N. 974 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 maggio 1996
N. 974 Ordinanza emessa il 23 maggio 1996 dal pretore di Salerno, sezione distaccata di Eboli nel procedimento civile vertente tra Sepe Angelo e il prefetto di Salerno Circolazione stradale - Infrazione al nuovo codice della strada - Ricorso al prefetto - Previsione di un raddoppio della pena minima edittale, nel caso di mancato accoglimento - Ritenuta impossibilita', alla stregua del diritto vivente, per il giudice dell'opposizione all'ingiunzione prefettizia, di stabilire una sanzione in misura inferiore rispetto a quella gia' irrogata dall'autorita' amministrativa - Violazione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza con discriminazione dei meno abbienti - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 67/1994. (Nuovo codice della strada, art. 204, primo comma). (Cost., artt. 3 e 24, primo e secondo comma).(GU n.41 del 9-10-1996 )
IL PRETORE Visto il ricorso in opposizione ad ordinanza-ingiunzione depositato il 20 dicembre 1995 ed avanzato nell'interesse di Sepe Angelo; Letto il dispositivo della sentenza non definitiva emessa all'esito del presente giudizio all'udienza di discussione del 23 maggio 1996, con la quale veniva rigettato il motivo principale dell'opposizione con il quale era stato invocato l'annullamento dell'impugnata-ordinanza-ingiunzione; Considerato che, a seguito di tale pronuncia, questo pretore si sarebbe dovuto pronunciare sulla richiesta di riduzione della sanzione, quale istanza formulata in via gradata; Rilevato che il ricorrente ha insistito, per il caso di mancato accoglimento del predetto motivo principale, per l'anzidetta riduzione della sanzione inferta dal prefetto; Considerato che, sussistendo dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 204, comma primo, del decreto legislativo n. 285/1992, nella parte in cui impone al prefetto di ingiungere il pagamento di una somma determinata nella misura non inferiore al doppio del minimo, e' stata disposta la prosecuzione del giudizio limitatamente alla cognizione della richiesta avanzata dall'opponente in via subordinata, a cui e' finalizzata la presente ordinanza; Ritenuto, invero, che, nonostante la Corte costituzionale abbia gia' precedentemente respinto la questione di cui al citato art. 204, comma primo, C.d.S. 1992, sussistono, ad avviso di questo pretore, le condizioni per riproporla anche alla luce delle argomentazioni addotte dallo stesso giudice delle leggi. O s s e r v a La Corte costituzionale, indubbiamente, sotto una prospettiva di ordine generale, nell'ordinanza n. 67 del 1994, ha preso le mosse da una corretta impostazione laddove ha ritenuto che il giudice rimettente era partito da una inesatta premessa ritenendo di essere - nella fase oppositiva giurisdizionale - a sua volta limitato, nella determinazione della misura della sanzione pecuniaria, al livello minimo che la norma impugnata (art. 204 C.d.S. 1992) impone al prefetto (il doppio del minimo della misura edittale), potendo, invece, in ipotesi, per il richiamo (circa l'azionabilita' del rimedio giurisdizionale) all'art. 205, comma tre, superarsi tale ostacolo facendo concreta applicazione del disposto dell'art. 23, terz'ultimo comma, della legge n. 689/1981 il quale, conferisce (eccezionalmente) al giudice ordinario anche il sindacato sulla determinazione, sul piano pratico ed effettivo, della misura della sanzione, in melius rispetto alla posizione del trasgressore opponente, ovvero riducendola rispetto a quella irrogata dalla p.a. Non sembra, pero', che il giudice delle leggi abbia tenuto conto, nell'operazione interpretativa adeguatrice, dell'inapplicabilita' (nella sostanza e sul piano tecnico giuridico) di tale opzione ermeneutica da parte dei giudici di merito, alla stregua del "diritto vivente" (al quale pure spesso si ispirano i giudici della Consulta) relativo alla disposizione innanzi indicata dell'art. 23, terz'ultimo comma, della legge n. 689/1981, che, di fatto, crea ugualmente una compressione del diritto di difesa dell'opponente e, per tale via, una lesione del valore contenuto nell'art. 24 della Carta fondamentale. Ed infatti, ancorche' il giudice delle leggi abbia riconosciuto al giudicedell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione, apparentemente incondizionatamente - il potere di determinare l'ammontare della sanzione compiendo una valutazione complessiva delle risultanze processuali e ricorrendo agli stessi parametri enucleati nell'art. 195, comma secondo, C.d.S. 1992, non pare, pero', che sia stato affrontato in