N. 726 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 1996

                                N. 726
  Ordinanza emessa il 3 aprile  1996  dal  Tribunale  di  Sulmona  nel
 procedimento civile vertente tra Persia Mario e comune di Alfedena
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle  indennita'  espropriative  per la realizzazione di opere da
    parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media  tra
    il  valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura  dei
    risarcimenti  dovuti  in  conseguenza  di  illegittime occupazioni
    acquisitive  -  Ingiustificata  deroga  al  principio  civilistico
    dell'integrale   risarcimento   del  danno  da  parte  dell'autore
    dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata  equiparazione  delle
    espropriazioni  regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza
    sul diritto di proprieta' e sui principi di imparzialita' e  buona
    andamento della p.a.
 (D.-L.  11  luglio  1992, n. 333, art. 5-bis, sesto comma, modificato
    dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art.  1,  sessantacinquesimo
    comma).
 (Cost., artt. 3, 42 e 97).
(GU n.34 del 21-8-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  91/92  del  RG.  AC. promossa da Persia Mario contro il comune di
 Alfedena;
   Letti gli atti e visti i documenti di causa, osserva;
                               F a t t o
   Con atto di citazione ritualmente notificato in  data  20  febbraio
 1992,  il  sig.  Persia  Mario esponeva: di essere proprietario di un
 terreno distinto in catasto al foglio n. 6  particella  n.  1145,  in
 comune  di Alfedena, localita' Corone; che detto comune, con delibera
 di  Giunta  n.  149/1988,  dichiarata  sostitutiva  del  decreto   di
 occupazione  di urgenza, aveva occupato parte del suo terreno per una
 porzione di  mq  260  per  un  periodo  non  superiore  a  tre  anni,
 occorrenti  per  la realizzazione di una strada e della rete idrica e
 fognante; che  i  lavori  erano  terminati  nel  1989,  onde  si  era
 verificata  l'irreversibile  destinazione  del  terreno  a  finalita'
 pubbliche; che l'occupazione doveva ritenersi illegittima sia perche'
 non  notificata,  che  per  difetto  di  fissazione  di  termini  per
 l'espropriazione   ed  i  lavori;  che  comunque,  l'ente  non  aveva
 provveduto  alla  emissione  del  decreto   di   esproprio,   ne'   a
 corrispondere  alcunche'  a  titolo  di  indennita';  tanto premesso,
 conveniva innanzi al Tribunale di Sulmona il comune di Alfedena,  per
 ivi  sentir  dichiarare  la illegittimita' della occupazione del bene
 attoreo e  per  l'effetto  condannare  l'Amministrazione  alle  somme
 determinande  in fase istruttoria a titolo di risarcimento dei danni,
 compreso quello arrecato alla  residua  proprieta',  oltre  interessi
 legali dalla occupazione al soddisfo, rivalutazione monetaria e spese
 di giudizio.
   Nessuno  si  costituiva  per  il  comune convenuto, onde il giudice
 istruttore,  rilevata  la  ritualita'  della  notifica  dell'atto  di
 citazione, ne dichiarava la contumacia.
   Veniva  disposta consulenza tecnica per accertare la trasformazione
 del bene, la sua consistenza e valore venale.
   Infine, acquisita  la  documentazione  prodotta,  la  causa,  sulle
 conclusioni del solo attore in epigrafe trascritte, veniva trattenuta
 in decisione all'udienza collegiale del 6 marzo 1996.
                             D i r i t t o
   L'art. 1, comma sessantacinquesimo della legge 28 dicembre 1995, n.
 549,  ha  modificato il comma sesto dell'art. 5-bis del decreto-legge
 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni nella  legge  8
 agosto 1992, n. 359.
   Orbene,  ritiene  il  Collegio  che la disposizione normativa cosi'
 novellata sia  rilevante  ai  fini  della  decisione  della  presente
 controversia, il cui oggetto consiste nella richiesta di risarcimento
 dei  danni subiti dall'attore in seguito alla illegittima occupazione
 del proprio fondo da parte del comune di Alfedena, con  irreversibile
 trasformazione  dell'immobile  ed  acquisizione  dello stesso in capo
 alla pubblica amministrazione.
   Peraltro, il Tribunale  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 della norma in questione.
   Essa,  infatti,  disponendo  che  l'art.  5-bis del d.-l. 11 luglio
 1992, n. 333 si applichi "in tutti i casi  in  cui  non  sono  ancora
 stati   determinati   in   via   definitiva   il   prezzo,  l'entita'
 dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno", produce una indebita
 equiparazione di situazioni radicalmente  differenti,  raggruppandole
 sotto  il  comune  denominatore del quantum (indennizzo-risarcimento)
 spettante al soggetto il cui diritto dominicale e' stato  estinto  in
 concomitanza  con  la correlativa fattispecie acquisitiva maturata in
 favore della pubblica amministrazione.
   Se la giurisprudenza  ha  da  tempo  affermato,  con  un  indirizzo
 ripetutamente  ribadito,  che  la  Pubblica  Amministrazione la quale
 occupi,  ancorche'  in  difetto  dei  presupposti   legittimanti   la
 procedura  di esproprio, il suolo altrui, ne acquista la proprieta' a
 titolo originario con la radicale trasformazione  dell'immobile,  non
 puo'  dimenticarsi  che  tale  condotta  integra  gli  estremi  di un
 illecito,  a  fronte  del  quale  il  soggetto  privato  del  diritto
 dominicale puo' chiedere il risarcimento del danno.
   Dunque,  l'idoneita'  dell'opera  realizzata  sul  suolo  altrui al
 soddisfacimento di interessi pubblici (in violazione delle norme  che
 regolano  la  procedura  espropriativa), comporta l'acquisto a titolo
 originario del fondo in favore dell'amministrazione, ma non trasforma
 in attivita' lecita cio' che e' stato posto in essere contra legem.
