N. 1212 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 settembre 1996

                                N. 1212
  Ordinanza  emessa  il 5 settembre 1996 dalla Corte di cassazione sul
 ricorso proposto da Priebke Erich
 Estradizione  -  Estradizione  passiva  -  Condizioni  -  Ipotesi  di
    pendenza  in  Italia di procedimento a carico della persona per lo
    stesso fatto per il quale e' richiesta  l'estradizione  -  Dedotta
    applicabilita'  delle norme pattizie in materia (artt. 8 e 9 della
    legge 30 gennaio 1963, n. 300) - Prevalenza di  tali  disposizioni
    sulla  norma  del  codice  di  procedura  penale (art. 705) che fa
    divieto  di  concedere  l'estradizione  nell'ipotesi  suddetta   -
    Prevista  facolta' del Ministro di grazia e giustizia di rifiutare
    o di accogliere la  richiesta  di  estradizione  -  Incidenza  sul
    diritto   di   difesa   e   sul  principio  del  giudice  naturale
    precostituito  per   legge   -   Lesione   del   principio   della
    irretrattabilita' dell'azione penale.
 (Legge  30  gennaio  1963,  n.  300,  artt.  8  e  9  (di ratifica ed
    esecuzione della Convenzione europea  di  estradizione  firmata  a
    Parigi il 13 dicembre 1957)).
 (Cost., artt. 24, secondo comma, 25, primo comma, e 112).
(GU n.41 del 9-10-1996 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Erich
 Priebke, detenuto in arresto provvisorio a fini di estradizione;
   Visti gli atti e letto il ricorso;
   Udito, procedendosi con il rito di cui all'art. 127 del c.p.p.,  il
 pubblico  ministero, in persona dell'avvocato generale dott. Giovanni
 Gazzarra, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
   Uditi i difensori avv. Velio Di Rezze e avv. prof. Carlo  Taormina,
 i  quali  hanno  chiesto  l'accoglimento  del  ricorso  e l'immediata
 liberazione del Priebke;
   Rilevato:
     che il 16 luglio 1996 l'Interpol tedesco, con apposito messaggio,
 diffuse in campo  internazionale  la  richiesta  di  arresto  a  fini
 estradizionali  dell'odierno  ricorrente in quanto indagato per reati
 connessi ai fatti accaduti in Roma il 24  marzo  1944  e  comunemente
 ricordati  come "Eccidio delle fosse ardeatine" (fatti per i quali il
 Priebke si trovava gia' detenuto in Italia, estradato dall'Argentina,
 e della cognizione dei quali era investito il Tribunale  militare  di
 Roma,  innanzi  al quale si stava celebrando il dibattimento di primo
 grado);
     che il 19 luglio successivo l'Interpol (italiana)  dette  notizia
 al Ministero di grazia e giustizia del dispaccio di cui avanti;
     che il 2 agosto 1996 (ad ore 2,15) nei locali della Procura della
 Repubblica  presso  il  Tribunale  militare  di  Roma,  funzionari di
 polizia giudiziaria della Questura di Roma procedettero  all'arresto,
 a  fini  estradizionali,  di  Erick  Priebke, evidenziando ragioni di
 urgenza e di concreto pericolo di fuga, per effetto  della  pronuncia
 di  sentenza di proscioglimento resa dal Tribunale militare di Roma a
 conclusione del giudizio di  primo  grado,  al  quale  avanti  si  e'
 accennato;
     che  il  presidente della Corte d'appello di Roma, cui il verbale
 di arresto fu prontamente trasmesso, il  successivo 3 agosto,  da  un
 canto,  convalido'  l'arresto provvisorio eseguito d'iniziativa dalla
 polizia giudiziaria, a mente di quanto  dispone  l'art.  715  c.p.p.,
 dall'altro,  applico'  al  Priebke  la  misura coercitiva, di massimo
 regime  cautelare, della detenzione in carcere, fondata sul  ritenuto
 concreto pericolo di fuga dedotto sia dalla circostanza che nell'anno
 1946  l'estradando  si era allontanato da un campo di prigionia delle
 forze armate britanniche, che dalla rete di protezione utilizzata dal
 predetto al fine di sottrarsi all'individuazione e alla cattura;
