N. 4 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 marzo 1996- 9 gennaio 1997

                                 N. 4
  Ordinanza  emessa  il  27   marzo   1996   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  9  gennaio  1997)  dalla  Corte di cassazione nel
 procedimento civile vertente tra  Privitera  Angelo  e  la  provincia
 regionale di Catania ed altri
 Processo  civile  - Morte di una delle parti costituite in giudizio -
    Mancata dichiarazione in udienza o  notificazione  alle  parti  di
    tale  evento,  a  cura  del  procuratore del deceduto, prima della
    chiusura della discussione - Validita' della notifica dell'atto di
    impugnazione effettuata presso il domicilio del procuratore stesso
    - Lesione del diritto di difesa degli eredi e della controparte  -
    Richiamo alle sentenze della Corte nn. 139/1967 e 159/1971.
 (C.P.C., artt. 300 e 330).
(GU n.5 del 29-1-1997 )
                      LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto da
 Privitera Angelo, domiciliato presso la cancelleria  della  Corte  di
 cassazione, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Spampinato, per
 procura in calce al ricorso, ricorrente contro la provincia regionale
 di   Catania,  domiciliata  presso  la  cancelleria  della  Corte  di
 cassazione, rappresntata e difesa dall'avv. Carmelo Finocchiaro,  per
 procura in calce al controricorso, controricorrente e Fresta Rosario,
 Pappalardo  Maria  e Coniglio Giuseppe, intimati; avverso la sentenza
 della Corte d'appello di Catania del 18 settembre 1992 (n. 544/1992);
   Sentita la relazione della causa svolta dal relatore cons. Giuseppe
 Salme' all'udienza pubblica del 14 febbraio 1996;
   Sentito l'avv. Carmelo Finocchiaro per la provincia di Catania;
   Sentito il p.m., in persona dell'avv. gen. dott. Francesco  Morozzo
 della Rocca che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
                       Svolgimento del processo
   Con  atto  di  citazione del 4 novembre 1983 Rosario Fresta e Maria
 Pappalardo hanno convenuto in giudizio l'amministrazione  provinciale
 di  Catania e Giuseppe Coniglio, chiedendone la condanna in solido al
 ripristino di un immobile di loro  proprieta',  che  aveva  riportato
 gravi  lesioni  e  infiltrazioni di umidita' a causa dei lavori della
 costruzione del cunicolo di raccolta delle acque bianche lungo la via
 provinciale del  comune  di  S.  Venerina  eseguiti  due  anni  prima
 dall'impresa  del  Coniglio.  In  via  subordinata  gli  attori hanno
 chiesto la condanna dei convenuti al pagamento delle spese necessarie
 per  il ripristino dell'immobile, oltre al risarcimento dei danni per
 il  deprezzamento  e  l'insalubrita'  dei  locali.  L'amministrazione
 provinciale   ha  eccepito  la  propria  carenza  di  legittimazione,
 proponendo comunque azione di rivalsa nei confronti del Coniglio,  il
 quale,  a  sua  volta,  ha  sollevato analoga eccezione di difetto di
 legittimazione passiva, sostenendo che i lavori erano stati  eseguiti
 da   altra   impresa  appaltatrice.    I  coniugi  Fresta-Pappalardo,
 identificato in Angelo Privitera il titolare dell'impresa  che  aveva
 effettuato i lavori, lo hanno convenuto in giudizio con autonomo atto
 di  citazione,  riproponendo  nei  suoi  confronti  le  domande  gia'
 formulate nei confronti della provincia e del Coniglio.
   Riunite le cause, con sentenza 25 ottobre  1989,  il  tribunale  di
 Catania,   esclusa  la  legittimazione  passiva  dell'amministrazione
 provinciale  e  del  Coniglio,  ha   condannato   il   Privitera   al
 risarcimento dei danni nei confronti degli attori, nella misura di L.
 6.167.336.
