N. 1320 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio - 26 novembre 1996
N. 1320 Ordinanza emessa il 2 maggio 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 26 novembre 1996) dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra l'I.N.P.S. e Asirelli Romano ed altri Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Previsto pagamento dei rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 in sei annualita' e mediante emissione di titoli di Stato - Estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata con compensazione delle spese tra le parti - Diritto al rimborso limitato ai superstiti aventi titolo dalla pensione di riversibilita' alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Conseguente esclusione degli altri successori mortis causa - Violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa e della garanzia previdenziale - Elusione del giudicato della Corte costituzionale. (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1). (Cost., artt. 3, 24, 38 e 136).(GU n.51 del 18-12-1996 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'IN.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza 17 presso gli avvocati Andrea Barbuto, Carlo De Angelis, Gabriella Pescosolido che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti, ricorrente, contro Asirelli Romano, Asirelli Iliana, Asirelli Anna quali eredi di Dall'Agata Maria, Casadei Novella in persona della procuratrice generale Raggi Mara, elettivamente domiciliati in Roma, via Cola di Rienzo 28, presso l'avvocato Salvatore Cabibbo che li rappresenta e difende, giusta delega in calce alla copia dei ricorsi, resistenti con procura nonche' contro Freddi Ester, Colombari Giuseppe, Colombari Lorenzo, Colombari Anna Maria eredi di Mancini Quinta, Malmesi Iole, Magnani Ofelia Tosca, Roman Clara; intimati, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Forli' n. 687 depositata il 15 ottobre 1993 r.g.n. 2009/1991; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 maggio 1996 dal consigliere relatore dott. Mattone; Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Ennio Attilio Sepe che ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo in subordine la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Svolgimento del processo Con sentenza del 15 ottobre 1993 il tribunale di Forli' confermava la pronunzia con la quale il pretore del luogo aveva dichiarato il diritto degli attuali intimati all'integrazione al minimo sulle pensioni ad essi rispettivamente erogate, in aggiunta alla prima, e condannava l'l.N.P.S. a versare a costoro, nei limiti della prescrizione decennale, le relative differenze, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Avverso tale sentenza l'I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione formulando un solo motivo. Si sono costituiti in giudizio, mediante deposito della procura, soltanto Romano, Iliana ed Anna Asirelli, nella qualita' di eredi di Maria Dall'Agata, nonche' Novella Casadei, in persona della procuratrice generale Mara Raggi. Motivi della decisione 1. - Con l'unico motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 6, commi 5, 6 e 7, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Assume il ricorrente che l'istituto della cristallizzazione dell'importo della pensione alla data di cessazione del diritto alla integrazione al minimo, di cui all'art. 6, settimo comma, della legge n. 638 del 1983, e' riferito espressamente alle ipotesi di cessazione del diritto all'integrazione al minimo per superamento dei limiti di reddito e che questa regola non puo' riferirsi, pertanto, all'ipotesi di seconda pensione gia' integrata al minimo, che deve essere invece corrisposta a calcolo, a decorrere dal 1 ottobre 1983. 2. - In relazione alla questione che forma oggetto della presente controversia si e' notoriamente consolidato nell'ambito di questa Corte un oeientamento secondo il quale, ai sensi del combinato disposto dell'art. 6 del d.