N. 21 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 agosto 1996
N. 21 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 1 agosto 1996 (del presidente della Camera dei deputati) Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (giudizio per) - Immunita' parlamentare - Dichiarazione del g.i.p. del tribunale di Roma in data 23 maggio 1996 di non applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione e di trasmissione alla Presidenza della Camera dei deputati degli atti di procedimento a carico degli ex deputati Bonafini Flavio e Tagini Paolo indagati in ordine ai reati di cui agli artt. 479 e 494 del cod. pen. per essersi attribuiti falsamente la qualifica e l'identita' di altri parlamentari assenti alla seduta della Camera dei deputati del 16 febbraio 1995 e successivamente, per la partecipazione alle operazioni di voto attestando falsamente la presenza e l'espressione di voto da parte di due deputati non presenti in aula - Asserita invasione della sfera di autonomia della Camera - Insindacabilita' da parte dell'a.g. dell'attivita' legislativa anche in relazione alla valutazione del comportamento dei parlamentari nel corso delle votazioni nonche' delle attivita' disciplinate dai regolamenti parlamentari. (Provvedimento del 23 maggio 1996, del tribunale, sezione g.i.p., ufficio 15 di Roma). (Cost., artt. 64 e 68, primo comma).(GU n.37 del 11-9-1996 )
Ricorre la Camera dei deputati in persona del Presidente on.le Luciano Violante in esecuzione di delibera dell'Ufficio di Presidenza del 25 giugno 1996 (doc. 2) e di delibera dell'Assemblea adottata nella seduta del 27 giugno 1996 (doc. 3) rapp.ta e difesa giusta mandato per notaio Paolo Castellini Roma in data 10 luglio 1996 n. 51323 dall'avv. Giuseppe Abbamonte insieme al quale elett.te domicilia in Roma alla via Proba Petronia n. 60 presso il dott. Giovanni Salazar per l'elevazione di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e 37 legge 11 marzo 1953 n. 87, nei confronti del Tribunale penale di Roma sezione giudice indagini preliminari ufficio 15 che, con provvedimento del 23 maggio 1996, su conforme richiesta del p.m., ha dichiarato la non applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione e la trasmissione alla Presidenza della Camera dei deputati degli atti del procedimento a carico degli ex deputati Bonafini Flavio e Tagini Paolo, indagati in ordine ai reati di cui agli artt. 479 e 494 c.p. perche', secondo la contestazione giudiziaria, in concorso con deputati assenti, si attribuivano falsamente, la qualifica e l'identita' di altri parlamentari nella partecipazione alla seduta della Camera dei deputati del 16 febbraio 1995 e, successivamente, partecipavano alle operazioni di voto attestando falsamente la presenza e l'espressione del voto da parte di due deputati non presenti in aula. In particolare, la Camera chiede: a) che sia dichiarata l'invasione di competenza da parte dell'autorita' giudiziaria nella sfera di autonomia garantita al Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni dall'art. 64 Cost; b) che sia annullata per incompetenza l'ordinanza del g.i.p. spettando in esclusiva al Parlamento l'esercizio della funzione legislativa, in particolare nella parte disciplinata dai regolamenti parlamentari e, conseguentemente, la valutazione dell'attivita' dei parlamentari anche agli effetti dell'art. 68 Cost.. F a t t o Riferisce il p.m. inquirente che con informativa dell'11 aprile 1995 i C.C. di Milano Porta Ticinese trasmettevano un esposto-denuncia di Miglino Francesco nel quale si riferiva in merito alle modalita' della votazione effettuata nella seduta della Camera dei deputati del 16 febbraio 1995 (doc. 4) nel corso della quale l'on. Taddei aveva segnalato che "due deputati della Lega nord avevano espresso quattro voti". Al fine di acquisire notizie utili alle indagini in ordine ai reati ipotizzabili (truffa e falso per induzione), il p.m. richiedeva in data 31 ottobre 1995 (doc. 5), alla Presidenza della Camera, elementi informativi sulla disciplina e modalita' di erogazione dell'indennita' giornaliera di presenza spettante ai deputati, sulla possibilita' di identificazione dei deputati assenti sulla base del posto di assegnazione, nonche' sull'oggetto e risultato della votazione al fine di procedere alla prova di resistenza. Con