N. 1078 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 luglio 1996
N. 1078 Ordinanza emessa l'11 luglio 1996 dal pretore di Enna nel procedimento penale a carico di Gloria Angelo Maria Reato in genere - Emissione di assegno bancario senza autorizzazione in quanto revocata da parte della banca trattaria - Ipotesi di reato anche nel caso di consegna della comunicazione relativa alla revoca a persona diversa dal destinatario - Dedotta incertezza circa la prova della effettiva conoscenza della revoca da parte dell'imputato - Lesione del principio di legalita' e di quello della inviolabilita' della liberta' personale. (Legge 15 dicembre 1990, n. 386, art. 9, secondo comma). (Cost., artt. 13 e 25, secondo comma).(GU n.42 del 16-10-1996 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen. n. 143/95 reg. gen. contro Gloria Angelo Maria imputato del reato di emissione di assegno senza autorizzazione, all'udienza dell'11 luglio 1996. L'art. 1 legge 15 dicembre 1990 n. 389 sanziona penalmente il divieto di emissione di assegni bancari senza l'autorizzazione del trattario di cui all'art. 3 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1733. In ordine alla mancanza di autorizzazione possono formularsi tre ipotesi: A) il traente non ha fondi presso il trattario e non ha conseguentemente l'autorizzazione ad emettere assegni; B) il traente ha fondi presso il trattario, ma non ha l'autorizzazione ad emettere assegni; C) il traente ha avuto revocata l'autorizzazione ad emettere assegni. Se si considera che le disposizioni con assegni sul conto presso l'azienda di credito si effettuano, salvo diverso accordo, mediante l'uso di moduli per assegni forniti dall'azienda stessa (art. 3 dell'accordo stipulato tra gli istituti di credito aderenti all'associazione bancaria italiana), ne consegue che l'ipotesi normale e' quella dell'emissione dopo la revoca dell'autorizzazione di cui all'art. 9, legge 15 dicembre 1990 n. 386 (tant'e' che in detto articolo e' previsto che la banca trattaria, nel revocare al traente ogni autorizzazione ad emettere assegni, deve invitarlo a restituire i moduli in suo possesso), mentre le altre sono possibili solo nel caso in cui l'assegno non venga formato sul modulo rilasciato dalla banca, ovvero formato su modulo da persona diversa da quella che e' stata autorizzata e che di detto modulo sia venuta in possesso. Il contenuto precettivo della norma di cui all'art. 1 legge n. 389/1990, combinandosi col disposto di cui all'art. 9 nel contesto della disciplina sanzionatoria di detta legge (che detta la "nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari") e' dunque il seguente: chiunque emette un assegno bancario senza l'autorizzazione del trattario per averla avuta revocata ovvero per non averla mai ottenuta e' punito...; e la revoca e' un presupposto della terza ipotesi di reato di cui deve essere provata l'esistenza e la conoscenza in capo al soggetto. Orbene l'art. 9 legge citata, disponendo che la revoca sia comunicata con lettera raccomandata o telegramma con ricevuta di ritorno rinvia all'ordinamento postale - che prevede la consegna anche a persona diversa dal destinatario e subordinatamente l'affissione di un avviso di giacenza alla porta di quest'ultimo - sicche', una volta pervenuta al correntista la comunicazione nelle forme di legge, essa produce "effetto nei suoi confronti dal momento della ricezione" e la emissione di assegni integra l'elemento oggettivo del reato previsto dall'art. 1 legge n. 389/1990. Si pone pertanto il problema della conoscenza effettiva della revoca da parte dell'imputato per la prova dell'elemento soggettivo (il dolo, trattandosi di delitto) poiche' nel caso in cui la raccomandata o il telegramma non siano consegnati al correntista, ma ad altra persona, oppure siano rimasti giacenti, malgrado il rituale avviso, si ha solo una presunzione di conoscenza, che, se puo' essere rilevante ai fini civilistici (in quanto la c.d. convenzione di cheques implica accettazione delle modalita' di comunicazione della revoca previste dalla legge), non puo' certo esserlo ai fini penali, dovendo essere dimostrata in capo all'imputato l'effettiva conoscenza di tutti gli elememti e i presupposti del reato. In particolare non possono trarsi elementi certi di conoscenza da parte dell'imputato dalla consegna della raccomandata o del telegramma a persona diversa, costituendo questa un unico indizio, sia pur "grave", che non puo' assurgere a prova ai sensi dell'art. 192 c.p.p. Detta norma infatti, come e' pacifico in