   La  Corte  d'appello  di  Catania, adita con appello principale del
 Privitera e appello incidentale dei  coniugi  Fresta-Pappalardo,  che
 hanno  censurato l'esclusione della responsabilita' della provincia e
 la loro condanna al pagamento delle spese processuali  nei  confronti
 del  Consiglio,  ha  confermato la decisione di primo grado. La corte
 territoriale  premesso,  sulla  base  della  consulenza  tecnica  che
 l'edificio   degli   attori  e  la  strada  provinciale  sulla  quale
 l'edificio stesso si affacciava,  poggiavano  entrambi  su  un  unico
 banco  lavico, sicche' i danni erano stati provocati dalle vibrazioni
 causate da una escavatrice meccanica, impiegata per lo scavo, che  si
 erano  propagate  fino  a  raggiungere  le  fondazioni della casa, ha
 soggiunto che era irrilevante  la  prova  che  nella  zona  si  erano
 verificati  eventi sismici negli anni 1984 e 1985 perche' i danni dei
 quali gli attori avevano chiesto il ristoro  si  erano  prodotti  nel
 1983.  La  corte ha inoltre affermato che la scelta dei mezzi tecnici
 piu' convenienti per l'esecuzione dei lavori, anche  nell'appalto  di
 lavori    pubblici,    rientra    nella    autonomia    organizzativa
 dell'appaltatore, salvo che l'ente  appaltante  non  abbia  impartito
 specifiche  prescrizioni  (il  che  nella  specie  non  era avvenuto)
 confermando  conseguentemente   l'esclusione   della   legittimazione
 passiva  della  provincia. E poiche' gli attori avevano dato causa al
 processo nei confronti del Coniglio, la cui estraneita' poteva essere
 accertata usando l'ordinaria diligenza,  ha  tenuta  ferma  anche  la
 condanna  dei  coniugi  Fresta-Pappalardo  al  pagamento  delle spese
 processuali in suo favore.
   Avverso la sentenza della Corte d'appello di  Catania  ricorre  per
 Cassazione,  sulla  base  di tre mezzi, Angelo Privitera. Resiste con
 controricorso  la  provincia  di  Catania.  Rosario  Fresta  e  Maria
 Pappalardo non hanno svolto attivita' difensiva.
                         Motivi della decisione
   1.  -  Con  il primo mezzo, deducendo la violazione degli artt. 81,
 125, 300 e 348, in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c., il  ricorrente
 sostiene  che  la  sentenza  impugnata  sarebbe  nulla,  perche'  nel
 giudizio di appello  si  era  costituito  e  aveva  proposto  appello
 incidentale  nell'interesse  dei  coniugi  Fresta-Pappalardo,  l'avv.
 Francesco  Barbagallo,  in  virtu'  della  procura   rilasciata   con
 l'originario  atto  di  citazione,  mentre il 14 novembre 1987, prima
 della  spedizione  della  causa  a  sentenza  davanti al tribunale di
 Catania,  Rosario  Fresta  era  deceduto.    L'ulttrattivita'   della
 procura,  nel caso di morte della parte non dichiarata dal difensore,
 dovrebbe essere limitata al giudizio di primo grado,  mentre  per  il
 diverso giudizio di appello avrebbe dovuto valere il principio che il
 mandato si estingue con la morte del mandante.
   Con   il   secondo   mezzo   il   ricorrente,  deducendo  omessa  e
 insufficiente motivazione, assume che erroneamente era stata ritenuta
 l'irrilevanza della prova degli eventi sismici, pertanto  il  c.t.u.,
 essendo  stata consulenza tecnica d'ufficio espletata successivamente
 a tali  eventi,  avrebbe  dovuto  accertare  se  il  terremoto  aveva
 concorso  a  provocare i danni o quanto meno li aveva aggravati, dato
 che la configurazione geologica del terreno  e  la  sua  collocazione
 lungo le pendici dell'Etna rendeva l'immobile costantemente esposto a
 rischio.  La suddetta morfologia geologica del terreno avrebbe dovuto
 essere  accertata  e  comunicata   all'appaltatore   della   stazione
 appaltante,  la  quale,  avendo  omesso  di  fornire  informazioni in
 proposito, avrebbe dovuto essere dichiarata responsabile dell'evento.
   Con il terzo mezzo il ricorrente censura la condanna  al  pagamento
 delle spese processuali.
