N. 23 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 agosto 1996
N. 23 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 21 agosto 1996 (della provincia autonoma di Trento) Ambiente (tutela dell') - Inquinamento da allevamenti zootecnici - Direttive dell'autorita' di bacino del fiume Po - Provvedimenti da adottarsi, entro certi termini, oltre che dalle regioni padane, dalla provincia autonoma di Trento, riguardo ai programmi necessari per l'applicazione della direttiva nel territorio di sua competenza e per l'adeguamento della normativa regionale ad alcune delle prescrizioni della stessa - Incidenza, con disposizioni dettagliate e puntuali, nelle materie della tutela del paesaggio e dell'agricoltura, su cui la provincia ha potesta' legislativa primaria, e dell'utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e sanita', su cui la provincia ha potesta' legislativa concorrente, in contrasto con il principio, ribadito dalle norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, per cui lo Stato nelle materie di competenza della regione e delle province autonome, puo' emanare solo atti di indirizzo e coordinamento, vincolanti la regione e le province solo al conseguimento di obiettivi e risultati in essi indicati - Esercizio, da parte dell'autorita' di bacino, di poteri ad essa non attribuiti dalle leggi che la riguardano - Mancata considerazione, nelle prescrizioni della direttiva, delle esigenze e delle caratteristiche dell'economia montana della provincia di Trento - Richiamo alle sentenze nn. 85/1990 e 250/1996. (Direttiva del comitato istituzionale Autorita' bacino del Po di Trento del 15 aprile 1996, n. 12). (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 5, 6, 14, 16 e 21 e 9, nn. 9 e 10; 16; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 5, terzo comma; aggiunto dal d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 14, modificato dal d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 1995, n. 172; legge 18 maggio 1989, n. 183, art. 17).(GU n.47 del 20-11-1996 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 9641 del 30 luglio 1996 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 6 agosto 1996 (rep. n. 62329) rogata dal notaio dott. Pierluigi Mott del Collegio notarile di Trento e Rovereto (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione che non spetta allo Stato di disciplinare con deliberazione del Comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po, in modo dettagliato e vincolante per la provincia autonoma di Trento, gli allevamenti zootecnici sotto il profilo degli effluenti da essi provenienti; nonche' per il conseguente annullamento, con riferimento ai vincoli dettagliati e puntuali ed alle scadenze temporali posti alla provincia autonoma di Trento, della direttiva per il contenimento dell'inquinamento provocato dagli allevamenti zootecnici allegata alla deliberazione del Comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po del 15 aprile 1996, n. 12, (all. 3) pubblicata nel bollettino ufficiale della regione Trentino-Alto Adige 9 luglio 1996, n. 31, per violazione: dell'art. 8, nn. 5), 6), 14), 16) e 21), dell'art. 9, nn. 9) e 10), nonche' dell'art. 16 dello Statuto di autonomia e relative norme di attuazione; dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381; del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; dell'art. 14 della legge 10 maggio 1976, n. 319, come modificato dall'art. 1 del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 1995 n. 172; dell'art. 17 della legge 18 maggio 1989, n. 183; per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o La ricorrente provincia e' titolare di potesta' legislativa primaria in materia di urbanistica, di tutela del paesaggio, di cave, di alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, di agricoltura, nonche' di potesta' legislativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e sanita', ai sensi rispettivamente dell'art. 8 (nn. 5, 6, 14, 16 e 21) e dell'art. 9 (nn. 9 e 10) dello statuto. In tutte tali materie la provincia e' altresi' titolare della potesta' amministrativa a termini dell'art. 16 dello statuto. Alle competenze