N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 ottobre 1996
N. 1 Ordinanza emessa il 2 ottobre 1996 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti proposti dal procuratore generale militare della Repubblica presso la Corte militare d'appello di Roma nei confronti di Ruggerini Cesare e da Ruggerini Cesare. Processo penale - Giudizio abbreviato - Sentenze con le quali sono applicate sanzioni sostitutive - Appello - Preclusione per l'imputato e il pubblico ministero - Disparita' di trattamento rispetto al condannato a pena detentiva non sostituita, con incidenza sul diritto di difesa - Lesione del diritto (affermato nel prot. n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) per chi venga dichiarato colpevole a un doppio grado di giurisdizione di merito. (C.P.P. 1988, art. 443, n. 1, lett. b)). (Cost., artt. 2, 3, 10 e 24; convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ratificata con legge 9 aprile 1990, n. 98, art. 2).(GU n.5 del 29-1-1997 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi proposti dal procuratore generale militare della Repubblica presso la C.M.A., nei confronti di Ruggerini Cesare, nato il 26 settembre 1940; e Ruggerini Cesare, come sopra generalizzato; avverso la sentenza in data 22 luglio 1994 del giudice per le udienze preliminari del tribunale militare di Roma, a seguito di giudizio abbreviato; Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott. Mario Schiavotti; Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale militare dott. Bonagura, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso del p.g., il rigetto del ricorso dell'imputato; Uditi i difensori avv.ti Giarda e Ruggerini, che concludono per l'accoglimento del ricorso dell'imputato. Svolgimento del processo Con la suindicata sentenza, il Ruggerini era condannato alla pena di mesi quattro di reclusione militare, sostituita con la liberta' controllata per mesi otto, con i benefici della sospensione condizionale dell'esecuzione e della non menzione, in relazione al reato di tentata truffa pluriaggravata (art. 56 c.p., 46, 47 n. 2, 234, primo e secondo comma c.p.m.p.), perche' in data anteriore e prossima del 3 giugno 1991, esibiva al competente ufficio del Ministero della difesa, nella sua qualita' di ufficiale superiore dell'Esercito italiano, documentazione probatoria non veritiera, cosi' ponendo in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco ad indurre l'Amministrazione di appartenenza, al fine di procurarsi l'ingiusto profitto della indebita liquidazione di rimborso di spese asseritamente sostenute per il trasferimento da Brescia a Bonn di mobilio e di masserizie private, in realta' non effettuato o effettuato solo in parte. Avverso detta sentenza, il Ruggerini ha proposto "atto d'impugnazione", cosi' testualmente definito dal proponente, con il quale ha dedotto preliminarmente l'ammissibilita' dell'appello nei confronti delle sentenze pronunciate a seguito di giudizio abbreviato, con le quali sono applicate, come nel caso di specie sanzioni sostitutive, nonche' - correlativamente - l'incostituzionalita' della norma di cui all'art. 443 n. 1 lett. b (che non consente, appunto, l'appello contro le stesse sentenze), per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, soccorrendo a tale riguardo gli argomenti enunciati dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 363 del 23 luglio 1991, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dello stesso art. 443, n. 2, che sanciva eguale inappellabilita', per l'imputato, delle sentenze pronunciate a seguito di giudizio abbreviato, recanti condanna appena "che non deve essere eseguita". La parte ha poi rappresentato ulteriori doglianze di violazione della legge processuale e di illogicita' manifesta, relativamente alla valutazione delle prove, al diniego o al giudizio di valenza concernenti attenuanti generiche speciali, ovvero alla determinazione della pena; ed ha concluso, sull'assunto dell'ammissibilita' dell'appello (senza deduzione, comunque, di formale eccezione di illegittimita' costituzionale ut supra), per l'assoluzione con formula piena, ed in subordine per la concessione di attenuanti e riduzione di pena. Ha proposto ricorso altresi' il procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, censurando, con