     che avverso detti provvedimenti i  difensori  del  Priebke  hanno
 proposto  ricorso  per  cassazione,  a  mente  dell'art.  719 c.p.p.,
 denunciando:
      1) violazione del combinato  disposto  degli  artt.  715  e  716
 c.p.p.      per  carenza,  al  momento  dell'esecuzione  dell'arresto
 provvisorio,  di  specifica  domanda  d  parte  dello  Stato   estero
 richiedente  l'estradizione  (Germania)  e  di richiesta motivata del
 ministro; e perche', inoltre, l'arresto  sarebbe  stato  eseguito  su
 autorizzazione  del  Ministro di grazia e giustizia il quale, invece,
 e' privo di poteri al riguardo;
      2)  violazione  degli  artt.  8 e 9 della Convenzione europea di
 estradizione, in relazione all'art. 705 c.p.p. ed agli artt.  3  e  6
 c.p.,  e  violazione  del  principio del ne bis in idem, in quanto la
 norma  pattizia,  interpretata  secundum  costitutionem,   vieterebbe
 l'estradizione  ove,  per  lo stesso fatto, sia in corso, nello Stato
 richiesto, procedimento penale nei confronti  dell'estradando;  cio',
 da un lato, la fine di scongiurare che per lo stesso fatto siano
  pronunciate piu' sentenze di condanna ai danni della stessa persona,
 dall'altro,  per  rendere attuale e reale a colui che e' sottoposto a
 procedimento  nello  Stato  richiesto  il   diritto   di   difendersi
 dall'accusa, partecipando di persona al processo;
      3)  violazione degli artt. 274, lett. b) in relazione agli artt.
 716  e  714,  comma   secondo,   c.p.p.   per   omessa   motivazione,
 nell'ordinanza  di  convalida e applicazione della misura di cautela,
 in ordine alla sussistenza del pericolo di fuga;
      4) violazione degli artt. 274, in relazione  agli  artt.  716  e
 714,  comma  secondo,  c.p.p. per omessa valutazione dell'adeguatezza
 della misura custodiale in carcere;
   Ritenuto:
     che entrambi i profili del  primo  motivo  di  ricorso  risultano
 infondati,  in  quanto,  come emerge dagli  atti pervenuti alla Corte
 (sub-fasc. trasmesso dalla Procura generale presso questa Corte), sin
 dal  16  luglio  1996  (data  stampata  in  fondo  al  primo  foglio)
 l'Interpol  tedesco,  su  mandato dello Staatsanwalschaft di Dortmund
 (autorita' procedente dello Stato richiedente  l'estradizione)  aveva
 fatto  pervenire,  via  "telefax",  all'Interpol  italiano, l'atto di
 richiesta di estradizione con coeva richiesta di arresto provvisorio,
 in quanto l'estradando risultava colpito  dall'Haftbefehl  n.  79  gs
 802/95,  e  che  notizia  del  documento  teletrasmesso  pervenne  al
 Ministero di grazia e giustizia il 19 luglio 1996 (come sopra  si  e'
 precisato), sicche', da un canto, la richiesta di arresto provvisorio
 precedette  l'esecuzione,  dall'altro  canto,  il messaggio delle ore
 9,03  del  2  agosto,  cui  fa  riferimento  il  ricorrente,  risulta
 semplicemente riproduttivo del precedente messaggio;
     che,  similmente  infondato  risulta il secondo profilo del primo
 motivo di ricorso, in quanto l'interpello,  da  parte  della  polizia
 giudiziaria  della Questura di Roma al Ministro di grazia e giustizia
 sul se sussistevano ragioni ostative all'accoglimento della richiesta
 di estradizione e la  risposta  negativa  del  Ministro  non  possono
 essere  interpretati come ordine di procedere all'arresto provvisorio
 e neppure  quale  autorizzazione  a  compiere  tale  atto  che,  come
 esattamente  rilevano i deducenti, e' un atto di esclusiva competenza
 e iniziativa dalla polizia giudiziaria;
     che propedeutico all'esame del secondo motivo di ricorso,  e  dei
 successivi,  appare  la verifica richiesta dall'art. 714, comma terzo
 c.p.p. (applicabile  in  tutti  i  casi  di  estradizione,  anche  se
 regolati  pattiziamente),  per  il quale: "Le misure coercitive (...)
