N. 360 SENTENZA 17 - 24 ottobre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Leggi,  decreti  e  regolamenti  -  Decreto-legge  -  Reiterazione  -
 Ulteriori reiterazioni ad identico contenuto anch'esse non convertite
 - Procrasticazione di fatto del termine invalicabile  previsto  dalla
 Costituzione  per  la conversione in legge - Surrettizia sostituzione
 della legge ordinaria da parte  del  decreto-legge  -  Richiamo  alla
 sentenza  della Corte n. 302/1988 di auspicio a favore di una riforma
 ritenuta opportuna in materia - Alterazione della natura  provvisoria
 della  decretazione  di  urgenza  altresi'  subordinata a presupposti
 "straordinari" di  necessita'  ed  urgenza  assenti  nel  caso  della
 mancata  introduzione  di variazioni sostanziali - Attenuazione della
 sanzione della perdita  retroattiva  di  efficacia  del  decreto  non
 convertito  -  Alterazione  dei  caratteri  della  forma di Governo e
 dell'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al  Parlamento
 -  Prassi  incidente  negativamente  sugli  equilibri istituzionali -
 Lesione della  certezza  del  diritto  nei  rapporti  tra  i  diversi
 soggetti, segnatamente piu' grave in materia penale e nella sfera dei
 diritti   fondamentali   col   rischio   di   produzione  di  effetti
 irreversibili (v. sentenza della Corte n.  161/1995  e  ordinanza  n.
 197/1996)  -  Elusione  del  divieto  di  iterazione  o  reiterazione
 implicito nel  disegno  costituzionale  -  Alterazione  del  corretto
 svolgimento  dei  processi  di  produzione normativa - Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (D.-L. 6 settembre 1996, n. 462, art. 6, comma 4).
 
 (Cost., art. 77).
(GU n.44 del 30-10-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici: prof. Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,    dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,   prof. Francesco GUIZZI,  prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.    Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo CHIEPPA,   prof. Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale del d.-l. 8 novembre 1995,
 n. 463 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei  residui  derivanti
 da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un
 processo  di  combustione,  nonche'  in  materia  di  smaltimento dei
 rifiuti), e dell'art. 12, comma 4, dello stesso decreto; del d.-l.  8
 gennaio 1996, n. 8 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui
 derivanti da  cicli  di  produzione  o  di  consumo  in  un  processo
 produttivo  o  in  un  processo di combustione, nonche' in materia di
 smaltimento dei rifiuti), e  dell'art.  12,  comma  4,  dello  stesso
 decreto;  del  d.-l. 8 marzo 1996, n. 113 (Disposizioni in materia di
 riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di  consumo
 in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonche' in
 materia  di  smaltimento  dei rifiuti), e dell'art. 12, quarto comma,
 dello stesso decreto, giudizi promossi con  ordinanze  emesse  il  22
 dicembre  1995, il 19 gennaio 1996, il 22 dicembre 1995, il 18 marzo,
 il 19 febbraio, il 29 gennaio ed il 22  marzo  1996  dal  pretore  di
 Macerata rispettivamente iscritte ai nn. 218, 247, 334, 536, 615, 633
 e  639  del  registro  ordinanze  1996  e  pubblicate  nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica nn. 11, 12, 16, 25, 27 e 28,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  2  ottobre  1996  il  giudice
 relatore Enzo Cheli.
 Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso  di  un  procedimento  penale a carico di Paola
 Leonardi, imputata della contravvenzione di cui  all'art.  25,  primo
 comma,  del  d.P.R.  10 settembre 1982, n. 915, per il trasporto e lo
 stoccaggio di rifiuti speciali prodotti da terzi senza la  prescritta
 autorizzazione  regionale,  il pretore di Macerata, con ordinanza del
 22 dicembre 1995 (r.o. n. 218 del 1996), ha  sollevato  questione  di
 legittimita'   costituzionale,  con  riferimento  all'art.  77  della
 Costituzione, dell'intero d.-l. 8 novembre 1995, n. 463 (Disposizioni
 in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione
 o  di  consumo  in  un  processo  produttivo  o  in  un  processo  di
 combustione,  nonche'  in  materia  di  smaltimento  dei rifiuti), e,
 nell'ambito di tale decreto, anche con riferimento all'art. 24  della
 Costituzione, della disposizione contenuta nell'art. 12, comma 4.
