N. 1194 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 1996

                                N. 1194
  Ordinanza emessa il 9 maggio  1996  dal  tribunale  di  Cassino  nel
 procedimento penale a carico di Mendico Ettore ed altri
 Processo  penale - Dibattimento - Giudice per le indagini preliminari
    che si sia comunque pronunciato  in  tema  di  liberta'  personale
    dell'imputato  -  Incompatibilita'  ad  esercitare le funzioni del
    dibattimento - Omessa previsione - Disparita' di  trattamento  tra
    situazioni  simili  - Lesione dei principi di inviolabilita' della
    difesa e della presunzione  di  non  colpevolezza  -  Richiamo  ai
    principi espressi con le sentenze nn. 432/1995 e 131/1996.
 (C.P.P. 1988, art. 34, comma 2).
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma).
(GU n.44 del 30-10-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Sulle  eccezioni  della  difesa  degli  imputati  Mendico  Ettore e
 Riccardi Orlandino relative alla incompatibilita'  ex art. 34  c.p.p.
 del componente del collegio dott. Francesco Galli, il quale ha svolto
 funzioni  di giudice per le  indagini preliminari nel procedimento, e
 precisamente:
     a)  ha   proceduto   il   22   luglio   1991   all'interrogatorio
 dell'indagato   detenuto   Mendico   Ettore,  dopo  l'esecuzione  del
 provvedimento di custodia cautelare  emesso  il  2  aprile  1991  nei
 confronti dello stesso da altro magistrato (titolare dell'Ufficio del
 g.i.p.),  ritenendo  di  "non... emettere alcun provvedimento ex art.
 299 c.p.p.";
     b)  nel  delibare  l'istanza  dell'indagato  Riccardi  Orlandino,
 detenuto  agli  arresti domiciliari, di essere autorizzato a svolgere
 la propria attivita' lavorativa presso  il  cantiere  di  Formia,  ha
 espresso   il   convincimento  della  persistenza  delle  "condizioni
 generali di applicabilita'  della  misura"  ai  sensi  dell'art.  273
 c.p.p.;
   Nonche'    sulla    eccezione    subordinata    di   illegittimita'
 incostituzionale dell'art. 34 cit., nella parte in cui non prevede le
 anzidette situazioni di incompatibilita' tra  g.i.p.  e  giudice  del
 dibattimento;
   Sentiti  il  p.m.  ed  il  difensore  delle parti civili, che hanno
 chiesto il rigetto delle eccezioni di cui sopra;
   Osserva quanto segue.
   Va,  innanzitutto, senza dubbio escluso che la norma invocata dalla
 difesa, allo stato della  sua  formulazione,  consenta  di  risolvere
 positivamente  le  questioni  sollevate, nel senso di potere ritenere
 sussistenti le dedotte incompatibilita' di funzioni del dott.  Galli,
 pur  dopo  le varie sentenze additive della Corte costituzionale (v.,
 da ultimo, quella n. 432/1995, nonche' la  recentissima  sentenza  n.
 131/1996  dello  scorso mese di aprile che ha introdotto  l'ulteriore
 profilo di incompatibilita' tra il giudice che  ha  fatto  parte  del
 tribunale del riesame ed il giudice del  dibattimento, della quale al
 momento  non  sono,  pero',  ancora  note le motivazioni), essendo le
 situazioni di incompatibilita' tutte  specificamente  previste  dalla
 norma  (o aggiunte dalla Corte costituzionale) in relazione a singoli
 casi concreti.
   Venendo, quindi, all'esame delle eccezioni di  incostituzionalita',
 sollevate dalla difesa in via subordinata, per il caso appunto - come
 qui  si  ritiene - che non si possa rinvenire nel dettato della norma
 processuale i dedotti profili di incompatibilita', il tribunale  deve
 prendere   atto   del   piu'   recente   orientamento   della   Corte
 costituzionale espresso a partire dalla sentenza n. 432 del 1995.
