N. 311 SENTENZA 18 - 25 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sicurezza pubblica - Nomina a guardia giurata - Approvazione da parte
 dell'autorita'  -  Inclusione,  tra  i requisiti richiesti, nell'art.
 138, primo  comma,  numero  5,  r.d.  n.  773  del  1931,  di  quello
 dell'"ottima  condotta  politica  e morale" - Insuperabile contrasto,
 per  quanto riguarda la valutazione della "condotta politica", con il
 divieto (art. 3,  primo  e  secondo  comma,  della  Costituzione)  di
 discriminazioni politiche o in base ad opinioni politiche - Mancanza,
 nel  generico  riferimento alla "condotta morale", delle precisazioni
 necessarie perche' la condotta venga valutata nei  soli  aspetti  che
 possano  avere  attuale  e  concreta  incidenza  sulla  attitudine  e
 affidabilita' dell'aspirante alla  funzione  di  guardia  particolare
 giurata,  come richiesto dai principi della Costituzione (artt. 2, 3,
 17, 21 e 22)  sulle  liberta'  della  persona  e  sui  diritti  della
 coscienza  -  Adozione,  con l'esigere che la condotta dell'aspirante
 sia "ottima", di un metro  di  valutazione  ingiustificatamente  piu'
 rigoroso di quello previsto per l'accesso ai corpi statali di polizia
 -  Richiamo alle sentenze nn. 443/1993, 107 e 108 del 1994 e 203/1995
 - Illegittimita' costituzionale parziale - Effetti - Possibilita' che
 la norma censurata continui ad essere applicata ma solo, esclusa ogni
 valutazione sulla condotta politica, quanto  alla  valutazione  della
 condotta  morale,  se  risulteranno  osservati  i  suddetti  limiti -
 Auspicio per un superamento definitivo, in  sede  legislativa,  delle
 disposizioni   anteriori   alla   Costituzione  repubblicana  tuttora
 operanti in materia.
 
 (R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 138, primo comma, numero 5).
 
 (Cost, artt. 2, 3, 17, 18, 19, 21 e 22).
(GU n.31 del 31-7-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof.   Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare
 MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.
 Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
 prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  138,  punto  5
 (recte:  primo  comma,  n. 5), del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo
 unico delle leggi di  pubblica  sicurezza),  promosso  con  ordinanza
 emessa  il  10  maggio  1995  dal T.A.R. per la Lombardia sul ricorso
 proposto da  De  Martino  Aniello  contro  Ministero  degli  interni,
 iscritta  al  n.  612  del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  42,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  26  giugno  1996  il  giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -   Adito per l'annullamento di un provvedimento prefettizio di
 diniego  della  approvazione  della  nomina  a  guardia   particolare
 giurata,  il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con
 ordinanza emessa il 10 maggio 1995, pervenuta a  questa  Corte  il  2
 settembre  1995,  ha  sollevato  d'ufficio  questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 17, 18, 19, 20, 21  e
 22 della Costituzione, dell'art. 138, punto 5 (recte: primo comma, n.
 5),  del  r.d.  18  giugno  1931,  n. 733 (Testo unico delle leggi di
 pubblica sicurezza), a norma del quale tra i requisiti  previsti  per
 le  guardie particolari giurate e' compreso quello di "essere persona
 di ottima condotta politica e morale".
   Il Tribunale rileva che il  provvedimento  negativo  impugnato  era
 stato  assunto  dal  prefetto  per mancanza del requisito dell'ottima
 condotta politica e  morale,  e  che  i  fatti  impeditivi  sarebbero
 consistiti nell'avere il ricorrente ospitato nella propria abitazione
 un  terrorista  agli  arresti  domiciliari, per alcuni mesi durante i
 quali quest'ultimo avrebbe piu' volte incontrato altra terrorista,  e
 nell'avere il medesimo ricorrente presenziato ad una udienza a carico
 di  "brigatisti appartenenti alla ''colonna Walter Alasia''", pur non
 essendo egli mai stato imputato di alcun reato.
