N. 310 SENTENZA 18 - 25 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Equa riparazione per ingiusta detenzione  subita  -
 Omessa  previsione,  in art. 314 del cod. proc. pen., nell'ipotesi di
 ingiusta detenzione patita in seguito ad ordine di  carcerazione  per
 esecuzione  di  pena  illegittimo  in  quanto  erroneamente  emesso -
 Irrazionale  discriminazione  rispetto  alle  ipotesi,  nelle   quali
 soltanto  si  riconosce  il  diritto ad equa riparazione, di ingiusta
 detenzione sofferta per custodia  cautelare  in  prosieguo  risultata
 iniqua  -  Violazione  degli  artt.    3  e  24  della Costituzione -
 Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (Cod proc. pen., art. 314).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.31 del 31-7-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof. Fernando
 SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.  Riccardo
 CHIEPPA,  prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo
 MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 314 del  codice
 di  procedura  penale, promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1995
 dalla Corte d'appello  di  Torino  sull'istanza  proposta  da  Meloni
 Maria,  iscritta  al  n. 851 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  51,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  12  giugno  1996  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    La Corte d'appello di Torino, nel corso di un procedimento
 per riparazione di ingiusta detenzione, ha sollevato,  d'ufficio,  in
 data  5  luglio  1995,  questione  di legittimita' costituzionale, in
 riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art.  314  del
 codice  di  procedura penale, nella parte in cui limita il diritto di
 ottenere la riparazione per l'ingiusta detenzione esclusivamente alla
 "custodia cautelare"  ingiustamente  subita,  non  contemplando  tale
 diritto  anche  per l'ipotesi di ingiusta detenzione patita a seguito
 di ordine di esecuzione illegittimo.
   Il giudice a quo espone che avverso la sentenza  della  IV  sezione
 della  Corte  d'appello  di  Torino del 9 dicembre 1992, confermativa
 della   sua   condanna   a   mesi   otto   di   reclusione   e   lire
 tremilionicinquecentomila   di   multa,  l'istante  aveva  presentato
 ricorso innanzi alla Corte di cassazione, la quale il 4 ottobre  1993
 aveva annullato con rinvio, la sentenza di condanna di secondo grado.
   La Corte d'appello di Torino, quale giudice di rinvio, con sentenza
 del  14 novembre 1994 aveva assolto l'imputata per non essere piu' il
 fatto previsto dalla legge come reato.
   Nelle more del processo, il procuratore della Repubblica presso  il
 Tribunale  di Pinerolo, sull'erroneo presupposto che si fosse formato
 il giudicato di  condanna,  aveva  emesso  ordine  di  esecuzione,  a
 seguito del quale l'istante era stata detenuta dall'11 aprile 1994 al
 7  ottobre  1994.  Di  qui  il  procedimento  da  cui trae origine la
 presente questione di legittimita' costituzionale.
   Secondo  il  giudice  rimettente,  l'art.  314 del cod. proc. pen.,
 limitando il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione  alla
 sola  "custodia  cautelare"  sofferta  "ingiustamente", ed escludendo
 tale diritto per chi abbia subito  ingiusta  detenzione  in  base  ad
 ordine  di  esecuzione  illegittimo, determinerebbe una irragionevole
 disparita' di trattamento, in contrasto con gli artt. 3  e  24  della
 Costituzione.
   Ne'  si  sarebbe  potuto  - ad avviso del giudice a quo - ricorrere
 alla disciplina della riparazione  dell'errore  giudiziario,  poiche'
 l'art.  643  del cod. proc. pen. presuppone un giudizio di revisione,
 che nella specie non aveva avuto luogo.
   Nessun rilievo potrebbe, infine, attribuirsi alla legge  13  aprile
 1988,  n.  117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle
 funzioni  giudiziarie  e  responsabilita'  civile  dei   magistrati),
 poiche'  l'art.  14  di  detta  legge  prevede  espressamente  che le
 disposizioni in essa  contenute  non  pregiudicano  il  diritto  alla
 riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta
 detenzione.
   Secondo la Corte d'appello di Torino, la questione non e' priva del
 requisito  della  rilevanza,  poiche' non sarebbe possibile giudicare
 sulla   domanda   dell'istante,   se   questa   Corte   non   risolve
 pregiudizialmente    il    prospettato    dubbio    di   legittimita'
 costituzionale.
   2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  del
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, eccependo, in primo luogo, la inammissibilita' della questione
 per  inesatta  identificazione  della  disposizione   da   censurare,
 "poiche'  la  detenzione  conseguente  ad ordine di esecuzione emesso
 sull'errato presupposto del passaggio in giudicato della condanna non
 avrebbe  natura  cautelare,  ma  definitiva,  al   pari   di   quella
 considerata  dall'art.    643  del  cod.  proc.  pen.,  con  la  sola
 differenza che, mentre quest'ultima troverebbe titolo in un giudicato
 successivamente riconosciuto ingiusto, l'altra si  fonderebbe  su  un
 giudicato  poi  palesatosi inesistente".  Conseguentemente, ad avviso
 dell'interveniente, la censura di  costituzionalita'  avrebbe  dovuto
 investire il citato art. 643 del cod. proc. pen. e non l'art. 314.