-l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983 n. 683, e dell'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993 n. 537, quest'ultimo nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale 10 giugno 1994 n. 240, il titolare di due o piu' pensioni, tutte integrate o integrabili al trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983, al quale competa il diritto alla integrazione al minimo della pensione individuata ai sensi del terzo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 463 del 1993, ha diritto al mantenimento delle ulteriori pensioni nell'importo cristallizzato al 30 settembre 1983, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica, purche' non superi i limiti di reddito indicati nel primo comma dello stesso art. 6. Inoltre, a norma dell'art. 442 c.p.c., nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (applicabile fino all'entrata in vigore della nuova disciplina prevista dall'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991 n. 412), sulle somme di denaro per crediti relativi a prestazioni previdenziali sono dovuti gli interessi nella misura legale ed il maggior danno eventualmente derivante dalla svalutazione monetaria; ed e' innegabile che tra tali prestazioni debba essere ricompresa quella pretesa dagli attuali intimati in quanto l'integrazione al minimo e' da qualificarsi come "istituto previdenziale fondato sul principio di solidarieta'". (Corte cost. 10 giugno 1994 n. 240). 3. - Senonche', con il recente d.-l. 28 marzo 1996 n. 166 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 marzo 1996 n. 75) si e' stabilito all'art. 1, per quanto qui interessa: a) che il rimborso delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, e' effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato aventi libera circolazione (comma primo); b) che tale rimborso avverra' in sei annualita', sulla base degli elenchi riepilogativi che gli enti provvederanno annualmente ad inviare al Ministero del tesoro (ivi); c) che il diritto al rimborso delle somme arretrate di cui al primo comma spetta ai soli soggetti interessati, nonche' ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla data di entrata in vigore del decreto (comma secondo), con la conseguenza che devono ritenersi esclusi da quelle attribuzioni coloro che siano subentrati nel patrimonio degli originari creditori per successione mortis causa; d) che nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria (ivi); e) che la verifica annuale del requisito reddituale per il diritto all'integrazione del trattamento e' effettuata non solo in relazione ai redditi riferiti all'anno 1983, ma anche con riferimento ai redditi degli anni successivi (ivi); f) e che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge aventi ad oggetto le questioni di cui all'art. 1 sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti, mentre restano privi di effetto i provvedimenti giudiziali non ancora definitivi (comma terzo). Poiche' alcuni degli intimati sono ricompresi tra i destinatari del rimborso disciplinato dall'art. 1 (in quanto direttamente titolari della pensione "integrabile" o aventi titolo a quella di reversibilita') e poiche' questo troverebbe, appunto, il suo fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 240/1994, a norma di tale disposizione il presente giudizio dovrebbe in relazione ad essi dichiararsi estinto, con compensazione delle spese tra le parti e con i conseguenziali effetti, in favore degli assicurati, disciplinati dai primi due commi della norma in oggetto. Analogo esito dovrebbe, poi, sancirsi con riferimento a coloro che rivestono la qualita' di eredi (vale a dire, ai germani Asirelli, menzionati in narrativa, nonche' a Giuseppe, Lorenzo ed Annamaria Colombari, che agiscono in qualita' di eredi di Quinta Mancini) e che rimarrebbero, peraltro, del tutto esclusi dai rimborsi previsti dalla normativa in esame. Il risultato che con tale disposizione il legislatore ha inteso conseguire suscita peraltro, sotto diversi aspetti, serie perplessita' in ordine alla sua legittimita' sotto il profilo costituzionale. 