N. 1320 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio - 26 novembre 1996

                                N. 1320
  Ordinanza   emessa   il   2   maggio   1996  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 26 novembre 1996) dalla  Corte  di  cassazione  nel
 procedimento  civile  vertente  tra l'I.N.P.S.   e Asirelli Romano ed
 altri
 Previdenza e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  -  Previsto
    pagamento  dei  rimborsi  conseguenti  alle  sentenze  della Corte
    costituzionale  nn.  495/1993  e  240/1994  in  sei  annualita'  e
    mediante  emissione  di  titoli  di Stato - Estinzione dei giudizi
    pendenti alla data di entrata in vigore della normativa  impugnata
    con  compensazione  delle spese tra le parti - Diritto al rimborso
    limitato  ai  superstiti   aventi   titolo   dalla   pensione   di
    riversibilita'  alla  data  di  entrata  in vigore della normativa
    impugnata - Conseguente esclusione degli altri  successori  mortis
    causa  -  Violazione del principio di uguaglianza e del diritto di
    difesa e della garanzia previdenziale  -  Elusione  del  giudicato
    della Corte costituzionale.
 (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1).
 (Cost., artt. 3, 24, 38 e 136).
(GU n.51 del 18-12-1996 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto
 dall'IN.P.S.   -  Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  in
 persona   del   legale   rappresentante   pro-tempore,  elettivamente
 domiciliato in Roma, via della Frezza 17 presso gli  avvocati  Andrea
 Barbuto, Carlo De Angelis, Gabriella Pescosolido che lo rappresentano
 e  difendono,  giusta  delega  in  atti,  ricorrente, contro Asirelli
 Romano, Asirelli Iliana, Asirelli  Anna  quali  eredi  di  Dall'Agata
 Maria,  Casadei  Novella in persona della procuratrice generale Raggi
 Mara, elettivamente domiciliati in  Roma,  via  Cola  di  Rienzo  28,
 presso  l'avvocato  Salvatore  Cabibbo  che li rappresenta e difende,
 giusta delega in calce alla copia dei ricorsi, resistenti con procura
 nonche' contro Freddi Ester, Colombari Giuseppe,  Colombari  Lorenzo,
 Colombari  Anna  Maria eredi di Mancini Quinta, Malmesi Iole, Magnani
 Ofelia  Tosca,  Roman  Clara;  intimati,  per  l'annullamento   della
 sentenza del tribunale di Forli' n. 687 depositata il 15 ottobre 1993
 r.g.n. 2009/1991;
   Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2
 maggio 1996 dal consigliere relatore  dott. Mattone;
   Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore  generale  dott.
 Ennio  Attilio  Sepe  che  ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo in
 subordine la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
                        Svolgimento del processo
   Con sentenza del 15 ottobre 1993 il tribunale di Forli'  confermava
 la  pronunzia  con  la quale il pretore del luogo aveva dichiarato il
 diritto degli  attuali  intimati  all'integrazione  al  minimo  sulle
 pensioni  ad  essi rispettivamente erogate, in aggiunta alla prima, e
 condannava  l'l.N.P.S.  a  versare  a  costoro,  nei   limiti   della
 prescrizione  decennale,  le  relative  differenze,  oltre  interessi
 legali e rivalutazione monetaria.
   Avverso tale sentenza l'I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione
 formulando un solo motivo. Si sono costituiti in  giudizio,  mediante
 deposito  della  procura,  soltanto  Romano, Iliana ed Anna Asirelli,
 nella qualita' di eredi di Maria Dall'Agata, nonche' Novella Casadei,
 in persona della procuratrice generale Mara Raggi.
                         Motivi della decisione
   1.  -  Con l'unico motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa
 applicazione dell'art. 6, commi 5, 6 e  7,  del  d.-l.  12  settembre
 1983,  n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre
 1983, n. 638, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.