concreto il problema - emergente dal c.d. "diritto vivente" - circa l'individuazione dei limiti che, di fatto, condizionano l'esercitabilita' di tale potere. Invero la soluzione interpretativa offerta dalla Corte costituzionale con l'ordinanza 24 febbraio 1994, n. 67, sembra fondarsi sul presupposto secondo cui la modifica della sanzione amministrativa sia rimessa alla piena discrezione del giudice dell'opposizione ed al riesame che egli possa autonomamente compiere della fattispecie sottoposta al suo vaglio nella fase giurisdizionale intentata ai sensi dell'art. 22 della legge n. 689/1981. Senonche', sulla scorta del reiterato e sostanzialmente consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimita' (ma anche dei giudici di merito), deve ritenrersi che, sul piano applicativo della disposizione - e percio', in base alla evoluzione del menzionato "diritto vivente - il potere di modificazione in senso riduttivo della sanzione (ovvero in senso favorevole all'opponente, restando, in ogni caso, preclusa ogni possibilita' di aggravamento della misura della sanzione, anche allorquando la p.a. opposta, costituendosi in giudizio, ne facesse domanda o ne facesse osservare al giudice solamente l'opportunita') puo' trovare concretamente modo di operare soltanto in conseguenza di un accertamento dell'illegittimo uso, da parte dell'amministrazione irrogante, dei criteri indicati nell'art. 11 (ovvero in disposizioni speciali, come appunto l'art. 195, comma secondo, C.d.S. 1992) ai fini dell'esercizio del potere determinativo della sanzione. Coerentemente con tale impostazione di fondo, rispettosa del confine tra la sfera di azione della p.a. e l'esplicazione del potere eccezionale di interferenza del giudice sull'attivita' riconducibile alla potesta' sanzionatoria della stessa p.a., la dottrina assolutamente prevalente ha osservato che per la concretizzazione del riferito potere dell'autorita' giudiziaria ordinaria, dovra' essere dimostrato al giudicante che la sanzione e' stata applicata in misura non consentita dalla legge o in misura erronea rispetto alle peculiarita' della fattispecie; e, soltanto dopo aver compiuto in positivo tali accertamenti. egli dovra' (rectius: avra' la legittimazione a) prendere i provvedimenti che ne conseguono in ordine alla misura della sanzione stessa: Sempre la dottrina, sull'onda dei risultati ormai pacifici acquisiti nell'evoluzione giurisprudenziale, ha sottolineato che, in merito al discorso in atto, non puo' trascurarsi che l'opposizione da' ingresso ad un procedimento di cognizione finalizzato all'accertamento della legittimita' e della fondatezza della pretesa punitiva della p.a.; ed in tale contesto l'intervento del giudice deve pur sempre essere ricollegato al sindacato di legittimita', piuttosto che a poteri di sindacato dell'opportunita' del provvedimento amministrativo-sanzionatorio (ordinanza-ingiunzione). Non va, sul punto, dimenticato che la stessa relazione ministeriale al progetto di legge n. 689/1981), adottata nel 1977, riconosce e prende atto che la Costituzione non consentiva, e non consente, al giudice ordinario di sostituire la propria valutazione in merito a quella compiuta dall'amministrazione; pertanto riconduceva, in tal senso, giustificandola, l'innovazione proposta nel binario di un intervento conseguente all'illegittimita' del provvedimento anziche' all'apprezzamento di esso. Ma v'e' di piu'. L'art. 113, ultimo comma, della Costituzione demanda alla legge ordinaria di indicare quale organo giurisdizionale possa annullare l'atto amministrativo ma non prevede pure la possibilita' che venga conferita all'A.G.O. una forma di controllo che si diversifichi da quella dell'annullamento. Cio' nonostante venne inserita nell'art. 23, comma undicesimo, della legge n. 689/1981 la disposizione eccezionale che attribuiva al giudice ordinario il potere di incidere, in sede di opposizione, sul quantum della sanzione, ma questo, per fugare ogni rilievo di ordine costituzionale, fu possibile sull'implicito presupposto che ne venisse offerta un'interpretazione (appunto compatibile con il citato parametro della Carta fondamentale) in base alla quale rimaneva in ogni caso escluso che il giudice ordinario potesse sostituire "discrezionalmente" la propria valutazione di merito a quella dell'organo amministrativo per legge legittimato all'esercizio della potesta' sanzionatoria. Sulla base di tale inquadramento coerente sotto il profilo del coordinamento sistematico si e' sviluppato il costante insegnamento della Cassazione, in virtu' del quale e' stato affermato che