   Cio'  premesso,  il  remittente  ritiene che la norma applicata, la
 quale consente al prefetto di valutare la moralita', anche  politica,
 del cittadino secondo parametri soggettivi, senza alcuna garanzia per
 il cittadino medesimo e senza il rispetto delle liberta' fondamentali
 garantite dalla Costituzione, ponga seri dubbi di costituzionalita'.
   Infatti,  secondo  il  giudice  a  quo,  ogni  considerazione della
 condotta del cittadino, diversa  da  quella  dei  precedenti  penali,
 potrebbe  essere  fonte  di  abuso  e di aleatorieta'. Ci si dovrebbe
 percio' muovere nella stessa logica che  ha  condotto  all'abolizione
 della  buona  condotta  quale  requisito dell'assunzione nel pubblico
 impiego, eliminando dall'ordinamento i  margini  di  discrezionalita'
 della  pubblica amministrazione, non sorretti da obbiettivi riscontri
 (quali procedimenti penali, condanne, ecc.), che potrebbero  impedire
 al cittadino lo svolgimento di attivita' lecite.
   Sarebbe  percio'  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale del citato  art.  138  del  t.u.l.s.  "in
 quanto  in  contrasto  con  gli artt. 2, 3, 17, 18, 19, 21 e 22 della
 Costituzione,  i  quali  riconoscono  le  liberta'  fondamentali  del
 cittadino,  in  primo luogo quella di pensiero, politica e religiosa"
 (all'art.  20  della  Costituzione,  indicato  come   parametro   nel
 dispositivo   dell'ordinanza,  non  vi  e'  alcun  riferimento  nella
 motivazione).
   La   rilevanza   della   questione   discenderebbe,    ad    avviso
 dell'autorita'  remittente,  dalla  circostanza  che  il  ricorso non
 potrebbe essere accolto stante l'insindacabilita'  nel  merito  della
 decisione  impugnata  in  ordine alla sussistenza di un requisito non
 verificabile oggettivamente, decisione che non apparirebbe affetta da
 illogicita' macroscopica.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri concludendo per l'infondatezza della questione, segnatamente
 nella parte in cui essa mirerebbe a sopprimere in radice il requisito
 della buona condotta.
   Richiamata  la sentenza n. 440 del 1993 di questa Corte, nonche' la
 sentenza n. 108  del  1994,  l'Avvocatura  rileva  che  secondo  tale
 giurisprudenza sarebbe ragionevole "il mantenimento in casi specifici
 del   requisito   della   buona   condotta   allorche'  sussista  una
 ''specificazione finalistica'' collegata a particolari esigenze  o  a
 provvedimenti abilitativi della pubblica amministrazione".
   Alla   luce   di   una   lettura  della  norma  attenta  ai  valori
 costituzionali, dovrebbe escludersi  che  nella  nozione  di  "ottima
 condotta politica e morale" possano farsi rientrare le opinioni e gli
 atti  di  natura  politica  dell'interessato,  e non soltanto una sua
 eventuale condotta che  abbia  fatto  trasmodare  quelle  opinioni  e
 quegli  atti  in comportamenti riprovevoli o illeciti, quali peraltro
 sarebbero l'aver  dato  ospitalita'  a  terroristi  o  l'avere  avuto
 frequentazione con i medesimi.
   3.  -  In  prossimita'  della  camera  di  consiglio,  l'Avvocatura
 generale dello  Stato  ha  depositato  una  memoria  nella  quale  si
 sviluppano  gli  argomenti  gia' dedotti a sostegno dell'infondatezza
 della questione.    Secondo  l'Avvocatura,  la  norma  impugnata  non
 consentirebbe    un    sindacato    sulle    convinzioni    personali
 dell'individuo,  ma  solo  sul  comportamento  dello  stesso,   nelle
 manifestazioni da cui sia possibile dedurre la sua affidabilita'.
   La  presenza  o  meno  di  condanne penali e di altri provvedimenti
 dell'autorita' giudiziaria non esaurirebbe il novero  degli  elementi
 sintomatici della buona condotta.
   Vengono  citate in proposito varie disposizioni di legge, da cui si
 desumerebbe l'esistenza nell'ordinamento di "serie  diversificate  di
 elementi   qualificativi   dei   requisiti  soggettivi  -  non  tutti
 tassativamente predeterminati - indicati in relazione alle specifiche
 esigenze valutative della ''affidabilita''' del soggetto,  a  seconda
 delle attivita' da svolgere".
