N. 1267 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 giugno 1996
N. 1267 Ordinanza emessa il 15 giugno 1996 dal pretore di Messina nel procedimento di esecuzione promosso da Grasso Domenica contro Pagano Nicola ed altra Matrimonio - Divorzio - Indennita' di fine rapporto - Percentuale del quaranta per cento spettante all'ex coniuge - Determinazione in base alla sola durata del matrimonio - Mancata previsione della determinazione della percentuale spettante all'ex coniuge in misura variabile rispetto all'effettiva durata della convivenza, all'eventuale affidamento dei figli e alle condizioni personali ed economiche dei coniugi - Irrazionalita' ed incidenza sui principi di tutela della famiglia e della garanzia previdenziale - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 23/1991 di non fondatezza di analoga questione non condivisa dal giudice rimettente. (Legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-bis; legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 6). (Cost., artt. 3, 29 e 38).(GU n.47 del 20-11-1996 )
IL PRETORE Letti gli atti e sciogliendo la riserva nel giudizio portante il n. 3072/1994 reg. gen. es., vertente tra la sig.ra Grasso Domenica, creditrice procedente, contro Pagano Nicola - in esecuzione del decreto del 20 maggio 1994 del tribunale civile di Barcellona P.G. che ha attribuito alla sig.ra Grasso una quota pari al 40% dell'indennita' di fine rapporto - questo giudice ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale in ordine alla norma prevista dall'art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898 introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74. La suddetta norma appare in contrasto con gli artt. 3, 29 e 38 della Costituzione per i motivi che seguono: 1. - In ordine alla compatibilita' della norma de quo con il principio di uguaglianza, il riferimento contenuto nell'art. 12-bis, agli anni in cui il rapporto di lavoro e' coinciso con il matrimonio, determina disparita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente omogenee. Pur tenendo presenti le ragioni di certezza che possono aver determinato il legislatore ad introdurre la disposizione in oggetto, ancorandola ad un dato certo, qual'e' la durata del matrimonio, non ci si puo' esimere dal considerare - come giudici, ma anche come cittadini che vivono in un contesto sociale, quindi sensibili alle condizioni in cui versano entrambe le parti in un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio - che il privilegio per le esigenze di certezza non deve far dimenticare o considerare in subordine, che talvolta una valutazione astratta non soddisfa l'esigenza di un diritto giusto che risponda alle istanze e condizioni concrete di tutti, e cioe' sia degli aventi diritto a pretese garantite, che dei soggetti obbligati. Invero questa Corte, avendo avuto occasione di pronunciarsi sul tema che viene riproposto alla sua attenzione, ha evidenziato come, con la riforma della disciplina del divorzio, il legislatore del 1987, ha mirato a rimuovere gli effetti di segno negativo ed a ripristinare una situazione di uguaglianza tra i soggetti del rapporto matrimoniale (nella misura in cui cio' sia possibile dopo la dissoluzione del vincolo coniugale), con l'obiettivo di tutelare il soggetto economicamente piu' debole e valorizzare la solidarieta' economica che lega i coniugi durante il matrimonio. Sebbene sia pacifico che la prevalente giurisprudenza - ai fini della determinazione del quantum dell'assegno divorzile (dall'attribuzione del quale deriva il diritto alla percezione di una quota del t.f.r.) - ritiene che il contributo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e di quello di entrambi i coniugi vada valutato con riferimento alla complessiva durata del matrimonio, comprendente anche il periodo di separazione, tale principio non e' garantistico che si applichi anche per l'attribuzione del t.f.r. Le esigenze di assistenza e di tutela del coniuge piu' debole e di riconoscimento dell'apporto fornito alla famiglia, restano sufficientemente soddisfatte attraverso l'introduzione normativa dell'art. 12-bis, in via generale. La norma diventa ingiusta, di difficile applicazione per le coscienze della maggior parte degli operatori del diritto, ed eccessivamente gravosa per il coniuge obbligato, laddove determina in misura fissa, per tutta la durata del matrimonio, l'indennita' dovuta. Ed infatti non e' certo e scontato che sempre e comunque la collaborazione tra i coniugi continui anche oltre la data di comparizione