   Assume  il  ricorrente  che  l'istituto   della   cristallizzazione
 dell'importo  della pensione alla data di cessazione del diritto alla
 integrazione al minimo, di cui all'art. 6, settimo comma, della legge
 n. 638 del 1983, e' riferito espressamente alle ipotesi di cessazione
 del diritto all'integrazione al minimo per superamento dei limiti  di
 reddito e che questa regola non puo' riferirsi, pertanto, all'ipotesi
 di  seconda pensione gia' integrata al minimo, che deve essere invece
 corrisposta a calcolo, a decorrere dal 1 ottobre 1983.
   2. - In relazione alla questione che forma oggetto  della  presente
 controversia  si  e'  notoriamente  consolidato nell'ambito di questa
 Corte un oeientamento  secondo  il  quale,  ai  sensi  del  combinato
 disposto  dell'art. 6 del  d.-l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito
 nella legge 11 novembre 1983 n. 683, e dell'art. 11, comma 22,  legge
 24  dicembre  1993  n.  537,  quest'ultimo nel testo risultante dalla
 sentenza della  Corte  costituzionale  10  giugno  1994  n.  240,  il
 titolare  di  due  o  piu' pensioni, tutte integrate o integrabili al
 trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983, al quale  competa
 il  diritto alla integrazione al minimo della pensione individuata ai
 sensi del terzo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 463 del  1993,
 ha  diritto  al  mantenimento  delle  ulteriori pensioni nell'importo
 cristallizzato al 30  settembre  1983,  fino  ad  assorbimento  negli
 aumenti  della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica,
 purche' non superi i limiti di reddito indicati nel primo comma dello
 stesso art. 6.
   Inoltre, a norma dell'art. 442 c.p.c., nel testo  risultante  dalla
 sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (applicabile fino
 all'entrata  in vigore della nuova disciplina prevista dall'art.  16,
 comma 6, della legge 30 dicembre 1991 n. 412), sulle somme di  denaro
 per  crediti  relativi  a  prestazioni  previdenziali sono dovuti gli
 interessi nella misura  legale  ed  il  maggior  danno  eventualmente
 derivante dalla svalutazione monetaria; ed e' innegabile che tra tali
 prestazioni  debba  essere  ricompresa  quella  pretesa dagli attuali
 intimati in quanto l'integrazione al minimo e' da  qualificarsi  come
 "istituto  previdenziale  fondato  sul  principio  di  solidarieta'".
 (Corte cost. 10 giugno 1994 n. 240).
   3. -  Senonche',  con  il  recente  d.-l.  28  marzo  1996  n.  166
 (pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  29  marzo  1996 n. 75) si e'
 stabilito all'art.  1, per quanto qui interessa: a) che  il  rimborso
 delle  somme,  maturate  fino  al  31  dicembre 1995, sui trattamenti
 pensionistici  erogati  dagli  enti  previdenziali  interessati,   in
 conseguenza    dell'applicazione    delle    sentenze   della   Corte
 costituzionale n. 495 del 1993 e  n.  240  del  1994,  e'  effettuato
 mediante  assegnazione  agli aventi diritto di titoli di Stato aventi
 libera circolazione (comma primo); b) che tale rimborso  avverra'  in
 sei  annualita',  sulla base degli elenchi riepilogativi che gli enti
 provvederanno annualmente ad inviare al Ministero del  tesoro  (ivi);
 c)  che  il diritto al rimborso delle somme arretrate di cui al primo
 comma spetta ai soli soggetti interessati, nonche' ai loro superstiti
 aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla data di entrata in
 vigore del decreto (comma secondo), con  la  conseguenza  che  devono
 ritenersi  esclusi da quelle attribuzioni coloro che siano subentrati
 nel patrimonio  degli  originari  creditori  per  successione  mortis
 causa;  d)  che  nella  determinazione  dell'importo  maturato  al 31
 dicembre  1995  non  concorrono  gli  interessi  e  la  rivalutazione
 monetaria  (ivi); e) che la verifica annuale del requisito reddituale
 per il diritto all'integrazione del  trattamento  e'  effettuata  non
 solo  in  relazione  ai  redditi riferiti all'anno 1983, ma anche con
 riferimento ai redditi degli  anni  successivi  (ivi);  f)  e  che  i
 giudizi  pendenti  alla  data  di entrata in vigore del decreto-legge
 aventi ad oggetto le questioni di  cui  all'art.  1  sono  dichiarati
 estinti  d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti, mentre
 restano privi  di  effetto  i  provvedimenti  giudiziali  non  ancora
 definitivi (comma terzo).
