N. 23 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 agosto 1996

                                 N. 23
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 21 agosto 1996 (della provincia autonoma di Trento)
 Ambiente (tutela dell') - Inquinamento da  allevamenti  zootecnici  -
    Direttive dell'autorita' di bacino del fiume Po - Provvedimenti da
    adottarsi,  entro  certi  termini, oltre che dalle regioni padane,
    dalla  provincia  autonoma  di  Trento,  riguardo   ai   programmi
    necessari per l'applicazione della direttiva nel territorio di sua
    competenza e per l'adeguamento della normativa regionale ad alcune
    delle  prescrizioni  della  stessa  -  Incidenza, con disposizioni
    dettagliate e puntuali, nelle materie della tutela del paesaggio e
    dell'agricoltura, su cui  la  provincia  ha  potesta'  legislativa
    primaria, e dell'utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e
    sanita',  su cui la provincia ha potesta' legislativa concorrente,
    in contrasto con il principio, ribadito dalle norme di  attuazione
    dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto Adige, per cui lo
    Stato nelle materie di competenza della regione e  delle  province
    autonome,  puo'  emanare  solo  atti di indirizzo e coordinamento,
    vincolanti la regione e  le  province  solo  al  conseguimento  di
    obiettivi  e  risultati  in  essi  indicati  - Esercizio, da parte
    dell'autorita' di bacino, di poteri ad essa non  attribuiti  dalle
    leggi   che   la   riguardano   -  Mancata  considerazione,  nelle
    prescrizioni   della   direttiva,   delle   esigenze    e    delle
    caratteristiche  dell'economia montana della provincia di Trento -
    Richiamo alle sentenze nn. 85/1990 e 250/1996.
 (Direttiva del comitato istituzionale  Autorita'  bacino  del  Po  di
    Trento del 15 aprile 1996, n. 12).
 (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 5, 6, 14, 16 e 21 e 9, nn.
    9  e  10;  16;  d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 5, terzo comma;
    aggiunto dal d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; legge 10  maggio  1976,
    n.  319,  art. 14, modificato dal d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, art.
    1, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio  1995,  n.
    172; legge 18 maggio 1989, n. 183, art. 17).
(GU n.47 del 20-11-1996 )
   Ricorso  per  conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di
 Trento,  in  persona  del   presidente   della   giunta   provinciale
 pro-tempore autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n.
 9641  del  30  luglio 1996 (all. 1), rappresentata e difesa - come da
 procura speciale del 6 agosto 1996 (rep. n. 62329) rogata dal  notaio
 dott.    Pierluigi  Mott  del  Collegio notarile di Trento e Rovereto
 (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi
 di Roma, con domicilio eletto in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv.
 Manzi,  via  Confalonieri  5,  contro il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  per  la  dichiarazione  che  non  spetta  allo  Stato   di
 disciplinare    con    deliberazione   del   Comitato   istituzionale
 dell'Autorita'  di  bacino  del  fiume  Po,  in  modo  dettagliato  e
 vincolante  per  la  provincia  autonoma  di  Trento, gli allevamenti
 zootecnici sotto il profilo  degli  effluenti  da  essi  provenienti;
 nonche'  per  il conseguente annullamento, con riferimento ai vincoli
 dettagliati  e  puntuali  ed  alle  scadenze  temporali  posti   alla
 provincia  autonoma  di  Trento,  della direttiva per il contenimento
 dell'inquinamento provocato  dagli  allevamenti  zootecnici  allegata
 alla  deliberazione  del  Comitato  istituzionale  dell'Autorita'  di
 bacino del fiume Po del 15 aprile 1996, n. 12,  (all.  3)  pubblicata
 nel  bollettino  ufficiale della regione Trentino-Alto Adige 9 luglio
 1996, n. 31, per violazione:
     dell'art. 8, nn. 5), 6), 14), 16) e 21), dell'art. 9,  nn.  9)  e
 10), nonche' dell'art. 16 dello Statuto di autonomia e relative norme
 di attuazione;
     dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381;
     del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266;
     dell'art.  14 della legge 10 maggio 1976, n. 319, come modificato
 dall'art.  1  del  d.-l.  17  marzo  1995,  n.  79,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 17 maggio 1995 n. 172;
     dell'art.  17 della legge 18 maggio 1989, n. 183; per i profili e
 nei modi di seguito illustrati.