nota del 29 novembre 1995, diretta al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, il segretario generale della Camera dei deputati (doc. 5 a), richiamava l'insindacabilita' degli atti normativi delle Camere da parte di ogni altro potere dello Stato e ribadiva l'esclusiva competenza del Presidente della Camera in ordine alla regolarita' delle votazioni in Assemblea ai fini di un eventuale annullamento e ripetizione delle stesse; rilevava inoltre che l'attivita' legislativa non puo' sopportare di essere inficiata se non attraverso i poteri cotituzionalmente attribuiti al giudice delle leggi ed eccepiva che la contestazione del falso per induzione (e del reato di truffa direttamente connesso) presuppone l'accertamento dell'irregolarita' delle votazioni da parte di un organo diverso dalla Presidenza della Camera, in contrasto con i richiamati principi costituzionali. Nella stessa nota il Segretario generale della Camera, ribadita l'esclusiva competenza delle Camere circa l'accertamento dei presupposti per l'erogazione delle indennita' e diarie ai parlamentari secondo le norme interne della Camera, comunicava che - in attesa dell'approvazione di una nuova disciplina in materia - era stata disposta la sospensione delle ritenute per le assenze a partire dall'inizio del mese di febbraio 1995. La medesima nota concludeva affermando che l'investigazione, da parte dell'autorita' giudiziaria, sulla regolarita' delle votazioni della Camera e sui presupposti per l'erogazione delle indennita' parlamentari, costituiva uno straripamento nella sfera di attribuzioni propria dell'autonomia del Parlamento, invitando il p.m. a riconsiderare la questione. Ciononostante il p.m. proseguiva nella sua azione ed in data 19 febbraio 1996 il procedimento avviato contro ignoti veniva trasferito nel registro "R" con iscrizione dei nominativi di Bonafini Flavio e Tagini Paolo quali indagati in ordine ai reati di cui agli artt. 48 - 479 - 494 - 640 c.p. commesso in Roma il 16 febbraio 1995, con notizia di reato in data 19 dicembre 1995: nell'imputazione non si parlava piu' della truffa (cfr. docc. 6 e 7). Nella richiesta indirizzata al G.I. e pervenuta il 3 maggio 1996, il p.m. rivedeva la sua posizione in ordine alla prova di resistenza e manteneva l'imputazione per i delitti di falso e concludeva per la non applicabilita' dell'art. 68 della Costituzione (v. doc. 7). Nelle argomentazioni del p.m. oltre agli artt. 476 e 494 c.p. si richiamava anche l'art. 48 cp, che regola il caso dell'errore determinato dall'altrui inganno, stabilendo che del fatto commesso dalle persone ingannate risponde chi le ha determinate a commetterlo. Nelle ultime richieste del p.m. pervenute alla cancelleria del g.i.p. il 16 maggio 1996 (doc. 8) si dice, invece, che si procede ai sensi degli artt. 476 e 494 c.p. a carico di Bonafini Flavio e Tagini Paolo perche' si erano arrogati falsamente la qualifica e l'identita' di altri parlamentari nella seduta della Camera dei deputati del 16 febbraio 1995 ed avevano partecipato alle operazioni di voto attestando falsamente la presenza e la espressione del voto da parte di due deputati non presenti in aula. Il p.m. conclude per la non applicabilita' dell'art. 68 della Costituzione e la trasmissione degli atti alla Camera dei deputati. Essendo stata accolta detta richiesta con l'ordinanza del g.i.p. indicata nell'epigrafe del ricorso (doc. 6), si e' determinata, come meglio si dira' nei motivi che seguono, l'invasione nella sfera di autonomia della Camera che l'autorita' giudiziaria sottace, riferendosi non all'art. 64 della Costituzione che tutela detta sfera di autonomia, bensi' all'art. 68 che, secondo l'A.G., riguarderebbe la sola liberta' morale dei parlamentari. In queste condizioni, a sostegno del conflitto che con il presente atto la Camera solleva a tutela della propria sfera di attribuzioni, si deducono i seguenti M o t i v i I. - Violazione dell'art. 64 della Costituzione ed erronea applicazione dell'art. 68 nel testo modificato dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3. A) Il problema rilevante nella specie e' quello dell'autonomia delle Camere nell'esercizio delle proprie funzioni, normative ed operative garantita dall'art. 64 della Costituzione e non dall'art. 68 invocato dall'autorita' giudiziaria, dichiarandone la non applicabilita' e procedendo nell'azione penale. Infatti era avvenuto, come detto in narrativa, che il Presidente aveva accertato e dichiarato l'esito della votazione (cfr. doc. 4) sulla quale si sono avute, poi, le denunzie dell'on. Taddei e del sig. Miglino; sicche', per quanti sforzi dialettici si facciano, l'imputazione per falso comporterebbe, ove sfociasse in una condanna, l'accertamento della falsita' del verbale del 16 febbraio 1995 e l'art. 537 c.p.p. dispone che: "1. - La falsita' di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, e' dichiarata nel dispositivo. 