   Poiche' alcuni degli intimati sono ricompresi tra i destinatari del
 rimborso  disciplinato  dall'art.  1 (in quanto direttamente titolari
 della  pensione  "integrabile"  o   aventi   titolo   a   quella   di
 reversibilita')   e   poiche'  questo  troverebbe,  appunto,  il  suo
 fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n.  240/1994,  a
 norma di tale disposizione il presente giudizio dovrebbe in relazione
 ad  essi  dichiararsi  estinto,  con compensazione delle spese tra le
 parti e con i conseguenziali effetti,  in  favore  degli  assicurati,
 disciplinati  dai  primi  due  commi  della norma in oggetto. Analogo
 esito dovrebbe, poi, sancirsi con riferimento a coloro che  rivestono
 la qualita' di eredi (vale a dire, ai germani Asirelli, menzionati in
 narrativa,  nonche'  a  Giuseppe, Lorenzo ed Annamaria Colombari, che
 agiscono in qualita' di eredi di Quinta Mancini) e che  rimarrebbero,
 peraltro,  del tutto esclusi dai rimborsi previsti dalla normativa in
 esame.
   Il risultato che con tale disposizione  il  legislatore  ha  inteso
 conseguire   suscita   peraltro,   sotto   diversi   aspetti,   serie
 perplessita'  in  ordine  alla  sua  legittimita'  sotto  il  profilo
 costituzionale.
   4.  -  Viene  in  primo  luogo  in  considerazione,  a giudizio del
 Collegio, l'art. 136, primo comma, Cost.
   Secondo principi ormai acquisiti in materia a norma  del  combinato
 disposto  dell'art.  136  cit.  e dell'art. 30, terzo comma, legge 11
 marzo 1953, n. 87, la seconda della quali si ritiene fondata  su  una
 scelta  di  livello  costituzionale, in virtu' dell'efficacia propria
 delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale,  idonee  a
 dar  vita ad un vero e proprio "effetto di giudicato", e' precluso al
 legislatore ripristinare la disciplina dichiarata illegittima, se non
 con  riferimento  a  rapporti  successivi  alla  pubblicazione  della
 sentenza  (salvo  a  stabilirsi, in quest'ultimo caso, se sussista la
 violazione delle medesime norme costituzionali che erano  state  lese
 dalla  normativa  dichiarata  incostituzionale). In altri termini, se
 una   legge   intendesse    ripristinare    la    legge    dichiarata
 incostituzionale  in  relazione  al  periodo  gia'  trascorso,  cosi'
 pretendendo  di  porre  nel  nulla  gli  effetti  della  sentenza  di
 accoglimento,   si   realizzerebbe   -  come  e'  stato  in  dottrina
 autorevolmente   osservato   -   una   violazione    del    giudicato
 costituzionale  e, indirettamente, dell'art. 136 cit., come integrato
 dall'art. 30 della legge n. 87  del  1953  (per  riferimenti  in  tal
 senso, cfr. Corte cost. n. 49 del 1981; e n. 223 del 1983).
