N. 30 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 giugno 1996

                                 N. 30
  Ricorso  per  questione di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 28 giugno 1996 (della regione Piemonte)
 Edilizia e urbanistica - Misure urgenti per il rilancio economico  ed
    occupazionale  dei  lavori  pubblici  e  dell'edilizia  privata  -
    Mancanza, nel provvedimento, (di contenuto  analogo  a  quello  di
    numerosi  altri  decreti-legge  non  arrivati  alla  conversione e
    adottato dal Governo senza considerazione delle  competenze  delle
    regioni) dei requisiti di necessita' ed urgenza.
 Edilizia  e  urbanistica - Prevista nomina, da parte del Ministro dei
    lavori  pubblici,  in  caso  di  inadempienze   nell'adozione   di
    provvedimenti  sanzionatori  di  competenza  del  sindaco,  di  un
    "commissario ad  acta"  -  Indeterminatezza  dei  presupposti  per
    l'adozione  di  tale  provvedimento  -  Ingiustificata  deroga  al
    principio generale e costituzionalmente garantito,  dell'autonomia
    degli  enti  locali,  con  incidenza  su  quello  per cui i poteri
    inerenti al controllo sostitutivo, qual'e' quello  esercitato  dal
    Ministro con la nomina del commissario ad acta, sono di competenza
    di  un  organo  regionale  - Riferimento alla sentenza della Corte
    costituzionale n. 75/1977.
 Edilizia e  urbanistica  -  Previsione  di  un  silenzio-assenso  per
    l'approvazione,   da   parte   della   Regione,   degli  strumenti
    urbanistici e delle relative varianti, a seguito  del  decorso  di
    centottanta  giorni  dalla  trasmissione  alla  Regione  da  parte
    dell'ente che li ha adottati  -  Trasposizione  dell'istituto  del
    silenzio-assenso,  che  gia' di per se' ha carattere eccezionale e
    che per pacifica  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e'
    ammissibile  solo in riferimento ad attivita' amministrative nelle
    quali sia pressoche' assente  il  tasso  di  discrezionalita',  in
    procedimenti,  come  quelli  della pianificazione territoriale, ad
    alta discrezionalita'  -  Incidenza  sulla  stessa  essenza  della
    competenza regionale e sul primario interesse pubblico alla tutela
    degli  interessi  urbanistici  e  ambientali - Richiamo a sentenze
    della Corte costituzionale nn.  26/1966, 393/1992 e 408/1995.
 Edilizia  e  urbanistica  -  Disposizioni  per  la  definizione   del
    contenzioso  in  materia di opere pubbliche - Possibilita', per le
    pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 3
    febbraio 1993, n. 29, di chiedere al Ministro dei lavori  pubblici
    l'applicazione  delle  norme relative alla ripresa dell'esecuzione
    di opere "che per qualsiasi  ragione  risultino  sospese",  previa
    valutazione,   da  parte  dello  stesso  Ministro,  del  perdurare
    dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera  -  Indebito
    assoggettamento  della  Regione,  ove  tale  valutazione  abbia ad
    oggetto  opere  pubbliche  la  cui  realizzazione  rientra   nelle
    competenze  regionali,  al controllo del Ministro - Impossibilita'
    di ricondurre i provvedimenti adottati al riguardo dal Ministro al
    potere,  che  al  Ministro  comunque  non  compete, di indirizzo e
    coordinamento.
 (D.-L. 25 maggio 1996, n. 285, artt. 3, comma 1, 5, comma 3, 7, comma
    2 e 9).
 (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 77, 97, 117, 118 e 130).
(GU n.44 del 30-10-1996 )
   Ecc.ma Corte costituzionale ricorre la Regione Piemonte in  persona
 del  Presidente della Giunta Regionale, On.le Enzo Ghigo, autorizzato
 con delibera della Giunta Regionale n. 222-9892 del 17  giugno  1996,
 rappresentato  e  difeso  (in virtu' di delega a margine del presente
 atto) dall'avv. Enrico Romanelli, e presso  lo  studio  del  medesimo
 elettivamente  domiciliato  in  Roma,  via  Cosseria, n. 5, contro la
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dell'on. Presidente
 del Consiglio pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo
 Chigi, nonche' presso l'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  via  dei
 Portoghesi   n.   12,   per   la   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale del decreto legge 25 maggio 1996, n.  285,  pubblicato
 nella  Gazzetta  Ufficiale,  Serie  generale, Parte I, n. 121, del 25
 maggio 1996), recante "Misure urgenti per il  rilancio  economico  ed
 occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata".