2. - Con lo stesso dispositivo e' ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze e, se e' il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell'atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita. La cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non e' ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento". Ora, a parte il temperamento della seconda parte del secondo comma, rimane la dichiarazione della falsita' dell'atto a norma del primo comma. Falsita' che non si vede come possa conciliarsi con l'attestazione del Presidente e la validita' stessa dell'atto legislativo. In altri termini, sarebbe chiaramente lesa l'autonomia funzionale o, piu' semplicemente, operativa della Camera che, con giurisprudenza costante della Corte costituzionale e' stata affermata, proprio sulla base dell'art. 64 della Costituzione gia' nella sentenza della Corte costituzionale 9 marzo 1959 n. 9, che ha dichiarato che l'applicazione delle disposizioni del regolamento della Camera e del Senato non puo' formare oggetto di controllo esterno: nello stesso senso la giurisprudenza successiva (es. sent. 28 gennaio 1970 n. 9 e successive). Ora la votazione di un disegno di legge e' materia disciplinata dai regolamenti parlamentari, per testuale disposto dell'art. 72 Cost. in cui e' detto che "ogni disegno di legge presentato in una Camera e' secondo le norme del suo regolamento esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa che l'approva articolo per articolo e con votazione finale". Ed il regolamento delle Camere disciplina in modo tendenzialmente completo le votazioni (v. art. 49 ss.) sicche', in primo luogo, in caso di lacune vige il principio dell'autointegrazione del regolamento, sia perche' espressione di un ordinamento autonomo, sia perche' tende ad esaurire la materia delle votazioni in esecuzione dell'art. 72 della Costituzione. Per quanto riguarda, poi, le irregolarita' delle votazioni spetta al Presidente, a norma dell'art. 57 (nonche' 2 ed 8) del regolamento, apprezzarne le circostanze ed annullare, eventualmente, la votazione, disponendo che sia rinnovata. Spetta, poi, sempre allo stesso Presidente proclamare il risultato della votazione con una formula tipica - la Camera approva o la Camera respinge - proclamazione che, nello stesso tempo, e' rilevazione e certificazione dei risultati, che vengono espressi, si ripete, con formula tipica e nell'esercizio di una competenza esclusiva attribuita da un tipo di regolamento, quello parlamentare, al quale la Costituzione riconosce la valenza di norma idonea a disciplinare, in esclusiva, il procedimento di formazione delle leggi per quanto non regolato dalla Costituzione; sicche', nella materia di detto procedimento non esiste altra fonte se non la Costituzione ed il regolamento parlamentare, con esclusione di qualsiasi altro tipo di intervento. La stessa Corte costituzionale puo' intervenire unicamente per le parti del procedimento legislativo oggetto di norme costituzionali e non pure per le materie regolate e disciplinate dai regolamenti parlamentari (Corte costituzionale 9 luglio 1959 n. 9). Ne', stante la fonte di legittimazione dei regolamenti parlamentari, sono ammesse questioni di legittimita' degli stessi (Corte costituzionale 23 maggio 1985 n. 154) o disapplicazione da parte del g.o. (Cass. 23 aprile 1986 n. 2861). B) Cio' in coerenza con il concetto stesso di autonomia che e' la potesta' di darsi le proprie regole formando il proprio ordinamento ed operando all'interno dello stesso; con la precisazione che, per quel che riguarda le Camere, l'investitura dei componenti deriva dal popolo detentore della sovranita' e l'attribuzione della potesta' regolamentare e' nella