   Cio'  premesso,  va ricordato che, con la sentenza n. 240 del 1994,
 richiamata sub  n.  2,  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato  la
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  11,  comma  22,  legge  24
 dicembre 1993 n.   537, nella parte  in  cui,  nell'ipotesi  da  essa
 considerata,   prevede   la   riconduzione   dell'importo  a  calcolo
 dell'altra o delle altre pensioni non piu' integrabili,  anziche'  il
 mantenimento  di esse nell'importo spettante alla data indicata, fino
 ad assorbimento negli aumenti della  pensione  base  derivanti  dalla
 perequazione  automatica:  per effetto di quella pronunzia (additiva)
 di accoglimento, il legislatore avrebbe dovuto astenersi, quindi,  da
 ogni  intervento  diretto a riportare in vita la normativa dichiarata
 incostituzionale.
   Viceversa, per quanto riguarda, anzitutto, gli "eredi" dei titolari
 di pensioni integrabili, il decreto-legge  n.  166/1996,  nel  negare
 drasticamente,  ad  essi  la  possibilita' di percepire l'importo dei
 ratei in precedenza maturati, ha realizzato una sorta di reviviscenza
 della  normativa  suddetta  ed  ha  di  fatto  enunciato  un   dictum
 preordinato
  a  svuotare  di  efficacia  la  sentenza  n.  240/1994  della  Corte
 costituzionale:  si' che non sembra manifestamente  infondata,  sotto
 questo  primo profilo, la questione di legittimita' costituzionale di
 quel decreto in relazione all'art. 136 Cost.
   Ma un dubbio di costituzionalita', in relazione a  questo  medesimo
 precetto,  pare  profilarsi - in via generale - anche con riferimento
 alla posizione dei soggetti presi in considerazione dal decreto-legge
 n. 166/1996 quali destinatari degli indicati rimborsi. Mentre la piu'
 volte  richiamata  sentenza  n.  240/1994  ha  ritenuto  conforme   a
 Costituzione  un  assetto  normativo  -  come tale intangibile per il
 passato - in virtu' del quale il diritto all'integrazione  al  minimo
 e'  condizionato  al  mancato  superamento dei noti limiti di reddito
 alla data del 30  settembre  1983,  l'art.  1  del  decreto-legge  n.
 166/1996,  nello  stabilire - come si e' in precedenza sottolineato -
 che la verifica annuale del requisito  reddituale  va  effettuata  in
 relazione  al  reddito  di  ciascuno  degli anni in rapporto ai quali
 l'integrazione e' pretesa, ha contraddetto il  tenore  della  rubrica
 ("Attuazione  delle  sentenze  della  Corte costituzionale n. 495 del
 1993 e n. 240 del 1994") ed ha in realta' inciso anche  sotto  questo
 profilo sul contenuto di tale pronuncia.
   5.  1. - Per individuare, alla stregua dell'art. 24 Cost., i limiti
 di costituzionalita' dell'intervento  del  legislatore  nel  processo
 quando  di  questo venga definito l'esito attraverso una norma che ne
 imponga l'estinzione, nella giurisprudenza della Corte costituzionale
 si e'  fatto  riferimento,  in  termini  generali,  al  rapporto  tra
 siffatto  intervento  ed  il  grado di realizzazione che alla pretesa
 azionata sia stato accordato per via legislativa.
   Si e' affermato cioe' che, allorche' la  legge  sopravvenuta  abbia
 soddisfatto,  anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei
 giudizi  dei  quali  imponeva   l'estinzione,   sia   da   escludersi
 l'illegittimita'  costituzionale di tale ultima previsione, in quanto
 il diritto di azione non puo'  dirsi  vulnerato  ove  l'ambito  delle
 situazioni  giuridiche  di  cui sono titolari gli interessati risulti
 comunque  arricchito  a  seguito  della  normativa   che   da   luogo
 all'estinzione  dei  giudizi (Corte cost. 10 dicembre 1981 n. 185; e,
 soprattutto, 31 marzo 1995 n. 103).
