N. 974 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 maggio 1996

                                N. 974
  Ordinanza  emessa  il 23 maggio 1996 dal pretore di Salerno, sezione
 distaccata di Eboli nel procedimento civile vertente tra Sepe  Angelo
 e il prefetto di Salerno
 Circolazione  stradale  -  Infrazione  al nuovo codice della strada -
    Ricorso al   prefetto - Previsione  di  un  raddoppio  della  pena
    minima  edittale,  nel  caso  di  mancato  accoglimento - Ritenuta
    impossibilita', alla stregua del diritto vivente, per  il  giudice
    dell'opposizione  all'ingiunzione  prefettizia,  di  stabilire una
    sanzione in misura  inferiore  rispetto  a  quella  gia'  irrogata
    dall'autorita' amministrativa - Violazione del diritto di difesa e
    del principio di uguaglianza con discriminazione dei meno abbienti
    - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 67/1994.
 (Nuovo codice della strada, art. 204, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24, primo e secondo comma).
(GU n.41 del 9-10-1996 )
                              IL PRETORE
   Visto il ricorso in opposizione ad ordinanza-ingiunzione depositato
 il 20 dicembre 1995 ed avanzato nell'interesse di Sepe Angelo;
   Letto il dispositivo della sentenza non definitiva emessa all'esito
 del  presente giudizio all'udienza di discussione del 23 maggio 1996,
 con la quale veniva rigettato il motivo  principale  dell'opposizione
 con     il     quale     era     stato     invocato    l'annullamento
 dell'impugnata-ordinanza-ingiunzione;
   Considerato che, a seguito di tale  pronuncia,  questo  pretore  si
 sarebbe   dovuto  pronunciare  sulla  richiesta  di  riduzione  della
 sanzione, quale istanza formulata in via gradata;
   Rilevato che il ricorrente ha insistito, per  il  caso  di  mancato
 accoglimento   del   predetto   motivo  principale,  per  l'anzidetta
 riduzione della sanzione inferta dal prefetto;
   Considerato   che,    sussistendo    dubbi    sulla    legittimita'
 costituzionale dell'art. 204, comma primo, del decreto legislativo n.
 285/1992,  nella  parte  in  cui  impone al prefetto di ingiungere il
 pagamento di una somma determinata  nella  misura  non  inferiore  al
 doppio  del  minimo,  e'  stata disposta la prosecuzione del giudizio
 limitatamente alla cognizione della richiesta avanzata dall'opponente
 in via subordinata, a cui e' finalizzata la presente ordinanza;
   Ritenuto,  invero,  che,  nonostante  la Corte costituzionale abbia
 gia' precedentemente respinto la questione  di  cui  al  citato  art.
 204,  comma  primo,  C.d.S.  1992,  sussistono,  ad  avviso di questo
 pretore,  le  condizioni  per  riproporla  anche  alla   luce   delle
 argomentazioni addotte dallo stesso giudice delle leggi.
                             O s s e r v a
   La  Corte  costituzionale,  indubbiamente, sotto una prospettiva di
 ordine generale, nell'ordinanza n. 67 del 1994, ha preso le mosse  da
 una   corretta  impostazione  laddove  ha  ritenuto  che  il  giudice
 rimettente era partito da una inesatta premessa ritenendo di essere -
 nella fase oppositiva giurisdizionale - a sua volta  limitato,  nella
 determinazione  della  misura  della  sanzione pecuniaria, al livello
 minimo che la norma  impugnata  (art.  204  C.d.S.  1992)  impone  al
 prefetto  (il  doppio  del  minimo  della  misura edittale), potendo,
 invece, in  ipotesi,  per  il  richiamo  (circa  l'azionabilita'  del
 rimedio  giurisdizionale)  all'art.    205, comma tre, superarsi tale
 ostacolo facendo concreta applicazione  del  disposto  dell'art.  23,
 terz'ultimo  comma,  della  legge  n.  689/1981  il quale, conferisce
 (eccezionalmente) al  giudice  ordinario  anche  il  sindacato  sulla
 determinazione,  sul  piano  pratico ed effettivo, della misura della
 sanzione,  in  melius  rispetto  alla  posizione   del   trasgressore
 opponente,  ovvero  riducendola rispetto a quella irrogata dalla p.a.