   Il giudice rimettente osserva, in primo luogo, che il decreto-legge
 impugnato  e' l'ultimo di una lunga serie di decreti-legge reiterati,
 con contenuto sostanzialmente identico, nell'arco di circa due  anni,
 decreti  che  non  sono  stati convertiti in legge. Il lungo lasso di
 tempo durante il quale si e'  protratta  la  disciplina  in  tema  di
 smaltimento  dei  rifiuti  prevista  dai  suddetti  decreti verrebbe,
 pertanto,  a  contrastare  con  l'art.  77  della  Costituzione,  che
 richiede  l'urgenza  quale  requisito essenziale per l'adozione di un
 decreto-legge. Tale modo di legiferare da parte del Governo  avrebbe,
 altresi',  alterato  la  natura  provvisoria  del  decreto-legge, dal
 momento che una reiterazione prolungata nel  tempo  produrrebbe  come
 effetto  la  surrettizia  sostituzione della legge ordinaria da parte
 del decreto-legge, in violazione dell'art.   77, primo  comma,  della
 Costituzione.
   Sotto  un  secondo profilo, il giudice rimettente rileva che l'art.
 12, comma 4, del decreto-legge impugnato esclude  la  punibilita'  di
 chi,  fino  al  7 gennaio 1995, abbia commesso un fatto previsto come
 reato dal  d.P.R.  n.  915  del  1982  "nell'esercizio  di  attivita'
 qualificate  come  operazioni  di  raccolta  e trasporto, stoccaggio,
 trattamento o pretrattamento, recupero o riutilizzo  di  residui  nei
 modi  e  nei  casi  previsti  ed in conformita' alle disposizioni del
 decreto del Ministro dell'ambiente in data 26 gennaio 1990, ovvero di
 norme  regionali".     Tale  decreto   ministeriale,   come   ricorda
 l'ordinanza,  e'  stato, peraltro, in parte annullato con la sentenza
 di  questa  Corte  n.  512  del  1990,  in  quanto  ritenuto   lesivo
 dell'autonomia   costituzionalmente   garantita   alle   Regioni.  Di
 conseguenza, sempre ad avviso del giudice rimettente,  l'applicazione
 di   tale   causa   di   non   punibilita',   risultando  subordinata
 all'osservanza  di  disposizioni  gia'   previste   in   un   decreto
 ministeriale annullato, esigerebbe - da parte di coloro che intendano
 avvalersi   della   norma   -   una   condotta  inesigibile,  perche'
 praticamente  inattuabile.    Nessun  soggetto  interessato   avrebbe
 potuto,   infatti,   ottemperare   alle   disposizioni   del  decreto
 ministeriale citato dopo l'annullamento dello stesso da  parte  della
 Corte costituzionale - e nelle more del recepimento del suo contenuto
 nell'art.  12,  comma  4,  impugnato  -  non  sussistendo  nella fase
 suddetta alcun obbligo giuridico di ottemperarvi.
   L'art.  12,  comma 4, verrebbe, pertanto, a violare, oltre all'art.
 77  della  Costituzione,  anche  il  diritto  di  difesa   sanzionato
 nell'art.    24,  dal  momento  che  l'imputato  non avrebbe avuto la
 possibilita' pratica di avvalersi dell'esimente speciale richiamata.
   2. - Lo stesso giudice, con ordinanza del 22  dicembre  1995  (r.o.
 n.    334   del   1996),   ha   sollevato   identica   questione   di
 costituzionalita' sempre nei confronti del decreto-legge n.  463  del
 1995  (e,  in  particolare,  dell'art. 12, comma 4, di tale decreto),
 mentre, con le ordinanze del 19 e 29 gennaio, del 19 febbraio  e  del
 18  e  22  marzo  del  1996  (r.o.  nn.  247,  536,  615,  633 e 639)
 l'impugnativa e'  stata  indirizzata  nei  confronti  dei  successivi
 decreti-legge  8  gennaio  1996,  n. 8, e 8 marzo 1996, n. 113 (e, in
 particolare, dell'art. 12, comma 4, di  tali  decreti),  decreti  che
 hanno costituito un'ulteriore reiterazione di quello impugnato con le
 prime due ordinanze.