                               F a t t o
   La  ricorrente  provincia  e'  titolare  di  potesta'   legislativa
 primaria in materia di urbanistica, di tutela del paesaggio, di cave,
 di  alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna,
 di  agricoltura,  nonche'  di  potesta'  legislativa  concorrente  in
 materia di utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e sanita',
 ai  sensi  rispettivamente  dell'art.  8  (nn.  5,  6, 14, 16 e 21) e
 dell'art. 9 (nn. 9 e 10) dello statuto.  In  tutte  tali  materie  la
 provincia  e'  altresi'  titolare  della  potesta'  amministrativa  a
 termini dell'art. 16 dello statuto.   Alle competenze  statutarie  e'
 stata data piena operativita' con le apposite norme di attuazione.
   Nell'esercizio  della  propria  potesta'  la provincia di Trento ha
 disciplinato organicamente  la  materia  della  tutela  dell'ambiente
 dall'inquinamento  con  svariate  leggi  successivamente  riunite nel
 testo unico di cui all'art. 1 della legge provinciale 25 luglio 1988,
 n. 22, approvato con decreto del presidente della giunta  provinciale
 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl. Tale complesso normativo e' stato in
 seguito  ancora  modificato  ed aggiornato da altre leggi provinciali
 recenti o recentissime (25 luglio 1988, n. 22;  22  agosto  1988,  n.
 26;  15 gennaio 1990, n. 3; 27 agosto 1993, n. 21; 11 settembre 1995;
 n. 11; 2 febbraio 1996, n. 1).
   In  attuazione di tale disciplina legislativa la provincia autonoma
 di Trento ha altresi' approvato il Piano provinciale  di  risanamento
 delle  acque  (delib.  giunta  provinciale - 12 giugno 1987, n. 5460)
 (all. 4), il quale  contiene  tra  l'altro  una  puntuale  disciplina
 rivolta al contenimento degli effluenti zootecnici.
   In  questa  situazione interviene ora, in asserita attuazione della
 legge  18  maggio  1989,  n.  183,  la  deliberazione  del   Comitato
 istituzionale  dell'Autorita'  di  bacino  del  fiume Po n. 12 del 15
 aprile 1996, la quale, accanto a determinazioni  attuative  dell'art.
 2-bis  della legge 4 agosto 1989, n. 283, che la ricorrente provincia
 non contesta, contiene quale allegato costituente "parte  integrante"
 della   delibera   una   cosiddetta   direttiva  per  il  conteniento
 dell'inquinamento  provocato  dagll   allevamenti   zootecnici,   che
 costituisce  in realta' una disciplina dettagliata ed analitica della
 materia stessa, come rivelano le stesse intitolazioni degli  articoli
 di  cui  tale  normativa  si compone: Finalita', Definizioni, Carichi
 ammissibili, Divieti temporali di spandimento dei liquami, Divieti di
 spandimento dei liquami determinati  da  particolari  condizioni  del
 terreno,  Divieti  di  spandimento dei liquami determinati da aspetti
 territoriali e/o paesistici, Caratteristiche  e  dimensionamento  dei
 contenitori  di  stoccaggio  dei  liquami,  Norme relative al letame,
 Norme di salvaguardia (artt. 1-8 e art. 10).
   Accanto a tale disciplina sostanziale la stessa "direttiva" prevede
 all'art. 9 gli "adempimenti" delle regioni e della provincia autonoma
 di Trento, stabilendo che  esse  "sono  tenute  ad  adottare"  taluni
 "provvedimenti"  (numeri  da  1  a  5  del  primo  comma),  e  che in
 particolare  le  amministrazioni  destinatarie  (tra  le   quali   la
 provincia   autonoma   di  Trento)  dovranno  adeguare  la  normativa
 regionale (ed ovviamente nel caso provinciale) alle "prescrizioni  di
 cui  agli  artt.  3,  4,  5, 6 e 8" entro un anno, e dovranno inoltre
 adeguare "i contenitori di  stoccaggio"  alle  norme  previste  dagli
 artt. 7 e 8 entro tre anni.
   Senonche',  la  normativa  cosi'  emanata  da  una parte si pone in
 contrasto  con  l'ordine  costituzionale  delle  competenze,  ed   in
 particolare  viola  le  competenze  costituzionali  della  ricorrente
 provincia, dall'altra anche nel contenuto specifico essa trascura  le
 esigenze  proprie  dell'economia  montana,  tipica della provincia di
 Trento.