 Non sembra, pero', che il giudice delle  leggi  abbia  tenuto  conto,
 nell'operazione   interpretativa  adeguatrice,  dell'inapplicabilita'
 (nella sostanza e  sul  piano  tecnico  giuridico)  di  tale  opzione
 ermeneutica da parte dei giudici di merito, alla stregua del "diritto
 vivente"  (al quale pure spesso si ispirano i giudici della Consulta)
 relativo alla disposizione innanzi indicata dell'art. 23, terz'ultimo
 comma, della legge n. 689/1981, che, di fatto,  crea  ugualmente  una
 compressione  del  diritto  di difesa dell'opponente e, per tale via,
 una  lesione  del  valore  contenuto   nell'art.   24   della   Carta
 fondamentale.  Ed  infatti,  ancorche'  il  giudice delle leggi abbia
 riconosciuto  al  giudicedell'opposizione  ad  ordinanza-ingiunzione,
 apparentemente   incondizionatamente   -  il  potere  di  determinare
 l'ammontare della  sanzione  compiendo  una  valutazione  complessiva
 delle  risultanze  processuali  e  ricorrendo  agli  stessi parametri
 enucleati nell'art. 195, comma secondo, C.d.S. 1992, non pare, pero',
 che sia stato affrontato in concreto il problema - emergente dal c.d.
 "diritto vivente" - circa l'individuazione dei limiti che, di  fatto,
 condizionano l'esercitabilita' di tale potere.
   Invero    la   soluzione   interpretativa   offerta   dalla   Corte
 costituzionale con  l'ordinanza  24  febbraio  1994,  n.  67,  sembra
 fondarsi  sul  presupposto  secondo  cui  la  modifica della sanzione
 amministrativa  sia  rimessa  alla  piena  discrezione  del   giudice
 dell'opposizione  ed al riesame che egli possa autonomamente compiere
 della fattispecie sottoposta al suo vaglio nella fase giurisdizionale
 intentata ai sensi dell'art.  22 della legge n. 689/1981.  Senonche',
 sulla  scorta  del  reiterato e sostanzialmente consolidato indirizzo
 della  giurisprudenza  di  legittimita'  (ma  anche  dei  giudici  di
 merito),   deve   ritenrersi   che,   sul   piano  applicativo  della
 disposizione - e percio', in  base  alla  evoluzione  del  menzionato
 "diritto  vivente  -  il  potere  di modificazione in senso riduttivo
 della sanzione (ovvero in senso favorevole  all'opponente,  restando,
 in ogni caso, preclusa ogni possibilita' di aggravamento della misura
 della  sanzione,  anche allorquando la p.a. opposta, costituendosi in
 giudizio, ne facesse  domanda  o  ne  facesse  osservare  al  giudice
 solamente  l'opportunita') puo' trovare concretamente modo di operare
 soltanto in conseguenza di un accertamento dell'illegittimo  uso,  da
 parte  dell'amministrazione irrogante, dei criteri indicati nell'art.