   Secondo l'Avvocatura la questione sarebbe, in ogni caso, infondata,
 in  quanto  il  principio  della riparazione degli errori giudiziari,
 sancito dall'art.  24,  quarto  comma,  della  Costituzione,  postula
 "l'esigenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per
 conferirgli  concretezza e determinatezza di contorni, dandogli cosi'
 pratica  attuazione"  (sentenza  n.  1  del  1969).  E   poiche'   il
 legislatore   non  ha  previsto  l'equa  riparazione  per  l'ingiusta
 detenzione a seguito di illegittimo ordine di esecuzione, mancherebbe
 la disciplina attuativa che l'art. 24 della Costituzione richiede.
   Ad avviso dell'Avvocatura, non  sarebbe  neppure  ipotizzabile  una
 violazione  del principio di eguaglianza, essendo necessaria a questo
 fine  "l'esistenza  di  una  specifica  regolamentazione  legislativa
 (viceversa  mancante)  relativa  alla  riparazione  della  detenzione
 conseguente ad ordine di esecuzione  della  pena  illegittimo,  quale
 tertium  genus di detenzione ingiusta", che si aggiunga alla custodia
 cautelare ingiustamente  subita  ed  alla  detenzione  conseguente  a
 giudicato rimosso in sede di revisione.
   In  via  subordinata, l'Avvocatura osserva che il difetto di tutela
 denunciato dal rimettente  avrebbe  potuto  essere  colmato  mediante
 applicazione  analogica  degli artt. 643 e segg. cod. proc. pen., che
 riguarderebbero fattispecie affine a quella in esame.
                        Considerato in diritto
   1. -   La Corte  d'appello  di  Torino  dubita  della  legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
 dell'art. 314 del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui
 limita   il   diritto   alla   riparazione  per  ingiusta  detenzione
 all'ipotesi della custodia cautelare  sofferta  ingiustamente  e  non
 prevede  la riparazione per l'ingiusta detenzione subita a seguito di
 ordine  di  esecuzione  illegittimo,  adottato  cioe'  sulla   errata
 premessa che la sentenza di condanna fosse divenuta definitiva.
   La  disposizione  denunciata,  ad avviso del giudice a quo, essendo
 attuativa  dell'ultimo  comma  dell'art.   24   della   Costituzione,
 contrasterebbe  con il principio di eguaglianza di fronte alla legge,
 per la ingiustificata disparita' di trattamento che  ne  risulta  tra
 coloro  che  abbiano  sofferto  un'ingiusta  detenzione  in  custodia
 cautelare e coloro che in tale situazione si siano trovati a causa di
 un ordine di esecuzione illegittimo.
   2. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione  di  inammissibilita'
 avanzata  dalla  Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il
 giudice a quo avrebbe errato nell'individuare nell'art. 314 del  cod.
 proc.  pen.  la  disposizione generatrice della denunciata violazione
 degli artt. 3 e 24 della Costituzione, laddove avrebbe dovuto  semmai
 essere  portato  all'esame  di questa Corte l'art. 643 del cod. proc.
 pen., che prevede la riparazione dell'errore giudiziario.
   L'eccezione e' priva di fondamento.
   L'art. 643 ha  riguardo  all'ipotesi  tradizionale  di  riparazione
 dell'errore giudiziario, quello, cioe', del quale sia rimasto vittima
 l'imputato  poi  prosciolto in sede di revisione. Questa disposizione
 presuppone quindi una sentenza definitiva di condanna successivamente
 rimossa.  Oggetto  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata  dal  giudice  rimettente  e',  invece, la disciplina della
 riparazione in assenza  di  revisione.  Correttamente,  pertanto,  la
 violazione  delle  disposizioni  costituzionali  di riferimento viene
 imputata all'art.  314 del cod. proc. pen. che,  appunto,  disciplina
 la  riparazione per ingiusta detenzione per ipotesi diverse da quelle
 che  conseguono  ad  un  giudizio   di   revisione   conclusosi   con
 proscioglimento.
   3.  -  Obietta ulteriormente l'Avvocatura generale dello Stato che,
 alla luce della giurisprudenza di questa Corte  (sentenza  n.  1  del
 1969),  il  principio  della  riparazione  degli  errori giudiziari -
 sancito dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione - non opera in
 assenza di appropriati  interventi  legislativi,  indispensabili  per
 conferire ad esso concretezza e determinatezza di contorni. E poiche'
 l'equa  riparazione  per l'ingiusta detenzione a seguito di ordine di
 esecuzione erroneamente emesso non sarebbe prevista dal  legislatore,
 mancherebbe  la  disciplina  attuativa richiesta dall'art. 24, quarto
 comma, della Costituzione.