Costituzione, sicche' i rappresentanti del popolo si danno le norme per l'esercizio delle loro funzioni disciplinandone procedure e controlli, con il solo limite delle norme costituzionali per quanto direttamente regolino le procedure e condizionino i contenuti; e l'osservanza delle norme costituzionali e' garantita dalla Corte costituzionale (art. 134 Cost.) la quale, a sua volta, ha precisato che "spetta alla Camera di appartenenza del parlamentare di valutare le condizioni di insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., in quanto le prerogative parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo di controllo a tutela del quale sono disposte (Corte cost.: 16 dicembre 1993 n. 443; 24 aprile 1996 n. 129). La vicenda attuale evidenzia, per quanto si e' detto e si dira', che questa competenza riconosciuta alla Camera di appartenenza deve comprendere anche il modus procedendi del parlamentare, se si vuole tutelare la funzione del Parlamento cui, in definitiva, si riconnettono le prerogative dei suoi componenti. Su queste premesse sembra ovvio doversi negare il sindacato giudiziario sui fatti che avvengono nell'esercizio delle funzioni della Camera per quanto disciplinate dal relativo regolamento, cui rinviano precise norme costituzionali che hanno recepito, per quanto escludono il controllo dall'esterno, la tradizione degli interna corporis. Tradizione che, intesa in termini attuali, significa garanzia di indiscutibilita' all'esterno delle procedure parlamentari, per quanto non regolate dalla Costituzione, con il non indifferente vantaggio di garantire alle assemblee politiche una sfera di insindacabilita', che non riguarda il prodotto normativo sempre assoggettato al sindacato di costituzionalita' bensi' l'esercizio della funzione, nel suo farsi che, non senza grave pericolo e per l'ordine giuridico e per gli equilibri politici, sarebbe sottoposto alle norme dell'ordinamento generale. Le norme dell'ordinamento generale regolano infatti realta' del tutto diverse, nelle motivazioni, nei comportamenti e nei fini e, soprattutto, nell'incidenza, dato che per ogni soggetto di diritto e' possibile, di regola, limitare gli effetti della sua azione alla sfera individuale; non altrettanto accadrebbe, invece, applicando le stesse regole elaborate per disciplinare il comportamento dei singoli sulla base delle motivazioni che li sorreggono e degli effetti che producono, allo svolgimento della vita delle assemblee politiche, che hanno altre motivazioni e dove ognuno dei parlamentari si rivolge nell'esercizio della sua funzione, anzitutto al pubblico e tende a produrre effetti nella sfera della politica, sicche' i relativi comportamenti debbono essere apprezzati secondo le piu' ampie motivazioni che li determinano ed i diffusi effetti che possono produrre. Con la conseguenza che il diritto che deriva dai regolamenti parlamentari costituisce un regime speciale per gli atti ed i comportamenti che regola: atti e comportamenti non assimilabili a quelli che si verificano nell'ambito dell'ordinamento generale ne' nelle motivazioni ne' negli effetti anche se, sotto certi aspetti, si possono cogliere simiglianze di azioni, che pero', subito, si caratterizzano come diversita' se considerate nelle motivazioni e nei fini tanto che non sarebbe agevole ravvisarvi figure tipiche di reato se non rifugiandosi nella materialita' del fatto. C) E c'e' di piu' perche' per casi del tipo di quelli per il quale il p.m. pretende di procedere non mancano precedenti parlamentari ed in proposito la discussione che e' sorta e' stata orientata nel senso della modifica degli artt. 59 e 60 del regolamento, concernenti l'ordine delle sedute e l'irrogazione di sanzioni disciplinari "al fine di introdurre previsioni che tengano specificamente conto delle nuove modalita' di votazione e consentano di sanzionare piu' severamente ogni irregolarita' (v. verbale dell'ufficio di presidenza del 23 settembre 1993 in Bollettino degli organi collegiali n. 15 del 25 novembre 1993 esibito a doc. 9) e la sanzione adottata a carico di un deputato che aveva votato due volte e' stata la deplorazione (doc. 9 cit.); sicche' si e' rimasti nei limiti delle sanzioni previste dall'ordinamento della Camera. Nello stesso senso sono i precedenti a carico di altro deputato ripreso da una