4. - Viene in primo luogo in considerazione, a giudizio del Collegio, l'art. 136, primo comma, Cost. Secondo principi ormai acquisiti in materia a norma del combinato disposto dell'art. 136 cit. e dell'art. 30, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, la seconda della quali si ritiene fondata su una scelta di livello costituzionale, in virtu' dell'efficacia propria delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, idonee a dar vita ad un vero e proprio "effetto di giudicato", e' precluso al legislatore ripristinare la disciplina dichiarata illegittima, se non con riferimento a rapporti successivi alla pubblicazione della sentenza (salvo a stabilirsi, in quest'ultimo caso, se sussista la violazione delle medesime norme costituzionali che erano state lese dalla normativa dichiarata incostituzionale). In altri termini, se una legge intendesse ripristinare la legge dichiarata incostituzionale in relazione al periodo gia' trascorso, cosi' pretendendo di porre nel nulla gli effetti della sentenza di accoglimento, si realizzerebbe - come e' stato in dottrina autorevolmente osservato - una violazione del giudicato costituzionale e, indirettamente, dell'art. 136 cit., come integrato dall'art. 30 della legge n. 87 del 1953 (per riferimenti in tal senso, cfr. Corte cost. n. 49 del 1981; e n. 223 del 1983). Cio' premesso, va ricordato che, con la sentenza n. 240 del 1994, richiamata sub n. 2, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993 n. 537, nella parte in cui, nell'ipotesi da essa considerata, prevede la riconduzione dell'importo a calcolo dell'altra o delle altre pensioni non piu' integrabili, anziche' il mantenimento di esse nell'importo spettante alla data indicata, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione base derivanti dalla perequazione automatica: per effetto di quella pronunzia (additiva) di accoglimento, il legislatore avrebbe dovuto astenersi, quindi, da ogni intervento diretto a riportare in vita la normativa dichiarata incostituzionale. Viceversa, per quanto riguarda, anzitutto, gli "eredi" dei titolari di pensioni integrabili, il decreto-legge n. 166/1996, nel negare drasticamente, ad essi la possibilita' di percepire l'importo dei ratei in precedenza maturati, ha realizzato una sorta di reviviscenza della normativa suddetta ed ha di fatto enunciato un dictum preordinato a svuotare di efficacia la sentenza n. 240/1994 della Corte costituzionale: si' che non sembra manifestamente infondata, sotto questo primo profilo, la questione di legittimita' costituzionale di quel decreto in relazione all'art. 136 Cost. Ma un dubbio di costituzionalita', in relazione a questo medesimo precetto, pare profilarsi - in via generale - anche con riferimento alla posizione dei soggetti presi in considerazione dal decreto-legge n. 166/1996 quali destinatari degli indicati rimborsi. Mentre la piu' volte richiamata sentenza n. 240/1994 ha ritenuto conforme a Costituzione un assetto normativo - come tale intangibile per il passato - in virtu' del quale il diritto all'integrazione al minimo e' condizionato al mancato superamento dei noti limiti di reddito alla data del 30 settembre 1983, l'art. 1 del decreto-legge n. 166/1996, nello stabilire - come si e' in precedenza sottolineato - che la verifica annuale del requisito reddituale va effettuata in relazione al reddito di ciascuno degli anni in rapporto ai quali l'integrazione e' pretesa, ha contraddetto il tenore della rubrica ("Attuazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994") ed ha in realta' inciso anche sotto questo profilo sul contenuto di tale pronuncia. 5. 1. - Per individuare, alla stregua dell'art. 24 Cost., i limiti di costituzionalita' dell'intervento del legislatore nel processo quando di questo venga definito l'esito attraverso una norma che ne imponga l'estinzione, nella giurisprudenza della Corte costituzionale si e' fatto riferimento, in termini generali, al rapporto tra siffatto intervento ed il grado di realizzazione che alla pretesa azionata sia stato accordato per via legislativa. Si e' affermato cioe' che, allorche' la legge sopravvenuta abbia soddisfatto, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi dei quali imponeva l'estinzione, sia da escludersi l'illegittimita' costituzionale di tale ultima previsione, in quanto il diritto di azione non puo' dirsi vulnerato ove l'ambito delle situazioni giuridiche di cui sono titolari gli interessati risulti comunque arricchito a seguito della normativa che da luogo all'estinzione dei giudizi (Corte cost. 10 dicembre 1981 n. 185; e, soprattutto, 31 marzo 1995 n. 103). Si e' ritenuto, viceversa, che allorche' lo ius superveniens si opponga richieste degli interessati ed alla interpretazione giurisprudenziale a essi favorevole, stabilendo l'estinzione dei processi in corso, e si operi cosi' da parte del legislatore una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto, sia