                           Premesso in fatto
   Sulle competenze normative regionali ex art. 117 della Costituzione
 in   materia  di  urbanistica  e  di  lavori  pubblici  di  interesse
 regionale, e sulle correlate funzioni amministrative regionali di cui
 all'art.   118  della  Costituzione  e'  venuto  ad  illegittimamente
 incidere,  senza prendere in alcuna considerazione la posizione delle
 Regioni, il decreto legge 25 maggio 1996, n. 285 (emanato in  assenza
 dei   necessari   presupposti  di  cui  all'art.  77  Cost.),  meglio
 specificato in epigrafe.
   Il  decreto  oggetto  del  presente  ricorso  (che   ha   reiterato
 integralmente  il  d.-l.  25 marzo 1996, n. 154) si compone di dodici
 articoli,  di  contenuto  non  omogeneo  che,  nel  loro   complesso,
 ripropongono  il  contenuto  dei  precedenti  decreti,  decaduti  per
 mancata conversione, sia pure con alcuni adattamenti  che,  tuttavia,
 non   ne   fanno   venir  meno  i  gravi  aspetti  di  illegittimita'
 costituzionale.
   In particolare, con l'art. 3, viene prevista la  possibilita',  per
 il  ministro,  di  sostituire  al  sindaco un commissario ad acta per
 omissioni  nell'adozione  di  provevdimenti  sanzionatori;  l'art.  5
 prevede    l'introduzione    di    un'ipotesi   di   silenzio-assenso
 nell'adozione, da parte  della  Regione,  degli  strumenti  urbanisti
 predisposti  dai  comuni  e  l'art.  8  incide  sulla  disciplina del
 controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia.
                          I n  d i r i t t o
   1. - Il d-l. 25 maggio 1996, n. 285, costituisce  l'ultimo  di  una
 ormai  lunga  serie  di decreti-legge, non arrivati alla conversione,
 principiata con un d.-l. 23 settembre  1994,  n.  551,  a  suo  tempo
 impugnato  dalla  ricorrente  Regione,  con  ricorso  che  denunziava
 l'illegittima   compressione   delle    competenze    normative    ed
 amministrative  regionali  e la violazione dei principi dettati dagli
 artt. 3, 9 e 97 della Costituzione della Repubblica.
   Le censure a suo  tempo  spiegate  dalla  Regione  Piemonte  devono
 intendersi comunque riferite alle norme riproposte nel loro contenuto
 (con  identita' nel nucleo precettivo essenziale e spesso anche nella
 sua stessa  formulazione  letterale)  nei  decreti-legge  successivi,
 quanto  meno  nei limiti in cui restino salvi gli effetti della norma
 decaduta prodottisi nel periodo della sua vigenza  precaria,  secondo
 quanto  codesta  Corte ha affermato con la recente decisione 21 marzo
 1996, n. 84.
   E'  da  aggiungere  che  vari   comuni   piemontesi   hanno   fatto
 applicazione  del  silenzio  assenso  previsto dai vari decreti legge
 che, pur non convertiti, si sono succeduti nel tempo,  per  dare  per
 approvati piani regolatori, in assenza di un deliberato regionale.
   2.  -  La  ricorrenza degli estremi della necessita' e dell'urgenza
 del decreto impugnato e' esclusa ictu oculi, se si considera  che  il
 decreto   oggi   impugnato   fa  parte  di  quella  stessa  serie  di
 decreti-legge, di contenuto analogo,  che  ormai  da  un  biennio  si
 stanno   susseguendo   l'uno   all'altro,   tutti  sull'onda  di  una
 dichiarata, ma indimostrata (ed anzi, in tutta evidenza, mancanza di)
 urgenza,  e  che  tutti  esprimono,  in  buona  parte   la   medesima
 accentuata,  ed  illegittima,  tendenza  a  comprimere  le  autonomie
 regionali.
   3. - Uno invero dei profili piu' gravi di violazione, da parte  del
 decreto-legge   oggetto   del   presente  ricorso,  delle  competenze
 regionali di cui agli artt. 117  e  118  della  Costituzione  risiede
 nella  previsione  (nell'art.  5, terzo comma) di un silenzio-assenso
 per  l'approvazione,  da  parte  della   Regione,   degli   strumenti
 urbanistici  e  delle  relative  varianti,  a  seguito del decorso di
 centottanta giorni dalla trasmissione da parte dell'ente  che  lo  ha
 adottato alla Regione.