   3.  -  In  tutti  i  giudizi  (con  l'eccezione  di quello relativo
 all'ordinanza n. 633 del 29 gennaio 1996) ha spiegato  intervento  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che  le  questioni
 sollevate  siano dichiarate inammissibili o, comunque, manifestamente
 infondate.
   L'Avvocatura osserva preliminarmente che i decreti-legge  impugnati
 sono  decaduti  per  mancata  conversione nel termine e, pertanto, le
 questioni dedotte dovrebbero essere  dichiarate  inammissibili.  Ogni
 valutazione  in  ordine  alla  sussistenza dei presupposti in base ai
 quali si e' proceduto alla reiterazione  degli  stessi  decreti-legge
 risulterebbe, pertanto, preclusa, ne' varrebbe a superare tale limite
 il  richiamo  alla sentenza n. 302 del 1988, dal momento che anche in
 quel caso la Corte non pervenne a una  declaratoria  d'illegittimita'
 della  reiterazione,  ma si limito' ad esprimere un auspicio a favore
 di riforme ritenute opportune.
   In  riferimento  alle  censure  concernenti  l'art.  12,  comma  4,
 l'Avvocatura  ritiene  poi  che  il  giudice  rimettente  confonda il
 problema dei limiti di verificabilita' concreta della fattispecie ivi
 prevista con la legittimita' costituzionale della stessa  norma,  dal
 momento  che la soluzione di tale problema comporterebbe soltanto una
 valutazione compresa nella competenza interpretativa del giudice.
   4. - In prossimita' della camera di consiglio la difesa dello Stato
 ha depositato una memoria, per ribadire le precedenti deduzioni.
 Considerato in diritto
   1. -  Le sette ordinanze del pretore di Macerata, pur riferendosi a
 tre  distinti  decreti-legge,   pongono   questioni   sostanzialmente
 identiche   sia  con  riferimento  agli  atti  considerati  nel  loro
 complesso che alla particolare disposizione  espressa  nell'art.  12,
 comma 4, di tali decreti.
   I  giudizi  relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con
 una stessa pronuncia.
   2. - Le ordinanze in  esame  sollevano  questione  di  legittimita'
 costituzionale nei confronti dei decreti-legge n. 463 dell'8 novembre
 1995,  n.  8  dell'8  gennaio 1996, e n. 113 dell'8 marzo 1996 (tutti
 recanti "Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui  derivanti
 da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un
 processo  di  combustione,  nonche'  in  materia  di  smaltimento dei
 rifiuti"),  per  violazione  dell'art.  77  della  Costituzione,   e,
 nell'ambito  di  tali decreti, della disposizione di cui all'art. 12,
 comma 4 - dove si prevede una particolare causa  di  non  punibilita'
 per  i  reati  di  cui  al  d.P.R.  10  settembre  1982, n. 915 - per
 violazione anche dell'art. 24 della Costituzione.
   Ad avviso del giudice rimettente i decreti-legge in  questione,  in
 quanto   ripetutamente   reiterati   con   contenuto  sostanzialmente
 identico, verrebbero a contrastare sia con il requisito  dell'urgenza
 che  con  il  carattere  della  provvisorieta' richiesti dall'art. 77
 della Costituzione per l'adozione da parte del Governo di un atto con
 forza di legge, determinando anche una surrettizia  sostituzione  del
 decreto-legge alla legge ordinaria.
   Nell'ambito   di   tali  decreti-legge  la  disposizione  contenuta
 nell'art.    12,  comma  4,  risulterebbe,  altresi',   viziata   per
 violazione  dell'art.    24  della Costituzione, avendo previsto come
 causa di non punibilita' un comportamento  praticamente  inesigibile,
 in  quanto  connesso  al rispetto di condizioni fissate in un decreto
 del Ministro dell'ambiente (d.m.  26  gennaio  1990)  in  gran  parte
 annullato a seguito di una pronuncia di questa Corte (sentenza n. 512
 del 1990).