   Il   requisito   soggettivo  in  argomento  costituirebbe,  secondo
 l'interveniente,  un  vero  e  proprio  cardine  per  la  valutazione
 dell'affidabilita'  di personale i cui compiti sono caratterizzati da
 connotazioni  pubblicistiche.    Ne'  sarebbe  irragionevole  che  il
 legislatore  richieda  a  coloro  che intendono svolgere i compiti di
 guardia  particolare  giurata  requisiti  non  dissimili  da   quelli
 richiesti per l'impiego in una forza di polizia.
   Conclude  l'Avvocatura  che, tenuto conto delle molteplici forme in
 cui e' ammesso il sindacato  sull'eccesso  di  potere,  non  potrebbe
 essere   considerata   di  pregiudizio  l'"apparente  ampiezza  delle
 categorie di fatto  apprezzabili",  atteso  che  la  discrezionalita'
 sarebbe  soggetta  a  verifica  delle  motivazioni  in  relazione  al
 pubblico interesse di volta in volta perseguito.
                        Considerato in diritto
   1. -  Il dubbio di costituzionalita' investe la norma che  prevede,
 fra  i  requisiti per la nomina a guardia particolare giurata, quello
 secondo cui l'aspirante  deve  "essere  persona  di  ottima  condotta
 politica  e  morale":  essa  viene  denunciata  alla luce di numerosi
 parametri,  gli  artt.  2,  3,  17,  18,  19,  20,  21  e  22   della
 Costituzione,  e  cioe'  in  sostanza,  oltre  che  del  principio di
 eguaglianza, delle norme costituzionali che garantiscono i diritti di
 libera espressione,  individuale  e  associata,  della  persona  e  i
 diritti della coscienza.
   2. - La questione e' fondata nei limiti di seguito precisati.
   E' opportuna una premessa di ordine generale sul contesto in cui la
 norma impugnata si inserisce.
   Essa  e' simile a numerose altre, le quali, con espressioni varie e
 significati non sempre coincidenti, si  riferiscono  alla  "condotta"
 dei   soggetti   interessati   come   elemento   valutabile  ai  fini
 dell'ammissione a uffici o funzioni pubbliche o a professioni,  o  ai
 fini del rilascio di autorizzazioni amministrative.
   Fino  al 1984 la "buona condotta" costituiva per legge un requisito
 generale per l'accesso agli impieghi  civili  dello  Stato  (art.  2,
 primo comma, numero 3, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). Molte altre
 disposizioni,  sia  anteriori che posteriori a quella ora richiamata,
 rinviavano a quest'ultima o ne estendevano il campo  di  applicazione
 (ad es. art. 10 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, per il personale
 delle  unita'  sanitarie locali; art. 8 del d.P.R. 31 maggio 1974, n.
 417, per gli insegnanti nelle scuole statali), ovvero si riferivano a
 requisiti analoghi nel disciplinare l'accesso a particolari categorie
 di impieghi pubblici: cosi', a  titolo  esemplificativo,  si  possono
 ricordare le norme in tema di accesso alle forze armate (art. 1 della
 legge  18 dicembre 1964, n. 1414); alla magistratura ordinaria (artt.
 8 e 124 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12); ai corpi di  polizia  (art.
 6, numero 7, del r.d. 30 novembre 1930, n. 1629; art. 5 della legge 7
 dicembre  1959, n. 1083; artt. 47, 52 e 55 della legge 1 aprile 1981,
 n. 121); agli impieghi nei comuni e nelle province (art. 7 del r.d. 3
 marzo  1934,  n.  383,  ora  abrogato dall'art. 64, lettera c), della
 legge 8 giugno 1990, n. 142; nonche' art. 1 del  d.P.R.    23  giugno
 1972, n. 749, per i segretari comunali e provinciali).
   Parimenti,  norme  analoghe  prevedevano  il  requisito della buona
 condotta o requisiti similari per l'accesso a uffici onorari (ad  es.
 artt.  9  e  10  della legge 10 aprile 1951, n. 287, per l'ufficio di
 giudice popolare nelle corti d'assise; art. 4 del d.P.R.  26  ottobre
 1972,  n.  636,  per i componenti delle commissioni tributarie: ma la
 norma non e' ripresa dall'art. 7 del  d.lgs.  31  dicembre  1992,  n.