 non possono comunque essere disposte se vi sono ragioni per  ritenere
 che   non  sussistono  le  condizioni  per  una  sentenza  favorevole
 all'estradizione";
     che, essendo pacifico, in atti e tra le parti, che  la  richiesta
 di  estradizione di Erich Priebke riguarda gli stessi fatti, accaduti
 in Roma il 24 marzo 1944 ("Eccidio delle  fosse  ardeatine"),  per  i
 quali si procede penalmente in Italia e sui quali e' gia' intervenuta
 sentenza  di  merito  in  primo  grado,  la  normativa specificamente
 applicabile,  prevalendo  qualla pattizia su quella codicistica - che
 all'art. 705, comma primo, ultima parte, c.p.p., vieta, tra altro, la
 pronuncia di sentenza favorevole all'estradizione ove per  lo  stesso
 fatto  sia  in  corso  procedimento penale in Italia -, e' estraibile
 dalla combinazione degli artt. 8 e 9  della  Convenzione  europea  di
 estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 (resa esecutiva in
 Italia  con  legge  30  gennaio 1963 n. 300 ed entrata in vigore il 4
 novembre 1963, come risulta in Gazzetta Ufficiale 6 febbraio 1964, n.
 31), dalla quale emerge: (a) che l'estradizione puo' essere rifiutata
 quando la persona reclamata  sia  "(...)  oggetto  da  parte  sua  di
 procedimenti  penali  per  il  fatto  o  per  i  fatti  per  i  quali
 l'estradizione e' domandata" (art. 8) e che l'estradizione non  sara'
 "(...)  accordata  quando  la persona richiesta e' stata giudicata in
 forma definitiva dalle autorita' competenti della parte richiesta per
 il fatto o per i  fatti  per  i  quali  l'estradizione  e'  domandata
 (...)";
     cha  da  tale  sistema  normativo risulta che il Priebke potrebbe
 essere estradato per rispondere degli stessi fatti  per  i  quali  ha
 subito  giudizio  di  merito  in  Italia  e  che  la decisione sul se
 accogliere la richiesta di estradizione, o no, spetta, anche  secondo
 la uniforme giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 15 febbraio 1982,
 Batrouni,  Sez.  II,  23  febbraio  1977, Ceccaldi; Sez. I, 30 aprile
 1974,  Meyer),  all'autorita'  politico-amministrativa  (Ministro  di
 grazia  e  giustizia),  la  quale decide a discrezione, senza che sia
 vincolato a, o solo indirizzato da, criteri  o  parametri  normativi,
 rendendosi,  cosi', evanescente la garanzia giurisdizionale, che pure
 assiste  tutto  il  procedimento   estradizionale,   per   le   gravi
 implicazioni  che  possono  conseguire  sulla  liberta'  (e fino alla
 pronuncia della Corte costituzionale  n.  223/1996,  sotto  indicata,
 sulla vita) della persona di cui sia chiesta l'estradizione;
     che tale sistema normativo appare lesivo di principi inderogabili
 affermati  dalla  Costituzione, quali quelli espressi dagli artt. 24,
 comma secondo, 25 comma primo, 112, quanto a:
      1) diritto di difesa (art. 24, comma secondo, Cost.) spettante a
 qualsiasi persona che  si  trovi  nel  territorio  dello  Stato,  per
 qualsivoglia ragione, ivi compresa quella di precedente estradizione,
 lo  Stato  essendo  costituito  garante,  attraverso la magistratura,
 della liberta' e della incolumita' dell'ospite:  invero,  la  persona
 sottoposta in Italia a processo penale non ancora concluso, una volta
 estradata,  non  essendo  previsto  ne'  possibile  l'abbandono della
 procedura,  per  il  principio   dell'irretrattabilita'   dell'azione
 penale, corollario indefettibile della regola enunciata dall'art. 122
 Cost.,   non  sarebbe  piu'  in  grado  di  difendersi  personalmente