rientra nel sindacato del giudice ordinario in sede di opposizione a ordinanza-ingiunzione, il controllo di legittimita', anche sul punto relativo all'esistenza e alla correttezza della motivazione circa i criteri osservati in funzione della determinazione della sanzione; ha, pero', univocamente chiarito, in proposito, che attiene al merito - onde sfugge al controllo dell'A.G.O. - la verifica dell'adeguatezza della sanzione, cioe' della sua congruita' rispetto al disvalore intrinseco dell'infrazione addebitata, mentre inserisce alla legittimita' del provvedimento amministrativo - e, per tale verso, rientra nella cognizione devoluta al giudice ordinario - la verifica dell'esistenza di una motivazione sufficiente a dar conto delle ragioni in forza delle quali l'autorita' amministrativa abbia determinato l'ammontare concreto della sanzione (v., sotto il regime della precedente legge depenalizzatrice, Cassazione 24 febbraio 1978, n. 926; Cassazione 27 ottobre 1978, n. 4892; Cassazione ss. uu. civ. 3 aprile 1980, n. 2151 e Cassazione ss. uu. civ. 12 aprile 1980, n. 2323; cfr., altresi', per le applicazioni pratiche riferibili alla legge 24 novembre 1981, n. 689, Cassazione 22 febbraio 1989, n. 998; Cassazione ss. uu. civ. 3 febbraio 1989, n. 659; Cassazione 30 novembre 1985, n. 5984; Cassazione ss. uu. civ. 16 febbraio 1984, n. 1133). In definitiva, alla stregua dei risultati scaturenti dall'evoluzione della giurisprudenza, si deve escludere che al giudice dell'opposizione a ordinanza-ingiunzione siano conferibili poteri discrezionali di rideterminare in modo nuovo ed autonomo la sanzione, in completa sostituzione degli organi amministrativi competenti; rientra, invece, nella sfera di giurisdizione attribuita al giudice ordinario la verifica del rispetto, da parte dell'autorita' amministrativa, dei limiti massimo e minimo fissati dalla legge per la sanzione, nonche' l'esame della conformita' a legge dei criteti giuridici in base ai quali la quantificazione concreta della sanzione risultata operata (cfr., ancora in tal senso, la citata Cass. ss. uu. civ. 16 febbraio 1984, n. 1137 e Cass. ss. uu. civ. 3 febbraio 1989, n. 659). Alla luce di quanto innanzi, pare emergere che l'interpretazione "adeguatrice" data dalla Corte costituzionale nella decisione n. 67 del 1994 (ribadita nella sentenza n. 336 dello stesso anno) viene a scontrarsi con il "diritto vivente", in quanto, per le limitazioni evidenziate e per la circoscrizione del potere di incidenza dell'A.G.O. sull'aspetto della determinazione quantitativa della sanzione in fase oppositiva, i giudici di merito vengono a trovarsi nella sostanziale impossibilita' di applicarla, vivendo appunto la disposizione che si intende impugnare in senso diverso, a livello interpretativo, rispetto agli auspici contenuti nella statuizione predetta dei giudici della Consulta. In altri termini, nel momento in cui il giudice dell'opposizione, verificando che la p.a. opposta ha irrogato la sanzione nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione ai sensi dell'art. 204, comma primo, C.d.S. 1992 e che essa - trattandosi di una soglia minima predeterminata per legge - non e' tenuta a dare contezza, sul piano della motivazione, di tale quantificazione (insorgendo un tale obbligo, in relazione ai parametri trasparenti dell'art. 195, comma secondo, C.d.S: 1992, soltanto quanto intende irrogare una misura superiore al doppio del minimo), esso giudice, proprio in relazione al richiamo che si pone all'art. 23 della legge n. 689/1991, nel successivo art. 205, comma terzo, C.d.S. cit. (e, quindi, al "diritto vivente" sviluppatosi intorno al suo undicesimo comma, nei sensi anteriormente svolti), verrebbe a trovarsi nella impossibilita' pratica di esercitare il potere di riduzione della sanzione, non ricorrendone i presupposti evidenziati, proprio perche' dovrebbe limitarsi a constatare il rispetto dell'irrogazione del limite minimo fissato dalla legge (equivalente al doppio del minimo edittale) e l'irrilevanza dell'omissione della motivazione - ovvero la sua non producibilita' del conseguente azionamento del potere modificativo da parte del giudice - proprio in dipendenza dell'applicazione del minimo consentito dalla legge. A quest'ultimo proposito la Cassazione ha, invero, stabilito che, in tema di sanzioni amministrative, il provvedimento che determini la sanzione pecuniaria in misura corrispondente al minimo previsto dalla legge applicata non richiede una specifica motivazione in rapporto all'impiego dei criteri di applicazione delle sanzioni contemplati nell'art. 11 della