   In  questi  termini,  sia  la   disciplina   sostanziale   che   la
 disposizione  specifica sugli adempimenti conseguenti sono, in quanto
 riferite alla provincia autonoma  di  Trento,  illegittime  e  lesive
 delle  prerogative  costituzionali  della  ricorrente per le seguenti
 ragioni di
                             D i r i t t o
   1. - Assenza nelle autorita' di  bacino  nazionali  del  potere  di
 disciplinare  in generale e sotto qualsiasi forma gli effluenti degli
 allevamenti zootecnici.
   Il primo dei vizi che inficiano la deliberazione impugnata consiste
 nella circostanza che essa disciplina una materia estranea ai  poteri
 delle  autorita'  di bacino, e che trova nella legislazione nazionale
 una apposita disciplina in altra sede  e  con  diversi  strumenti  di
 tutela.
   La  sede  propria  di  tale  disciplina  va  ricercata,  al livello
 statale, nella legge 10 maggio 1976, n. 319 (c.d. legge Merli),  piu'
 volte  in seguito modificata ed aggiornata dal legislatore, da ultimo
 con d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, convertito in legge 17  maggio  1995,
 n.  172.
   Tale   disciplina  distingue,  come  ben  noto,  tra  gli  scarichi
 derivanti  da  insediamenti  produttivi   e   quelli   derivanti   da
 insediamenti  civili, cui sono assimilati gli insediamenti agricoli a
 termini dell'art.   1-quater  del  decreto-legge  n.  544  del  1976,
 convertito in legge n.  690 del 1976.
   Per  i  primi tale normativa prevede, nel caso di recapito in corpo
 d'acqua superficiale, la conformita' pura e  semplice  ai  limiti  di
 accettabilita' di cui alla tabella A allegata alla stessa legge.
   Per  gli insediamenti civili ed agricoli - che fondamentalmente qui
 interessano, nell'ambito dell'economia  montana  della  provincia  di
 Trento  -  la  disciplina  della  legge  Merli e' stata rinnovata dal
 citato decreto legge 17 marzo 1995, n. 79  (convertito  in  legge  17
 maggio  1995,  n.  172), che ha introdotto un nuovo testo del secondo
 comma dell'art. 14 della legge n. 319/1976.
   Secondo tale nuovo testo le regioni,  nel  definire  la  disciplina
 degli  scarichi  degli  insediamenti  civili  che  non  recapitano in
 pubbliche fognature con i rispettivi piani di risanamento delle acque
 "nell'esercizio della loro autonomia, tengono  conto  dei  limiti  di
 accettabilita'  fissati  dalle  tabelle allegate alla presente legge,
 conformandosi ai principi e ai criteri della direttiva 91/271/CEE del
 Consiglio, del  21  maggio  1991,  tenendo  conto  delle  indicazioni
 contenute    nella   delibera   30   dicembre   1980   del   Comitato
 interministeriale  previsto  dall'art.  3   della   presente   legge,
 pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981, fatti
 comunque  salvi  i  limiti  di  accettabilita'  inderogabili  per   i
 parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile".
   Una  norma  specifica  e' poi dettata per definire i rapporti tra i
 piani di risanamento delle acque e le decisioni inerenti ai  "singoli
 corpi  idrici"  in  cui  gli  scarichi  recapitano:  precisamente, e'
 disposto che "i suddetti piani "regionali e nel caso provinciali"  di
 risanamento  sono redatti in funzione degli obiettivi di qualita' dei
 singoli corpi idrici  in  cui  recapitano  gli  scarichi  di  cui  al
 presente comma, nei casi ed alle condizioni stabiliti, entro sessanta
 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
 decreto-legge  17  marzo  1995, n. 79, con apposite direttive emanate
 dal Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza  permanente  per  i
 rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
 di Bolzano".
   Il problema del coordinamento tra  la  tutela  dei  "singoli  corpi
 idrici"  in  quanto  tali  -  tutela  possono essere ascritti anche i
 compiti dell'autorita' di bacino - e i poteri regionali di disciplina
 degli scarichi civili e' stato  risolto  dal  legislatore  nel  1995,
 stabilendo  anche  i limiti entro i quali tale disciplina puo' essere
 resa dipendente dagli "obbiettivi  di  qualita'"  (e  soltanto  dagli
 obbiettivi di qualita') degli stessi corpi idrici.
   Poiche'  la  direttiva  qui  impugnata  si pone al di fuori di tale
 sistema, essa risulta di per se' illegittima ed invasiva  dei  poteri
 costituzionali della provincia autonoma di Trento.