 partecipando al processo ed esponendo le ragioni a sostegno della sua
 innocenza; ne' potrebbe eccepirsi l'ipotizzabilita' di riestradizione
 (o  di   sospensione   del   processo   per   legittimo   impedimento
 dell'imputato), perche', da un canto, e' interesse costituzionalmente
 protetto  (risvolto  del  principio  in discussione) dell'accusato di
 vedere decisa la controversia penale in tempi ragionevoli; dall'altro
 canto, risulterebbe fatto irrilevante, perche'  la  decisione  penale
 definitiva, conseguita nello Stato richiedente, proprio per le regole
 sopra  ricordate, renderebbe giuridicamente impraticabile il giudizio
 (ulteriore) nello Stato italiano, opponendosi il principio del ne bis
 in  idem  internazionale,  enunciato  proprio   dall'art.   9   della
 Convenzione;
     2)  divieto di distrazione dal giudice naturale precostituito per
 legge  (art.  25,  comma  primo,  Cost.),  perche'  la  discrezionale
 determinazione  dell'autorita' politico-amministrativa (assumibile al
 di   fuori   di   qualsiasi   canone    comportamentale    e    senza
 contraddittorio),  sul se concedere o meno l'estradizione, nonostante
 la persona richiesta sia stata processata in Italia (ancorche' non si
 sia  pervenuti  alla  definitivita'),  risulta  capace  di  sottrarre
 l'imputato  al  giudice  precostituito  per  legge e gia' individuato
 attraverso la celebrazione  del  processo,  facendone  consegna  allo
 Stato richiedente;
     s3)  irretrattabilita' dell'azione penale, corollario ineludibile
 della regola di cui all'art. 112 Cost., perche',  per  effetto  della
 discrezionale  decisione  dell'autorita'  politico-amministativa, con
 l'esecuzione  della  estradizione,  nello  scenario  sopra  descritto
 corrispondente  al  caso  di  specie,  il giudizio e' consumato nello
 Stato richiedente, sicche' il processo pendente  in  Italia,  benche'
 fornito  della  forza  per  venire alla definitivita', proprio per la
 irretrattabilita'  dell'azione   penale,   dovra'   essere,   invece,
 abbandonato, per essersi verificato il giudicato nell'altro Stato; in
 sintesi,   per   atto   politico-amministrativo   si   rimette   alla
 giurisdizione dello Stato richiedente la formazione del  giudicato  e
 si  attiva,  cosi',  un  meccanismo  che  sfocia,  da  un lato, nella
 sottrazione  dell'imputato  al  giudice  naturale  precostituito  per
 legge,  dall'altro,  nella  retrattazione  dall'azione  penale, esito
 della  inevitabile  declaratoria,  imposta  al  giudice  dello  Stato
 italiano,  di  ne  bis  in  idem internazionale, nonostante la regola
 enunciata, in generale,  dall'art.  11  c.p.,  all'evidenza  derogata
 dalla  normativa  speciale  in tema di estradizione, di cui appresso,
 adottata con legge dello Stato di pari grado;
   Ritenuto:
     che tale situazione di  confliggenza  con  le  richiamate  regole
 dettate  dalla  Costituzione  costituisce  il  frutto del recepimento
 nell'ordinamento giuridico italiano delle richiamate due disposizioni
 della Convenzione  europea  di  estradizione,  sicche'  il  vizio  di
 incostituzionalita'  si appunta sulla legge di ratifica ed esecuzione
 30 gennaio 1963, n. 300 (artt. 1  e  2),  per  la  parte  in  cui  ha
 recepito  nella  nostra  legislazione norme in conflitto con l'ordine
 costituzionale: invero, questo si pone come parametro di  valutazione
 della legittimita' costituzionale delle leggi che da'nno esecuzione a