   Si  e'  ritenuto,  viceversa,  che allorche' lo ius superveniens si
 opponga  richieste  degli   interessati   ed   alla   interpretazione
 giurisprudenziale  a  essi  favorevole,  stabilendo  l'estinzione dei
 processi in corso, e si operi cosi'  da  parte  del  legislatore  una
 sostanziale  vanificazione  della  via  giurisdizionale, intesa quale
 mezzo al fine dell'attuazione di  un  preesistente  diritto,  sia  da
 ravvisarsi  la  violazione  del  diritto di agire, di cui all'art. 24
 della Costituzione (Corte cost. 10 aprile 1987  n.  123;  nonche'  n.
 103/1995 cit.).
   Nella  specie,  il  decreto-legge  n. 166 del 1996, nello stabilire
 l'estinzione ope legis dei giudizi  in  corso,  ha  -  come  detto  -
 escluso  anzitutto  che  sugli  importi  maturati sino al 31 dicembre
 1995, spettanti ai soggetti interessati ed ai loro superstiti  aventi
 titolo  alla pensione di reversibilita', possano essere computati gli
 interessi legali e la rivalutazione monetaria, dei quali  i  soggetti
 aventi  diritto  all'integrazione  al  minimo  verrebbero  ad essere,
 quindi,   privati   nonostante   la    consolidata    interpretazione
 giurisprudenziale ad essi favorevole.
   Poiche' lo ius superveniens e' preordinato, in definitiva, non gia'
 ad  arricchire la situazione patrimoniale degli interessati, bensi' a
 depauperarla attraversio l'esclusione degli "accessori"  del  credito
 da  essi  vantato,  e' legittimo il dubbio di costituzionalita' della
 disposizione in esame, in relazione all'art. 24 Cost.
   Questo  dubbio  assume,  poi,  consistenza  ancora   maggiore   con
 riferimento  ai  soggetti  estranei  all'area  dei beneficiari, quale
 individuata dal decreto-legge n. 166 del  1996  (da  individuarsi  in
 coloro  che  agiscono,  nella  fattispecie,  in qualita' di eredi dei
 percettori di pensione integrabile), in quanto a  costoro  e'  negata
 perfino l'erogazione dei ratei medio tempore maturati in loro favore,
 oltre  che  -  ovviamente  -  degli  "accessori"  dei crediti da essi
 pretesi.
   5. 2. - Il dubbio investe anche il terzo comma dell'art.  1,  nella
 parte  in  cui  stabilisce che all'estinzione dei giudizi consegue la
 "compensazione delle spese tra le parti".
   Attraverso tale disposizione si sottrae, infatti, al giudice  della
 pretesa  sostanziale  dedotta  in  giudizio un punto accessorio della
 controversia che, ad ogni  modo,  anche  per  i  riflessi  di  ordine
 economico  sull'entita'  dell'incremento  in  concreto realizzato dal
 soggetto vittorioso, non puo' esserne distolto  senza  che  ne  resti
 vulnerato,  ancora  una  volta,  l'art.  24  della  Costituzione (per
 riferimenti in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord.,  3  maggio
 1994 n. 664).
   6.  1.  -  La  disciplina prevista dall'art. 1 del decreto-legge n.
 166/1996  per  il  rimborso  delle  somme  in  favore  dei   soggetti
 interessati  realizza  sotto un duplice aspetto una deroga al diritto
 comune delle obbligazioni.
   Per un verso, tale disposizione consente invero, al soggetto tenuto
 al rimborso, di estinguere  il  proprio  debito  in  sei  annualita',
 precludendo  al  creditore la possibilita' di esigere tempestivamente
 l'adempimento dell'obbligazione nella sua interezza (art. 1181 c.c.).
 Per altro verso essa, prevedendo  che  il  rimborso  delle  somme  in
 questione sia effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di
 titoli  di  Stato aventi libera circolazione, legittima  l'estinzione
 delle  relative  obbligazioni  mediante  una  datio  in  solutum,   a
 prescindere dal consenso dal creditore (art. 197 c.c.).