   2.  -  Illegittimita'  della deliberazione impugnata in quanto atto
 normativo anomalo, non previsto e  non  prevedibile  nell'ordinamento
 costituzionale.
   In  ogni  modo  - se anche non vi fosse la specifica disciplina ora
 ricordata - la deliberazione impugnata costituisce un atto  normativo
 del tutto anomalo, privo di cittadinanza nell'ordinamento delle fonti
 del  diritto  stabilito  dalle disposizioni di rango costituzionale e
 primario.
   Sintomo  evidente  di  cio'  e'  la  perplessita'  e   l'erroneita'
 dell'atto  stesso  nell'individuare  le  proprie  fonti  di  presunta
 legittimazione.   Si legge  infatti  nelle  premesse  della  delibera
 (quinta  e  sesta pagina, non numerate, ne' pubblicate nel bollettino
 regionale) che la delibera  sarebbe  stata  assunta  "ai  sensi"  sia
 dell'atto  di indirizzo e coordinamento assunto con d.P.C.M. 23 marzo
 1990, sia dell'art. 17 del d.-l. 8 aprile 1993, n. 101.
   Senonche', da una parte il d.P.C.M. 23 marzo  1990  e'  palesemente
 estraneo  al  problema  in  questione.  il  punto  5.2  dell'atto  di
 indirizzo,  ricordato  nelle  premesse  dell'impugnata  delibera,  si
 limita  ad  indicare  che  "per interventi devono intendersi tanto la
 realizzazione di opere quanto azioni finalizzate al ripristino  o  al
 mantenimento  di  condizioni  di equilibrio naturale e di legittimo e
 razionale uso delle risorse", ma da tale chiarimento sulla nozione di
 interventi non puo' certo  derivare  la  costituzione  di  un  potere
 normativo  specifico,  e  d'altronde neppure di un generico potere di
 disciplina.
   D'altra parte, il riferimento all'art. 17 del d.-l. 8 aprile  1993,
 n.  101,  e'  palesemente  erroneo,  trattandosi di decreto-legge mai
 convertito, e  sostituito  da  altro,  come  si  dira',  con  diverso
 contenuto.   Tale erroneo riferimento, che si sarebbe compreso in una
 deliberazione assunta sotto il vigore di  tale  decreto,  e'  davvero
 sorprendente in una deliberazione assunta tre anni dopo, ed oltre due
 anni  dopo  che  un  decreto-legge  di  diverso  contenuto  era stato
 convertito ed era entrato in vigore.
   A prescindere da ogni altro commento, esso rivela  che  l'atto  qui
 contestato  e'  stato  assunto  sulla  base  di  un equivoco circa il
 diritto vigente, anche se giova precisare fin d'ora  che,  ad  avviso
 della  ricorrente  provincia,  neppure  il testo del decreto legge n.
 101/1993  avrebbe  legittimato  una  normativa   quale   quella   qui
 contestata.  Se  e'  vero  infatti  che  nel terzo comma dell'art. 17
 (recante comma 6-bis dell'art. 17 della legge n. 183/1989)  si  legge
 che  le  autorita'  di  bacino possono "impartire alle ammnistrazioni
 competenti direttive per la fissazione dei vincoli e  prescrizioni  e
 per  l'adozione  di  misure  di salvaguardia", e' altresi' chiaro che
 tale prescrizione (che comunque avrebbe  dovuto  essere  interpretata
 nel  quadro  complessivo  della  disciplina,  anche  alla  luce della
 sentenza di  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  sulla  quale  si
 tornera'  tra  breve)  prevedeva  vere  direttive,  e  non  normative
 analitiche da trasporre  in  modo  vincolato  da  parte  delle  leggi
 regionali.
   In  ogni  modo, tale decreto legge non forma oggi parte del diritto
 vigente, e non puo' servire quale fondamento dell'atto impugnato.
   Constatato che e' del  tutto  inesistente  il  fondamento  ritenuto
 dall'organo  autore  dell'atto, occorre ora indagare se l'atto stesso
 possa comunque ricondursi  a  quelli  previsti  nel  vigente  sistema
 normativo.