   3.  - Dopo l'adozione delle ordinanze di rimessione nessuno dei tre
 decreti-legge impugnati e' stato convertito  in  legge.  L'ultimo  di
 tali  decreti  (d.-l.  8  marzo  1996,  n.  113)  e' stato, peraltro,
 ulteriormente reiterato con il  d.-l.  3  maggio  1996,  n.  246,  di
 identico contenuto, anch'esso non convertito.
   Successivamente,  la  materia  del  riutilizzo  dei residui e dello
 smaltimento dei rifiuti e' stata regolata con il d.-l. 8 luglio 1996,
 n. 352 (Disciplina delle attivita' di recupero dei rifiuti),  che  in
 parte  ha  reiterato e in parte ha modificato la disciplina contenuta
 nei precedenti decreti. La disposizione espressa nell'art. 12,  comma
 4,  dei  decreti impugnati - oggetto di specifica censura - e' stata,
 invece, reiterata, senza alcuna modifica, con l'art. 6, comma 4,  del
 decreto-legge suddetto. Anche questo decreto non e' stato convertito,
 ma  reiterato,  senza alcuna variante, con il d.-l. 6 settembre 1996,
 n. 462, che e' attualmente in vigore.
   In sintesi, il decreto-legge n. 462  del  6  settembre  1996,  oggi
 vigente, ha introdotto variazioni formali e sostanziali rispetto agli
 atti  (decreti-legge  nn. 463 del 1995, 8 e 113 del 1996) che formano
 oggetto delle impugnative, ma ha recepito integralmente, nell'art. 6,
 comma 4, il contenuto della disposizione gia' espressa nell'art.  12,
 comma 4, specificamente impugnata.
   Secondo  i  principi  enunciati  nella  sentenza  n. 84 del 1996 di
 questa Corte (v., in particolare, il  n.  4.2.3  del  considerato  in
 diritto),   la  questione  di  costituzionalita'  sollevata,  con  le
 ordinanze in esame, nei confronti dei decretilegge nn. 463 del  1995,
 8  e  113  del  1996  non  puo',  pertanto,  essere  "trasferita" sul
 decreto-legge n.  462 del 1996 considerato  nel  suo  complesso,  dal
 momento  che  lo  stesso ha introdotto variazioni nel quadro generale
 della  disciplina   posta   con   i   decreti-legge   impugnati.   Il
 "trasferimento"  puo' essere, invece, operato nei confronti dell'art.
 6, comma 4, del d.-l. n. 462 del  1996,  che  ha  riprodotto  sia  il
 contenuto   precettivo   essenziale  che  la  formulazione  letterale
 dell'art. 12, comma 4, dei decreti-legge impugnati.
   Le  censure  formulate  con le ordinanze in esame, sia in relazione
 all'art.  77  che  all'art.  24   della   Costituzione,   vanno,   di
 conseguenza,  riferite  soltanto  alla  norma  che e' stata reiterata
 mediante l'art.  6, quarto comma, del decreto-legge  n. 462 del 1996,
 oggi in vigore:  norma che risulta anche essere la sola rilevante  ai
 fini  della  definizione  dei  giudizi nel cui ambito le questioni di
 costituzionalita' sono state sollevate.
   4. - La questione  relativa  alla  violazione  dell'art.  77  della
 Costituzione e' fondata.
   La  norma  impugnata  - cosi' come riprodotta nell'art. 6, comma 4,
 del decreto-legge n. 462 del 1996 - ha formato oggetto di  una  lunga
 serie  di reiterazioni operate mediante decreti-legge, che trovano il
 loro punto di partenza nel d.-l. 7 gennaio 1994, n. 12, e che si sono
 prolungate, attraverso una catena ininterrotta, fino ad oggi.
   L'art. 77, commi 2 e 3, della Costituzione prevede la  possibilita'
 per  il  Governo  di adottare, sotto la propria responsabilita', atti
 con forza di legge  (nella  forma  del  decreto-legge)  come  ipotesi
 eccezionale,  subordinata  al  rispetto  di  condizioni precise. Tali
 atti, qualificati dalla stessa Costituzione come "provvisori", devono
 risultare fondati sulla presenza  di  presupposti  "straordinari"  di
 necessita'  ed  urgenza  e devono essere presentati, il giorno stesso
 della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge,
 conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla  loro
 pubblicazione.   Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i
 decreti-legge perdono la loro efficacia  fin  dall'inizio,  salva  la
 possibilita' per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici
 sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.
