la  quale  la questione
 sarebbe irrilevante per i  giudizi  in  corso  dinanzi  al  tribunale
 amministrativo  regionale della Lombardia, in quanto l'illegittimita'
 degli atti impugnati  in  tali  giudizi  deriverebbe  comunque  dalla
 violazione  dell'art.  1, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 1995,
 che ha posto la regola tempus regit actum, e dell'art.  7,  comma  1,
 lettera  b),  dello  stesso  decreto-legge,  che  contiene  una nuova
 disciplina  delle  offerte  anomale.     L'art.  1,  comma   6,   del
 decreto-legge  n.  101  del  1995,  come  modificato  dalla  legge di
 conversione n. 216 del 1995, stabilisce,  in  via  generale,  che  ai
 bandi e agli avvisi pubblicati tra l'entrata in vigore della legge n.
 109  del  1994  e  l'entrata  in  vigore della stessa legge n.   216,
 nonche' alle aggiudicazioni ed agli affidamenti intervenuti entro gli
 stessi termini, si  applicano  le  disposizioni  vigenti  al  momento
 dell'adozione  dei  rispettivi  provvedimenti.  L'effetto  di  questa
 disposizione e' quello di determinare  la  reviviscenza  delle  norme
 all'epoca  vigenti, con riferimentoagli atti specificamente indicati.
 Ai fini  del  presente  giudizio  la  disposizione  in  questione  fa
 rivivere l'art. 5 del decreto-legge n. 26 del 1995, della cui mancata
 applicazione  si  dibatte  nei  giudizi  a quibus, incontestabilmente
 vigente  al  momento  della  pubblicazione  del  bando  di  gara.  In
 sostanza,   indipendentemente   dalla   salvezza  degli  atti  e  dei
 provvedimenti  adottati,  nonche'  degli  effetti  prodottisi  e  dei
 rapporti  giuridici sorti sulla base dell'art. 5 del decreto-legge n.
 26 del 1995, operata dall'art.  1, comma 2, della legge  n.  216  del
 1995,  oggetto della questione di costituzionalita', il citato art. 5
 trova  applicazione  nei  giudizi  a  quibus,  essendo  stato   fatto
 rivivere,   per   determinati  atti,  dall'art.    1,  comma  6,  del
 decreto-legge n.  101  del  1995.    La  norma  impugnata  non  puo',
 pertanto,  ritenersi  rilevante  ai  fini  della  decisione  del caso
 all'esame del giudice rimettente e la questione va,  di  conseguenza,
 dichiarata inammissibile.
   4.  - L'art. 1, comma 2, della legge n. 95 del 1995, di conversione
 del decreto-legge n. 26 del 1995, fa salvi gli effetti prodotti dalla
 catena dei  precedenti  decreti-legge.  Il  tribunale  amministrativo
 regionale  della  Lombardia,  "in via meramente subordinata" rispetto
 alla precedente questione di costituzionalita' esaminata, dubita, con
 riferimento  all'art.  97  della  Costituzione,  della   legittimita'
 costituzionale  di  tale  norma  nella  parte  in  cui, essendo stata
 disposta dalla legge n. 95 del 1995 la soppressione dell'art.  5  del
 decreto-legge n. 26 del 1995, non prescrive l'obbligo di una verifica
 istruttoria  delle  offerte  da  ritenersi  economicamente incongrue.
 Tale  questione  -  in   quanto   collegata   da   un   rapporto   di
 conseguenzialita' logica con la precedente - deve ritenersi assorbita
 dalla  dichiarazione  di  inammissibilita'  della  questione relativa
 all'art. 1, comma 2, della legge n. 216 del 1995.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in
 motivazione,  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art.
 31-bis, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (Legge  quadro
 in  materia  di  lavori  pubblici),  aggiunto dall'art. 9 del d.-l. 3
 aprile 1995, n. 101, convertito con la legge 2 giugno 1995,  n.  216,
 sollevata,   in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  97  e  113  della
 Costituzione, dai tribunali amministrativi regionali della Lombardia,
 della Puglia, II sezione di  Lecce,  e  dell'Emilia  Romagna  con  le
 ordinanze indicate in epigrafe;
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, comma 2, della legge 2 giugno 1995, n. 216  (Conversione
 in legge, con modificazioni, del d.-l. 3 aprile 1995, n. 101, recante
 norme   urgenti   in  materia  di  lavori  pubblici),  sollevata,  in
 riferimento  all'art.  77,  ultimo  comma,  della  Costituzione,  dal
 tribunale  amministrativo  regionale della Lombardia, con l'ordinanza
 di cui in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                          Il redattore: Cheli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 16 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C1195