   A tale scopo, sia consentito ricordare il sistema degli atti che la
 legge  18  maggio 1989, n. 183 prevede siano adottati delle Autorita'
 di  bacino  e,  nei   bacini   nazionali,   dai   relativi   Comitati
 istituzionali.  L'atto fondamentale e' ovviamente il Piano di bacimo,
 per  il  quale  l'art.  17  della  legge  n. 183/1989 prevede diversi
 contenuti, attinenti fondamentalmente alla difesa del suolo sotto  il
 profilo  fisico-idrogeologico.    Tra tali contenuti, quello che piu'
 puo' avere pertinenza con la materia  in  questione,  pur  nella  sua
 genericita', e' previsto alla lettera n), riferita alle "prescrizioni
 contro  l'inquinamento  del  suolo  ed  il  versamento nel terreno di
 discariche di rifiuti civili  ed  industriali  che  comunque  possano
 incidere sulla qualita' dei corpi idrici superficiali e sotterranei".
   Nel  valutare  i  possibili  contenuti  del piano di bacino occorre
 comunque tenere presente quanto stabilito  da  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale  nella  sentenza n. 85 del 1990, la quale ha precisato
 che le prescrizioni del primo e secondo comma dello  stesso  art.  17
 vanno  intese  nel  senso  che tali piani da una parte al primo comma
 "vengono equiparati ai piani  di  settore...  semplicemente  al  fine
 stabilire   che   i  vincoli  posti...  obbligano  immediatamente  le
 amministrazioni e gli enti pubblici" mentre dall'altra  (ed  e'  cio'
 che  qui  interessa)    "la loro contemporanea qualifica come atti di
 indirizzo e coordinamento sta semplicemente a significare che, quando
 i vincoli posti dai predetti piani incidono, su materie di competenza
 regionale o provinciale, questi  devono  mantenersi  entro  i  limiti
 imposti  alla  funzione  di  indirizzo  e  coordinamento" (punto 8 in
 diritto).
   Quanto ora esposto consente di rilevare che il contenuto  analitico
 e  dettagliato  della  normativa  contenuta  nella  deliberazione qui
 impugnata non sarebbe consentita neppure al Piano  di  bacino:  fermo
 restando  comunque  che,  come  e' del tutto evidente per ragioni sia
 sostanziali che procedimentali, la "direttiva" in  questione  non  e'
 ne' vuole essere un atto di pianificazione.
   Per  gli  stessi  e  per  altri  motivi  va  anche  escluso  che la
 "direttiva" del Comitato istituzionale  configuri  uno  stralcio  del
 Piano  di bacino, secondo quanto consentito dal comma 6-ter dell'art.
 17 della legge n. 183/1989.  Non  solo  infatti  il  contenuto  dello
 stralcio  deve evidentemente per tipologia corrispondere a quello del
 Piano - salva la diversa ampiezza - ma secondo la stessa disposizione
 gli stralci "relativi a settori  funzionali"  devono  "in  ogni  caso
 costituire   fasi  sequenziali  e  interrelate"  rispetto  all'intero
 contenuto del Piano,  garantendo  "la  considerazione  sistemica  del
 territorio"  e  contestualmente  adottando  le  misure  cautelative e
 inibitorie rispetto ai settori non disciplinati.
   Insomma, il Comitato istituzionale puo' procedere, per cosi' dire,
  per  "sottopiani  mirati"  relativi  a   (sottobacini   o)   settori
 funzionali:   ma sempre nella logica complessiva del Piano di bacino,
 secondo i suoi contenuti propri  e  secondo  i  settori  identificati
 dalla stessa legge n. 183/1989 (nella quale non figura alcun autonomo
 settore  fuzionale  "zootecnia") e nel quadro di una rete complessiva
 di misure cautelative (di cui non vi e' alcuna traccia).  D'altronde,
 la deliberazione neppure soggettivamente pretende di presentarsi come
 stralcio del Piano di bacino.
   Neppure,  infine, la deliberazione qui impugnata si presenta o puo'
 essere intesa come recante "misure  di  salvaguardia"  ai  sensi  del
 comma  6-bis dell'art. 17 della legge n. 183/1989. A parte infatti la
 considerazione che l'articolato contenuto nella  "direttiva"  non  ha
 affatto  il  carattere  delle  misure  di  salvaguardia  del Piano di
 bacino, ma  quello  di  una  compiuta  disciplina  di  uno  specifico
 settore,  neppure  espressamente menzionato tra i possibili contenuti
 del Piano, non puo' non  rilevarsi  che  sia  ragioni  letterali  che
 ragioni  sistematiche  impongono  di  riferire  il potere di assumere
 misure di salvaguardia a quei contenuti  del  piano  che  afferiscono
 direttamente  alla finalita' specifica della difesa del suolo, ovvero
 entro l'ambito di materia non riconducibile - a  termini  della  gia'
 citata  sentenza  n. 85/1990 di codesta ecc.ma Corte costituzionale -
 alle competenze regionali; e di escludere invece  che  le  misure  di
 salvaguardia  possano attenere a quelle competenze regionali verso le
 quali lo stesso Piano di bacino non puo' che assumere la struttura ed
 il contenuto dell'atto di indirizzo e  coordinamento.  E'  la  stessa
 relazione  di  strumentalita'  tra  misure di salvaguardia e Piano ad
 imporre - accanto alle considerazioni ora esposte - tale conclusione.