innanzi al presidente del Tribunale in sede di separazione (pur ammettendo che essa esistesse durante la convivenza). D'altronde non in tutti i nuclei familiari c'e' la presenza di figli da curare, seguire, assistere ed istruire; e del resto ove presenti, non sempre sono affidati al coniuge economicamente piu' debole. In queste ipotesi, che non costituiscono casi limite, l'applicazione del criterio formale di ripartizione di cui alla norma, risulta fonte di summa iniuria per il coniuge obbligato il quale potrebbe essere costretto comunque a provvedere non solo a mantenere economicamente i figli, ma anche ad assisterli, educarli ed istruirli se coniuge affidatario. Non si puo' dunque giustificare, in ipotesi di questo tipo, la corresponsione al coniuge assegnatario di una quota di t.f.r. commisurata alla intera durata del matrimonio, non riuscendo a questo giudice di configurare le modalita' concrete del contributo prestato dallo stesso coniuge creditore alla conduzione della vita familiare. L'accostamento che la Corte ha avuto occasione di fare tra il criterio di ripartizione (basato sul tempo) oggetto di censura, e la "durata del matrimonio" tenuta presente dal legislatore, in ordine alla determinazione dell'assegno di divorzio, trascura di considerare che in quest'ultimo caso il fattore tempo non e' il piu' importante parametro al quale commisurare l'assegno. Inoltre, come ha avuto occasione di fare presente la stessa Corte, esso non e' l'unico. Del resto l'assegno non puo' trasformarsi in una rendita di carattere parassitario, potendo venire a mancare, in talune ipotesi, l'an circa l'attribuzione dello stesso; mentre, in considerazione del mutare dei presupposti per l'assegnazione, puo' essere modificato in qualunque momento. Alla luce dei presenti rilievi appare ancor piu' ingiusto che venga mantenuta nel nostro ordinamento la norma dell'art. 12-bis, che attribuisce una volta per tutte una somma in misura fissa ancorandola ad un unico dato formale, astratto e troppo uniforme qual'e' la durata del matrimonio, mancando la considerazione delle ipotesi di matrimoni nei quali il vincolo di comunione spirituale e materiale (il vero matrimonio) ha avuto durata non troppo lunga, ma e' stato seguito da una separazione di parecchi anni, spesso per lungaggini giudiziarie di cui certo non possono pagare le conseguenze i cittadini. 2. - La norma in esame contrasta altresi' con l'art. 29 della Costituzione che fonda il matrimonio sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i soli limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unita' familiare, oltretutto definitivamente compromessa a seguito del divorzio. Anzi, coniuge piu' debole in questa situazione, e' certamente l'obbligato sul quale gravano tutti gli oneri di tipo economico e che vede sottratte dalla sua sfera, somme per l'accantonamento delle quali ha lavorato e che la legge gli riconosce personalmente in quanto cittadino, ma soprattutto lavoratore, avente diritto ad opportuni mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia. 3. - In caso di distrazione al coniuge avente diritto, di quote determinate tenendo presente tutta la durata del matrimonio, fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, risulterebbe sacrificata la norma dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione che tutela fondamentalmente il lavoratore, a nulla rilevando il richiamo che il primo comma del predetto articolo contiene alla funzione previdenziale a favore di chi non ha i mezzi per vivere, essendo esplicito il riferimento della norma all'assistenza sociale e non da parte dell'altro coniuge. Non potendo la presente questione essere totalmente decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, e ritenendo la questione non manifestamente infondata.
P. Q. M. Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-bis, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, introdotto dall'art. 6 della legge 6 marzo 1987, n. 74 in riferimento agli artt. 3, 29 e 38 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale; Sospende il presente giudizio, portante il n. 3072/1994 reg. gen. vertente tra Grasso Domenica e Pagano Nicola, in attesa della decisione; Ordina che a cura della cancelleria, la trasmissione degli atti della Corte costituzionale sia notificata alle parti, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; Si comunichi al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato. Messina, addi' 15 giugno 1996 Il pretore giudice dell'esecuzione: Pugliese 96C1768