 11 (ovvero in disposizioni speciali, come appunto l'art.  195,  comma
 secondo, C.d.S. 1992) ai fini dell'esercizio del potere determinativo
 della   sanzione.  Coerentemente  con  tale  impostazione  di  fondo,
 rispettosa  del  confine  tra  la  sfera  di  azione  della  p.a.   e
 l'esplicazione  del  potere  eccezionale  di interferenza del giudice
 sull'attivita' riconducibile alla potesta' sanzionatoria della stessa
 p.a., la dottrina assolutamente prevalente ha osservato  che  per  la
 concretizzazione   del  riferito  potere  dell'autorita'  giudiziaria
 ordinaria, dovra' essere dimostrato al giudicante che la sanzione  e'
 stata  applicata  in  misura  non  consentita dalla legge o in misura
 erronea rispetto alle peculiarita'  della  fattispecie;  e,  soltanto
 dopo  aver  compiuto  in  positivo  tali  accertamenti.   egli dovra'
 (rectius: avra' la legittimazione a) prendere i  provvedimenti che ne
 conseguono in ordine alla misura della  sanzione  stessa:  Sempre  la
 dottrina,   sull'onda   dei   risultati   ormai   pacifici  acquisiti
 nell'evoluzione giurisprudenziale, ha sottolineato che, in merito  al
 discorso in atto, non puo' trascurarsi che l'opposizione da' ingresso
 ad  un  procedimento di cognizione finalizzato all'accertamento della
 legittimita' e della fondatezza della pretesa punitiva della p.a.; ed
 in tale contesto l'intervento del  giudice  deve  pur  sempre  essere
 ricollegato  al  sindacato di legittimita', piuttosto che a poteri di
 sindacato         dell'opportunita'         del         provvedimento
 amministrativo-sanzionatorio  (ordinanza-ingiunzione).    Non va, sul
 punto, dimenticato che la stessa relazione ministeriale  al  progetto
 di legge n. 689/1981), adottata nel 1977, riconosce e prende atto che
 la  Costituzione non consentiva, e non consente, al giudice ordinario
 di sostituire la propria valutazione  in  merito  a  quella  compiuta
 dall'amministrazione;    pertanto    riconduceva,   in   tal   senso,
 giustificandola, l'innovazione proposta nel binario di un  intervento
 conseguente    all'illegittimita'    del    provvedimento    anziche'
 all'apprezzamento  di esso.
   Ma v'e' di piu'.  L'art.  113,  ultimo  comma,  della  Costituzione
 demanda alla legge ordinaria di indicare quale organo giurisdizionale
 possa   annullare  l'atto  amministrativo  ma  non  prevede  pure  la
 possibilita' che venga conferita all'A.G.O. una  forma  di  controllo
 che  si  diversifichi  da  quella  dell'annullamento. Cio' nonostante
 venne inserita nell'art.    23,  comma  undicesimo,  della  legge  n.
 689/1981  la  disposizione  eccezionale  che  attribuiva  al  giudice
 ordinario il potere di incidere, in sede di opposizione, sul  quantum
 della  sanzione,  ma  questo,  per  fugare  ogni  rilievo  di  ordine
 costituzionale,  fu  possibile  sull'implicito  presupposto  che   ne
 venisse offerta un'interpretazione (appunto compatibile con il citato
 parametro  della  Carta  fondamentale) in base alla quale rimaneva in
 ogni  caso  escluso  che  il  giudice  ordinario  potesse  sostituire
 "discrezionalmente"   la  propria  valutazione  di  merito  a  quella
 dell'organo amministrativo per legge legittimato all'esercizio  della
 potesta'  sanzionatoria.  Sulla  base  di tale inquadramento coerente
 sotto il profilo del coordinamento sistematico si  e'  sviluppato  il
 costante  insegnamento della Cassazione, in virtu' del quale e' stato
 affermato che rientra nel sindacato del giudice ordinario in sede  di
 opposizione  a  ordinanza-ingiunzione,  il controllo di legittimita',
 anche sul punto  relativo  all'esistenza  e  alla  correttezza  della
 motivazione   circa   i   criteri   osservati   in   funzione   della
 determinazione della sanzione; ha, pero', univocamente  chiarito,  in
 proposito,   che  attiene  al  merito  -  onde  sfugge  al  controllo
 dell'A.G.O. - la  verifica  dell'adeguatezza  della  sanzione,  cioe'
 della sua congruita' rispetto al disvalore intrinseco dell'infrazione
 addebitata,  mentre  inserisce  alla  legittimita'  del provvedimento
 amministrativo - e, per tale verso, rientra nella cognizione devoluta
 al giudice ordinario - la verifica dell'esistenza di una  motivazione
 sufficiente   a   dar  conto  delle  ragioni  in  forza  delle  quali
 l'autorita' amministrativa  abbia  determinato  l'ammontare  concreto
 della   sanzione   (v.,   sotto  il  regime  della  precedente  legge
 depenalizzatrice, Cassazione 24 febbraio 1978, n. 926; Cassazione  27
 ottobre 1978, n. 4892; Cassazione ss. uu. civ. 3 aprile 1980, n. 2151
 e  Cassazione  ss.  uu. civ. 12 aprile 1980, n. 2323; cfr., altresi',
 per le applicazioni pratiche riferibili alla legge 24 novembre  1981,
 n. 689, Cassazione 22 febbraio 1989, n. 998; Cassazione ss.  uu. civ.