statutarie e' stata data piena operativita' con le apposite norme di attuazione. Nell'esercizio della propria potesta' la provincia di Trento ha disciplinato organicamente la materia della tutela dell'ambiente dall'inquinamento con svariate leggi successivamente riunite nel testo unico di cui all'art. 1 della legge provinciale 25 luglio 1988, n. 22, approvato con decreto del presidente della giunta provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl. Tale complesso normativo e' stato in seguito ancora modificato ed aggiornato da altre leggi provinciali recenti o recentissime (25 luglio 1988, n. 22; 22 agosto 1988, n. 26; 15 gennaio 1990, n. 3; 27 agosto 1993, n. 21; 11 settembre 1995; n. 11; 2 febbraio 1996, n. 1). In attuazione di tale disciplina legislativa la provincia autonoma di Trento ha altresi' approvato il Piano provinciale di risanamento delle acque (delib. giunta provinciale - 12 giugno 1987, n. 5460) (all. 4), il quale contiene tra l'altro una puntuale disciplina rivolta al contenimento degli effluenti zootecnici. In questa situazione interviene ora, in asserita attuazione della legge 18 maggio 1989, n. 183, la deliberazione del Comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po n. 12 del 15 aprile 1996, la quale, accanto a determinazioni attuative dell'art. 2-bis della legge 4 agosto 1989, n. 283, che la ricorrente provincia non contesta, contiene quale allegato costituente "parte integrante" della delibera una cosiddetta direttiva per il conteniento dell'inquinamento provocato dagll allevamenti zootecnici, che costituisce in realta' una disciplina dettagliata ed analitica della materia stessa, come rivelano le stesse intitolazioni degli articoli di cui tale normativa si compone: Finalita', Definizioni, Carichi ammissibili, Divieti temporali di spandimento dei liquami, Divieti di spandimento dei liquami determinati da particolari condizioni del terreno, Divieti di spandimento dei liquami determinati da aspetti territoriali e/o paesistici, Caratteristiche e dimensionamento dei contenitori di stoccaggio dei liquami, Norme relative al letame, Norme di salvaguardia (artt. 1-8 e art. 10). Accanto a tale disciplina sostanziale la stessa "direttiva" prevede all'art. 9 gli "adempimenti" delle regioni e della provincia autonoma di Trento, stabilendo che esse "sono tenute ad adottare" taluni "provvedimenti" (numeri da 1 a 5 del primo comma), e che in particolare le amministrazioni destinatarie (tra le quali la provincia autonoma di Trento) dovranno adeguare la normativa regionale (ed ovviamente nel caso provinciale) alle "prescrizioni di cui agli artt. 3, 4, 5, 6 e 8" entro un anno, e dovranno inoltre adeguare "i contenitori di stoccaggio" alle norme previste dagli artt. 7 e 8 entro tre anni. Senonche', la normativa cosi' emanata da una parte si pone in contrasto con l'ordine costituzionale delle competenze, ed in particolare viola le competenze costituzionali della ricorrente provincia, dall'altra anche nel contenuto specifico essa trascura le esigenze proprie dell'economia montana, tipica della provincia di Trento. In questi termini, sia la disciplina sostanziale che la disposizione specifica sugli adempimenti conseguenti sono, in quanto riferite alla provincia autonoma di Trento, illegittime e lesive delle prerogative costituzionali della ricorrente per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Assenza nelle autorita' di bacino nazionali del potere di disciplinare in generale e sotto qualsiasi forma gli effluenti degli allevamenti zootecnici. Il primo dei vizi che inficiano la deliberazione impugnata consiste nella circostanza che essa disciplina una materia estranea ai poteri delle autorita' di bacino, e che trova nella legislazione nazionale una apposita disciplina in altra sede e con diversi strumenti di tutela. La sede propria di tale disciplina va ricercata, al livello statale, nella legge 10 maggio 1976, n. 319 (c.d. legge Merli), piu' volte in seguito modificata ed aggiornata dal legislatore, da ultimo con d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172. Tale disciplina distingue, come ben noto, tra gli scarichi derivanti da insediamenti produttivi e