argomenti vari, l'applicabilita' ai reati militari ed alle relative pene dell'istituto delle sanzioni sostitutive. Con ordinanza in data 1 marzo 1995, la Corte di merito formalmente adita con l'impugnazione dell'imputato l'ha qualificata ricorso per cassazione, ai sensi del combinato disposto del precitato art. 443 n. 1 lett. b e l'art. 568, quinto comma c.p.p., ha rimesso gli atti per il giudizio alla Corte di cassazione. Ma con successiva ordinanza del 3 luglio 1995, il giudice di legittimita', preso atto della volonta' delle parti di proporre impugnazioni nella forma dell'appello (l'imputato per la prospettata illegittimita' costituzionale del divieto di tale rimedio nel caso di specie, come in quelli omologhi), e ritenuta pregiudiziale la soluzione di tale questione ai fini dell'eventuale investitura della Corte di legittimita', ha disposto la restituzione degli atti alla Corte militare di appello per le conseguenti determinazioni. Con ordinanza del 17 aprile 1996 della Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della predetta questione di legittimita' costituzionale e, qualificato come ricorsi e impugnazioni proposte dall'imputato e dal p.g.m. avverso la succitata sentenza, ha ordinato la trasmissione degli atti, per competenza alla Corte di cassazione. Tanto premesso, e preso atto della riproposizione, dell'odierna pubblica udienza, della stessa questione da parte dei difensori intervenuti, anche in termini piu' lati rispetto a quelli enunciati nei motivi scritti di impugnazione dell'imputato, occorre preliminarmente accertare la rilevanza e l'ammissibilita', in relazione, per quest'ultimo profilo, alla deliberazione fattane dalla Corte militare di appello, che questo stesso giudice di legittimita' aveva deputata, con la precitata ordinanza del 3 luglio 1995, alla soluzione del problema. Se nella rilevanza della questione non possono sorgere perplessita', per l'evidente decisione influenza che sulla qualificazione e sulle sorti dei gravami proposti, nonche' sulla ritualita' dei motivi enunciativi (soprattutto, di quelli del ricorrente imputato), avrebbe il giudizio della Corte costituzionale, sollecitato dalla difesa, di soluzione non altrettanto prima si appalesa, il profilo della sua ammissibilita' in questa sede, attesa la decisione precedente del giudice di appello, che potrebbe atteggiarsi come preclusiva di ogni altra indagine in materia. Ma, a ben guardare, non v'e' ragione di serio dubbio circa la riproponibilita' della questione alla Corte di cassazione, considerato che questo era il giudice ex lege istituito per la competenza sui gravami, secondo il disposto vigente degli art. 443 n. 1 lett. b e 568, quinto comma c.p.p. e che tale e' stato riconosciuto, infine, nella stessa ordinanza delvolutiva della Corte militare d'appello del 17 aprile 1996. Percio' in tale qualita' e' legittimato a conoscere di ogni doglianza, eccezione o questione proposta nelle impugnazioni, con effetto ex tunc, e cioe' dal momento delle relative presentazioni del resto, non si vede come un giudice funzionalmente sovraordinato possa ritenersi vincolato a decisione assunta senza definiti caratteri di non rivedibilita', da giudice inferiore; tanto piu' che l'art. 24 della legge 11 marzo 1953 n. 87, nella costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale (integrata e modificata dalla legge 18 marzo 1958 n. 265) prevede nel secondo comma che l'eccezione di illegittimita' costituzionale, respinta per manifesta irrilevanza o infondatezza, puo' essere riproposta all'inizio di ogni grado ulteriore del processo, enunciando il principio di riproponibilita' ad giudice successivo, che puo' applicarsi, per l'eadem ratio anche alla fattispecie presente. Tanto premesso, l'eccezione di parte deve ritenersi non manifestamente infondata e ne e' doverosa, pertanto, la sottoposizione alla valutazione del giudice costituzionale, in ordine al denunciato contrasto tra la norma ordinaria impugnata e gli artt. 3, 24 della Costituzione, cui vanno aggiunti gli artt. 2 e 10 della stessa Corte, secondo ulteriori argomenti avanzati dai difensori nell'odierna udienza. Punto di partenza al riguardo non puo' non essere la dichiarazione di manifesta infondatezza, pronunciata dalla Corte militare di appello, sostanzialmente modellata