da ravvisarsi la violazione del diritto di agire, di cui all'art. 24 della Costituzione (Corte cost. 10 aprile 1987 n. 123; nonche' n. 103/1995 cit.). Nella specie, il decreto-legge n. 166 del 1996, nello stabilire l'estinzione ope legis dei giudizi in corso, ha - come detto - escluso anzitutto che sugli importi maturati sino al 31 dicembre 1995, spettanti ai soggetti interessati ed ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita', possano essere computati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, dei quali i soggetti aventi diritto all'integrazione al minimo verrebbero ad essere, quindi, privati nonostante la consolidata interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole. Poiche' lo ius superveniens e' preordinato, in definitiva, non gia' ad arricchire la situazione patrimoniale degli interessati, bensi' a depauperarla attraversio l'esclusione degli "accessori" del credito da essi vantato, e' legittimo il dubbio di costituzionalita' della disposizione in esame, in relazione all'art. 24 Cost. Questo dubbio assume, poi, consistenza ancora maggiore con riferimento ai soggetti estranei all'area dei beneficiari, quale individuata dal decreto-legge n. 166 del 1996 (da individuarsi in coloro che agiscono, nella fattispecie, in qualita' di eredi dei percettori di pensione integrabile), in quanto a costoro e' negata perfino l'erogazione dei ratei medio tempore maturati in loro favore, oltre che - ovviamente - degli "accessori" dei crediti da essi pretesi. 5. 2. - Il dubbio investe anche il terzo comma dell'art. 1, nella parte in cui stabilisce che all'estinzione dei giudizi consegue la "compensazione delle spese tra le parti". Attraverso tale disposizione si sottrae, infatti, al giudice della pretesa sostanziale dedotta in giudizio un punto accessorio della controversia che, ad ogni modo, anche per i riflessi di ordine economico sull'entita' dell'incremento in concreto realizzato dal soggetto vittorioso, non puo' esserne distolto senza che ne resti vulnerato, ancora una volta, l'art. 24 della Costituzione (per riferimenti in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord., 3 maggio 1994 n. 664). 6. 1. - La disciplina prevista dall'art. 1 del decreto-legge n. 166/1996 per il rimborso delle somme in favore dei soggetti interessati realizza sotto un duplice aspetto una deroga al diritto comune delle obbligazioni. Per un verso, tale disposizione consente invero, al soggetto tenuto al rimborso, di estinguere il proprio debito in sei annualita', precludendo al creditore la possibilita' di esigere tempestivamente l'adempimento dell'obbligazione nella sua interezza (art. 1181 c.c.). Per altro verso essa, prevedendo che il rimborso delle somme in questione sia effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato aventi libera circolazione, legittima l'estinzione delle relative obbligazioni mediante una datio in solutum, a prescindere dal consenso dal creditore (art. 197 c.c.). Ora, poiche' la predisposizione di questo particolare sistema di adempimento - inidoneo a realizzare un'immediata ed integrale ricostituzione del patrimonio del creditore e per di piu' dotato in qualche misura, di un carattere aleatorio (in relazione alle oscillazioni che si verifichino nel mercato dei titoli di Stato) - ha per destinatari, in assenza di qualsiasi comprensibile e razionale giustificazione, le sole categorie di pensionati alle quali il decreto-legge n. 166/1996 fa riferimento, non appare infondato il dubbio di costituzionalita' della relativa disposizione in relazione all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Non sembra al Collegio che possa validamente invocarsi in senso contrario il precedente rappresentato dalla sentenza 30 luglio 1980 n. 141 del giudice delle leggi, che dichiaro' infondata, anche in relazione all'art. 3 Cost., la questione di costituzionalita' della normativa che aveva stabilito che gli aumenti derivanti dalle variazioni del costo della vita venissero corrisposti, per le fasce ivi individuate, tramite buoni del tesoro poliennali. Nel caso allora preso in considerazione dalla Corte costituzionale i soggetti "colpiti" dalla normativa cui si e' fatto cenno appartenevano, infatti, a categorie diverse (lavoratori dipendenti, titolari di trattamenti pensionistici, ecc.), tra le quali