 545,  contenente  il nuovo ordinamento delle commissioni; art. 23 del
 d.P.R. 6 febbraio 1981,  n.  66,  per  i  volontari  nei  servizi  di
 protezione civile; art. 3 del d.m. giustizia del 30 ottobre 1979, per
 i presidenti di uffici elettorali) o per l'accesso a professioni o ad
 albi  professionali  (cfr., in generale, art. 2 della legge 25 aprile
 1938, n. 897, e inoltre, per esempio, art. 5 della legge 16  febbraio
 1913,  n.  89,  per i notai; art. 17 del r.d.-l. 27 novembre 1933, n.
 1578, per i procuratori legali; art. 31 della legge 3 febbraio  1963,
 n.  69, per i giornalisti; art. 48 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43,
 per gli spedizionieri doganali).
   Infine era previsto che le autorizzazioni di polizia - in generale,
 e in particolare quelle in materia  di  armi  e  di  porto  d'armi  -
 potessero  essere  negate  a  chi  non  fosse  in grado di provare la
 propria buona condotta (artt. 11 e 43 del r.d.  18  giugno  1931,  n.
 733,  su  cui  si  veda  pero' la sentenza di questa Corte n. 440 del
 1993; art. 9 della legge 18 aprile 1975, n. 110).
   Come si e' accennato, molteplici  sono  le  espressioni  usate  dal
 legislatore  per indicare il requisito in questione. Cosi', talora si
 richiede semplicemente la  "buona  condotta",  talaltra  si  richiede
 l'"essere"  o  l'"essere  persona" di buona condotta, talaltra ancora
 "tenere" o l'"avere sempre tenuto" buona condotta. E  ancora,  ci  si
 riferisce alla "condotta" non altrimenti qualificata, o alla condotta
 "morale"  o  "politica  e morale", ovvero "civile, morale epolitica",
 senza che in  realta'  sia  dato  di  collegare  tali  varianti  alla
 specificita'  delle  funzioni o degli impieghi piuttosto che soltanto
 all'epoca cui risale la norma o ad una  scelta  del  legislatore  del
 momento.    Parimenti,  la  condotta richiesta viene definita volta a
 volta   "buona",   "specchiata",   "specchiatissima   ed   illibata",
 "incensurabile",  o,  come  nel caso della norma denunciata in questa
 sede, "ottima", senza che, ancora una volta, sia dato di  comprendere
 esattamente la ragione e la portata di tali differenti locuzioni, ne'
 se esse debbano intendersi come equivalenti.
   Da  tempo  giurisprudenza  e  dottrina  si  sono  misurate  con  le
 incertezze ed i problemi  cui  tali  norme  danno  luogo,  specie  in
 rapporto  al  carattere  indefinito  del requisito e alla conseguente
 larghezza di  apprezzamento  discrezionale  che  ne  deriva  in  capo
 all'amministrazione  che  decide  sull'ammissione  agli  uffici o sul
 rilascio delle autorizzazioni.
   3. - Fu sostanzialmente  per  considerazioni  legate  all'eccessiva
 discrezionalita'    di    apprezzamento    che    veniva   consentita
 nell'accertamento e nella valutazione della  buona  condotta  che  il
 Parlamento si indusse a disporre, con l'articolo unico della legge 29
 ottobre  1984,  n.    732,  che  "ai  fini dell'accesso agli impieghi
 pubblici non puo' essere richiesto o comunque accertato  il  possesso
 del    requisito   della   ''buona   condotta''",   e   ad   abrogare
 "conseguentemente" l'art. 2, primo comma, numero 3, del  testo  unico
 sugli  impiegati civili dello Stato (d.P.R.  n. 3 del 1957), oltre ad
 "ogni altra disposizione incompatibile  con  quanto  previsto"  dalla
 stessa legge.
