N. 1181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 1996

                                N. 1181
  Ordinanza  emessa il 16 maggio 1996 dal tribunale militare di Padova
 nel procedimento penale a carico di Mariani Carletti Giuseppe
 Reati militari -  Reato  di  truffa  militare  -  Pene  accessorie  -
    Rimozione  dal grado - Prevista applicazione ai militari rivestiti
    di un grado o appartenenti ad una classe  superiore  all'ultima  -
    Lamentata  inapplicabilita'  ai  soldati semplici - Ingiustificata
    disparita' di trattamento anche  rispetto  a  quanto  previsto  in
    ipotesi  analoghe  per gli altri funzionari pubblici - Lesione del
    principio della finalita' rieducativa della pena.
 Reati militari - Pene accessorie a sottufficiali graduati di truppa -
    Previsione di pena accessoria diversa (sospensione dal  grado)  da
    quella  (sospensione dall'impiego) contemplata per gli ufficiali -
    Ingiustificata disparita' di trattamento.
 (C.P.M.P., artt. 29, 30, 31 e 234, ultimo comma).
 (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).
(GU n.44 del 30-10-1996 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha pronunciato  in  pubblica  udienza  la  seguente  ordinanza  nel
 procedimento penale a carico di Mariani Carletti Giuseppe, nato il 26
 febbraio  1944  a  Perugia,  atto  di nascita n. 230/A/I, residente a
 Taranto, in via Veneto n. 38, coniugato, censurato, capo 1 cl. presso
 Maricosom  in  Taranto,   libero,   imputato   di   truffa   militare
 pluriaggravata  e  continuata (art. 234, primo e secondo comma, e 47,
 n. 2 del c.p.m.p.)   perche' capo  1  classe  m.m.,  in  servizio  su
 incrociatore  Garibaldi,  con  artifizi  e  raggiri  consistenti  nel
 produrre al servizio amministrativo  di  incrociatore  Garibaldi  due
 false  fatture  di  trasporto  mobilia e masserizie (ditta Santamaria
 Mario di Taranto del 17 giugno 1991 e del  14  gennaio  1992)  e  due
 falsi certificati di pesa pubblica del comune di Taranto, induceva in
 errore l'amministrazione militare, con danno della stessa e a proprio
 profitto,  giacche'  il  27  giugno  1991  ed  il 27 febbraio 1992 su
 incrociatore  Garibaldi,  riscuoteva  L. 6.476.925 e L. 6.456.305 per
 due fittizi trasporti mobilia e masserizie da  Taranto  a  Fiumaretta
 (La  Spezia)  e  da  Fiumaretta  a Taranto conseguenti a due fittizie
 elezioni di domicilio.
   Con l'aggravante del grado ricoperto.
   In esito al pubblico ed orale dibattimento.
                            Fatto e diritto
   A conclusione del dibattimento il p.m. ha chiesto l'affermazione di
 responsabilita' e la condanna del  capo  1  classe  Mariani  Carletti
 Giuseppe alla pena di un anno e sei mesi di reclusione militare.
   La  difesa  ha  chiesto  che  la pena da irrogare sia contenuta nel
 minimo, e la concessione dei benefici di legge.
   Questo giudice, ravvisata la sussistenza dell'elemento materiale  e
 del  corrispondente  dolo  dei  reati  in  epigrafe, ritiene di dover
 infliggere la reclusione militare per durata che, cumulata all'anno e
 sei mesi di reclusione irrogata con sentenza in data 9  ottobre  1958
 del  tribunale  di Perugia, importa il superamento del "tetto" di due
 anni, e quindi  l'impossibilita'  di  concedere  il  beneficio  della
 sospensione condizionale (art. 163 del c.p.).
   Pertanto,  trattandosi  di  sentenza  cui  sarebbe  data  effettiva
 esecuzione,  assumono  rilevanza  censure  di  costituzionalita'  nei
 confronti delle pene accessorie che ne derivano.
   Innanzitutto,  viene  in  considerazione  la rimozione (art. 29 del
 c.p.m.p.), conseguenza automatica della  condanna  per  il  reato  di
 truffa militare (art. 234, terzo comma, del c.p.m.p.).
   La  perdita  del  grado  rivestito  non e', contrariamente a quanto
 comunemente  si  pensa,  l'aspetto  fondamentale   di   questa   pena
 accessoria,  che  consiste  invece  nella  perdita delle capacita' di
 rivestire un qualsiasi grado. La rimozione del grado ricoperto  altro
 non  e',  dunque,  che  un  effetto,  anche se il piu' vistoso, della
 radicale incapacita' di conseguire nelle Forze armate  una  posizione
 che  non  sia  quella  di  semplice  soldato  o di militare di ultima
 classe.
   La pena accessoria della rimozione sarebbe, pertanto, astrattamente
 irrogabile nei confronti di qualsiasi militare, da  soldato  al  piu'
 alto  grado  della gerarchia. Tuttavia, essa e' prevista soltanto per
 "tutti i militari rivestiti di un grado o appartenenti ad una  classe
 superiore   all'ultima"   (art.  29),  con  evidente  violazione  del
 principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), che, a  parita'
 di  condizioni,  ne  postulerebbe  l'applicazione  anche  ai semplici
 soldati.
   D'altra parte, di certo non  potrebbe  dirsi,  per  confutare  tale
 irrazionalita',  che  la  rimozione  giustamente  viene  a riguardare
 esclusivamente i militari rivestiti di un grado perche'  solo  questi
 con  la  commissione del reato violano i doveri a questo inerenti. E'
 noto infatti che questa sanzione si applica al militare  che  riveste
 un  grado  al  momento  della  condanna,  a nulla rilevando se questa
 qualifica fosse, o meno, presente anche nel momento della commissione
 del reato.