quel "sacrificio" veniva quindi in qualche modo ripartito; laddove nella fattispecie i destinatari del sistema di adempimento delineato dal decreto-legge n. 166/1996 coincidono con l'area piu' svantaggiata dei pensionati (siccome titolari del diritto all'integrazione al minimo), i quali dovrebbero in via esclusiva subire le conseguenze negative derivanti dalle pur innegabili difficolta' di bilancio della pubblica amministrazione. Ne' pare che, di fronte a tale piu' accentuata disparita' di trattamento, la "tendenza del Parlamento a battere le vie di sempre e a non muovere alla ricerca di ''ricchezze novelle'' meno agevolmente identificabili", gia' sottolineata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 141/1980, possa - come allora - trovare adeguata giustificazione nell'ambito della discrezionalita' politica riservato al legislatore. 6. 2. - L'art. 3, primo comma, della Costituzione sembra, poi, subire un ulteriore vulnus dalla disposizione di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 166 del 1996 per la parte in cui esclude dal rimborso gli interessi legali e la rivalutazione monetaria in relazione agli importi maturati a tutto il 31 dicembre 1995. Una volta che gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sono dovuti - come si e' in precedenza sottolineato - in relazione a ciascuna prestazione di natura previdenziale, appare in effetti lesivo del principio di uguaglianza sancirne l'esclusione nei confronti di talune categorie di crediti (cfr. al riguardo Corte cost. 6 dicembre 1988 n. 1060; e 15 marzo 1994 n. 85). Tanto piu' e' da ritenere, del resto, ingiustificata tale disparita' di trattamento ove si consideri che i destinatari del decreto-legge n. 166 del 1996 appartengono - come del pari si e' accennato - a fasce sociali tra le piu' svantaggiate, avendo l'integrazione al minimo la funzione di integrare la pensione quando dal calcolo in base ai contributi accreditati al lavoratore, ovvero al de cuius, risulti un importo inferiore ad un minimo ritenuto necessario, in mancanza di altri redditi di una certa consistenza, ad assicurargli mezzi adeguati alle esigenze di vita (cosi' Corte cost. n. 240 del 1994, citata sub n. 2). Ne' potrebbero nel caso in esame trovare ingresso - a giudizio del Collegio - le argomentazioni che, in altra fattispecie, hanno indotto il giudice delle leggi ad escludere la violazione dell'art. 3 della Costituzione in relazione ai rimborsi dovuti dall'I.N.P.S. a titolo di sgravi contributivi per effetto della sentenza n. 261 del 1991 della Corte costituzionale, rimborsi che il d.-l. 22 marzo 1993, n. 71, convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, aveva consentito che avvenissero in dieci annualita', senza oneri - per l'Istituto - di rivalutazione monetaria ed interessi e senza la possibilita' di compensazione con i debiti dell'imprenditore nei confronti dell'I.N.P.S. (sentenza 13 luglio 1995, n. 320). In quel caso, infatti, la Corte costituzionale ha osservato che il legislatore, nelle sue discrezionali scelte di politica economica, aveva emanato norme di favore per determinate imprese sgravandole dall'onere di corrispondere contributi sociali per incentivare la produzione e sviluppare l'occupazione; che le imprese escluse dal beneficio avevano realizzato, quindi, i loro programmi di produzione ripartendo costi e ricavi secondo l'impostazione dei rispettivi bilanci; e che la successiva estensione degli stessi benefici a queste imprese, conseguente alla sentenza n. 261 del 1991, si differenziava da quella situazione originaria poiche' il rimborso a distanza di tempo dei contributi non conseguiva piu' le finalita' sociali che avevano giustificato lo sgravio (non essendo possibile "ora per allora" incentivare produzione e occupazione). Ed ha ritenuto, pertanto, che non vi fosse una disparita' di trattamento tra le imprese che avevano beneficiato pienamente degli sgravi e quelle destinatarie della legge da ultimo richiamata in quanto, in questa diversa prospettiva, ed anche in considerazione delle esigenze di reperimento delle necessarie risorse finanziarie, erano da considerare legittimi i limiti e le gradualita' introdotti in tali sopravvenute erogazioni. Da quanto precede emerge, quindi, che la particolare disciplina allora devoluta al giudizio della Corte costituzionale trovava la propria giustificazione, oltre che nella condizione finanziaria di crisi della pubblica amministrazione, nelle diverse finalita' assolte dall'istituto degli sgravi contributivi con riferimento ai suoi destinatari; laddove nel caso in esame non sembra ravvisabile, nell'ambito di quella parte della pensione rappresentata dall'integrazione al minimo, sottratta ai beneficiari, una distinzione della sua funzione - previdenziale - in rapporto alla diversa epoca della sua erogazione in loro favore. 