   E'  appena  il  caso  di  rilevare  che  la previsione del silenzio
 assenso, a prescindere dai suoi aspetti di eccezionalita' nell'ambito
 del nostro ordinamento amministrativo, per pacifica giurispridenza di
 codesta Ecc.ma Corte costituzionale, "puo' ritenersi  ammissibile  in
 riferimento  ad  attivita'  amministrative nelle quali sia pressoche'
 assente il tasso di discrezionalita', mentre la trasposizione di tale
 modello nei procedimenti ad alta discrezionalita',  primi  fra  tutti
 quelli   della  pianificazione  territoriale,  finisce  per  incidere
 sull'essenza stessa della competenza regionale" (cosi' C.  cost.,  12
 febbraio  1996, n. 26; in termini analoghi, cfr. C. cost., n. 393 del
 1992 e n. 408 del 1995).
   Nel caso di specie, si  verte  appunto  in  tema  di  strumenti  di
 pianificazione  territoriale  che,  in  quanto  comportano  scelte di
 carattere   discrezionale,   costituiscono    appunto    un    ambito
 assolutamente   incompatibile   con   l'adozione   legislativa  dello
 strumento del silenzio-assenso.
   Quand'anche  potesse  eventualmente  considerarsi  giustificata  la
 valutazione   delle   esigenze   di   speditezza   del   procedimento
 amministrativo, non puo' non tenersi  conto  del  primario  interesse
 pubblico alla tutela degli interessi urbanistici ed arnbientali. Deve
 in  particolare  rilevarsi che la previsione di un automatismo, quale
 quello disegnato dalla norma in esame, non ricerca una  soluzione  di
 equilibrio  tra  rafforzamento di tali esigenze di speditezza, ed una
 persistente, necessaria tutela dei valori urbanistici; ma accetta  la
 soluzione  estrema  del  silenzio-assenso,  che  espone  a  rilevanti
 pericoli ed accetta il principio  di  un  gravissimo  sacrificio  dei
 valori  urbanistici  ed  anche paesaggistici, questi ultimi anch'essi
 oggetto di esplicita tutela  nella  Carta  costituzionale,  collocata
 anzi,   con  l'art.  9,  secondo  comma,  nell'ambito  dei  "Principi
 fondamentali".
   4. Inoltre, le competenze regionali di cui agli  artt.  117  e  118
 della  Costituzione  appaiono  violate  dal  decreto impugnato con la
 previsione (contenuta nel primo comma dell'art. 3) della Sostituzione
 al Sindaco di un commissario ad acta per omissioni di cui non vengono
 peraltro  chiariti  i  confini  in   maniera   chiara   ed   univoca.
 L'indeterminatezza  dei  presupposti di applicazione della previsione
 si  accompagna  all'attribuzione  in  via   esclusiva   al   Ministro
 competente ("anche d'ufficio") del relativo potere sostitutivo, senza
 alcuna  previsione  di una partecipazione della Regione all'esercizio
 di una cosi' incisiva forma di controllo.
   Si tratta di una deroga (priva  di  giustificazione)  al  principio
 generale  e  costituzionalmente  garantito  dell'autonomia degli enti
 locali.  Per  di  piu',  l'attribuzione  del  potere   di   controllo
 sostitutivo  al  Ministro  dei  lavori pubblici si manifesta come una
 violazione dell'art. 130 Cost., che postula  l'attribuzione  di  tali
 poteri ad un organo regionale.
   Ne' l'attribuzione di tale potere ad un organo dello Stato centrale
 trova  una  giustificazione nella decisione 12 maggio 1977, n. 75, di
 codesta ecc.ma Corte,  che  rigetto'  il  conflitto  di  attribuzione
 proposto  da  altra  Regione  a  statuto  ordinario avverso la nomina
 prefettizia di un commissario ad acta presso un comune  per  eseguire
 una  decisione  del  Consiglio  di  Stato,  sul  presupposto  che  il
 pregiudizio subito dalla Regione era da ricollegarsi  alla  pronunzia
 dell'organo  giurisdizionale,  e  non alla decisione del Prefetto. Da
 tale decisione si ricava semmai la conferma implicita che (al di  la'
 delle   ipotesi   in  cui  esso  sia  mera  attuazione  di  pronunzie
 giurisdizionali) il controllo sostitutivo, come  in  genere  tutti  i
 controlli   amministrativi   sui  comuni,  rientra  nelle  competenze
 regionali, ai sensi dell'art. 130 Cost.