   Tuttavia  questa  abolizione  apparentemente generale del requisito
 della  buona  condotta  non  ha  prodotto  l'effetto   di   espungere
 dall'ordinamento  tutte  le previsioni che vi facevano riferimento, e
 di  superare  la  relativa  problematica.   Non   solo   infatti   la
 giurisprudenza  ha  chiarito  che l'abolizione, riguardando l'accesso
 agli impieghi pubblici, non ha toccato le  norme  che  richiedono  la
 buona  condotta  come  requisito  per  il  rilascio di autorizzazioni
 amministrative (anzi, successive leggi hanno  nuovamente  imposto  il
 requisito in questione: cfr. l'art.  19 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
 304,  in  materia  di  stupefacenti;  l'art. 123 del d.lgs. 30 aprile
 1992, n. 285, per i titolari di autoscuole), ne' - si deve ritenere -
 le analoghe norme sull'accesso alle varie professioni; ma neppure  si
 e'  ritenuto  che  l'abrogazione  incidesse sulle norme che prevedono
 requisiti attinenti alla condotta ai fini  dell'accesso  a  specifici
 impieghi,  e  anzitutto  alla magistratura.   Anzi, la relativa norma
 dell'ordinamento giudiziario (art. 124, quinto comma, del r.d. n.  12
 del  1941)  e'  stata assunta dallo stesso legislatore come paradigma
 per altri casi: cosi' l'art. 26 della legge 1 febbraio 1989,  n.  53,
 ha  disposto  che  per  l'accesso ai ruoli delle forze di polizia "e'
 richiesto il possesso delle qualita' morali e di  condotta  stabilite
 per  l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria"; e, ancor
 piu' di recente, l'art. 41 del d.lgs. 3 febbraio 1993,  n.    29,  ha
 esteso  l'applicabilita' del citato art. 26 - e quindi, mediatamente,
 della norma dell'ordinamento giudiziario - "ai fini delle  assunzioni
 di  personale (...) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e
 le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia
 di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia".
   Cosi' che puo' dirsi, da un lato, che la buona condotta, se non  e'
 piu' requisito generale di accesso agli impieghi pubblici, e' tuttora
 richiesta  per  l'accesso  a  varie categorie di impieghi; dall'altro
 lato, che la misura abolitiva disposta dal legislatore del 1984  (sia
 pure  senza  completa  considerazione dello stato dell'ordinamento, e
 con prevalente attenzione all'esigenza di incidere sulle modalita' di
 certificazione  della  buona  condotta)  e   le   successive   scelte
 legislative manifestano la tendenza dell'ordinamento a non rinunciare
 a  valutazioni di questo tipo, ma a richiederle, piuttosto che in via
 generale,  con  riguardo  a  specifiche  funzioni:  il  che  dovrebbe
 comportare  pero' anche una maggiore specificazione del contenuto del
 requisito, cioe' del tipo  di  condotte  che  possono  legittimamente
 essere prese in considerazione ai fini delle relative valutazioni.
   4.  -  La  Corte ha avuto occasione piu' volte di intervenire nella
 materia in discussione, ma finora per  lo  piu'  con  riferimento  ad
 aspetti  collaterali  rispetto  a  quello prospettato ora dal giudice
 remittente (cfr. sentenza n. 61 del 1965; ordinanza n. 272 del  1992;
 sentenza n. 107 del 1994; ordinanza n. 326 del 1995).
   Piu'  direttamente  inerenti  all'oggetto  della questione in esame
 sono le decisioni assunte con le sentenze n. 440 del 1993  e  n.  108
 del  1994. Quest'ultima ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 26 della legge n. 53  del  1989,  nonche'  l'illegittimita'
 costituzionale    conseguenziale    dell'art.   124,   terzo   comma,
 dell'ordinamento giudiziario, limitatamente alla parte  in  cui,  nel
 disciplinare  i  requisiti di ammissione rispettivamente alla polizia
 di Stato e alla magistratura ordinaria, prevedevano  l'esclusione  di
 coloro  che  non risultassero "appartenenti a famiglia di estimazione
 morale indiscussa".  In quella occasione la Corte affermo'  che  "non
 e'  irragionevole  che  la moralita' e la condotta di un soggetto che
 aspiri ad entrare nella polizia di  Stato  sia  accertata  anche  con
 riferimento all'atteggiamento e al comportamento dell'interessato nei
 suoi ambienti di vita associata, compresa la famiglia", sottolineando
 peraltro che, per rispettare i principiÿ costituzionali, l'esclusione
 dall'accesso  all'impiego  deve  basarsi  "su  valutazioni imparziali
 aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente verificabili".