   Ora,  poiche'  la  predisposizione di questo particolare sistema di
 adempimento  -  inidoneo  a  realizzare  un'immediata  ed   integrale
 ricostituzione  del  patrimonio del creditore e per di piu' dotato in
 qualche  misura,  di  un  carattere  aleatorio  (in  relazione   alle
 oscillazioni che si verifichino nel mercato dei titoli di Stato) - ha
 per  destinatari,  in  assenza di qualsiasi comprensibile e razionale
 giustificazione, le  sole  categorie  di  pensionati  alle  quali  il
 decreto-legge  n.  166/1996  fa  riferimento, non appare infondato il
 dubbio di costituzionalita' della relativa disposizione in  relazione
 all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
   Non  sembra  al  Collegio  che possa validamente invocarsi in senso
 contrario il precedente rappresentato dalla sentenza 30  luglio  1980
 n.  141  del  giudice  delle leggi, che dichiaro' infondata, anche in
 relazione all'art. 3 Cost., la questione di  costituzionalita'  della
 normativa  che  aveva  stabilito  che  gli  aumenti  derivanti  dalle
 variazioni del costo della vita venissero corrisposti, per  le  fasce
 ivi individuate, tramite buoni del tesoro poliennali.
   Nel  caso allora preso in considerazione dalla Corte costituzionale
 i  soggetti  "colpiti"  dalla  normativa  cui  si  e'   fatto   cenno
 appartenevano,  infatti,  a categorie diverse (lavoratori dipendenti,
 titolari di trattamenti  pensionistici,  ecc.),  tra  le  quali  quel
 "sacrificio"  veniva  quindi in qualche modo ripartito; laddove nella
 fattispecie i destinatari del sistema di  adempimento  delineato  dal
 decreto-legge n. 166/1996 coincidono con l'area piu' svantaggiata dei
 pensionati (siccome titolari del diritto all'integrazione al minimo),
 i  quali  dovrebbero  in via esclusiva subire le conseguenze negative
 derivanti dalle pur innegabili difficolta' di bilancio della pubblica
 amministrazione.   Ne' pare che, di fronte  a  tale  piu'  accentuata
 disparita'  di  trattamento, la "tendenza del Parlamento a battere le
 vie di sempre e a non muovere alla ricerca di  ''ricchezze  novelle''
 meno  agevolmente  identificabili",  gia'  sottolineata  dalla  Corte
 costituzionale nella sentenza n. 141/1980,  possa  -  come  allora  -
 trovare  adeguata  giustificazione nell'ambito della discrezionalita'
 politica riservato al legislatore.
   6. 2. - L'art. 3, primo  comma,  della  Costituzione  sembra,  poi,
 subire  un  ulteriore vulnus dalla disposizione di cui all'art. 1 del
 decreto-legge n. 166 del  1996  per  la  parte  in  cui  esclude  dal
 rimborso  gli  interessi  legali  e  la  rivalutazione  monetaria  in
 relazione agli importi maturati a tutto il 31 dicembre 1995.
   Una volta che gli interessi legali  e  la  rivalutazione  monetaria
 sono  dovuti - come si e' in precedenza sottolineato - in relazione a
 ciascuna prestazione  di  natura  previdenziale,  appare  in  effetti
 lesivo   del  principio  di  uguaglianza  sancirne  l'esclusione  nei
 confronti di talune categorie di  crediti  (cfr.  al  riguardo  Corte
 cost.  6 dicembre 1988 n. 1060; e 15 marzo 1994 n. 85). Tanto piu' e'
 da ritenere, del resto, ingiustificata tale disparita' di trattamento
 ove si consideri che i destinatari del decreto-legge n. 166 del  1996
 appartengono - come del pari si e' accennato - a fasce sociali tra le
 piu'  svantaggiate,  avendo  l'integrazione  al minimo la funzione di
 integrare la pensione  quando  dal  calcolo  in  base  ai  contributi
 accreditati  al  lavoratore,  ovvero  al de cuius, risulti un importo
 inferiore ad un minimo ritenuto  necessario,  in  mancanza  di  altri
 redditi di una certa consistenza, ad assicurargli mezzi adeguati alle
 esigenze  di  vita  (cosi' Corte cost. n. 240 del 1994, citata sub n.
