N. 396 ORDINANZA 9 - 16 dicembre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Militari  -  Reati  militari  -  Pena  della  reclusione militare non
 superiore nel massimo a sei mesi - Perseguibilita'  a  richiesta  del
 comandante del corpo - Identica questione gia' dichiarata non fondata
 e  manifestamente  infondata  (v.  sentenze  nn.  189/1976 e 42/1975,
 ordinanze nn. 82/1994 e 397/1987)  -  Peculiarita'  della  situazione
 propria del cittadino inserito nell'ordinamento militare - Prevalenza
 dell'esigenza  di  tutela  del prestigio e della dignita' delle Forze
 Armate - Idoneita' dell'istituto  previsto  per  rispondere  al  caso
 concreto  da  parte  dell'ordinamento  militare  (cfr.  sentenze  nn.
 436/1995, 449/1991 e ordinanza 467/1995) - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.M.P., art. 260, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 24, primo comma, e 52, ultimo comma).
(GU n.51 del 18-12-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof.
 Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.
 Guido NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 260, secondo
 comma, del codice penale militare di  pace,  promosso  con  ordinanza
 emessa  l'11  aprile  1996  dal  tribunale  militare  di  Padova, nel
 procedimento penale  a  carico  di  Valdrighi  Alessandro  ed  altro,
 iscritta  al  n.   734 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  34,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 13  novembre  1996  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  procedimento penale a carico di
 Valdrighi Alessandro e Cifrodelli Fabio,  imputati  in  concorso  tra
 loro  dei  reati  di percosse ed ingiurie continuate nei confronti di
 due commilitoni, il  tribunale  militare  di  Padova,  con  ordinanza
 emessa  l'11  aprile 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2,
 3, 24, primo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione, questione
 di legittimita' costituzionale  dell'art.  260,  secondo  comma,  del
 codice penale militare di pace;
     che,  a  giudizio del rimettente, tale norma - nella parte in cui
 prevede che i reati per i quali la legge  stabilisce  la  pena  della
 reclusione  militare non superiore nel massimo a sei mesi sono puniti
 a richiesta del comandante di corpo - violerebbe: a) l'art.  2  della
 Costituzione.,  determinando  una  "confisca"  della  tutela  in sede
 penale della persona militare a favore di un non  meglio  precisabile
 "interesse  pubblico  militare",  anche nelle ipotesi in cui il fatto
 sia grave e non possa percio' dirsi prevalente l'offesa all'interesse
 militare, non essendo "sufficiente ad esaurire i diritti del singolo"
 il riconoscimento a favore della persona offesa di un'azione  civile;
 b)  l'art.  3  della  Costituzione,  poiche'  l'"espropriazione"  del
 diritto di tutela del cittadino militare in sede penale  porrebbe  lo
 stesso  in  una  situazione  di ingiustificata disparita' rispetto al
 cittadino civile; c) l'art.  24, primo comma, Costituzione, in quanto
 - pregiudicata  la  possibilita'  di  costituirsi  parte  civile  nel
 processo  militare  -  il militare offeso dovrebbe subire la maggiore
 lungaggine dell'esercizio dell'azione civile; d)  l'art.  52,  ultimo
 comma,   della   Costituzione,   non  reputandosi  necessaria  -  per
 l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate - l'attribuzione
 al solo comandante di corpo della facolta' di decidere se  richiedere
 o  meno  la  perseguibilita'  dei  fatti  in  sede  penale, potendosi
 configurare una identica facolta' concorrente del militare;
     che  e'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per   l'inammissibilita'   o   quantomeno  per  l'infondatezza  della
 questione;
   Considerato che - ripetutamente  sottoposta  al  vaglio  di  questa
 Corte,  con riferimento anche ad altri diversi parametri la questione
 di  costituzionalita'  della  disciplina  di  cui  al  secondo  comma
 dell'art.   260 cod. pen. mil. pace e' stata dichiarata non fondata o
 manifestamente infondata;
     che va ribadito  come  non  possa  venire  in  considerazione  la
 prospettata  violazione  del  principio  di  uguaglianza,  stante  la
 peculiarita'  della  situazione  propria   del   cittadino   inserito
 nell'ordinamento  militare - alle cui specifiche regole egli non puo'
 non sottostare - rispetto a quella dei comuni cittadini (v. ordinanze
 n. 82 del 1994 e n. 397 del 1987);
     che, in linea di principio, tale diversita'  non  viene  meno  in
 presenza  di condotte prive di rilevante attitudine offensiva, pur se
 riferibili a diritti della persona, poiche' in  tali  ipotesi  -  che
 sono le sole per le quali la denunciata norma impone la richiesta del
 comandante  di  corpo - sicuramente prevale l'esigenza di tutelare il
 prestigio  e  la  dignita'   delle   forze   armate,   evitando   che
 l'incondizionato  esercizio dell'azione penale possa di fatto causare
 un pregiudizio proporzionalmente  maggiore  di  quello  prodotto  dal
 reato (cfr. sentenze n. 189 del 1976 e n. 42 del 1975);
     che  le  stesse  ragioni conducono a superare le censure riferite
 agli artt. 2 e 52, ultimo comma, della  Costituzione,  atteso  che  i
 diritti   della   persona  offesa  e  lo  spirito  democratico  della
 Repubblica non possono dirsi compromessi (in siffatti casi  di  lieve
 entita',  i  quali,  a  stregua  del  codice penale, sono normalmente
 punibili a querela) dalla previsione della richiesta del  comandante,
 la  quale  al contrario - riaffermato che non puo' non accreditarsi a
 chi esercita il comando doti di imparzialita' e distacco - si  palesa
 come  strumento  idoneo  ad  adeguare  al  caso  concreto la risposta
 dell'ordinamento militare (cfr. sentenze n. 436 del 1995 e n. 449 del
 1991, nonche' ordinanza n. 467 del 1995);
     che, esclusa l'elevazione a rango costituzionale della regola del
 simultaneus processus (sentenza n. 60 del 1996), e' decisivo  -  onde
 superare  anche  il  dubbio  riferito alla prospettata violazione del
 diritto di  difesa  -  ancora  una  volta  ribadire  che  l'esercizio
 dell'azione  civile per il risarcimento del danno nel processo penale
 non si  profila  come  l'unico  strumento  di  tutela  giudiziaria  a
 disposizione  del soggetto danneggiato dal reato, al quale infatti e'
 data, prima ancora, la facolta' di adire subito  il  giudice  civile,
 liberamente e senza preclusioni di sorta (v. sentenze n. 94 del 1996,
 n. 532 del 1995, n. 185 del 1994);
     che,  d'altronde,  la  separazione  del processo civile da quello
 penale si atteggia quale mera modalita' di esercizio delle  forme  di
 tutela,  con  la  conseguenza che non comporta violazione del dettato
 costituzionale  il  venir  meno  della  competenza  di   un'autorita'
 giudiziaria  in  seguito al verificarsi di una determinata condizione
 espressamente prevista in via generale dalla legge (sentenza  n.  443
 del 1990);
     che, pertanto, la questione e' manifestamente infondata;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  260,  secondo  comma,  del  codice  penale
 militare  di  pace,  sollevata,  in  riferimento agli artt. 2, 3, 24,
 primo comma, e 52, ultimo comma, della  Costituzione,  dal  tribunale
 militare di Padova, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 dicembre 1996.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1996.
                 Il direttore di cancelleria: Di Paola
 96C1856