   A  sua  volta  la  sentenza  n.  440   del   1993   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  del  testo  unico  di
 pubblica sicurezza che, ai fini del rilascio delle autorizzazioni  di
 polizia,  richiedevano  che  fosse  l'interessato  a dover provare la
 propria buona condotta.
   Nel motivare tale decisione si osservo'  che  "il  requisito  della
 buona  condotta  (...)  rappresenta  la  base  per  vari  giudizi  di
 affidabilita' devoluti all'autorita' amministrativa e, come tale, non
 puo' essere giudicato  in  se  stesso  lesivo  di  quei  principi  di
 ragionevolezza  ai  quali ogni ordinamento e' tenuto ad ispirarsi". E
 tuttavia la Corte aggiunse che "la latitudine di apprezzamento che  a
 tale   requisito   e'   connessa   esige,  per  non  confliggere  con
 inderogabili esigenze di determinatezza e perche' sia scongiurato  il
 pericolo di sconfinare nell'arbitrio, una specificazione finalistica,
 riferita  cioe'  alle  particolari  esigenze  che l'accertamento deve
 soddisfare per le finalita' correlate con il tipo di  abilitazione  o
 di autorizzazione richiesta".
   Ancora in quella occasione si osservo' come fosse stata ritenuta la
 caducazione  per  desuetudine  o  per incompatibilita' con i principi
 costituzionali  di  "riferimenti  legislativi  alla  buona   condotta
 contenuti  in  leggi anteriori alla Costituzione", come nei casi "nei
 quali si erano venuti aggiungendo al requisito stesso altri attributi
 specifici,  o  dati  di   qualificazione,   dal   dubbio   contenuto:
 segnatamente   quelli   della   ''buona  condotta  civile,  morale  e
 politica''",  notando  che  tale  legislazione  "ha  contribuito   ad
 aumentare,  nonostante  l'apparente  specificazione,  il  relativismo
 proprio della nozione (specie per quanto attiene alla buona  condotta
 morale)  o  l'anticostituzionale  discriminazione  tra cittadini (per
 quanto attiene alla buona condotta politica)".
   5. - Il quadro sommariamente tracciato consente gia'  di  pervenire
 ad alcune conclusioni.
   Deve  riaffermarsi  anzitutto  che,  sia  in  materia  di accesso a
 impieghi o funzioni  pubbliche,  sia  in  materia  di  autorizzazioni
 incidenti  -  come  nella  specie  in  esame  -  sullo svolgimento di
 attivita' dei  privati,  puo'  bensi'  ammettersi  la  previsione  di
 requisiti   attitudinali   o   di   affidabilita',  per  il  corretto
 svolgimento della funzione o dell'attivita', desunti da condotte  del
 soggetto interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e
 accertate  in  sede  penale,  ma significative in rapporto al tipo di
 funzione  o  di  attivita'  da  svolgere,  e  che  siano  oggetto  di
 imparziale   accertamento  e  di  ragionevole  valutazione  da  parte
 dell'amministrazione, salvo il sindacato in sede giurisdizionale.
   Tuttavia, perche' siano rispettati i principiÿ costituzionali, e in
 particolare il principio di eguaglianza e  le  liberta'  fondamentali
 riconosciute dalla Costituzione, e' necessario che sussistano precise
 limitazioni  in  ordine  sia  al  tipo  di  condotte  cui  puo' darsi
 legittimamente rilievo, sia alle  modalita'  del  loro  accertamento.
 Quanto  a  quest'ultimo  aspetto  e' sufficiente rinviare a quanto e'
 stato   chiarito   circa   l'onere   della   prova,   la   necessaria
 verificabilita'   oggettiva   dei  fatti,  l'obbligo  di  motivazione
 specifica dei provvedimenti di diniego, nelle citate sentenze n.  440
 del  1993,  nn. 107 e 108 del 1994, nonche' nella sentenza n. 203 del
 1995.
