N. 2 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 1996

                                 N. 2
  Ordinanza  emessa  il  3  dicembre  1996 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Napoli nel procedimento  penale  a
 carico di Carano Giuseppe
 Reato in genere - Reato di false informazioni al pubblico ministero -
    Previsione  di  sospensione del procedimento fino alla definizione
    del  giudizio  nel  corso  del  quale  sono   state   assunte   le
    informazioni  -  Disparita' di trattamento rispetto alla immediata
    procedibilita' prevista per reati  analoghi  (art.  378  del  cod.
    pen.)  -  Lesione  dei  principi  di inviolabilita' della liberta'
    personale e di obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P., art. 371-bis).
 (Cost., artt. 2, 3, 13 e 112).
(GU n.5 del 29-1-1997 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale per eccezione di incostituzionalita'  (art.
 371-bis, secondo comma, c.p.p.).
   In  data 29 ottobre 1996 il p.m. presso la procura della Repubblica
 presso  il  tribunale  di   Napoli   richiedeva   a   questo   g.i.p.
 l'applicazione  della  misura  cautelare  in carcere nei confronti di
 Carano Giuseppe nato a Casal di Principe (Caserta) l'8 maggio 1949  e
 ivi  res.te,  via  Trapani  n. 9, per delitto di cui all'art. 371-bis
 c.p.  perche',  richiesto   dal   pubblico   ministero   di   fornire
 informazioni  ai  fini  delle indagini, rendeva dichiarazioni false e
 taceva in parte cio' che sapeva intorno ai  fatti  sui  quali  veniva
 sentito;  in particolare dichiarava di essersi sentito con il Santoro
 per telefono fino ad una settimana prima della sua morte,  mentre  si
 accertava  che  lo  stesso  chiamava il Santoro la sera prima del suo
 omicidio; di non ricordarsi per quale  motivo  avesse  telefonato  al
 Santoro  il  giorno  prima  dell'omicidio,  nonostante  ricordasse il
 contenuto di altra telefonata effettuata la  settimana  prima  sempre
 con  il Santoro; nell'omettere di riferire quanto a sua conoscenza in
 relazione agli autori ed al movente dei delitti - contro ignoti -  di
 cui ai capi che seguono:
     a)  del  delitto  di  cui  agli  art.  110 e 575 c.p. perche', in
 concorso  tra  loro,  cagionavano  la  morte  di  Santoro  Francesco,
 esplodendo contro la sua persona diversi colpi d'arma da fuoco;
     b)  del  delitto di cui agli artt. 61 n. 2, 110 c.p., 10, 12 e 14
 legge n. 497 perche' in concorso come sopra, a tal fine  di  eseguire
 il  delitto  sub  a),  portavano  illegalmente  in luogo pubblico una
 pistola del tipo e calibro imprecisati; in Melito il 10 luglio  1995.
 Con   un   contegno  reticente,  concludendo  la  sua  assunzione  di
 informazioni del 10 maggio 1996 con un pianto prolungato, dopo  avere
 dichiarato  di  non darsi alcuna spiegazione sulla morte del Santoro;
 nel rifiutare di indicare i reali rapporti  tra  il  Santoro  e  tale
 "Settebotte"  (Ruggiero  Antonio)  ed  affermando  solo  di  essergli
 capitato di sentire dal Santoro o da chi il nome di "Settebotte".  In
 Napoli il 10 maggio 1996.
   Questo   g.i.p.  rigettava  la  richiesta  non  essendo  la  stessa
 consentita dalla attuale  normativa  e  contestualmente  deduceva  la
 illegittimita'  costituzionale dell'art. 371-bis, comma secondo, c.p.
 nella sua attuale formulazione, cosi' come modificata dalla legge  n.
 332  dell'8  agosto  1995,  laddove si stabilisce "ferma la immediata
 procedibilita' nel caso di rifiuto di informazioni,  il  procedimento
 penale,   negli   altri   casi,  resta  sospeso  fino  a  quando  nel
 procedimento nel corso del quale sono state assunte  le  informazioni
 sia  stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento
 sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza  di
 non luogo a procedere".
   Tale  disposizione  normativa rivela una manifesta irragionevolezza
 in quanto determina una diversita' di trattamento tra la  fattispecie
 criminosa  di  cui  all'art.  378  c.p. (favoreggiamento personale) e
 quella di cui all'art. 371-bis c.p. (false informazioni  al  pubblico
 ministero).
   Invero,  non  si vede perche', ove il reato di cui all'art. 378 sia
 commesso al cospetto della p.g. che dipende funzionalmente dal  p.m.,
 sia  possibile  la  immediata  procedibilita',  e finanche l'arresto,
 mentre per il delitto di cui all'art. 371-bis c.p. non e'  consentita
 la immediata procedibilita'.