   La "direttiva" impugnata corrisponde dunque ad  un  anomalo  potere
 normativo,  esercitato  su  un  presupposto  erroneo  e privo di base
 normativa di  qualunque  livello.  D'altronde,  la  deliberazione  n.
 12/1996  qui  impugnata  chiarisce  molto  bene, nella parte iniziale
 delle premesse, quale sia il proprio orizzonte  di  riferimento:  non
 tanto  l'art. 17 della legge n.183/1989, relativo ai Piani di bacino,
 quanto  piuttosto  l'art.  2-bis  del   decreto-legge   n.   227/1989
 (convertito  in  legge  n.    283/1989).  Tale disposizione prevedeva
 infatti - allo scopo di ridurre il carico  di  nutrienti  sversati  a
 mare  -  che i Comitati istituzionali dei bacini di rilievo nazionale
 approvassero "uno schema  programmatico  riguardante  gli  interventi
 piu'  urgenti,  articolato  per  criteri e progetti", riguardante tra
 l'altro "la depurazione degli effluenti zootecnici e il perseguimento
 della  compatibilita'  ambientale  attraverso  il  riequilibrio   del
 rapporto tra capi di bestiame e territorio" (primo comma, lett. b)).
   E'   evidente   tuttavia   che   tale   disposizione  non  comporta
 l'attribuzione alle autorita' di bacino di alcun potere normativo, ma
 semplicemente del  compito  di  programmare  concreti  interventi  da
 finanziare  nell'ambito  degli stanziamenti previsti dal quarto comma
 dello stesso articolo.
   Il comitato istituzionale del  bacino  del  fiume  Po,  invece,  ha
 ritenuto  di  "completare"  lo schema previsionale e programmatico di
 interventi, previsto dalla legge, con una "direttiva" non prevista da
 alcuna  legge,  contenente  null'altro  che   la   disciplina   degli
 allevamenti zootecnici sotto il profilo dell'inquinamento.
   E'  solo da aggiungere che tale atto normativo anomalo non solo non
 e' previsto da nessuna disposizione di  legge,  ma  neppure  potrebbe
 esserlo  secondo  le  norme  di rango costituzionale ed attuativo che
 disciplinano le autonomie regionali  e  delle  province  autonome  di
 Trento e Bolzano in particolare.
   Sul  piano  generale,  la  stessa  giurisprudenza di codesta ecc.ma
 Corte  costituzionale  ha  costantemente  affermato  (da  ultimo  con
 sentenza  n.  250  del  1996) che "la regola di base nei rapporti tra
 fonti  secondarie  statali  e  fonti  regionali   e'   quella   della
 separazione  delle  competenze,  tale  da  porre le regioni al riparo
 delle interferenze dell'esecutivo centrale" (punto 5 in  diritto).  E
 quanto detto per il Governo non puo' non valere a maggior ragione per
 altri organi dell'amministrazione statale.
   Per  quanto  riguarda  poi le specifiche garanzie del Trentino-Alto
 Adige, va in primo luogo considerato il terzo comma dell'art.  5  del
 d.P.R.  22  marzo  1974,  n.  381  (Norme di attuazione in materia di
 urbanistica e opere pubbliche), aggiunto con d.lgs. n. 267 del  1992,
 secondo  il  quale  "i  piani  di  bacino nazionale sono strunenti di
 coordinamento delle attivita' inerenti alle  attribuzioni  statali  e
 provinciali,  sempre che lo Statuto e le relative norme di attuazione
 non prevedano apposite modalita' di coordinamento".
   Per quanto riguarda poi la funzione di indirizzo  e  coordinamento,
 il  d.lgs. n. 266 del 1992 ha ribadito che i relativi atti "vincolano
 la Regione  e  le  province  autonome  solo  al  conseguimento  degli
 obbiettivi o risultati in essi stabiliti".