telecamera mentre votava al posto di colleghi (doc. 10). Si e' rimasti, cioe', nei limiti dell'ordinamento autonomo e delle sanzioni relative appunto perche' si tratta di materia disciplinata dal regolamento della Camera ed attinente alle votazioni, comprese, quindi, nella sfera di autonomia tutelata dall'art. 64 Cost., sulla base delle motivazioni storiche e tecniche che si e' cercato di riassumere. E si e' gia' accennato e si ritornera' sul punto, ai distruttivi inconvenienti che si verificherebbero ricorrendo al sistema penale per sanzionare il c.d. doppio voto che facilmente diventerebbe strumento per invalidare, magari a distanza di molto tempo, leggi in vigore, ad opera dei parlamentari che fossero riusciti ad inquinare con il doppio voto la procedura di approvazione, proprio per farla cadere. II. - Violazione degli artt. 64 e 68 della Costituzione sotto diversi profili. A) La vicenda sottoposta all'esame della Corte evidenzia un comportamento piu' che perplesso dell'autorita' giudiziaria che via via si diversifica in senso riduttivo. L'a.g. infatti e' partita da una imputazione per falso e truffa con richiesta dell'esito della votazione, per poter fare la prova di resistenza, secondo la prima missiva del dr. Fuzio (doc. 5); vi e' poi l'imputazione di falso elevata a carico di Bonafini e Tagini il 19 febbraio 1996 in cui si contestava anche il falso per induzione (vedi pag. 2 delle richieste pervenute il 3 maggio 1995 al g.i.p., doc. 7 in cui, pero', si esclude la prova di resistenza e la truffa); infine non si parla piu' del falso per induzione (v. le stesse richieste a doc. 7 nonche' la nota del p.m. del 16 maggio 1996 a doc. 8). Evidentemente l'a.g. si e' preoccupata delle indicazioni fornite nel corso del processo nel senso dell'autonomia della Camera e conclude dichiarando l'inapplicabilita' dell'art. 68 unicamente per i reati di falso a carico dei due ex deputati. Ma queste restrizioni successive delle proprie richieste sono controproducenti perche', da un lato, evidenziano le perplessita' di chi procede e, dall'altro, dimenticano che il falso contestato si pone in netta antitesi con l'attestazione e la proclamazione dei risultati della votazione compiuta dal Presidente della Camera e, se accertato in sede penale, comporta per legge la dichiarazione della falsita' del documento che non si concilia con la validita' dell'atto legislativo e la competenza della Corte costituzionale in materia (artt. 537, primo comma c.p.p. e 134 Cost.). B) D'altronde la dichiarata inapplicabilita' dell'art. 68 non solo viola l'art. 64 come detto sin qui ma, in se stessa, non ha base nella lettera dell'art. 68 e neppure nella sua funzione, se rapportata non solo alla garanzia della liberta' del parlamentare ed alla immunita' da sanzioni, ma anche alle condizioni in cui si svolge la funzione stessa, in nessun momento scindibile dalla provenienza di coloro che la esercitano e dalle motivazioni che ne determinano i comportamenti; art. 68 che, d'altronde, non puo' essere invocato, come ha fatto il g.i.p. ignorando l'art. 64 che tutela l'organo nel suo complesso e la funzione ad esso affidata dall'art. 70 con le relative modalita' ex art. 72. Visione coordinata di norme, necessaria per coglierne il pieno significato dell'attivita' del Parlamento e che consente di qualificare asistematico ed antistorico il richiamo isolato di una di esse, per perseguire il comportamento del parlamentare, incidente nel procedimento legislativo. Non e' percio' accettabile la posizione dell'a.g. che intende procedere dichiarando l'inapplicabilita' dell'art. 68, quando, poi, tra l'altro, procedendo, invade il potere di autocontrollo delle Camere nell'applicazione dei propri regolamenti, interferisce nel potere sanzionatorio delle stesse verso i rispettivi componenti e mette in moto un procedimento che puo' avere le conseguenze previste dal gia' ricordato art. 537. C) Ma c'e' di piu' perche' se la tutela dell'autonomia nella formazione e nell'applicazione del regolamento e l'insindacabilita' del voto e dei procedimenti disciplinati dai regolamenti parlamentari, impedisce che il parlamentare possa andare oltre gli effetti dell'opposizione in Parlamento, assumendo comportamenti che, secondo l'ordinamento generale, possono invalidare l'attivita' compiuta dal Parlamento, il