   La  manifesta  irragionevolezza della normativa si evince anche dal
 rilievo che nella applicazione concreta della norma vi e' il pericolo
 di concreti contrasti tra giudicati penali, qualora l'imputato per il
 delitto di cui all'art. 371-bis c.p. sia  assolto  dal  pretore,  pur
 avendo  reso  dichiarazioni  nel procedimento principale (ad es.  per
 omicidio) che scagionavano l'imputato, che invece  riporti  condanna;
 viceversa  si  puo' anche ipotizzare il caso in cui l'imputato per il
 delitto di cui all'art. 371-bis c.p. sia  condannato  dal  pretore  e
 tuttavia  le  sue  dichiarazioni  trovino  riscontro  favorevole  nel
 procedimento principale.
   Tale soluzione normativa e'  densa  di  profili  negativi,  essendo
 innegabile  che  in  tal modo si pone maggiore fiducia nelle indagini
 espletate dalla p.g., anziche' in quelle condotte  personalmente  dal
 p.m., da cui la p.g. dipende funzionalmente.
   Talora,  rebus  sic  stantibus,  potrebbe  essere opportuno o forse
 anche necessario per il p.m. fare  in  modo  che  le  indagini  siano
 svolte  esclusivamente dalla p.g., cosi' da potere liberamente agire,
 anche con provvedimenti restrittivi, ove ne ricorrano le  condizioni,
 nei  confronti  di  coloro  che con un contegno omissivo, reticente e
 depistante non consentono  od  aggravano  la  ricerca  della  verita'
 processuale.
   Tutto cio' andrebbe ovviamente a detrimento delle stesse indagini e
 del  loro esito processuale: sulle stesse  verrebbe infatti a mancare
 un effettivo controllo e coordinamento da parte del p.m.,  organo  di
 giustizia,    facente  parte  dell'ordine giudiziario, in possesso di
 quella cultura giurisdizionale, che per diversrita' di ruoli  difetta
 nella p.g.
   Invero,  imporre  la  sospensione  del  procedimento incidentale in
 presenza di persona informata sui fatti, la quale  sia  reticente,  a
 meno  che  non  sia  assolutamente reticente, non solo crea un regime
 differenziato irragionevole rispetto a  figure  criminose  aventi  la
 medesima ratio e lo stesso bene giuridico da tutelare, ma costituisce
 anche  una  lesione,  non  da  poco  conto,  alla essenziale funzione
 statuale, che e' quella di tutelare la collettivita' e  di  reprimere
 per cio' i reati, la cui commissione minaccia lo svolgimento regolare
 della vita dei consociati.
   Sicche'  tale  norma  (371-bis), laddove prevede la sospensione del
 procedimento, si pone in contrasto, tra l'altro, con  i  principi  di
 cui  agli artt. 2 e 13 della Costituzione, principi che sanciscono il
 compito della Repubblica di garantire i diritti inviolabili dell'uomo
 e  la  inviolabilita'  della  liberta'  personale;  e'  evidente  che
 siffatta azione di garanzia, da intendersi in una eccezione dinamica,
 si  puo'  realizzare  non solo riconoscendo i diritti inviolabili, ma
 anche  ponendo  in  essere  tutte  le  azioni,  ivi  compresa  quella
 repressiva, con cui si tutela sia pure a posteriori il diritto leso.
   Impedendo  l'azione  repressiva  ovvero  limitandola  fortemente in
 procedimenti accessori a quelli nei quali il diritto inviolabile alla
 vita viene inciso in maniera irreversibile (come nel caso di  specie,
 trattandosi  di  omicidio volontario) si determina in taluni casi una
 sostanziale impunita' di coloro che ne sono autori,  con  conseguente
 venir meno della funzione statuale di garanzia, sia pure a posteriori
 e sotto il profilo repressivo.
   Ne'  si potrebbe affermare che comunque resta applicabile l'ipotesi
 criminosa  di  cui  all'art.  378  c.p.  poiche'  la   giurisprudenza
 (tribunale di Ivrea sentenza n. 52 del 18 novembre 1994) ha affermato
 che  esiste  rapporto di specialita' (da valutarsi in concreto) tra i
 delitti di cui all'art. 371-bis e 378 c.p.: l'oggetto  giuridico  dei
 due reati e' infatti lo stesso (tutela della prontezza e fruttuosita'
 delle  indagini  preliminari); che inoltre la funzione di esimente di
 cui all'art. 376 c.p. e' vanificata dalla  duplicazione  dell'accusa;
 che  nemmeno puo' sostenersi che il favoreggiamento e' delitto a dolo
 generico e che si da' concorso formale tra  i  delitti  in  questione
 qualora  l'indagato  renda  false dichiarazioni al p.m. allo scopo di
 coprire la responsabilita' di taluno.