   Ne  rimane  confermata la necessaria struttura di indirizzo persino
 degli atti governativi, e di conseguenza l'illegittimita' sotto  ogni
 profilo  di  una  disciplina  di  materie  pertinenti alla competenza
 legislativa provinciale mediante atto di una  qualsivoglia  autorita'
 statale, da recepire poi pedissequamente con legge provinciale.
   3.  -  Ulteriore  inammissibilita'  di  una disciplina puramente di
 bacino degli allevamenti zootecnici.
   Si e' sopra esposto come la direttiva  qui  impugnata  si  discosti
 dalla  normativa che disciplina il settore e comunque difetti di base
 normativa.
   Ma l'inammissibilita' ed  illegittimita'  della  disciplina  appare
 anche  sotto  un  diverso  profilo.  In  effetti  la disciplina degli
 allevamenti zootecnici dal punto di vista degli  inquinamenti  incide
 su  una pluralita' di interessi pubblici sia economico-produttivi sia
 ambientali di vario ordine, e non puo' ragionevolmente collocarsi  al
 semplice livello del bacino.
   Si  consideri  che,  se  la  provincia  autonoma  di Trento dovesse
 semplicemente adeguare la propria disciplina a quanto deciso in  sede
 di bacino, essa si vedrebbe costretta a recepire passivamente ben tre
 diverse  discipline,  relative  rispettivamente  al  bacino del Po, a
 quello del Brenta-Bacchiglione, ed a quello dell'Adige:  il  che  non
 solo  renderebbe  evidente  il  completo  svuotamento  della potesta'
 normativa provinciale, ma sarebbe altresi' del tutto  paradossale  se
 si  considera  che  le  tre  diverse  discipline  porrebbero  vincoli
 differenziati  ad  operatori  aziendali  operanti  in   un   contesto
 economico omogeneo e concorrenziale.
   Proprio  questa,  d'altronde,  e'  la  ragione  della nuova stesura
 dell'art.  14 della legge n. 319/1976, considerata al  punto  1):  la
 necessita'  di  trovare  un  punto  di  equilibrio tra le esigenze di
 qualita'  proprie  dei  "singoli  corpi  idrici"  e  la  piu'   ampia
 prospettiva  regionale  e  provinciale  di  disciplina degli scarichi
 degli insediamenti civili nel proprio territorio.
   Il Comitato istituzionale dell'autorita' bacino del  Po  ha  invece
 operato  come  se fosse titolare di una potesta' propria ed esclusiva
 della  disciplina  della  materia  degli  scarichi  da   insediamenti
 zootecnici, esercitando dunque un potere ad esso non attribuito.
   4.  -  Eccesso  di  potere,  inadeguatezza  della  disciplina  alle
 esigenze dell'economia montana della provincia  di  Trento  e  omessa
 considerazione delle relative caratteristiche.
   Anche  nel  procedere alla determinazione dei contenuti del proprio
 atto il Comitato istituzionale e' incorso, ad avviso della ricorrente
 provincia, nel difetto di considerazione  delle  esigenze  specifiche
 dell'economia montana trentina.
   Nelle   premesse   della   deliberazione  n.  12/1996  si  discorre
 lungamente  della  situazione  della  zootecnia  e   della   relativa
 disciplina  regionale  in  Lombardia, in Piemonte, in Emilia-Romagna,
 nel  Veneto:  ma  in  nessun  luogo  si  mostra  di  aver  preso   in
 considerazione anche la situazione della provincia di Trento.
   Addirittura,   nell'ultimo   considerato,   si   ricorda   di  aver
 espressamente atteso il consenso  e  le  osservazioni  della  Regione
 Lombardia  "richiedendosi  in  una  materia  cosi'  delicata il pieno
 consenso di tutti i membri del Comitato istituzionale". Senonche',  a
 prescindere   dall'osservazione   che   comunque  neppure  il  "pieno
 consenso" di tali membri potrebbe rendere legittimo un atto privo  di
 idonea  legittimazione  nell'ordinamento,  fatto  sta  che  non si e'
 ritenuto di dover  ottenere  il  consenso  del  rappresentante  della
 provincia di Trento.