 3  febbraio  1989,  n.  659;  Cassazione 30 novembre 1985, n.   5984;
 Cassazione ss. uu. civ. 16 febbraio 1984, n. 1133).
   In   definitiva,   alla   stregua    dei    risultati    scaturenti
 dall'evoluzione  della  giurisprudenza,  si  deve  escludere  che  al
 giudice dell'opposizione a  ordinanza-ingiunzione  siano  conferibili
 poteri  discrezionali  di  rideterminare in modo nuovo ed autonomo la
 sanzione,  in  completa  sostituzione  degli  organi   amministrativi
 competenti;  rientra, invece, nella sfera di giurisdizione attribuita
 al  giudice  ordinario   la   verifica   del   rispetto,   da   parte
 dell'autorita'  amministrativa,  dei  limiti massimo e minimo fissati
 dalla legge per la sanzione,  nonche'  l'esame  della  conformita'  a
 legge  dei  criteti  giuridici  in  base  ai quali la quantificazione
 concreta della sanzione risultata operata (cfr., ancora in tal senso,
 la citata Cass. ss. uu. civ. 16 febbraio 1984, n. 1137  e  Cass.  ss.
 uu. civ. 3 febbraio 1989, n. 659).
   Alla  luce  di  quanto innanzi, pare emergere che l'interpretazione
 "adeguatrice" data dalla Corte costituzionale nella decisione n.   67
 del  1994  (ribadita nella sentenza n. 336 dello stesso anno) viene a
 scontrarsi con il "diritto vivente", in quanto,  per  le  limitazioni
 evidenziate   e   per  la  circoscrizione  del  potere  di  incidenza
 dell'A.G.O.   sull'aspetto della  determinazione  quantitativa  della
 sanzione  in  fase oppositiva, i giudici di merito vengono a trovarsi
 nella sostanziale impossibilita' di applicarla,  vivendo  appunto  la
 disposizione  che  si  intende  impugnare in senso diverso, a livello
 interpretativo, rispetto agli  auspici  contenuti  nella  statuizione
 predetta dei giudici della Consulta.