dottrina, esclude che l'indizio "isolato", possa assumere significativa rilevanza ai fini della decisione, costituendo solo la pluralita' di indizi (gravi precisi e concordanti), basati su distinte circostanze indizianti - e non quindi combinati fra loro attraverso doppi o tripli passaggi inferenziali - la premessa per l'operazione logica con cui dagli stessi puo' desumersi l'esistenza di un fatto (cfr. D. Siracusano, manuale di diritto processuale penale, Milano, 1994, pagg. 384-387 e giurisprudenza ivi citata). Peraltro che la consegna del documento a persona diversa dal destinatario rende solo probabile la conoscenza e' espressamente riconosciuto dal legislatore che considera forma tipica, primaria di notificazione la consegna a mani proprie poiche' permette di ritenere sul piano logico, con sufficiente certezza, che l'atto verra' a conoscenza dell'interessato e comunque esclude ogni dubbio che esso pervenga nell'effettiva sfera di conoscibilita' dello stesso secondo il principio affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 17/1972; 17/1976 e 81/1980; mentre le altre forme hanno carattere subordinato in funzione della sempre minore probabilita' che l'atto giunga nell'effettiva sfera di disponibilita' dell'imputato. Se pero' dette forme non sono in contrasto con i principi di diritto processuale, ove deve aversi un contemperamento tra l'interesse pubblico al processo e il diritto di difesa (nel senso che, una volta predisposti gli strumenti che rendono probabile la conoscenza reale, da questa poi si prescinde per affermare la validita' di un dato non piu' psicologico ma di valore normativo), non si puo' ricorrere al criterio normativo della conoscenza (cui peraltro e' stato apportato un correttivo per alcuni casi specifici: artt. 157, quinto comma, 175, 485, 487 c.p.p.) in diritto sostanziale, dovendo, come si e' appena detto, essere dimostrata in capo all'imputato la conoscenza effettiva di tutti gli elementi e presupposti del reato. In caso contrario la rilevanza della conoscenza legale si tradurrebbe in rilevanza della prova legale e si porrebbe in contrasto col principio del libero convincimento del giudice nel processo penale che "significa rifiuto delle prove a valutazione vincolata" (Cordero); ne' d'altra parte e' consentito al giudice ricorrere ad un uso distorto di detto principio ed assolvere l'imputato motivando sull'insufficienza della prova prevista dal legislatore poiche' in tal modo verrebbe a disapplicare la legge eccedendo le sue attribuzioni. Per le superiori cosiderazioni appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzioanale dell'art. 9, secondo comma, legge 15 dicembre 1990 n. 386 (nella parte in cui - rinviando al regolamento postale - dispone che la revoca dell'autorizzazione sia comunicata con lettera raccomandata o con telegramma consegnati a persona diversa dall'imputato e nei limiti in cui integra il contenuto precettivo dell'art. 1 legge citata) in relazione agli artt. 13 e 25, secondo comma Cost., ponendosi tale norma in contrasto con i principi che regolano la prova penale, che delle predette norme costituzionali sono attuazione. Se infatti la liberta' personale e' inviolabile e non e' ammessa alcuna forma di detenzione se non per atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (nel caso di sentenza di condanna se e' stato commesso un fatto previsto dalla legge come reato), l'accertamento di quest'ultimo, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo e' attuazione del principio di legalita' (sancito dall'art. 25, secondo comma Cost.) e puo' essere conseguito solo attraverso la libera valutazione degli elementi di prova da parte del giudice, che pone la decisione al riparo di "due eccessi", entrambi fonti di errori nella ricerca della verita' "il principio che obbliga il magistrato a giudicare iuxta alligata et probata e quello che lo autorizza invece a decidere secundum coscientiam (Manzini, Trattato, Vol. I, pag. 234).La questione e' altresi' rilevante risultando dall'avviso di ricevimento che la raccomandata indirizzata all'imputato non e' stata consegnata a quest'ultimo, ma ad altra persona.
P .Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 15 dicembre 1990 n. 386 in relazione agli artt. 13 e 25, secondo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di cui sopra sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, all'imputato contumace e alla parte offesa e comunicato ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Enna, addi' 11 luglio 1996 Il pretore: Costa 96C1509