   Di qui la conseguenza tratta dalla giurisprudenza, secondo  cui  il
 proprietario  il  cui  fondo  sia  stato  occupato  non puo' esperire
 l'azione di rivendicazione, ma ha il diritto di ottenere  l'integrale
 risarcimento del danno sofferto.
   Diversa  l'ipotesi in cui la proprieta' dell'immobile sia acquisita
 attraverso il procedimento ablatorio, nel rispetto delle garanzie  da
 esso  previste,  perche'  allora il diritto dominicale cede di fronte
 all'interesse pubblico, residuando unicamente la possibilita', per il
 soggetto espropriato, di ottenere l'indennizzo.
   Peraltro, con la disposizione normativa introdotta dal legislatore,
 viene meno qualunque distinzione tra l'indennita' di esproprio dovuta
 in  seguito  alla  legittima  ablazione del bene per fini pubblici, e
 l'obbligazione da illecito  aquiliano  scaturente  dalla  occupazione
 sine  titulo realizzata dalla p.a., poiche' in entrambe le ipotesi la
 somma dovuta dall'amministrazione viene determinata alla stregua  dei
 parametri di calcolo individuati dall'art. 5-bis gia' menzionato.
   Sembra  invece  doversi  ribadire  la  diversita'  tra l'indennita'
 espropriativa ed il risarcimento da illecito aquiliano ex  art.  2043
 c.c.,  poiche' mentre la prima costituisce il serio e congruo (ma non
 integrale) ristoro che la legge prevede in favore del privato  ablato
 nell'ambito  di  un  criterio di composizione di interessi pubblici e
 privati (con prevalenza di quelli che afferiscono alla comunita'), il
 secondo costituisce la conseguenza della illegittima  violazione  del
 diritto  dominicale,  al  di  fuori  degli  schemi  procedimentali di
 acquisizione di un bene per motivi di interesse pubblico,  e  postula
 dunque  la  corresponsione,  per equivalente, di una utilita' pari al
 valore venale dell'immobile.
   La stessa Corte regolatrice ha negato che la p.a. venisse  premiata
 dall'indirizzo   giurisprudenziale   consolidatosi   in   materia  di
 occupazione   acquisitiva,   facendo   leva   sull'argomento    della
 sostanziale  diversita'  tra  indennita'  di espropriazione, che "non
 rappresenta  una  integrale  riparazione  della  perdita  subita  dal
 proprietario, bensi' il massimo di contributo garantito all'interesse
 privato",  ed  il  risarcimento  del danno dovuto al proprietario del
 fondo arbitrariamente occupato, che "non potra' mai essere  inferiore
 al valore venale di esso" (cfr.  Cass. Sez. Un. n. 3940 del 10 giugno
 1988).
   Sembra   in   definitiva   doversi   dubitare   della  legittimita'
 costituzionale del comma sessantacinquesimo della  legge  finanziaria
 1996, sotto il profilo della indebita equiparazione che viene operata
 tra  il  proprietario  di bene radicalmente trasformato dalla p.a. in
 assenza di una legittima procedura di  esproprio  e  quello  di  bene
 espropriato (art. 3 della Costituzione).
   Tale  normativa  pare  anche porsi in contrasto con l'art. 42 della
 Costituzione, che prevede l'indennizzo (e dunque  un  serio,  ma  pur
 sempre  parziale ristoro) solamente per il caso di proprieta' privata
 assoggettata alla procedura di esproprio, e non anche  per  l'ipotesi
 di  ablazione  di  fatto  conseguente  ad illecito aquiliano commesso
 dalla pubblica amministrazione.
   Infine, la disposizione in questione suscita perplessita' anche  in
 ordine al rispetto dell'art. 97 della Costituzione, i cui principi di
 buon   andamento  ed  imparzialita'  della  pubblica  amministrazione
 impongono  l'attenta   e   prudente   valutazione   e   ponderazione,
 nell'esplicazione  delle  potesta'  pubblicistiche,  degli  interessi
 pubblici e privati coinvolti, anche attraverso l'ossequio alla  legge
 ed alle garanzie del procedimento amministrativo.
   Non  e'  chi  non  veda,  infatti, che l'estensione dell'art. 5-bis
 d.-l. 11 luglio 1992,  n.  333  anche  alle  ipotesi  di  occupazione
 appropriativa  della  p.a.  rischia di favorire appunto l'occupazione
 illegittima a discapito  dello  strumento  espropriativo,  eliminando
 l'ostacolo  costituito  dalle  piu'  onerose  conseguenze, per l'ente
 costruttore,  connesse  alla  occupazione sine titulo del bene per la
 realizzazione dell'opera pubblica.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata,  in  relazione
 agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione, la quetione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1, comma sessantacinquesimo della legge 28
 dicembre 1995, n. 549, modificativa del comma sesto dell'art.   5-bis
 d.-l.   11   luglio   1992,  n.  333,  nella  parte  in  cui  estende
 l'applicazione del predetto art. 5-bis 11 luglio 1992, n. 333 a tutti
 i casi  in  cui  non  e'  stato  determinato  in  via  definitiva  il
 risarcimento  del danno derivante dalla occupazione sine titulo della
 pubblica amministrazione per la realizzazione di opera pubblica;
   Per l'effetto, sospende il giudizio in corso;
   Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti    alla    Corte
 costituzionale;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia notificata, a cura della
 Cancelleria, alle parti in causa ed al Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
   Cosi'  deciso  in Sulmona, nella camera di consiglio del Tribunale,
 il 3 aprile 1996.
                      Il presidente: Bonavitacola
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