   Anche questa obiezione deve essere disattesa.
   E' proprio l'art. 314 cod.  proc.  pen.  a  porsi  come  disciplina
 concretizzatrice  della disposizione di principio contenuta nell'art.
 24.  L'addebito  che  viene  mosso  dal  giudice  rimettente  a  tale
 disciplina  e'  che  essa,  nell'attuare,  abbia  anche discriminato,
 violando  l'art.  3,  per l'ingiustificata disparita' di trattamento,
 non superabile in via interpretativa, in danno di chi abbia patito le
 conseguenze di un illegittimo ordine di esecuzione di pena detentiva.
   4. - Nel merito, la questione e' fondata.
   L'art. 314  del  cod.  proc.  pen.  stabilisce  che  chi  e'  stato
 prosciolto  con  sentenza irrevocabile perche' il fatto non sussiste,
 per non avere commesso il fatto, perche'  il  fatto  non  costituisce
 reato  o non e' previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa
 riparazione per la custodia cautelare subita, qualora  non  vi  abbia
 dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
   Lo  stesso  diritto  spetta  al prosciolto per qualsiasi causa o al
 condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia
 cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il
 provvedimento che ha disposto la misura e' stato emesso  o  mantenuto
 senza  che  sussistessero  le  condizioni  di applicabilita' previste
 dagli artt. 273 e 280 del cod. proc. pen.
   Le disposizioni citate si applicano, alle  medesime  condizioni,  a
 favore  delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento
 di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.
   Nulla e' detto dell'ipotesi in cui la detenzione sia stata  causata
 da  un  ordine  di  esecuzione  illegittimo.  E  la  diversita' della
 situazione di chi abbia subito la detenzione a causa  di  una  misura
 cautelare,  che  in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella
 di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario  non
 e'  tale  da  giustificare  un  trattamento cosi' discriminatorio, al
 punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole
 di equa  riparazione  e  la  seconda  venga  invece  dal  legislatore
 completamente ignorata.
   La  disparita'  di  trattamento  tra le due situazioni appare ancor
 piu' manifesta, se si considera  che  la  detenzione  conseguente  ad
 ordine di esecuzione illegittimo offende la liberta' della persona in
 misura non minore della detenzione cautelare ingiusta.
   La  scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla
 luce della legge 16 febbraio  1987,  n.  81  (Delega  legislativa  al
 Governo  della  Repubblica  per  l'emanazione  del  nuovo  codice  di
 procedura penale), dove, al punto 100 dell'art. 2,  primo  comma,  e'
 prefigurata, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale a
 dire  del giudicato erroneo (gia' oggetto della disciplina del codice
 previgente), anche la riparazione per la "ingiusta detenzione";  cio'
 che  lascia  trasparire  l'intento  del  legislatore delegante di non
 introdurre, su  questo  piano,  ingiustificate  differenziazioni  tra
 custodia  cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso art. 2
 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo  codice
 si   debba  adeguare  alle  norme  delle  convenzioni  internazionali
 ratificate dall'Italia e relative  ai  diritti  della  persona  e  al
 processo  penale,  depone  nel senso della non discriminazione tra le
 due situazioni, giacche' proprio la convenzione per  la  salvaguardia
 dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali, ratificata
 dall'Italia  con  la  legge  4   agosto   1955,   n.   848,   prevede
 espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della
 vittima  di  arresto  o  di  detenzioni ingiuste senza distinzione di
 sorta.
   L'obliterazione  della  ingiusta  detenzione  patita  in  seguito a
 ordine  di  esecuzione  illegittimo  costituisce  una   autonoma   ed
 arbitraria  scelta  del  legislatore  delegato - contrastante con gli
 artt. 3 e 24 della  Costituzione  -  alla  quale  questa  Corte  deve
 ovviare  con  la  dichiarazione  della  illegittimita' costituzionale
 dell'art. 314 del cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  include
 questa  fattispecie  fra  le  situazioni che fanno sorgere il diritto
 alla equa riparazione.
   Non fornisce argomenti in senso  contrario  all'accoglimento  della
 questione  la  legge  13  aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni
 cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'
 civile dei magistrati). In questa legge,  infatti,  e'  espressamente
 previsto,  all'art.  14,  che  le  disposizioni in essa contenute non
 pregiudicano il diritto alla riparazione a favore  delle  vittime  di
 errori    giudiziari   e   di   ingiusta   detenzione.   L'autonomia,
 positivamente stabilita, tra azione risarcitoria e azione riparatoria
 per l'ingiusta detenzione rende evidente che privare di  quest'ultima
 azione  la  persona  colpita  da un ordine di esecuzione erroneamente
 emesso significa  introdurre  una  discriminazione,  che  i  principi
 costituzionali invocati dal giudice a quo non possono tollerare.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 314 del codice
 di procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevede  il  diritto
 all'equa  riparazione  anche per la detenzione ingiustamente patita a
 causa di erroneo ordine di esecuzione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 25 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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