   Del resto sospendere il procedimento incidentale, relativo al teste
 reticente (rectius persona informata   sui  fatti),  puo'  comportare
 talvolta  un  esito  infausto  del procedimento principale, avente ad
 oggetto anche reati di  notevole  allarme  sociale  (stragi,  omicidi
 ecc..),  soprattutto  in  contesti  sociali,  nei quali predomina una
 cultura omertosa.
   D'altra parte anche per la fattispecie criminosa  di  cui  all'art.
 372  c.p. non e' prevista una disciplina cosi' farraginosa: anche qui
 non e' dato vedere come mai reati  aventi  la  medesima  oggettivita'
 giuridica siano disciplinati diversamente.
   Si  osserva  che  la  disposizione  che  si intende censurare e' in
 contrasto con l'art.  112  della  Costituzione,  poiche'  costituisce
 notevole  restrizione  del precetto della obbligatorieta' dell'azione
 penale.
   Far dipendere il promuovimento dell'azione penale per il delitto di
 cui all'art. 371-bis c.p. all'esito del procedimento  nel  corso  del
 quale sono state assunte le informazioni ritenute mendaci costituisce
 una   indebita   limitazione   del  principio  della  obbligatorieta'
 dell'azione penale, che  non  trova  una  giustificazone  plausibile;
 obbligatorieta' da intendersi anche nel senso che l'azione penale sia
 esperita  senza  impedimenti di sorta e soprattutto senza impedimenti
 che non trovano fondamento nella tutela di beni giuridici altrettanto
 elevati, in ossequio al principio di eguaglianza di  cui  all'art.  3
 della Costituzione.
   Del  resto  il  legislatorre costituzionale ha voluto derogare alla
 regola generale posta dall'art.  112  della  Costituzione  con  norma
 costituzionale,   stabilendo   nell'art.  68  della  Costituzione  il
 principio della insindacabilita' delle opinioni e dei voti dei membri
 del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni.
   Anzi nell'applicazione della norma  che  si  intende  censurare  si
 lede,  altresi', il principio della economia processuale in quanto si
 verifica  una  duplicazione  dei  processi,  ben  potendo  invece  le
 dichiarazioni  reticenti,  fornite dalla persona informata sui fatti,
 essere  valutate  nell'ambito   del   procedimento   principale   cui
 ineriscono.
   Infine  il  disposto  normativo  di cui si contesta la legittimita'
 costituzionale  cozza  contro  il  principio   internazionale   della
 speditezza  dei  processi,  della  necessita' che essi siano trattati
 entro un  termine  ragionevole  (art.  6  della  Convenzione  per  la
 salvaguardia  dei  diritti dell'uomo, ratificata con legge n. 848 del
 1955), principio che oramai ha  assunto  una  valenza  costituzionale
 anche  nell'ambito del nostro ordinamento: sospendere un procedimento
 avente  ad  oggetto  falsita' testimoniali per un tempo indeterminato
 importa un allungamento irragionevole dei tempi processuali:  sicche'
 tale  norma  si  profila  anche  in  contrasto  con  l'art.  10 della
 Costituzione secondo cui l'ordinamento giuridico italiano si conforma
 alle norme del diritto internazionale generalmente
  riconosciute.
   La questione giuridica prospettata e' rilevante poiche' l'esito del
 procedimento penale de quo dipende dalla possibilita' di  interrogare
 l'indagato   del   delitto  di  cui  all'art.  371-bis  c.p.  (Carano
 Giuseppe), il quale e'  a  conoscenza  di  numerose  circostanze  sul
 movente,  sugli autori e sul contesto criminoso nel quale e' maturato
 l'omicidio, come evidenziato nella prima parte di questa richiesta.
   Tale questione non si rivela manifestamente infondata giacche' piu'
 dubbi,  come  prospettati  innanzi,  sussistono  sulla   legittimita'
 costituzionale  della suindicata legge, con cosenguente necessita' di
 sottoporla al vaglio della Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo  1953  n.  87,  questo  g.i.p.
 dichiara  rilevante  e  non  manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 371-bis  c.p.  con  riferimento
 agli  artt.  2,  3,  13  e  112 della Costituzione nella parte in cui
 sospende la procedibilita' "fino a quando nel procedimento nel  corso
 del  quale  sono  state assunte le informazioni sia stata pronunciata
 sentenza  di  primo  grado   ovvero   il   procedimento   sia   stato
 anteriormente  definito con archiviazione o con sentenza di non luogo
 a procedere", con conseguente  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
   Sospende il giudizio in corso;
   Dispone  che  l'ordinanza  di  trasmissione  degli  atti alla Corte
 costituzionale sia notificata alle parti in causa, al  p.m.,  nonche'
 al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri.  La predetta ordinanza
 verra'  comunicata  anche  ai  Presidenti  delle   due   Camere   del
 Parlamento.
     Napoli, addi' 3 dicembre 1996
            Il giudice per le indagini preliminari: Gazulli
 97C0048