richiamo all'obbligatorieta dell'azione penale mostra tutti i suoi limiti, perche' e' proprio il sistema penale che puo' essere, se esercitato, strumentalizzato al fine politico di invalidare l'attivita' del Parlamento, tutte le volte che questa sia sgradita a minoranze spregiudicate ma determinate nel perseguire il loro disegno. E qui torna utile ricordare che non poche volte le minoranze attive hanno potuto, in vari modi, avere il sopravvento contro indirizzi maggioritari legittimamente e faticosamente elaborati. D) Certo il risultato sin qui raggiunto ha sapore di forte agrume per il giurista abituato alla sovranita' dell'ordinamento generale, all'indefettibilita' della tutela penale, alla subordinazione degli ordinamenti derivati. Ma e' proprio a questo punto che si raggiunge la chiarificazione perche', quando si pone il problema dell'autonomia delle Camere nella formazione ed applicazione dei rispettivi regolamenti, meglio si direbbe nell'esercizio del loro mandato non si e' in presenza di un ordinamento derivato bensi' di una componente essenziale dell'ordinamento statale in cui la politica prende forma in atti capaci di imporsi alla generalita': processo questo che puo' essere disciplinato solo da quelle regole che, attraverso lunghe esperienze, si sono formate, rispondendo alla necessita' del costituzionalismo moderno di esprimere un ordinamento democraticamente formato sempre diveniente, secondo le istanze delle comunita' rappresentate. Che l'azione penale sia obbligatoria secondo l'art. 112 della Costituzione significa solo che in una costituzione lunga come e' la nostra, si e' voluta garantire nell'ambito dell'ordinamento generale la certezza della pena. Ma, a parte che non si tratta di un potere-dovere incondizionato del p.m., il fatto stesso che detto potere-dovere e' previsto nella Costituzione, impone - secondo il principio della coerenza intrinseca di ogni tipo di ordinamento, a cominciare dall'ordinamento costituzionale - che l'obbligatorieta' dell'azione penale non comporti la rottura di fondamentali equilibri e l'obliterazione di caratteristiche fondamentali di altre funzioni. In particolare, le funzioni parlamentari sono previste e regolate dalla stessa Costituzione, tenendo conto della provenieza dei soggetti operatori, delle esperienze storiche maturate, della conseguente necessita' di affermare certe prerogative, che sarebbe erroneo costruire come privilegi, corrispondendo esse ad esigenze che non e' improprio definire ambientali ed alle quali non potrebbe darsi altra risposta, come si e' cercato di dimostrare nelle considerazioni sin qui svolte. Le norme dell'ordinamento generale sono inidonee a comprendere la politica mentre si fa norma giuridica ed ogni invasione e' controproducente, proprio sul piano dell'ordinamento giuridico, per quanto e' destinato a garantire il bene, irrinunciabile in democrazia, del funzionamento del sistema politico secondo gli orientamenti di base. Gli organi rappresentativi debbono potersi autogovernare ed autocontrollare sotto gli occhi dei loro mandanti e le sanzioni parlamentari valgono anche a richiamare l'attenzione dell'elettorato sui comportamenti dei parlamentari serbandone la memoria per l'avvenire.
P. Q. M. Si chiede che piaccia a codesta Corte dichiarare: a) che spetta eslusivamente alla Camera dei deputati, ai sensi degli artt. 64 e 68 della costituzione esercitare insindacabilmente l'attivita' legislativa anche per quanto concerne la valutazione del comportamento dei parlamentari nel corso delle votazioni; b) che, in particolare, sono sottratte ad ogni sindacato dell'autorita' giudiziaria le attivita' disciplinate dai regolamenti parlamentari e le vicende in cui si concretano lo svolgimento delle votazioni e l'accertamento e la proclamazione dei relativi risultati. Conseguentemente, si chiede che la Corte annulli perche' viziata per incompetenza assoluta l'ordinanza del g.i.p. del Tribunale penale di Roma sezione giudice indagini preliminari ufficio 15 in data 23 maggio 1996 emanata su conforme richiesta del p.m., annullando, per quanto possa occorrere, anche le richieste di detto p.m. in ordine alla pretesa inapplicabilita' dell'art. 68, riaffermando la competenza esclusiva della Camera a pronunciarsi in proposito. Roma, addi' 10 luglio 1996 (firma illeggibile) 96C1316