sulle motivazioni enunciate dalla Corte di cassazione, sez. 5 pen., con sentenza 12 dicembre 1991 ric. Spampinato, nella quale eguale eccezione era ritenuta manifestamente infondata alla stregua di duplice considerazione: a) essere, cioe', la disposizione di' cui all'art. 443 n. 1 lett. b, c.p.p. espressione della discrezionalita' del legislatore, giustificata dai caratteri della pena inflitta, che e', appunto, la sanzione sostitutiva; b) non potersi richiamare al riguardo i concetti esposti nella sentenza n. 363/1991 della Corte costituzionale per la quale la diversita' di posizione tra imputati condannati a pena concretamente eseguibile, e che possono proporre appello, e imputati per i quali comunque la pena irrogata non deve essere eseguita, non ammessi all'appello, non e' fondamento ragionevole della limitazione apportata, per la seconda categoria, al diritto di difesa, assumendo a proprio presupposto elemento estrinseco alla natura del reato commesso ed ai caratteri della pena irrogata, o al tipo di sanzione ed alla sua misura edittale, e cioe' agli aspetti destinati a caratterizzare la responsabilita' dell'imputato posto che dalla stessa motivazione emerge che la differenza di pena inflitta costituisce, appunto, criterio ragionevole di diversita' di trattamento in materia di impugnazioni, giacche' anche la piu' grave delle sanzioni sostitutive (la semidetenzione) e' connotata da elementi che la diversificano nettamente, ed in senso ovviamente piu' favorevole, della pena detentiva. Tuttavia, queste argomentazioni non sembrano totalmente appaganti, innanzitutto perche' anche nel caso di applicazione delle sanzioni sostitutive a pene detentive brevi si ha intervento di elemento estrinseco alla natura del reato, rappresentato dall'esercizio di potere discrezionale riservato al giudice secondo il disposto dell'art. 58 legge 24 novembre 1981 n. 689, e sia pure nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., che sono poi quelli medesimi da osservarsi in tema di sospensione condizionale della pena, donde l'assimilazione tra situazioni per taluni versi accostabili, l'una delle quali negativamente scrutinata dal giudice costituzionale con la precitata sentenza, e perche', conseguentemente, anche il tipo di sanzione risultante dall'applicazione delle sanzioni sostitutive acquista ingresso e rilievo nel processo non per predeterminazione normativa generale ed inderogabile, bensi' individualmente a seguito di cognizione giudiziale, che porti alla valutazione discrezionale cui si e' fatto cenno e' situazione ben diversa da quelle contemplate, sempre in tema di limitazioni dell'appello, nell'articolo 593 dello stesso codice di rito. In ogni caso, l'opinione avverso a quella qui formulata non ha tenuto conto di dato che, nella soggetta materia, sembra di cospicua rilevanza: la possibilita' di conversione della sanzione sostitutiva in quella detentiva sostituita, al verificarsi delle condizioni previste negli artt. 66 e 72 della precitata legge n. 689/1981, che ne comportano anzi la obbligatorieta', sia pure limitatamente alla restante parte di pena, con sostanziale ripristino della sanzione detentiva originariamente irrogata, nel titolo qualitativo, se non nella quantita'. In tal caso, il condannato, cui l'appello era stato negato in forza della sostituzione operata con la sentenza di condanna, non sarebbe, naturalmente, reintegrato nel diritto di esperire tale mezzo e ne deriverebbe forzatamente irrazionale disparita' di trattamento nei confronti di chi, condannato ad eguale pena detentiva non sostituita, ha avuto modo di proporre l'appello, senza limitazione alcuna. Ad eguale posizione giuridica, insomma, non corrisponderebbe conforme parita' quanto alle impugnazioni, ne' la lesione della par condicio sembrerebbe giustificata dal verificarsi soltanto postumo, nell'un caso, delle condizioni per la conversione; sicche' ne risulta, in definitiva, profilo che, comparato al principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, rende non manifestamente infondata la questione, anche sotto l'angolo visuale teste' proposto. Ma va aggiunto profilo nuovo (argomentato dai difensori, come si diceva, all'odierna udienza) che ha delineato contrasto tra la norma ordinaria de qua ed i principi stabiliti negli artt. 2 e 10 