legge n. 689/1981 (o in altre norme speciali) (cfr. Cass. 17 marzo 1989, n. 1316). E questo configurerebbe il sistema di chiusura (proprio in virtu' del riferito richiamo all'art. 205, comma terzo, C.d.S. 1992) che, pur in difetto di espresse norme specificamente limitatrici del nuovo codice della strada, consentirebbe al giudice dell'esecuzione di esercitare il suo potere di modificazione della sanzione in melius nel momento in cui la p.a. si attenga al minimo precostituito per legge rappresentato dal "doppio del minimo edittale per ogni singola violazione" cosi' come imposto dall'art. 204, comma primo, C.d.S. 1992. Cio' posto, pare a questo giudicante, che ci si imbatte nella violazione dell'art. 24 della Costituzione, perche' la disposizione appena citata ex art. 204, comma primo, C.d.S. 1992 si connoterebbe come un "deterrente" alla proposizione del ricorso amministrativo da parte del trasgressore ai sensi dell'art. 203, comma primo, cit. C.d.S. proprio per le conseguenze peggiorative, sul piano sanzionatorio, di cui la sua sfera giuridica verrebbe a risentire in ipotesi di rigetto dell'impugnativa all'interno del procedimento amministrativo, che, invero, imporrebbe, in via automatica, (e senza alcuna indispensabilita' di addurre idonea motivazione), l'applicazione di una sanzione nella misura non inferiore al doppio di quanto e' ammesso con il pagamento in misura ridotta ex art. 202 cit. C.d.s. 1992. Inoltre - ed e' questo il profilo innovativo rispetto alle precedenti questioni sollevate dai giudici di merito rimettenti - tale inflizione vessatoria della sanzione nella misura predeterminata del doppio del minimo, per le ragioni ampliamente spiegate, non sarebbe modificabile in melius da parte del giudice dell'opzione, (come, invece, implica l'opzione interpretativa offerta dalla Consulta nell'ord,. cit. n. 67 del 1994), il quale, avendo controllato che la p.a. si e' attenuta al rispetto del limite minimo fissato dalla legge (senza la necessita' dell'osservanza dell'obbliho di un'adeguata motivazione), non potrebbe (rectius: sarebbe impossibilitato a) - per gli esiti interpretativi desumibili dal piu' volte citato "diritto vivente" - valutare direttamente la congruita' della sanzione, ne' potrebbe sostituire una sua pronuncia alle determinazioni dell'autorita' amministrativa, risolvendosi diversamente, in presenza dei riferiti presupposti, una contraria condotta del giudice in un'inammissibile ed illegittima esplicazione di un non consentito potere discrezionale di rideterminare in modo nuovo ed autonomo la sanzione, in completa sostituzione della p.a. competente e legittimata per legge. Tanto comporta la violazione del diritto di difesa in giudizio del trasgressore che - se l'ordinanza non dovesse essere annullata in toto in sede, appunto giudiziale -, pure avendola invocata, non potrebbe ottenere la riduzione della sanzione qualora applicata nella misura del doppio del minimo ex art. 204, comma primo. C.d.S. 1992, onde la questione nei termini innanzi specificati, si prospetta come non manifestatamente infondata in relazione all'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione. Peraltro pare potersi affermare che la medesima disposizione di cui al cit. art. 204, comma primo, C.d.S. 1992 collida - come gia' rilevato da altro giudice di merito (v. ord, pret. Lanciano su cui la Corte costituzionale si e' pronunciata con la sentenza 27 luglio 1994, n. 366) con il parametro del principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3 della Costituzione, laddove sembrerebbe comportare che soltanto chi si trova in piu' agiate condizioni economiche puo' "rischiare" di intraprendere il percorso dell'opposizione in via giurisdizionale, proponendo, preventivamente, un ricorso amministrativo, destinato, ove respinto, a determinare l'irrogazione, da parte della p.a., del doppio del minimo della sanzione, onde si verrebbe a concretare una discriminazione dei meno abbienti rispetto a chi versa in considerevoli condizioni economiche. Ne' sembra che questa interpretazione sia superabile in virtu' della considerazione secondo la quale l'ostacolo sarebbe travalicabile azionando, avverso il verbale di accertamento immediatamente la tutela giudiziaria senza passare attraverso il preventivo esperimento del ricorso amministrativo, al cui esito, in difetto di accoglimento dell'istanza di archiviazione, conseguirebbe ineluttabilmente l'applicazione del doppio del minimo edittale. Infatti, nell'ordine logico-sistematico delle disposizioni di cui agli artt. 203, 204 e 205 del C.d.S. 1992 (cosi' come vigenti