 2).
   Ne'  potrebbero nel caso in esame trovare ingresso - a giudizio del
 Collegio - le argomentazioni che, in altra fattispecie, hanno indotto
 il giudice delle leggi ad escludere la violazione dell'art.  3  della
 Costituzione  in relazione ai rimborsi dovuti dall'I.N.P.S.  a titolo
 di sgravi contributivi per effetto della sentenza  n.  261  del  1991
 della  Corte  costituzionale, rimborsi che il d.-l. 22 marzo 1993, n.
 71, convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, aveva consentito  che
 avvenissero  in  dieci  annualita', senza oneri - per l'Istituto - di
 rivalutazione monetaria ed  interessi  e  senza  la  possibilita'  di
 compensazione   con   i   debiti   dell'imprenditore   nei  confronti
 dell'I.N.P.S.  (sentenza 13 luglio 1995, n. 320).
   In quel caso, infatti, la Corte costituzionale ha osservato che  il
 legislatore,  nelle  sue  discrezionali scelte di politica economica,
 aveva emanato norme di favore  per  determinate  imprese  sgravandole
 dall'onere  di  corrispondere  contributi  sociali per incentivare la
 produzione e sviluppare l'occupazione; che  le  imprese  escluse  dal
 beneficio  avevano realizzato, quindi, i loro programmi di produzione
 ripartendo costi  e  ricavi  secondo  l'impostazione  dei  rispettivi
 bilanci;  e  che  la  successiva  estensione  degli stessi benefici a
 queste imprese,  conseguente  alla  sentenza  n.  261  del  1991,  si
 differenziava  da  quella situazione originaria poiche' il rimborso a
 distanza di tempo dei contributi non  conseguiva  piu'  le  finalita'
 sociali  che  avevano  giustificato lo sgravio (non essendo possibile
 "ora  per  allora"  incentivare  produzione  e  occupazione).  Ed  ha
 ritenuto,  pertanto,  che  non vi fosse una disparita' di trattamento
 tra le imprese che avevano  beneficiato  pienamente  degli  sgravi  e
 quelle  destinatarie  della  legge da ultimo richiamata in quanto, in
 questa diversa prospettiva, ed anche in considerazione delle esigenze
 di  reperimento  delle  necessarie  risorse  finanziarie,  erano   da
 considerare  legittimi  i  limiti e le gradualita' introdotti in tali
 sopravvenute erogazioni.
   Da quanto precede emerge, quindi,  che  la  particolare  disciplina
 allora  devoluta  al  giudizio  della Corte costituzionale trovava la
 propria giustificazione, oltre che nella  condizione  finanziaria  di
 crisi della pubblica amministrazione, nelle diverse finalita' assolte
 dall'istituto  degli  sgravi  contributivi  con  riferimento  ai suoi
 destinatari; laddove  nel  caso  in  esame  non  sembra  ravvisabile,
 nell'ambito    di   quella   parte   della   pensione   rappresentata
 dall'integrazione  al   minimo,   sottratta   ai   beneficiari,   una
 distinzione  della  sua  funzione  - previdenziale - in rapporto alla
 diversa epoca della sua erogazione in loro favore.
   6.  3.  -  L'esclusione  degli  eredi  dei  titolari  di   pensioni
 integrabili  dall'area  dei  destinatari  dei (pur limitati) benefici
 previsti dall'art.   1 del decreto-legge n.  166  del  1996  solleva,
 sempre  in  relazione all'art. 3 Cost., un dubbio di costituzionalita
 sotto un duplice profilo.