   La   Corte,   invero,   nell'affrontare    la    questione    della
 incompatibilita', a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento,
 del  giudice  per  le  indagini preliminari che ha adottato la misura
 della custodia cautelare nei confronti dell'indagato (poi rinviato  a
 giudizio)  ha,  innanzitutto, premesso la necessita' di "affermare un
 piu' pregnante  significato  dei  valori  costituzionali  del  giusto
 processo  (e del diritto di difesa che ne e' componente essenziale)",
 anche alla luce dell'"intervenuto mutamento del  quadro  normativo  a
 seguito  della  recente  legge  8  agosto  1995,  n.  332,  la quale,
 accentuando  ancor  piu'   il   carattere   di   eccezionalita'   dei
 provvedimenti  limitativi  della  liberta'  personale  disposti prima
 della  condanna,  comporta  indubbiamente  una  maggior   incisivita'
 dell'apprezzamento del giudice sul punto".
   Ha,  quindi,  osservato  che i "gravi indizi di colevolezza" di cui
 all'art. 273, comma primo, c.p.p., "si sostanziano pur sempre in  una
 serie  di elementi probatori individuati nelle indagini preliminari e
 idonei a  fornire  una  consistente  e  ragionevole  probabilita'  di
 colpevolezza  dell'indagato",  non  senza  porre  in evidenza che "la
 giurisprudenza della Corte  di  cassazione  ha  sottolineato  che  il
 concetto  di  ''gravita'''  degli indizi (certamente piu' rigoroso di
 quello di ''sufficienza'' richiesto nel  codice  previgente)  postula
 una  obiettiva  precisione  dei  singoli elementi indizianti che, nel
 loro complesso, consentono di pervenire logicamente  ad  un  giudizio
 che  pur  senza  raggiungere  il  grado  di certezza richiesto per la
 condanna, sia di alta probabilita' dell'esistenza del reato  e  della
 sua attribuibilita' all'indagato".
   Sicche'  - hanno concluso i giudici costituzionali - anche nel caso
 in  questione,  come  gia'  in  altre   fattispecie   precedentemente
 esaminate,  doveva  ritenersi  sussistente  il  medesimo  rischio che
 l'art. 34 c.p.p.  mira ad impedire, vale a dire che  "la  valutazione
 conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire,
 condizionata  dalla  cosiddetta  forza  della prevenzione, e cioe' da
 quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso  o  un
 atteggiamento  gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso
 procedimento", con inevitabili riflessi  negativi  -  in  sostanza  -
 sulla  serenita'  ed  imparzialita'  di giudizio, qualora il medesimo
 giudice partecipi al collegio chiamato a decidere sullo stesso fatto.
   Orbene,   le   condivisibili   argomentazioni   della  Corte  e  le
 conclusioni cui la stessa e' giunta affermando  l'incostituzionalita'
 dell'art.   34, comma secondo, c.p.p. a proposito del caso del g.i.p.
 che ha applicato la misura della custodia cautelare, non possono  non
 valere  -  a  parere  di  questo Collegio - anche nell'ipotesi di cui
 trattasi, e cioe' quando il giudice del  dibattimento,  svolgendo  in
 precedenza  funzioni  di  g.i.p.  nel  procedimento, abbia "comunque"
 espresso in quella sede il convincimento della sussistenza  (o  della
 persistenza)  dei  "gravi  indizi  di  colpevolezza"  a  carico delle
 medesime persone, che, allora  indagate,  sono  state  poi  tratte  a
 giudizio  innanzi  al  tribunale  composto, appunto, da quello stesso
 giudice.