   In  altri  termini, nel momento in cui il giudice dell'opposizione,
 verificando che la p.a. opposta ha irrogato la  sanzione  nel  limite
 non  inferiore  al  doppio  del  minimo  edittale  per  ogni  singola
 violazione ai sensi dell'art. 204, comma primo,  C.d.S.  1992  e  che
 essa  -  trattandosi  di una soglia minima predeterminata per legge -
 non e' tenuta a dare contezza, sul piano della motivazione,  di  tale
 quantificazione   (insorgendo   un  tale  obbligo,  in  relazione  ai
 parametri trasparenti dell'art.   195, comma  secondo,  C.d.S:  1992,
 soltanto  quanto  intende irrogare una misura superiore al doppio del
 minimo), esso giudice, proprio in relazione al richiamo che  si  pone
 all'art.  23  della legge n. 689/1991, nel successivo art. 205, comma
 terzo, C.d.S. cit. (e,  quindi,  al  "diritto  vivente"  sviluppatosi
 intorno  al  suo  undicesimo  comma, nei sensi anteriormente svolti),
 verrebbe a trovarsi nella impossibilita'  pratica  di  esercitare  il
 potere  di  riduzione  della sanzione, non ricorrendone i presupposti
 evidenziati, proprio  perche'  dovrebbe  limitarsi  a  constatare  il
 rispetto  dell'irrogazione  del  limite  minimo  fissato  dalla legge
 (equivalente  al  doppio  del  minimo   edittale)   e   l'irrilevanza
 dell'omissione  della motivazione -  ovvero la sua non producibilita'
 del conseguente azionamento del  potere  modificativo  da  parte  del
 giudice   -   proprio  in  dipendenza  dell'applicazione  del  minimo
 consentito dalla legge. A quest'ultimo proposito  la  Cassazione  ha,
 invero,  stabilito  che,  in  tema  di  sanzioni  amministrative,  il
 provvedimento  che  determini  la  sanzione  pecuniaria   in   misura
 corrispondente  al minimo previsto dalla legge applicata non richiede
 una specifica motivazione in  rapporto  all'impiego  dei  criteri  di
 applicazione  delle  sanzioni contemplati nell'art. 11 della legge n.
 689/1981 (o in altre norme speciali) (cfr. Cass. 17  marzo  1989,  n.
 1316).  E  questo  configurerebbe  il sistema di chiusura (proprio in
 virtu' del riferito richiamo all'art.  205, comma terzo, C.d.S. 1992)
 che, pur in difetto di espresse norme specificamente limitatrici  del
 nuovo  codice  della strada, consentirebbe al giudice dell'esecuzione
 di esercitare il suo potere di modificazione della sanzione in melius
 nel momento in cui la p.a. si attenga  al  minimo  precostituito  per
 legge  rappresentato dal "doppio del minimo edittale per ogni singola
 violazione" cosi' come imposto dall'art.   204, comma  primo,  C.d.S.
 1992.
   Cio'  posto,  pare  a  questo  giudicante,  che ci si imbatte nella
 violazione dell'art. 24 della Costituzione, perche'  la  disposizione
 appena  citata  ex art. 204, comma primo, C.d.S. 1992 si connoterebbe
 come un "deterrente" alla proposizione del ricorso amministrativo  da
 parte  del  trasgressore  ai  sensi  dell'art. 203, comma primo, cit.
 C.d.S.  proprio  per   le   conseguenze   peggiorative,   sul   piano
 sanzionatorio,  di cui la sua sfera giuridica verrebbe a risentire in
 ipotesi di  rigetto  dell'impugnativa  all'interno  del  procedimento
 amministrativo,  che, invero, imporrebbe, in via automatica, (e senza
 alcuna   indispensabilita'   di    addurre    idonea    motivazione),
 l'applicazione  di  una sanzione nella misura non inferiore al doppio
 di quanto e' ammesso con il pagamento in misura ridotta ex  art.  202
 cit.  C.d.s.  1992.  Inoltre  -  ed  e'  questo il profilo innovativo
 rispetto alle precedenti questioni sollevate dai  giudici  di  merito
 rimettenti  -  tale inflizione vessatoria della sanzione nella misura
 predeterminata del doppio del  minimo,  per  le  ragioni  ampliamente
 spiegate,  non  sarebbe  modificabile  in melius da parte del giudice
 dell'opzione, (come, invece, implica l'opzione interpretativa offerta
 dalla Consulta nell'ord,.  cit. n. 67 del  1994),  il  quale,  avendo
 controllato  che la p.a. si e' attenuta al rispetto del limite minimo
 fissato dalla legge (senza la necessita' dell'osservanza dell'obbliho
 di  un'adeguata  motivazione),   non   potrebbe   (rectius:   sarebbe
 impossibilitato a) - per gli esiti interpretativi desumibili dal piu'
 volte  citato "diritto vivente" - valutare direttamente la congruita'
 della sanzione,  ne'  potrebbe  sostituire  una  sua  pronuncia  alle
 determinazioni     dell'autorita'     amministrativa,    risolvendosi
 diversamente, in presenza dei  riferiti  presupposti,  una  contraria
 condotta  del giudice in un'inammissibile ed illegittima esplicazione
 di un non consentito potere discrezionale di  rideterminare  in  modo
 nuovo  ed  autonomo  la sanzione, in completa sostituzione della p.a.
 competente e legittimata per legge.