   5. - Il decreto legge impugnato,  all'art.  7,  viene  ad  incidere
 illegittimamente  anche  sulle competenze normative ed amministrative
 regionali in materia di lavori pubblici di interesse regionale.
   Infatti, all'art. 7  detta  disposizioni  per  la  definizione  del
 contenzioso  in  materia  di  opere  pubbliche.  In  particolare, con
 l'ottavo  comma  di  tale  articolo   prevede   che   "le   pubbliche
 amministrazioni  di  cui  all'art.  1,  secondo  comma,  del  decreto
 legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 ... possono chiedere  al  Ministro
 dei  lavori  pubblici  l'applicazione  delle  disposizioni  di cui al
 presente "articolo" (relative alla ripresa dell'esecuzione  di  opere
 "che per qualsiasi ragione risultino sospese")".
   I relativi provvedimenti ministeriali sono condizionati dal secondo
 comma  dello stesso art. 7 alla verifica del perdurare dell'interesse
 pubblico  alla  realizzazione  dell'opera,  degli  spetti  di  tutela
 ambientale e di sicurezza, dei riflessi derivanti all'amministrazione
 dai   provvedimenti   giurisdizionali   che   eventualmente   abbiano
 determinato la  sospensione  dell'opera,  e  della  congruita'  degli
 aspetti  economici  dell'affidamento;  peraltro,  in base allo stesso
 secondo comma dell'art. 7, e' lo stesso Ministro dei lavori  pubblici
 ad  essere  chiamato  a  dettare,  con  proprio decreto, i criteri di
 valutazione della ricorrenza dei suddetti presupposti.
   Si   rileva  che,  in  base  alla  menzionata  previsione,  ove  la
 valutazione abbia ad oggetto opere  pubbliche  la  cui  realizzazione
 rientra  nelle competenze regionali, la Regione viene assoggettata ad
 un controllo del Ministro, li'  dove  dovrebbe  essere  affermata  la
 competenza  esclusiva  della  Regione  in  proposito; la disposizione
 appare illegittima, quanto meno nei limiti in cui  sulla  valutazione
 in  questione  non  sia  riconosciuta  la  competenza regionale, e la
 Commissione chiamata ad esprimersi su  di  essa  non  sia  di  nomina
 regionale,  sia  pure  con  una  composizione che rispetti nelle loro
 linee direttive i criteri seguiti dalla norma in questione.
   Va ancora aggiunto che la stessa rimessione al Ministro dei  lavori
 pubblici  della  determinazione  dei  criteri  sulla  base  dei quali
 valutare il perdurare dell'interesse pubblico e la  congruita'  degli
 aspetti  economici  trascende indubbiamente dall'ambito del potere di
 indirizzo e di coordinamento di cui all' art. 118 Cost., potere  che,
 peraltro, non compete al singolo Ministro, dovendo essere esercitato,
 ai  sensi  della  legge  n.  400 del 1988, mediante deliberazioni del
 Consiglio dei Ministri. Da un punto di vista contenutistico, infatti,
 gli atti di indirizzo e di coordinamento non possono estrinsecarsi in
 forme espressive tanto "analitiche e  dettagliate"  da  non  lasciare
 alle  regioni  un  necessario  spazio  di  autonomia  entro  il quale
 esercitare le proprie competenze.
   Si   chiede   pertanto:   piaccia   all'Ecc.ma   Corte   dichiarare
 costituzionalmente  illegittimo,  per violazione degli articoli 3, 9,
 77, 97, 117, 118 e 130 della Costituzione, il decreto legge 25 maggio
 1996, n. 285, pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale,  Serie  generale,
 Parte I, n.  121, del 25 maggio 1996), recante "Misure urgenti per il
 rilancio   economico   ed   occupazionale   dei   lavori  pubblici  e
 dell'edilizia privata", ed in particolare i suoi articoli 3, 5  e  7;
 con ogni provvedimento consequenziale.
     Roma, addi' 19 giugno 1996
                         Avv. Enrico Romanelli
 96C1027