della Carta, si tratta, precisamente, del riferimento al protocollo addizionale n. 7 alla "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali" (ratificata dal Presidente della Repubblica italiana per autorizzazione conferita dalla legge 4 agosto 1955 n. 848, ed entrata in vigore per l'Italia il 26 ottobre 1985), ratificata e resa esecutiva con legge 9 aprile 1990 n. 98. L'art. 2, primo comma, di detto protocollo stabilisce che ogni persona dichiarata colpevole di un reato da un tribunale ha il diritto di far esaminare la sua giurisdizione superiore la dichiarazione di colpevolezza o la condanna e che l'esercizio di tale diritto, ivi incluse i motivi per cui esso puo' essere invocato, e' disciplinato dalla legge. Il secondo comma dell'articolo stabilisce, poi, che tale diritto puo' essere soggetto di eccezione per reati minori quali sono definiti dalla legge o quando l'interessato e' stato giudicato in primo grado dalla piu' alta giurisdizione o e' stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso al suo proscioglimento. La possibile incidenza di questa normativa nella delibazione della questione di costituzionalita', di cui si tratta, e' sfuggita all'attenzione tanto della Corte di cassazione, nella summenzionata sentenza del 12 dicembre 1991, quanto della Corte militare di appello, nell'ordinanza richiamata del 17 aprile 1996. Si e' in presenza di pretermissioni di non poco conto, poiche' per un verso non e' dubbio trattasi di diritto internazionale formalmente riconosciuto dallo Stato italiano per ratifica dei relativi patti, concernenti diritti inviolabili dell'uomo (artt. 9 e 10 della Costituzione); per verso aggiuntivo l'esegesi dell'articolo in argomento, e del suo primo comma in particolare (il secondo non ha riferimento alla fattispecie), sembra delineare la necessita' di un doppio grado di giurisdizione, l'uno sovraordinato all'altro, riguardante il medesimo oggetto (la dichiarazione di colpevolezza o la condanna), ed il secondo, o superiore, in fruizione di riesame e di controllo del giudizio precedente. L'oggetto stesso sembra coinvolgere, con specifico riferimento al sistema processuale italiano, il concetto di un doppio grado di merito, riguardante il vaglio delle prove di' colpevolezza e l'applicazione dei parametri determinativi della sanzione, postoche' il diverso giudizio di cassazione, delimitato al solo controllo della correttezza logico-giuridica di giudizio inferiore, non riguarda direttamente la dichiarazione di colpevolezza o la condanna (si noti la congiunzione disgiuntiva che accresce, il tasso di relazionabilita' dell'espressione alle questioni di merito), bensi' la conformita' della sentenza ai principi deducibili dai casi di ricorso indicati nell'art. 606 del vigente c.p.p. Sembrerebbe da escludere, pertanto, che la "giurisdizione superiore", designata dallo stesso art. 2 del protocollo addizionale al riesame immancabile (ovviamente, se richiesto dall'avente diritto) della colpevolezza dichiarata o della condanna, possa identificarsi nel giudizio di cassazione, alla cui attivazione e' predisposto il ricorso garantito avverso le sentenze, quando non altrimenti impugnabili, dell'art. 668 comma 2, c.p.p. Per l'insieme delle ragioni esposte, la dedotta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443, n. 1, lett. b, c.p.p., deve essere dichiarata non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli menzionati della Costituzione e deve essere conseguentemente disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Il giudizio in corso deve essere sospeso. Ai sensi dell'art. 23, quinto comma legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere ordinata la notificazione della presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, a cura della cancelleria, e la comunicazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
P. Q. M. La Corte dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443, n. 1, lett. b, del c.p.p., con riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 24 della Costituzione; Dispone la trasmissione degli atti del processo alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso e ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deliberato il 2 ottobre 1996. Il presidente: Valiante Il consigliere estensore: Schiavotti 97C0047