quelli derivanti da insediamenti civili, cui sono assimilati gli insediamenti agricoli a termini dell'art. 1-quater del decreto-legge n. 544 del 1976, convertito in legge n. 690 del 1976. Per i primi tale normativa prevede, nel caso di recapito in corpo d'acqua superficiale, la conformita' pura e semplice ai limiti di accettabilita' di cui alla tabella A allegata alla stessa legge. Per gli insediamenti civili ed agricoli - che fondamentalmente qui interessano, nell'ambito dell'economia montana della provincia di Trento - la disciplina della legge Merli e' stata rinnovata dal citato decreto legge 17 marzo 1995, n. 79 (convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172), che ha introdotto un nuovo testo del secondo comma dell'art. 14 della legge n. 319/1976. Secondo tale nuovo testo le regioni, nel definire la disciplina degli scarichi degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature con i rispettivi piani di risanamento delle acque "nell'esercizio della loro autonomia, tengono conto dei limiti di accettabilita' fissati dalle tabelle allegate alla presente legge, conformandosi ai principi e ai criteri della direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, tenendo conto delle indicazioni contenute nella delibera 30 dicembre 1980 del Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, fatti comunque salvi i limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile". Una norma specifica e' poi dettata per definire i rapporti tra i piani di risanamento delle acque e le decisioni inerenti ai "singoli corpi idrici" in cui gli scarichi recapitano: precisamente, e' disposto che "i suddetti piani "regionali e nel caso provinciali" di risanamento sono redatti in funzione degli obiettivi di qualita' dei singoli corpi idrici in cui recapitano gli scarichi di cui al presente comma, nei casi ed alle condizioni stabiliti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, con apposite direttive emanate dal Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano". Il problema del coordinamento tra la tutela dei "singoli corpi idrici" in quanto tali - tutela possono essere ascritti anche i compiti dell'autorita' di bacino - e i poteri regionali di disciplina degli scarichi civili e' stato risolto dal legislatore nel 1995, stabilendo anche i limiti entro i quali tale disciplina puo' essere resa dipendente dagli "obbiettivi di qualita'" (e soltanto dagli obbiettivi di qualita') degli stessi corpi idrici. Poiche' la direttiva qui impugnata si pone al di fuori di tale sistema, essa risulta di per se' illegittima ed invasiva dei poteri costituzionali della provincia autonoma di Trento. 2. - Illegittimita' della deliberazione impugnata in quanto atto normativo anomalo, non previsto e non prevedibile nell'ordinamento costituzionale. In ogni modo - se anche non vi fosse la specifica disciplina ora ricordata - la deliberazione impugnata costituisce un atto normativo del tutto anomalo, privo di cittadinanza nell'ordinamento delle fonti del diritto stabilito dalle disposizioni di rango costituzionale e primario. Sintomo evidente di cio' e' la perplessita' e l'erroneita' dell'atto stesso nell'individuare le proprie fonti di presunta legittimazione. Si legge infatti nelle premesse della delibera (quinta e sesta pagina, non numerate, ne' pubblicate nel bollettino regionale) che la delibera sarebbe stata assunta "ai sensi" sia dell'atto di indirizzo e coordinamento assunto con d.P.C.M. 23 marzo 1990, sia dell'art. 17 del d.-l. 8 aprile 1993, n. 101. Senonche', da una parte il d.P.C.M. 23 marzo 1990 e' palesemente estraneo al problema in questione. il punto 5.2 dell'atto di indirizzo, ricordato nelle premesse dell'impugnata delibera, si limita ad indicare che "per interventi devono intendersi tanto la realizzazione di opere quanto azioni finalizzate al ripristino o al mantenimento di condizioni di equilibrio naturale e di legittimo e razionale uso delle risorse", ma da tale chiarimento sulla nozione di interventi non puo' certo derivare la costituzione di un potere normativo specifico, e d'altronde neppure di un generico potere di disciplina. D'altra parte, il riferimento all'art. 17 del d.