   Questa  disciplina,  nella  sua  limpida  formulazione,  non  offre
 alternative   al   carattere   necessariamente   provvisorio    della
 decretazione  d'urgenza:   o le Camere convertono il decreto in legge
 entro sessanta giorni o il decreto perde retroattivamente la  propria
 efficacia,  senza  che  il  Governo abbia la possibilita' di invocare
 proroghe o il Parlamento di provvedere ad una conversione tardiva. La
 disciplina costituzionale viene, pertanto, a qualificare  il  termine
 dei  sessanta  giorni  fissato  per  la  vigenza  della  decretazione
 d'urgenza come un limite insuperabile, che  -  proprio  ai  fini  del
 rispetto  del  criterio  di attribuzione della competenza legislativa
 ordinaria  alle  Camere  -  non   puo'   essere   ne'   violato   ne'
 indirettamente aggirato.
   Ora,  il  decreto-legge  iterato  o  reiterato  -  per  il fatto di
 riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto
 di un  decreto-legge  non  convertito,  senza  introdurre  variazioni
 sostanziali  -  lede la previsione costituzionale sotto piu' profili:
 perche' altera la natura  provvisoria  della  decretazione  d'urgenza
 procrastinando,  di  fatto,  il  termine  invalicabile previsto dalla
 Costituzione per la conversione in legge; perche'  toglie  valore  al
 carattere   "straordinario"   dei   requisiti   della   necessita'  e
 dell'urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare  e
 a  prolungare nel tempo il richiamo ai motivi gia' posti a fondamento
 del  primo  decreto;  perche'  attenua  la  sanzione  della   perdita
 retroattiva  di  efficacia  del  decreto  non  convertito, venendo il
 ricorso  ripetuto  alla  reiterazione  a  suscitare  nell'ordinamento
 un'aspettativa  circa  la  possibilita'  di  consolidare  gli effetti
 determinati dalla decretazione d'urgenza mediante la sanatoria finale
 della disciplina reiterata.
   Su  di  un piano piu' generale, la prassi della reiterazione, tanto
 piu' se diffusa e prolungata nel  tempo  -  come  e'  accaduto  nella
 esperienza  piu'  recente  -  viene, di conseguenza, a incidere negli
 equilibri istituzionali (v. sentenza n. 302 del  1988),  alterando  i
 caratteri  della  stessa  forma  di  governo  e  l'attribuzione della
 funzione  legislativa  ordinaria  al  Parlamento   (art.   70   della
 Costituzione).
   Non  solo.  Questa  prassi,  se  diffusa  e prolungata, finisce per
 intaccare anche la certezza del diritto nei rapporti  tra  i  diversi
 soggetti,  per  l'impossibilita' di prevedere sia la durata nel tempo
 delle norme reiterate che l'esito finale del processo di conversione:
 con conseguenze ancora piu' gravi quando il decreto reiterato venga a
 incidere nella sfera dei diritti fondamentali o - come nella specie -
 nella materia penale o sia, comunque, tale da  produrre  effetti  non
 piu'  reversibili  nel  caso  di  una  mancata conversione finale (v.
 sentenza n. 161 del 1995; ordinanza n. 197 del 1996).
   5. - Il divieto di iterazione  e  di  reiterazione,  implicito  nel
 disegno  costituzionale,  esclude, quindi, che il Governo, in caso di
 mancata conversione di un decreto-legge,  possa  riprodurre,  con  un
 nuovo  decreto, il contenuto normativo dell'intero testo o di singole
 disposizioni del decreto non convertito, ove  il  nuovo  decreto  non
 risulti  fondato  su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di
 necessita' ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno  essere
 ricondotti  al  solo  fatto  del  ritardo  conseguente  dalla mancata
 conversione del precedente decreto. Se e' vero, infatti, che, in caso
 di mancata conversione, il Governo non risulta spogliato  del  potere
 di   intervenire   nella   stessa  materia  con  lo  strumento  della
 decretazione  d'urgenza,  e'  anche  vero  che,   in   questo   caso,
 l'intervento  governativo  -  per  poter  rispettare  i  limiti della
 straordinarieta' e della provvisorieta' segnati dall'art.  77  -  non
 potra' porsi in un rapporto di continuita' sostanziale con il decreto
 non  convertito (come accade con l'iterazione e con la reiterazione),
 ma dovra',  in  ogni  caso,  risultare  caratterizzato  da  contenuti
 normativi    sostanzialmente    diversi    ovvero    da   presupposti
 giustificativi nuovi di natura "straordinaria".