 trattati  internazionali  nella  materia  che ci occupa, e condiziona
 l'esercizio delle potesta' attribuite a tutti  i  soggetti  pubblici,
 ivi  comprese  quelle  attraverso  cui  si  realizza  la cooperazione
 internazionale ai  fini  della  mutua  assistenza  giudiziaria,  come
 recentemente ha affermato la Corte delle leggi (Corte cost. 27 giugno
 1996, n. 223, Venezia);
     che   l'ordinario  sistema  normativo  in  tema  di  estradizione
 contempla, con l'art. 705, comma  primo,  ultima  parte,  c.p.p.,  il
 corretto  meccanismo  cui  dovrebbe (e nel caso di accoglimento della
 questione prospettata, dovra') attenersi sia l'organo giurisdizionale
 che  quello  politico-amministrativo,  a   fronte   di   domanda   di
 estradizione    di  persona  nei  cui riguardi la giurisdizione dello
 Stato richiesto abbia gia' esercitato l'azione penale per gli  stessi
 fatti  per i quali la persona e' domandata, vale a dire il diniego di
 accoglimento  della  richiesta; il che appare di tutta evidenza nelle
 ipotesi in cui, come quella che occupa il presente giudizio, i  fatti
 in  accertamento siano stati commessi proprio nello Stato richiesto e
 in danno di cittadini dello stesso, cosi' anche implicando una deroga
 alla disposizione dell'art. 11, comma primo, c.p.;
     che, pertanto, il presente giudizio incidentale de libertate  non
 puo'  essere  concluso con l'esame degli ulteriori motivi di ricorso,
 senza  che  prima  sia  decisa  la  sopra  illustrata  questione   di
 costituzionalita'  della legge 30 gennaio 1963, n. 300 nella parte in
 cui ratifica la (art. 1) e da' piena ed intera esecuzione alla  (art.
 2)   Convenzione  europea  di  estradizione,  nonostante  il  sistema
 normativo, estraibile dalla combinazione degli artt. 8 e 9 del  testo
 pattizio,   confligga   con  le  sopra  indicate  disposizioni  della
 Costituzione;
     che, quanto a rilevanza, e' chiaro che a seguito dell'(eventuale)
 accoglimento  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  qui
 sollevata, verrebbe meno la possibilita' giuridica di estradizione di
 Erich  Priebke,  in  quanto  gia'  sottoposto  a giudizio nello Stato
 italiano per gli stessi fatti per i quali  lo  Stato  tedesco  chiede
 l'estradizione   (art.   705,   comma   primo,  c.p.p.);  sicche'  il
 presupposto, ex art.    714  c.p.p.,  per  l'applicazione  di  misura
 coercitiva provvisoria verrebbe a mancare, con superamento di tutti i
 motivi di ricorso.
                               P. Q. M.
   La   Corte   solleva   d'ufficio   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale della legge 30 gennaio 1963, n.  300  di  ratifica  ed
 esecuzione della Convenzione europea di estradizione firmata a Parigi
 il  13  dicembre  1957,  a  riguardo  degli  artt.  8  e  9  di detta
 Convenzione, dichiarando la questione rilevante e non  manifestamente
 infondata  con  riferimento  agli  artt. 24, comma secondo, 25, comma
 primo, e 112 della Costituzione;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale,  a  cura  della cancelleria, sospendendo  il presente
 giudizio;
   Manda alla cancelleria  di  notificare  la  presente  ordinanza  al
 ricorrente  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei    Ministri  e di
 comunicarla ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.
   Cosi' deciso in Roma, addi' 5 settembre 1996
                        Il presidente: Consoli
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