   Nel  merito,  l'omessa  considerazione  delle  esigenze  specifiche
 dell'economia montana ha  comportato  l'introduzione  di  regole  che
 appaiono - nel contesto trentino - eccessivamente rigide. Ad esempio,
 il  divieto di spandimento di liquami zootecnici sui terreni gelati o
 innevati - previsto all'art. 5 della normativa qui contestata  -  non
 pare  aver  fondamento  nelle  zone  montane, ove invece proprio tale
 condizione favorisce un graduale e migliore assorbimento nel terreno;
 ugualmente, la "facolta'  data  alle  singole  Regioni  di  stabilire
 capacita'  di  stoccaggio  ridotte  per  gli  allevamenti  di piccole
 dimensioni, purche' comunque non inferiore a 90 giorni" (art.  7)  si
 appalesa  anch'essa  inadeguata negli allevamenti familiari - diffusi
 nel trentino - di un ridottissimo numero di capi (sino  ad  1  o  2).
 Analogamente,  i  carichi  ammissibili  sono  definiti dall'art. 3 in
 termini eccessivamente rigidi e determinerebbero  una  ingiustificata
 riduzione della capacita' produttiva degli allevamenti.
   In  definitiva,  il Comitato istituzionale dell'autorita' di bacino
 del Po si  e'  considerata,  del  tutto  a  torto,  come  l'autorita'
 preposta  ad  eliminare presunti "squilibri di mercato tra le diverse
 aree del bacino del Po" (primo considerato della terza  pagina)  e  a
 valutare  se  le  differenze  di  carico  ammissibile  tra le diverse
 Regioni (sempre senza considerare la provincia di Trento) siano o non
 siano "giustificate da specifiche caratteristiche  delle  aree  delle
 regioni  interessate":    dimenticando  da una parte che e' del tutto
 arbitrario - e comunque non rientrante tra i  compiti  dell'autorita'
 di  bacino - determinare l'unita' del mercato zootecnico in relazione
 al bacino fluviale di collocazione  (essendo  ovvio  che  agricoltori
 trentini  di  valli  vicine partecipano dello stesso mercato anche se
 gravitanti su fiumi  diversi),  dall'altra  che  non  spetta  affatto
 all'autorita'  di  bacino di valutare se le differenze tra le diverse
 Regioni - determinate da ragioni ben complesse e non riducibili ad un
 solo interesse pubblico - siano o meno giustificate.
   Nell'insieme, risulta che l'autorita' di bacino  ha  agito  secondo
 un'erronea  valutazione dei propri compiti e poteri, e trascurando le
 esigenze specifiche della realta' trentina. Anche sotto tale  profilo
 l'atto impugnato appare dunque illegittimo e lesivo.
   Tutto  cio'  premesso,  la ricorrente provincia autonoma di Trento,
 come sopra rappresentata e difesa,  chiede  voglia  l'eccellentissima
 Corte   costituzionale  dichiarare  che  non  spetta  allo  Stato  di
 disciplinare   con   deliberazione   del    Comitato    istituzionale
 dell'Autorita'  di  bacino  del  fiume  Po,  in  modo  dettagliato  e
 vincolante per la  provincia  autonoma  di  Trento,  gli  allevamenti
 zootecnici  sotto  il  profilo  degli  effluenti da essi provenienti;
 nonche'  conseguentemente  annullare  con  riferimento   ai   vincoli
 dettagliati   e  puntuali  ed  alle  scadenza  temporali  posti  alla
 provincia autonoma  di  Trento,  la  direttiva  per  il  contenimento
 dell'inquinamento  provocato  dagli  allevamenti  zootecnici allegata
 alla  deliberazione  del  comitato  istituzionale  dell'Autorita'  di
 bacino  del  fiume  Po  del  15  aprile  1996,  n. 12, pubblicata nel
 bollettino ufficiale della regione Trentino-Alto Adige 9 luglio 1996,
 n. 31, per violazione:
     dell'art. 8, nn. 5), 6), 14), 16), e 21), dell'art. 9, nn,  9)  e
 10), nonche' dell'art. 16 dello statuto di autonomia e relative norme
 di attuazione;
     dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381;
     del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266;
     dell'art. 14, della legge 10 maggio 1976, n. 319, come sostituito
 dall'art.  1  del  d.-l.  17  marzo  1995,  n.  79,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 17 maggio 1995, n. 172;
     dell'art. 17 della legge 18 maggio 1989, n. 183.
      Padova-Roma, addi' 7 agosto 1996
          Avv. prof. Giandomenico  Falcon - Avv. Luigi Manzi
 96C1370