   6.  -  I  principi  richiamati  conducono,  dunque,  ad   affermare
 l'illegittimita'  costituzionale,  per  violazione dell'art. 77 della
 Costituzione, dei decreti-legge  iterati  o  reiterati,  quando  tali
 decreti,  considerati  nel  loro complesso o in singole disposizioni,
 abbiano  sostanzialmente  riprodotto,  in   assenza   di   nuovi   (e
 sopravvenuti)  presupposti  straordinari di necessita' ed urgenza, il
 contenuto normativo di un decreto-legge che abbia perso  efficacia  a
 seguito della mancata conversione.
   Restano,  peraltro,  salvi  gli effetti dei decreti-legge iterati o
 reiterati gia' convertiti in  legge  o  la  cui  conversione  risulti
 attualmente  in  corso,  ove la stessa intervenga nel termine fissato
 dalla Costituzione. A questo proposito va, infatti,  considerato  che
 il  vizio  di  costituzionalita'  derivante  dall'iterazione  o dalla
 reiterazione attiene, in senso lato, al  procedimento  di  formazione
 del  decreto-legge  in  quanto  provvedimento  provvisorio fondato su
 presupposti straordinari di necessita' ed urgenza: la conseguenza  e'
 che  tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la
 legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri  i
 contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede
 di decretazione d'urgenza.
   7.  -  Da  quanto  precede discende l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 6, comma 4, del d.-l. 6 settembre  1996,  n.  462,  che  ha
 reiterato,  con contenuto immutato ed in assenza di nuovi presupposti
 di necessita' ed urgenza,  la  disposizione  espressa  nell'art.  12,
 quarto comma, dei decreti-legge impugnati.
   Resta  assorbita  la  censura relativa alla violazione dell'art. 24
 della Costituzione.
   8.  -  Questa  Corte,  nell'adottare  la  presente  pronuncia,   e'
 consapevole delle difficolta' di ordine pratico che dalla stessa, nei
 tempi  brevi,  potranno  derivare  sul piano dell'assetto delle fonti
 normative, stante l'ampiezza assunta dal fenomeno della  reiterazione
 nel  corso  delle ultime legislature. Tali difficolta', ancorche' ben
 presenti, non sono, peraltro, tali da poter giustificare il protrarsi
 di una prassi che e' andata sempre piu' degenerando e che ha condotto
 ad oscurare  principi  costituzionali  di  rilevanza  primaria  quali
 quelli  enunciati  nell'art.  77  della Costituzione, principi la cui
 violazione o elusione e' suscettibile di incidere  non  soltanto  sul
 corretto  svolgimento  dei processi di produzione normativa, ma anche
 sugli equilibri fondamentali della forma di governo.
   Su questo piano, la Corte non puo'  fare  altro  che  segnalare  al
 Parlamento  ed  al  Governo l'opportunita' di intervenire sulle cause
 che hanno condotto, negli ultimi anni, a  dilatare  il  ricorso  alla
 reiterazione,  cause che - anche al di fuori della prospettiva di una
 riforma dell'art. 77 della Costituzione -  potrebbero,  sin  da  ora,
 essere  contenute  e  rimosse,  mediante il piu' rigoroso rispetto da
 parte del Governo dei requisiti della  necessita'  e  dell'urgenza  e
 attraverso  le  opportune  iniziative  che il Parlamento, nell'ambito
 delle proprie competenze, potra', a sua volta, adottare.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,   dichiara   l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.    6,  comma 4, del d.-l. 6 settembre 1996, n. 462, recante
 "Disciplina delle attivita' di recupero dei rifiuti".
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996
                         Il Presidente: Ferri
                          Il redattore: Cheli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 24 ottobre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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