   Ma, a parte i profili che ne mettono in  risalto  irrazionalita'  a
 danno  dei  militari  che  ricoprono  un  grado,  la  rimozione,  per
 l'automatismo  della  sua  applicazione  e  per  le  conseguenze  che
 comporta, appare in contrasto con il principio di umanita' della pena
 (art.  27, terzo comma, della Costituzione). Non si vede infatti come
 per  reati  non  sempre  gravi  (e  anche  per  il solo fatto di aver
 commesso un qualsiasi, anche il piu' lieve, reato in concorso con  un
 inferiore,  come previsto dall'art. 58, secondo comma, del c.p.m.p.),
 possa legittimarsi una sanzione che metta nel  nulla  gli  sforzi  di
 un'intera  vita  di lavoro nell'ambito dell'istituzione militare. Non
 e',  evidentemente,  in  discussione  la  possibilita'   tramite   la
 destituzione  di allontanare, se del caso, il condannato dal servizio
 attivo, quanto piuttosto il mantenimento di un  grado  militare  che,
 per  essere  stato  dal  soggetto effettivamente conseguito, comunque
 dovrebbe appartenergli, fatta eccezione solamente per i casi estremi,
 quelli di  applicazione  delle  pene  accessorie  della  degradazione
 (artt.  28  e 33 del c.p.m.p) o dell'interdizione dai pubblici uffici
 (artt. 28 e 29 del c.p.).
   Sono  evidenti,  peraltro,  ulteriori  aspetti  di  violazione  del
 principio  di  uguaglianza. Solamente per il militare, e non per ogni
 funzionario pubblico, si prevede  infatti  una  pena  accessoria  che
 incide  sulla posizione all'interno della pubblica istituzione in cui
 svolge servizio.    Questa  sanzione  inoltre,  pur  considerata  nei
 riguardi dei militari rivestiti di un grado, rivela ineguali tassi di
 afflittivita'  a  seconda  che  si  tratti di un militare in servizio
 temporaneo o di carriera.
   Sentenze della Corte costituzionale e la legge 7 febbraio 1990,  n.
 19,  hanno  apportato  rilevanti  modifiche in materia di conseguenze
 disciplinari  delle  condanne  penali.  Queste   novita',   pur   non
 modificative delle disposizioni sulle pene accessorie, hanno tuttavia
 generato  incertezze  interpretative, per cui non e' escluso che, pur
 nei casi di condanna che comporti la rimozione, non si abbia  poi  la
 perdita  della posizione conseguita nella scala gerarchica, in virtu'
 di un giudizio disciplinare che escluda la destituzione  e  trattenga
 percio' in servizio il condannato con il grado rivestito.
   Per  questi  dati  di diritto vivente, va dunque considerato che il
 Mariani Carletti, a seguito della condanna di  pertinenza  di  questo
 giudice,  debba  poi  scontare  la  pena  detentiva  ancora rivestito
 dell'attuale grado di sottufficiale.
   Gli verra' in tal caso applicata la sospensione  dal  grado  (artt.
 31 e 34, secondo comma, del c.p.m.p.), nei cui confronti debbono pure
 prospettarsi censure di costituzionalita'.
   Questa  pena  accessoria,  che  consiste  dunque  nella "privazione
 temporanea  del  grado  militare  durante  l'espiazione  della   pena
 principale",  e dunque in un certo senso in una temporanea rimozione,
 viene applicata ai sottufficiali e ai graduati di truppa.
   Nell'ambiente carcerario sono per costoro sospese  le  attribuzioni
 del  grado e, nel periodo di carcerazione, anche l'eventuale rapporto
 di impiego, che nel grado ha il suo imprescindibile presupposto.
   Nel caso in cui la reclusione militare venga, invece, eseguita  nei
 confronti di ufficiali, l'art. 30 del c.p.m.p. esclude la sospensione
 dal  grado  e  prevede la sola sospensione dall'impiego. L'ufficiale,
 dunque, nell'ambiente carcerario mantiene le attribuzioni del  grado,
 e non subisce la temporanea rimozione.
   Questo giudice, non emergendo alcuna valida ragione che giustifichi
 la  differenziazione  nel  trattamento sanzionatorio, in cio' ravvisa
 una  violazione  del  principio  di  uguaglianza.  Appare,   inoltre,
 evidente   che   anche   la   pari  dignita'  di  ogni  militare  sia
 incompatibile  con  una  cosi'  vistosa  disuguaglianza  delle   pene
 accessorie.  Del resto, l'esigenza di rispetto della persona comunque
 non consente che, quando per  la  condanna  non  sia  intervenuta  la
 perdita  definitiva  del  grado, nell'ambiente militare carcerario il
 condannato sia privato del grado.
   In  definitiva,   deve   sollevarsi   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  art.  29 e 234, terzo comma, del codice penale
 militare, in relazione agli articoli  3  e  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione.
   Deve  inoltre  sollevarsi  questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 30 e 31 del codice penale militare, nella  parte  in  cui
 prevedono  per  i  sottufficiali  e  i  graduati  di  truppa una pena
 accessoria diversa da quella prevista per gli ufficiali, in relazione
 all'art.  3 della Costituzione.
                                P. Q. M.
   Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 29 e 234, ultimo comma, del
 c.p.m.p.  in  relazione  agli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione;  e  degli  artt.  30  e  31  del c.p.m.p., in relazione
 all'art. 3 della Costituzione;
   Dispone la sospensione del procedimento  e  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che  l'ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente
 del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei  due  rami
 del Parlamento.
     Padova, addi' 16 maggio 1996
                         Il presidente: Rosin
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