   Tanto comporta la violazione del diritto di difesa in giudizio  del
 trasgressore  che  -  se  l'ordinanza non dovesse essere annullata in
 toto in sede, appunto  giudiziale  -,  pure  avendola  invocata,  non
 potrebbe ottenere la riduzione della sanzione qualora applicata nella
 misura  del  doppio del minimo ex art. 204, comma primo. C.d.S. 1992,
 onde la questione nei termini innanzi specificati, si prospetta  come
 non  manifestatamente infondata in relazione all'art. 24, commi primo
 e secondo, della Costituzione.
   Peraltro pare potersi affermare che la medesima disposizione di cui
 al cit. art. 204, comma  primo,  C.d.S.  1992  collida  -  come  gia'
 rilevato da altro giudice di merito (v. ord, pret. Lanciano su cui la
 Corte  costituzionale  si  e'  pronunciata  con la sentenza 27 luglio
 1994,  n.  366)  con  il  parametro  del  principio  di   eguaglianza
 sostanziale   ex  art.  3  della  Costituzione,  laddove  sembrerebbe
 comportare che soltanto  chi  si  trova  in  piu'  agiate  condizioni
 economiche    puo'   "rischiare"   di   intraprendere   il   percorso
 dell'opposizione in via giurisdizionale, proponendo, preventivamente,
 un ricorso amministrativo, destinato,  ove  respinto,  a  determinare
 l'irrogazione,  da  parte  della  p.a.,  del  doppio del minimo della
 sanzione, onde si verrebbe a concretare una discriminazione dei  meno
 abbienti rispetto a chi versa in considerevoli condizioni economiche.
   Ne'  sembra  che  questa  interpretazione  sia superabile in virtu'
 della   considerazione   secondo   la   quale   l'ostacolo    sarebbe
 travalicabile   azionando,   avverso   il   verbale  di  accertamento
 immediatamente la tutela  giudiziaria  senza  passare  attraverso  il
 preventivo  esperimento  del ricorso amministrativo, al cui esito, in
 difetto di accoglimento dell'istanza di archiviazione,  conseguirebbe
 ineluttabilmente  l'applicazione  del  doppio  del  minimo  edittale.
 Infatti, nell'ordine logico-sistematico  delle  disposizioni  di  cui
 agli  artt.  203,  204  e 205 del C.d.S. 1992 (cosi' come vigenti con
 riguardo alla fattispecie in oggetto al  momento  della  proposizione
 del  ricorso)  non  sembrava  che  si  potesse  prescindere,  ai fini
 dell'instaurazione della fase oppositiva in sede  giudiziaria,  dalla
 pregiudiziale  definizione del procedimento amministrativo culminante
 nell'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione  prefettizia,  cosi'  come
 era  reso palese dalla struttura della norma di cui all'art. 205 cit.
 e del richiamo, contenuto in quest'ultima  disposizione,  agli  artt.
 22  e  23  della legge n. 689/1981, nei quali si parla di opposizione
 "contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento" e  di  possibilita'  di
 annullamento  in  tutto  o  in  parte dell'ordinanza ovvero della sua
 modificazione anche limitatamente all'entita' della  sanzione  dovuta
 (cfr.,  anche,  Cass.  civ.  29 dicembre 1989, n. 5820; Cass. civ. 29
 aprile  1988,  n.  3235  e,   per   riferimenti   di   giurisprudenza
 costituzionale, Corte costituzionale n. 186 del 1972, n. 130 del 1970
 e n. 82 del 1992).