-l. 8 aprile 1993, n. 101, e' palesemente erroneo, trattandosi di decreto-legge mai convertito, e sostituito da altro, come si dira', con diverso contenuto. Tale erroneo riferimento, che si sarebbe compreso in una deliberazione assunta sotto il vigore di tale decreto, e' davvero sorprendente in una deliberazione assunta tre anni dopo, ed oltre due anni dopo che un decreto-legge di diverso contenuto era stato convertito ed era entrato in vigore. A prescindere da ogni altro commento, esso rivela che l'atto qui contestato e' stato assunto sulla base di un equivoco circa il diritto vigente, anche se giova precisare fin d'ora che, ad avviso della ricorrente provincia, neppure il testo del decreto legge n. 101/1993 avrebbe legittimato una normativa quale quella qui contestata. Se e' vero infatti che nel terzo comma dell'art. 17 (recante comma 6-bis dell'art. 17 della legge n. 183/1989) si legge che le autorita' di bacino possono "impartire alle ammnistrazioni competenti direttive per la fissazione dei vincoli e prescrizioni e per l'adozione di misure di salvaguardia", e' altresi' chiaro che tale prescrizione (che comunque avrebbe dovuto essere interpretata nel quadro complessivo della disciplina, anche alla luce della sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale sulla quale si tornera' tra breve) prevedeva vere direttive, e non normative analitiche da trasporre in modo vincolato da parte delle leggi regionali. In ogni modo, tale decreto legge non forma oggi parte del diritto vigente, e non puo' servire quale fondamento dell'atto impugnato. Constatato che e' del tutto inesistente il fondamento ritenuto dall'organo autore dell'atto, occorre ora indagare se l'atto stesso possa comunque ricondursi a quelli previsti nel vigente sistema normativo. A tale scopo, sia consentito ricordare il sistema degli atti che la legge 18 maggio 1989, n. 183 prevede siano adottati delle Autorita' di bacino e, nei bacini nazionali, dai relativi Comitati istituzionali. L'atto fondamentale e' ovviamente il Piano di bacimo, per il quale l'art. 17 della legge n. 183/1989 prevede diversi contenuti, attinenti fondamentalmente alla difesa del suolo sotto il profilo fisico-idrogeologico. Tra tali contenuti, quello che piu' puo' avere pertinenza con la materia in questione, pur nella sua genericita', e' previsto alla lettera n), riferita alle "prescrizioni contro l'inquinamento del suolo ed il versamento nel terreno di discariche di rifiuti civili ed industriali che comunque possano incidere sulla qualita' dei corpi idrici superficiali e sotterranei". Nel valutare i possibili contenuti del piano di bacino occorre comunque tenere presente quanto stabilito da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 1990, la quale ha precisato che le prescrizioni del primo e secondo comma dello stesso art. 17 vanno intese nel senso che tali piani da una parte al primo comma "vengono equiparati ai piani di settore... semplicemente al fine stabilire che i vincoli posti... obbligano immediatamente le amministrazioni e gli enti pubblici" mentre dall'altra (ed e' cio' che qui interessa) "la loro contemporanea qualifica come atti di indirizzo e coordinamento sta semplicemente a significare che, quando i vincoli posti dai predetti piani incidono, su materie di competenza regionale o provinciale, questi devono mantenersi entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e coordinamento" (punto 8 in diritto). Quanto ora esposto consente di rilevare che il contenuto analitico e dettagliato della normativa contenuta nella deliberazione qui impugnata non sarebbe consentita neppure al Piano di bacino: fermo restando comunque che, come e' del tutto evidente per ragioni sia sostanziali che procedimentali, la "direttiva" in questione non e' ne' vuole essere un atto di pianificazione. Per gli stessi e per altri motivi va anche escluso che la "direttiva" del Comitato istituzionale configuri uno stralcio del Piano di bacino, secondo quanto consentito dal comma 6-ter dell'art. 17 della legge n. 183/1989. Non solo infatti il contenuto dello stralcio deve evidentemente per tipologia corrispondere a quello del Piano - salva la diversa ampiezza - ma secondo la stessa disposizione gli stralci "relativi a settori funzionali" devono "in ogni caso costituire fasi sequenziali e interrelate" rispetto all'intero contenuto del Piano, garantendo "la considerazione sistemica del territorio" e contestualmente adottando le misure cautelative e inibitorie rispetto ai settori non disciplinati. Insomma, il Comitato istituzionale puo' procedere, per cosi' dire, per "sottopiani mirati" relativi a (sottobacini o) settori funzionali: ma sempre nella logica complessiva del Piano di bacino, secondo i suoi contenuti propri e secondo i settori identificati dalla stessa legge n. 183/1989 (nella quale non figura alcun autonomo settore fuzionale "zootecnia") e nel quadro di una rete complessiva di misure cautelative (di cui non vi e' alcuna traccia). D'altronde, la deliberazione neppure soggettivamente pretende di presentarsi come stralcio del Piano di bacino. Neppure, infine, la deliberazione qui impugnata si presenta o puo' essere intesa come recante "misure di salvaguardia" ai sensi del comma 6-bis dell'art. 17 della legge n. 183/1989. A parte infatti la considerazione che l'articolato contenuto nella "direttiva" non ha affatto il carattere delle misure di salvaguardia del Piano di bacino, ma quello di una compiuta disciplina di uno specifico settore, neppure espressamente menzionato tra i possibili contenuti del Piano, non puo' non rilevarsi che sia ragioni letterali che ragioni sistematiche impongono di riferire il potere di assumere misure di salvaguardia a quei contenuti del piano che afferiscono direttamente alla finalita' specifica della difesa del suolo, ovvero entro l'ambito di materia non riconducibile - a termini della gia' citata sentenza n. 85/1990 di codesta ecc.ma Corte costituzionale - alle competenze regionali; e di escludere invece che le misure di salvaguardia possano attenere a quelle competenze regionali verso le quali lo stesso Piano di bacino non puo' che assumere la struttura ed il contenuto dell'atto di indirizzo e coordinamento. E' la stessa relazione di strumentalita' tra misure di salvaguardia e Piano ad imporre - accanto alle considerazioni ora esposte - tale conclusione. La "direttiva" impugnata corrisponde dunque ad un anomalo potere normativo, esercitato su un presupposto erroneo e privo di base normativa di qualunque livello. D'altronde, la deliberazione n. 12/1996 qui impugnata chiarisce molto bene, nella parte iniziale delle premesse, quale sia il proprio orizzonte di riferimento: non tanto l'art. 17 della legge n.183/1989, relativo ai Piani di bacino, quanto piuttosto l'art. 2-bis del decreto-legge n. 227/1989 (convertito in legge n. 283/1989). Tale disposizione prevedeva infatti - allo scopo di ridurre il carico di nutrienti sversati a mare - che i Comitati istituzionali dei bacini di rilievo nazionale approvassero "uno schema programmatico riguardante gli interventi piu' urgenti, articolato per criteri e progetti", riguardante tra l'altro "la depurazione degli effluenti zootecnici e il perseguimento della compatibilita' ambientale attraverso il riequilibrio del rapporto tra capi di bestiame e territorio" (primo comma, lett. b)). E' evidente tuttavia che tale disposizione non comporta l'attribuzione alle autorita' di bacino di alcun potere normativo, ma semplicemente del compito di programmare concreti interventi da finanziare nell'ambito degli stanziamenti previsti dal quarto comma dello stesso articolo. Il comitato istituzionale del bacino del fiume Po, invece, ha ritenuto di "completare" lo schema previsionale e programmatico di interventi, previsto dalla legge, con una "direttiva" non prevista da alcuna legge, contenente null'altro che la disciplina degli allevamenti zootecnici sotto il profilo dell'inquinamento. E' solo da aggiungere che tale atto normativo anomalo non solo non e' previsto da nessuna disposizione di legge, ma neppure potrebbe esserlo secondo le norme di rango costituzionale ed attuativo che disciplinano le autonomie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano in particolare. Sul piano generale, la stessa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale ha costantemente affermato (da ultimo con sentenza n. 250 del 1996) che "la regola di base nei rapporti tra fonti secondarie statali e fonti regionali e' quella della separazione delle competenze, tale da porre le regioni al riparo delle interferenze dell'esecutivo centrale" (punto 5 in diritto). E quanto detto per il Governo non puo' non valere a maggior ragione per altri organi dell'amministrazione statale. Per quanto riguarda poi le specifiche garanzie del Trentino-Alto Adige, va in primo luogo considerato il terzo comma dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione in materia di urbanistica e opere pubbliche), aggiunto con d.lgs. n. 267 del 1992, secondo il quale "i piani di bacino nazionale sono strunenti di coordinamento delle attivita' inerenti alle attribuzioni statali e provinciali, sempre che lo Statuto e le relative norme di attuazione non prevedano apposite modalita' di coordinamento". Per quanto riguarda poi la funzione di indirizzo e coordinamento, il d.lgs. n. 266 del 1992 ha ribadito che i relativi atti "vincolano la Regione e le province autonome solo al conseguimento degli obbiettivi o risultati in essi stabiliti". Ne rimane confermata la necessaria struttura di indirizzo persino degli atti governativi, e di conseguenza l'illegittimita' sotto ogni profilo di una disciplina di materie pertinenti alla competenza legislativa provinciale mediante atto di una qualsivoglia autorita' statale, da recepire poi pedissequamente con legge provinciale. 3. - Ulteriore inammissibilita' di una disciplina puramente di bacino degli allevamenti zootecnici. Si e' sopra esposto come la direttiva qui impugnata si discosti dalla normativa che disciplina il settore e comunque difetti di base normativa. Ma l'inammissibilita' ed illegittimita' della disciplina appare anche sotto un diverso profilo. In effetti la disciplina degli allevamenti zootecnici dal punto di vista degli inquinamenti incide su una pluralita' di interessi pubblici sia economico-produttivi sia ambientali di vario ordine, e non puo' ragionevolmente collocarsi al semplice livello del bacino. Si consideri che, se la provincia autonoma di Trento dovesse semplicemente adeguare la propria disciplina a quanto deciso in sede di bacino, essa si vedrebbe costretta a recepire passivamente ben tre diverse discipline, relative rispettivamente al bacino del Po, a quello del Brenta-Bacchiglione, ed a quello dell'Adige: il che non solo renderebbe evidente il completo svuotamento della potesta' normativa provinciale, ma sarebbe altresi' del tutto paradossale se si considera che le tre diverse discipline porrebbero vincoli differenziati ad operatori aziendali operanti in un contesto economico omogeneo e concorrenziale. Proprio questa, d'altronde, e' la ragione della nuova stesura dell'art. 14 della legge n. 319/1976, considerata al punto 1): la necessita' di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di qualita' proprie dei "singoli corpi idrici" e la piu' ampia prospettiva regionale e provinciale di disciplina degli scarichi degli insediamenti civili nel proprio territorio. Il Comitato istituzionale dell'autorita' bacino del Po ha invece operato come se fosse titolare di una potesta' propria ed esclusiva della disciplina della materia degli scarichi da insediamenti zootecnici, esercitando dunque un potere ad esso non attribuito. 4. - Eccesso di potere, inadeguatezza della disciplina alle esigenze dell'economia montana della provincia di Trento e omessa considerazione delle relative caratteristiche. Anche nel procedere alla determinazione dei contenuti del proprio atto il Comitato istituzionale e' incorso, ad avviso della ricorrente provincia, nel difetto di considerazione delle esigenze specifiche dell'economia montana trentina. Nelle premesse della deliberazione n. 12/1996 si discorre lungamente della situazione della zootecnia e della relativa disciplina regionale in Lombardia, in Piemonte, in Emilia-Romagna, nel Veneto: ma in nessun luogo si mostra di aver preso in considerazione anche la situazione della provincia di Trento. Addirittura, nell'ultimo considerato, si ricorda di aver espressamente atteso il consenso e le osservazioni della Regione