   Quanto al  tipo  di  condotte  rilevanti,  a  parte  l'esigenza  di
 riconducibilita'   delle   condotte   al   soggetto,  e  di  concreta
 verificabilita' e di sindacabilita' delle valutazioni effettuate,  se
 non  e'  praticabile  una  integrale  tipizzazione delle fattispecie,
 debbono pero' tenersi  fermi  alcuni  limiti  soprattutto  di  ordine
 negativo.
   In  primo  luogo,  deve  escludersi  che fra le condotte valutabili
 della  persona  possano   includersi   atteggiamenti   di   carattere
 ideologico,   religioso   o   politico,   o  scelte  di  adesione  ad
 associazioni,     movimenti,     partiti     lecitamente     operanti
 nell'ordinamento  e  l'appartenenza  ai  quali  non  sia,  in ipotesi
 determinate, ritenuta normativamente incompatibile  con  la  funzione
 specifica.
   Da   questo   punto   di  vista,  non  e'  ammissibile,  sul  piano
 costituzionale, che si preveda  come  requisito  una  buona  condotta
 "politica".  Il  divieto  di discriminazioni politiche o in base alle
 "opinioni politiche" e' un  principio  fondamentale  dell'ordinamento
 democratico, costituendo parte del nucleo essenziale dell'eguaglianza
 "davanti alla legge", e della garanzia di effettiva partecipazione di
 tutti  all'organizzazione  "politica" del Paese, sancito dall'art. 3,
 primo  e  secondo  comma,   della   Costituzione.   Il   divieto   di
 discriminazione  trae  conferme  e  precisazione  in  altre  norme  e
 principiÿ costituzionali. Cosi', il  divieto  di  misure  restrittive
 della capacita' giuridica per "motivi politici" (art. 22), il diritto
 di associarsi liberamente per fini non vietati ai singoli dalla legge
 penale  (art.  18),  il  diritto di associarsi liberamente in partiti
 operanti con metodo democratico (art. 49), con  le  sole  restrizioni
 eventualmente previste dalla legge (art. 98, terzo comma), il diritto
 di  manifestare  liberamente il proprio pensiero (art. 21), e piu' in
 generale l'ispirazione democratica e pluralistica della Costituzione,
 precludono certamente la possibilita' di far  discendere  conseguenze
 discriminanti dalle scelte politiche del cittadino.
   Ne'  si  potrebbe  addurre in contrario il riferimento, nelle norme
 costituzionali, a doveri "politici"  o  di  "solidarieta'  politica",
 poiche'  in  un  sistema  democratico  essi  non  possono  che essere
 configurati dalla legge e assistiti dalle  sole  sanzioni  legalmente
 stabilite,  senza  dunque che il modo o il grado del loro adempimento
 possa costituire oggetto di ulteriori valutazioni discrezionali.
   In secondo luogo, per quanto riguarda condotte  apprezzabili  sotto
 il profilo "morale", deve operarsi una netta distinzione fra condotte
 aventi  rilievo  e incidenza rispetto alla affidabilita' del soggetto
 per il corretto svolgimento delle funzioni o  delle  attivita'  volta
 per  volta  considerate,  e  che dunque possono essere legittimamente
 oggetto di valutazione a questi  effetti;  e  condotte  riconducibili
 esclusivamente  ad una dimensione "privata" o alla sfera della vita e
 della liberta' individuale, in quanto tali non suscettibili di essere
 valutate ai fini di un requisito di accesso a funzioni o ad attivita'
 pubbliche o comunque soggette a controllo pubblico.
   Sotto altro profilo, non potranno essere considerate  ne'  valutate
 condotte  che, per la loro natura, o per la loro occasionalita' o per
 la loro  distanza  nel  tempo,  o  per  altri  motivi,  non  appaiano
 ragionevolmente   suscettibili  di  incidere  attualmente  (cioe'  al
 momento in cui il requisito  della  condotta  assume  rilievo)  sulla
 affidabilita'  del  soggetto  in ordine al corretto svolgimento della
 specifica funzione o attivita' considerata.