con riguardo alla fattispecie in oggetto al momento della proposizione del ricorso) non sembrava che si potesse prescindere, ai fini dell'instaurazione della fase oppositiva in sede giudiziaria, dalla pregiudiziale definizione del procedimento amministrativo culminante nell'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione prefettizia, cosi' come era reso palese dalla struttura della norma di cui all'art. 205 cit. e del richiamo, contenuto in quest'ultima disposizione, agli artt. 22 e 23 della legge n. 689/1981, nei quali si parla di opposizione "contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento" e di possibilita' di annullamento in tutto o in parte dell'ordinanza ovvero della sua modificazione anche limitatamente all'entita' della sanzione dovuta (cfr., anche, Cass. civ. 29 dicembre 1989, n. 5820; Cass. civ. 29 aprile 1988, n. 3235 e, per riferimenti di giurisprudenza costituzionale, Corte costituzionale n. 186 del 1972, n. 130 del 1970 e n. 82 del 1992). Peraltro la modifica dello stesso art. 205 del decreto legislativo n. 285/1992 intervenuta recentissimamente con l'art. 1 del d.-l. 17 maggio 1996, n. 270 (in Gazzetta Ufficiale 18 maggio 1996) con il quale e' stata prevista l'alternativita' dell'opposizione giudiziale diretta avverso il verbale di accertamento con quella preventiva in sede amministrativa, salva - in quest'ultimo caso - la successiva opposizione al pretore, in caso di emanazione dell'ordinanza-ingiunzione, rende ancora piu' evidente - per disparita' di trattamento - l'illegittimita' e l'irragionevolezza della conservazione della previsione di cui all'art. 204, comma primo, C.d.S. 1992 nella parte in cui e' contemplata l'obbligatorieta', da parte del prefetto, dell'irrogazione di una sanzione non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione (sembrando, ad un primo impatto interpretativo, che la determinazione della sanzione applicabile, di cui al novellato art. 205, comma primo, sia demandata al giudice dell'opposizione soltanto nel caso di impugnazione immediata del verbale di accertamento, in ipotesi di suo mancato accoglimento, difettando - in tale iter procedimentale - il filtro della valutazione dell'autorita' amministrativa, mentre pare che nell'ipotesi di emissione dell'ordinanza-ingiunzione, ai fini della riduzione della sanzione medesima, debbano tenersi comunque presenti i limiti preclusivi precedentemente evidenziati). Pertanto la questione, per gli accennati motivi, si profila come non manifestamente infondata anche in riferimento al valore enucleato nell'art. 3 della Carta fondamentale. La complessiva questione incidentale di costituzionalita' appare chiaramente rilevante nel presente giudizio, poiche' l'esito di quest'ultimo e', all'evidenza, dipendente dalla risoluzione della questione sollevata, dal momento che, se quest'ultima venisse accolta, consentirebbe a questo giudice, avendone formulato l'opponente istanza, anche se in via subordinata essendosi comunque provveduto con sentenza nel senso del rigetto della domanda principale di annullamento dell'ordinanza-ingiunzione - in relazione al disposto ex art. 23, comma 11, della legge n. 689/1981 - di poter operare una valutazione sui criteri di determinazione della sanzione irrogata e, sulla scorta dei principi innanzi evidenziati, procedere in concreto, ove ne ricorressero i presupposti, ad una riduzione della stessa. Al promovimento della questione appena accennata, consegue la necessita' dell'assolvimento degli adempimenti che saranno meglio specificati in parte dispositiva, nonche' la sospensione del presente giudizio, alla stregua degli art. 295 c.p.c. e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 83; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204, comma primo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per la violazione degli artt. 3 e 24, comma primo e secondo, della Costituzione, nella parte in cui prevede che il prefetto, se ritiene fondato l'accertamento, ingiunge il pagamento della somma determinata non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione; Ordina la sospensione della presente causa e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti non presenti in udienza e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica, e che le prove di questi ultimi adempimenti siano accluse alla presente ordinanza al momento della trasmissione degli atti alla Corte costituzionale giusta delibera del 16 giugno 1956 (contenente "norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale". Eboli, addi' 23 maggio 1996 Il pretore: Carrato 96C1393