   In primo luogo, poiche' la successione mortis causa nei beni del de
 cuius, e' istituto di carattere generale -  e  riguarda  naturalmente
 anche  i crediti entrati a far parte del suo patrimonio anteriormente
 al decesso -, la vistosa deroga operata dalla  norma  in  oggetto  in
 danno  degli  eredi  dei titolari di pensioni integrabili (non aventi
 titolo alla pensione di reversibilita'), realizzata indubbiamente una
 disparita' di trattamento che non appare sorretta da  alcuna  ragione
 plausibile. Inoltre, il collegamento instaurato, dal decreto-legge n.
 166 del 1996, tra il diritto al rimborso delle somme maturate fino al
 31 dicembre 1995 e la sussistenza in vita del soggetto interessato al
 momento della sua entrata in vigore introduce nella disciplina de qua
 un  elemento  di assoluta casualita', qual e' quello dell'epoca della
 morte dell'originario beneficiano, che da' luogo ad una ulteriore  ed
 irrazionale  disparita'  di  trattamento  con riferimento al medesimo
 bene patrimoniale: il rimborso, invero, non spetterebbe a coloro  che
 siano  succeduti al de cuius ove il decesso sia avvenuto - come nella
 specie - in epoca anteriore al 30 marzo  1996  (cioe'  alla  data  di
 entrata  in  vigore  del  decreto-legge  di  cui trattasi), e di esso
 usufruirebbero, invece, coloro per i quali  la  successione  si  apra
 eventualmente in un un momento posteriore.
   7.  -  Il  dubbio  di  costituzionalita'  in  ordine all'art. 1 del
 decreto-legge n. 166 del 1996, per la parte presa  in  considerazione
 sub  n.  54,  in  relazione  ai  soli beneficiari dei rimborsi, quali
 individuati dalla normativa in esame, si profila,  infine,  anche  in
 relazione  all'art.  38  Cost.,  quanto meno per il periodo anteriore
 alla entrata in vigore dell'art. 16, comma 6, della legge n. 412  del
 1991.
   Nella sentenza 12 aprile 1991 n. 156 e' stato affermato dalla Corte
 costituzionale  che,  per  il  tramite  e  nella misura dell'art. 38,
 secondo comma, Cost., si rende  applicabile  anche  alle  prestazioni
 previdenziali l'art. 36, primo comma, Cost. (di cui l'art. 429 c.p.c.
 e' un modo di attuazione), quale parametro delle esigenze di vita del
 lavoratore;  e  che la mancata previsione di una regola analoga per i
 crediti previdenziali costituisce violazione  non  solo  dell'art.  3
 Cost., ma anche dell'art.  38.
   Ora,  poiche'  l'integrazione  al minimo rappresenta una componente
 non ancora liquidata  dell'ordinaria  pensione  (Cass.  sez.  un.  21
 giugno  1990  n. 6245; e Corte cost. n. 240/1994 cit.), la previsione
 normativa circa la mancata corresponsione degli  interessi  legali  e
 della  rivalutazione monetaria sui crediti a questo titolo maturati a
 tutto il dicembre 1995 sembra porsi in contrasto  con  quel  precetto
 costituzionale.
   8.  - Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, stante
 la rilevanza - come risulta dalle argomentazioni svolte al punto 2  -
 delle questioni di legittimita' costituzionale delle disposizioni del
 decreto-legge  n. 166 del 1996 sopra indicate, gli atti devono essere
 trasmessi alla Corte costituzionale e deve nel contempo disporsi  che
 la  cancelleria  adempia  alle  notificazioni  ed  alle comunicazioni
 prescritte dall'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  come
 precisate in dispositivo.
                                P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953 n. 87, dichiara di
 ufficio non manifestamente infondata la questione    di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1  del  d.-l.  28  marzo  1996, n. 166, in
 relazione agli artt.  3, 24, 38 e 136 della  Costituzione;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti, al procuratore generale  presso  la  Corte  di
 cassazione  ed  al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del  Parlamento.
   Cosi' deciso a Roma, il 2 maggio 1996 Il presidente: Pontrandolfi
 96C1826