    Nel primo caso in  esame,  invero,  il  giudice  Galli,  all'esito
 dell'interrogatorio  dell'indagato  Mendico,  nei  cui  confronti era
 stato eseguito il provvedimento di custodia cautelare  emesso  alcuni
 mesi  prima da altro g.i.p., ritenne in sostanza che persistessero le
 condizioni  di  applicabilita'  della   misura   cautelare   previste
 dall'art.   273  c.p.p.,  in  tal  senso  escludendo  che  ricorresse
 l'ipotesi di cui all'art. 299 c.p.p., il quale fa obbligo al  giudice
 che  assume  l'interrogatorio  della  persona  in  stato  di custodia
 cautelare di revocare immediatamente, "anche di ufficio",  la  misura
 cautelare  quando  risultano  mancanti  o  essere  venute meno quelle
 condizioni: in tal  modo,  quel  giudice  espresse  senza  dubbio  un
 giudizio  non dissimile da quello che aveva convinto un'altro giudice
 ad adottare la misura cautelare nei confronti del medesimo indagato.
   Sicche', il giudice Galli - come l'altro g.i.p. - viene a  trovarsi
 in sostanza nelle stessa situazione di incompatibilita' a partecipare
 al  giudizio  nei confronti di quell'imputato, profilandosi anche qui
 il rischio - che la norma in oggetto, invece, e' volta ad impedire  -
 di   un   condizionamento   dovuto   alla   anzidetta   "forza  della
 prevenzione".
   Da  qui  la  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
 costituzionalita'   eccepita  dalla  difesa,  la  cui  rilevanza  nel
 procedimento de quo e', peraltro, del tutto evidente.
   Alla stessa conclusione, peraltro,  sembra  doversi  pervenire  con
 riferimento al giudizio espresso dal medesimo giudice con riferimento
 all'odierno  imputato Riccardi Orlandino, in quanto - sia pure in una
 diversa occasione, e cioe'  nel  valutare  un'istanza  dell'indagato,
 detenuto  agli  arresti  domiciliari  - venne comunque esplicitato da
 parte  di  quel  g.i.p.  il  convincimento  della  permanenza   delle
 "condizioni  generali  di  applicabilita'  della misura" cautelare, e
 pertanto - anche qui - un giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi
 di colpevolezza.
   Le  due  anzidette  situazioni,   in   conclusione,   non   essendo
 specificamente   previste   dall'art.   34,  comma  secondo,  c.p.p.,
 involgono profili di  incostituzionalita'  di  tale  norma  sotto  il
 triplice  aspetto  della  parita' di trattamento di situazioni simili
 (art. 3 Cost.), della inviolabilita' del diritto di  difesa  in  ogni
 stato  e  grado  del  procedimento (art. 24, comma secondo, Cost.) e,
 infine,  della  presunzione  di  non  colpevolezza  sino  a  condanna
 definitiva (art. 27, comma secondo, Cost.).
   Va,  pertanto,  disposta,  previa  sospensione del procedimento, la
 trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale;  rilevandosi,  da
 ultimo,  la  inopportunita' di separare - in questa fase introduttiva
 del dibattimento - le  posizioni  degli  imputati  Mendico  Ettore  e
 Riccardi   Orlandino  da  quelle  degli  altri  imputati,  in  quanto
 trattasi, innanzitutto, di reato  associativo  e  data,  inoltre,  la
 stretta   connessione,  anche  probatoria  (cfr.  lista  testimoniale
 depositata dal p.m.), tra tutti gli altri reati di  cui  in  rubrica,
 relativi  a  fatti  commessi  -  con modalita' analoghe, nello stesso
 luogo ed in tempi ravvicinati  -  in  esecuzione  di  quel  programma
 delinquenziale  e  avvalendosi  della  forza  intimidatoria derivante
 dalla medesima associazione criminale.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9  febbraio  1948,  n.
 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  non manifestamente infondate le questioni di legittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo  comma,  c.p.p.  eccepite  dalla
 difesa, nei termini di cui sopra;
   Dispone   la   sospensione   del  presente  procedimento  e  ordina
 l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  venga
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al
 Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
 dei deputati.
     Cassino, 9 maggio 1996.
                        Il presidente: Capurso
                                       I giudici: Galli - Vallerotonda
 96C1640