   Non e' infatti ammissibile che da episodici comportamenti tenuti da
 un soggetto finiscano per discendere  conseguenze  per  lui  negative
 diverse  ed  ulteriori  rispetto  a quelle previste dalla legge e non
 suscettibili,  secondo  una  valutazione  ragionevole,  di   rivelare
 un'effettiva  mancanza  di  requisiti  o  di  qualita'  richieste per
 l'esercizio delle funzioni  o  delle  attivita'  di  cui  si  tratta,
 traducendosi cosi' in una sorta di indebita sanzione extralegale.
   6.  -  Alla  luce  di  quanto  si e' detto, la norma denunciata non
 appare, per diversi aspetti,  conforme  ai  parametri  costituzionali
 invocati.
   In  primo  luogo,  eccede  palesemente  i  limiti delle valutazioni
 costituzionalmente  ammissibili  il  riferimento  ad   una   condotta
 "politica".
   In  secondo  luogo,  anche  il  riferimento  generico alla condotta
 "morale" si  rivela  in  contrasto  con  l'esigenza  di  limitare  la
 valutabilita'  agli  aspetti  della  "moralita'"  della  persona  che
 possano  avere   concreta   incidenza   sulla   sua   attitudine   ed
 affidabilita' in vista della funzione di guardia particolare giurata.
   In terzo luogo, la richiesta di una "ottima" condotta - espressione
 cui  la giurisprudenza non ha mancato di attribuire il significato di
 requisito diverso e ulteriore rispetto alla semplice "buona condotta"
 - non appare giustificata in relazione alla  funzione  della  guardia
 particolare  giurata,  specie  se  si  considera che per l'accesso ai
 corpi di polizia la legge, per lungo tempo,  ha  prescritto  il  solo
 requisito  della  "buona condotta" (art. 6 del r.d. n. 1629 del 1930;
 art. 5 della legge n. 1083 del 1959; artt. 47, 52 e 55 della legge n.
 121 del 1981: anche se di recente l'art. 26 della  legge  n.  53  del
 1989,    rinviando   alla   corrispondente   norma   dell'ordinamento
 giudiziario, ha posto il requisito,  ancora  una  volta  diversamente
 definito, della "moralita' e condotta incensurabili"). L'attivita' di
 guardia  particolare  giurata, ancorche' abbia "scopi convergenti con
 le finalita' della funzione di polizia" (sentenza n.  61  del  1965),
 non  presenta  caratteristiche  tali  da  giustificare  requisiti  di
 accesso piu' severi di quelli previsti per l'accesso ai corpi statali
 di polizia.
   7. - L'illegittimita' costituzionale della norma denunciata non  ne
 investe  tuttavia  l'intera portata, bensi' solo la parte eccedente i
 limiti entro i quali, come si e' detto,  la  condotta  dell'aspirante
 puo'  legittimamente essere valutata ai fini della approvazione della
 nomina da parte dell'autorita' pubblica.
   Una  ridefinizione  legislativa  del  requisito in esame, e piu' in
 generale degli analoghi requisiti di accesso alle funzioni  pubbliche
 e  alle  attivita' soggette a controllo pubblico, dovra' ispirarsi ad
 un criterio di riordino che superi definitivamente l'attuale  assetto
 normativo, in cui continuano ad operare (e anzi sono oggetto di nuovi
 rinvii   ed  estensioni)  disposizioni  anteriori  alla  Costituzione
 repubblicana e non adeguate ai principiÿ di questa.
   In  mancanza  di  nuovi  interventi   legislativi,   le   autorita'
 amministrative  competenti,  sotto  il  controllo  degli organi della
 giurisdizione, applicheranno la disposizione denunciata col contenuto
 normativo  che  residua  a  seguito  della  presente   pronuncia   di
 illegittimita' costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  138,  primo
 comma, numero 5, del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo  unico  delle
 leggi  di  pubblica  sicurezza),  nella  parte  in  cui, stabilendo i
 requisiti che devono possedere le  guardie  particolari  giurate:  a)
 consente  di  valutare  la  condotta  "politica"  dell'aspirante;  b)
 richiede una condotta morale "ottima" anziche' "buona";  c)  consente
 di   valutare   la   condotta  "morale"  per  aspetti  non  incidenti
 sull'attuale attitudine ed affidabilita' dell'aspirante ad esercitare
 le relative funzioni.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 25 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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