   Peraltro  la modifica dello stesso art. 205 del decreto legislativo
 n. 285/1992 intervenuta recentissimamente con l'art. 1 del d.-l.   17
 maggio  1996,  n.  270  (in Gazzetta Ufficiale 18 maggio 1996) con il
 quale e' stata prevista l'alternativita' dell'opposizione  giudiziale
 diretta  avverso  il verbale di accertamento con quella preventiva in
 sede amministrativa, salva - in quest'ultimo  caso  -  la  successiva
 opposizione     al     pretore,     in     caso     di     emanazione
 dell'ordinanza-ingiunzione,  rende  ancora  piu'   evidente   -   per
 disparita'  di  trattamento  -  l'illegittimita' e l'irragionevolezza
 della conservazione della  previsione  di  cui  all'art.  204,  comma
 primo,    C.d.S.   1992   nella   parte   in   cui   e'   contemplata
 l'obbligatorieta', da parte del  prefetto,  dell'irrogazione  di  una
 sanzione non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola
 violazione  (sembrando,  ad  un  primo impatto interpretativo, che la
 determinazione della sanzione applicabile, di cui al  novellato  art.
 205,  comma primo, sia demandata al giudice dell'opposizione soltanto
 nel caso di impugnazione immediata del verbale  di  accertamento,  in
 ipotesi  di  suo  mancato  accoglimento,  difettando  -  in tale iter
 procedimentale  -  il   filtro   della   valutazione   dell'autorita'
 amministrativa,   mentre   pare   che   nell'ipotesi   di   emissione
 dell'ordinanza-ingiunzione, ai fini della  riduzione  della  sanzione
 medesima,  debbano  tenersi  comunque  presenti  i  limiti preclusivi
 precedentemente evidenziati).
   Pertanto la questione, per gli accennati motivi,  si  profila  come
 non manifestamente infondata anche in riferimento al valore enucleato
 nell'art. 3 della Carta fondamentale.
   La  complessiva  questione  incidentale di costituzionalita' appare
 chiaramente rilevante  nel  presente  giudizio,  poiche'  l'esito  di
 quest'ultimo  e',  all'evidenza,  dipendente  dalla risoluzione della
 questione  sollevata,  dal  momento  che,  se  quest'ultima   venisse
 accolta,   consentirebbe   a   questo   giudice,  avendone  formulato
 l'opponente istanza, anche se in via subordinata  essendosi  comunque
 provveduto   con   sentenza  nel  senso  del  rigetto  della  domanda
 principale di annullamento dell'ordinanza-ingiunzione - in  relazione
 al  disposto ex art. 23, comma 11, della legge n. 689/1981 - di poter
 operare una valutazione sui criteri di determinazione della  sanzione
 irrogata  e, sulla scorta dei principi innanzi evidenziati, procedere
 in concreto, ove ne ricorressero  i  presupposti,  ad  una  riduzione
 della stessa.
   Al  promovimento  della  questione  appena  accennata,  consegue la
 necessita' dell'assolvimento degli  adempimenti  che  saranno  meglio
 specificati in parte dispositiva, nonche' la sospensione del presente
 giudizio,  alla  stregua  degli  art.  295 c.p.c. e 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 83;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 204, comma primo, del decreto
 legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per la violazione degli artt.   3
 e  24,  comma primo e secondo, della Costituzione, nella parte in cui
 prevede che il prefetto, se ritiene fondato l'accertamento,  ingiunge
 il  pagamento  della  somma  determinata  non inferiore al doppio del
 minimo edittale per ogni singola violazione;
   Ordina  la  sospensione  della   presente   causa   e   l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti non presenti in udienza  e  al  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera
 dei  deputati  e  al Presidente del Senato della Repubblica, e che le
 prove di  questi  ultimi  adempimenti  siano  accluse  alla  presente
 ordinanza  al  momento  della  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale giusta delibera del 16 giugno 1956 (contenente  "norme
 integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale".
     Eboli, addi' 23 maggio 1996
                          Il pretore: Carrato
 96C1393