6. 3. - L'esclusione degli eredi dei titolari di pensioni integrabili dall'area dei destinatari dei (pur limitati) benefici previsti dall'art. 1 del decreto-legge n. 166 del 1996 solleva, sempre in relazione all'art. 3 Cost., un dubbio di costituzionalita sotto un duplice profilo. In primo luogo, poiche' la successione mortis causa nei beni del de cuius, e' istituto di carattere generale - e riguarda naturalmente anche i crediti entrati a far parte del suo patrimonio anteriormente al decesso -, la vistosa deroga operata dalla norma in oggetto in danno degli eredi dei titolari di pensioni integrabili (non aventi titolo alla pensione di reversibilita'), realizzata indubbiamente una disparita' di trattamento che non appare sorretta da alcuna ragione plausibile. Inoltre, il collegamento instaurato, dal decreto-legge n. 166 del 1996, tra il diritto al rimborso delle somme maturate fino al 31 dicembre 1995 e la sussistenza in vita del soggetto interessato al momento della sua entrata in vigore introduce nella disciplina de qua un elemento di assoluta casualita', qual e' quello dell'epoca della morte dell'originario beneficiano, che da' luogo ad una ulteriore ed irrazionale disparita' di trattamento con riferimento al medesimo bene patrimoniale: il rimborso, invero, non spetterebbe a coloro che siano succeduti al de cuius ove il decesso sia avvenuto - come nella specie - in epoca anteriore al 30 marzo 1996 (cioe' alla data di entrata in vigore del decreto-legge di cui trattasi), e di esso usufruirebbero, invece, coloro per i quali la successione si apra eventualmente in un un momento posteriore. 7. - Il dubbio di costituzionalita' in ordine all'art. 1 del decreto-legge n. 166 del 1996, per la parte presa in considerazione sub n. 54, in relazione ai soli beneficiari dei rimborsi, quali individuati dalla normativa in esame, si profila, infine, anche in relazione all'art. 38 Cost., quanto meno per il periodo anteriore alla entrata in vigore dell'art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991. Nella sentenza 12 aprile 1991 n. 156 e' stato affermato dalla Corte costituzionale che, per il tramite e nella misura dell'art. 38, secondo comma, Cost., si rende applicabile anche alle prestazioni previdenziali l'art. 36, primo comma, Cost. (di cui l'art. 429 c.p.c. e' un modo di attuazione), quale parametro delle esigenze di vita del lavoratore; e che la mancata previsione di una regola analoga per i crediti previdenziali costituisce violazione non solo dell'art. 3 Cost., ma anche dell'art. 38. Ora, poiche' l'integrazione al minimo rappresenta una componente non ancora liquidata dell'ordinaria pensione (Cass. sez. un. 21 giugno 1990 n. 6245; e Corte cost. n. 240/1994 cit.), la previsione normativa circa la mancata corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui crediti a questo titolo maturati a tutto il dicembre 1995 sembra porsi in contrasto con quel precetto costituzionale. 8. - Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, stante la rilevanza - come risulta dalle argomentazioni svolte al punto 2 - delle questioni di legittimita' costituzionale delle disposizioni del decreto-legge n. 166 del 1996 sopra indicate, gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale e deve nel contempo disporsi che la cancelleria adempia alle notificazioni ed alle comunicazioni prescritte dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come precisate in dispositivo.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara di ufficio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166, in relazione agli artt. 3, 24, 38 e 136 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, al procuratore generale presso la Corte di cassazione ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso a Roma, il 2 maggio 1996 Il presidente: Pontrandolfi 96C1826