Lombardia "richiedendosi in una materia cosi' delicata il pieno consenso di tutti i membri del Comitato istituzionale". Senonche', a prescindere dall'osservazione che comunque neppure il "pieno consenso" di tali membri potrebbe rendere legittimo un atto privo di idonea legittimazione nell'ordinamento, fatto sta che non si e' ritenuto di dover ottenere il consenso del rappresentante della provincia di Trento. Nel merito, l'omessa considerazione delle esigenze specifiche dell'economia montana ha comportato l'introduzione di regole che appaiono - nel contesto trentino - eccessivamente rigide. Ad esempio, il divieto di spandimento di liquami zootecnici sui terreni gelati o innevati - previsto all'art. 5 della normativa qui contestata - non pare aver fondamento nelle zone montane, ove invece proprio tale condizione favorisce un graduale e migliore assorbimento nel terreno; ugualmente, la "facolta' data alle singole Regioni di stabilire capacita' di stoccaggio ridotte per gli allevamenti di piccole dimensioni, purche' comunque non inferiore a 90 giorni" (art. 7) si appalesa anch'essa inadeguata negli allevamenti familiari - diffusi nel trentino - di un ridottissimo numero di capi (sino ad 1 o 2). Analogamente, i carichi ammissibili sono definiti dall'art. 3 in termini eccessivamente rigidi e determinerebbero una ingiustificata riduzione della capacita' produttiva degli allevamenti. In definitiva, il Comitato istituzionale dell'autorita' di bacino del Po si e' considerata, del tutto a torto, come l'autorita' preposta ad eliminare presunti "squilibri di mercato tra le diverse aree del bacino del Po" (primo considerato della terza pagina) e a valutare se le differenze di carico ammissibile tra le diverse Regioni (sempre senza considerare la provincia di Trento) siano o non siano "giustificate da specifiche caratteristiche delle aree delle regioni interessate": dimenticando da una parte che e' del tutto arbitrario - e comunque non rientrante tra i compiti dell'autorita' di bacino - determinare l'unita' del mercato zootecnico in relazione al bacino fluviale di collocazione (essendo ovvio che agricoltori trentini di valli vicine partecipano dello stesso mercato anche se gravitanti su fiumi diversi), dall'altra che non spetta affatto all'autorita' di bacino di valutare se le differenze tra le diverse Regioni - determinate da ragioni ben complesse e non riducibili ad un solo interesse pubblico - siano o meno giustificate. Nell'insieme, risulta che l'autorita' di bacino ha agito secondo un'erronea valutazione dei propri compiti e poteri, e trascurando le esigenze specifiche della realta' trentina. Anche sotto tale profilo l'atto impugnato appare dunque illegittimo e lesivo.
Tutto cio' premesso, la ricorrente provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e difesa, chiede voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di disciplinare con deliberazione del Comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po, in modo dettagliato e vincolante per la provincia autonoma di Trento, gli allevamenti zootecnici sotto il profilo degli effluenti da essi provenienti; nonche' conseguentemente annullare con riferimento ai vincoli dettagliati e puntuali ed alle scadenza temporali posti alla provincia autonoma di Trento, la direttiva per il contenimento dell'inquinamento provocato dagli allevamenti zootecnici allegata alla deliberazione del comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino del fiume Po del 15 aprile 1996, n. 12, pubblicata nel bollettino ufficiale della regione Trentino-Alto Adige 9 luglio 1996, n. 31, per violazione: dell'art. 8, nn. 5), 6), 14), 16), e 21), dell'art. 9, nn, 9) e 10), nonche' dell'art. 16 dello statuto di autonomia e relative norme di attuazione; dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381; del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; dell'art. 14, della legge 10 maggio 1976, n. 319, come sostituito dall'art. 1 del d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 1995, n. 172; dell'art. 17 della legge 18 maggio 1989, n. 183. Padova-Roma, addi' 7 agosto 1996 Avv. prof. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi 96C1370