   2    -   Preliminarmente   occorre   accertare   l'integrita'   del
 contraddittorio rispetto ai coniugi  Fresta-Pappalardo,  che  non  si
 sono costituiti.
   Al riguardo rileva il collegio che il ricorso e' stato notificato a
 Rosario  Fresta  e  a  Maria  Pappalardo  nel loro domicilio elettivo
 presso lo  studio  del  procuratore,  avv.  Francesco  Barbagallo  e,
 pertanto,  secondo  il  costante  oprientamento  di  questa Corte, il
 contraddittorio sarebbe validamente instaurato.
   Infatti, dopo un periodo di contrastanti  decisioni  delle  sezioni
 semplici,  con  sentenza  21 febbraio 1984, n. 1228, le sezioni unite
 hanno affermato che gli effetti della morte (o  della  perdita  della
 capacita') della parte costituita, sopravvenuta nel corso di un grado
 di  merito, prima della chiusura della discussione, sono disciplinati
 esclusivamente  dall'art.   300   c.p.c.,   senza   possibilita'   di
 interferenze  o  integrazioni  dei  principi che regolano gli effetti
 derivanti dallo stesso evento, verificatosi in  momenti  diversi  del
 rapporto  processuale.  Ne consegue che se il procuratore della parte
 colpita dall'evento  interruttivo,  l'unico  legittimato,  ometta  di
 dichiarare  in  udienza  (o  di  notificare  alle  altre parti) detto
 evento, la posizione del soggetto processuale  da  lui  rappresentato
 resta  stabilizzata,  rispetto  alle  altre parti e al giudice, quale
 persona ancora esistente (o capace),  con  correlativa  ultrattivita'
 del mandato alle liti anche nelle successive fasi di impugnazione. In
 difetto  di  dichiarazione o di notifica dell'evento interruttivo che
 colpisca la parte costituita prima della chiusura della  discussione,
 l'atto di impugnazione deve ritenersi pertanto validamente notificato
 presso  il  procuratore  costituito nel precedente grado di merito ai
 sensi dell'art. 330 c.p.c., a prescindere dalla eventuale  conoscenza
 che  il  notificante  abbia  aliunde  acquisita  della morte (o della
 perdita  della  capacita')  del  destinatario  dell'atto.      Questo
 indirizzo,  come  gia'  osservato,  e'  stato successivamente seguito
 dalla giurisprudenza largamente  prevalente  delle  sezioni  semplici
 (sentenze 4791 e 4963 del 1985, 1039 e 5242 del 1986, 2153 e 6025 del
 1987,  1767/1988,  3815/1989,  5391/1990,  11174/1992,  3427, 10354 e
 10965  del  1994,  791,  2142  e  7495  del  1995. In senso contrario
 sentenze 989/1989 e 5400/1985).
   3. - Ritiene tuttavia la Corte  che  il  combinato  disposto  degli
 artt.  300  e  330  c.p.c.,  nella  parte  in  cui,  in  mancanza  di
 dichiarazione o notificazione dell'evento interruttivo da  parte  del
 procuratore della parte colpita da detto evento, consente di ritenere
 valida    la    notificazione    presso   il   predetto   procuratore
 dell'impugnazione alla parte deceduta,  prima  della  chiusura  della
 discussione   nel   precedente  grado  di  giudizio,  sia  di  dubbia
 legittimita' costituzionale.
   Infatti si osserva, sul piano generale, che la morte (o la  perdita
 della  capacita')  della  parte  costitutiva  fa  sorgere una duplice
 esigenza di tutela: quella del diritto di difesa e degli eredi  della
 parte  defunta  (o in genere delle persone legittimate in luogo della
 parte che ha perso la capacita'), che possono non essere a conoscenza
 delle notificazioni effettuate al procuratore del de cuius, e  quella
 del  diritto  di difesa della controparte, che deve poter individuare
 un  destinatario  delle  sue  notificazioni.  L'ultrattivita'   della
 procura  alle  liti,  rispetto  alla  morte  (o  alla  perdita  della
 capacita') del mandante, disposta dalla normativa  processuale  sopra
 richiamata, inderoga al principio civilistico dettato dall'art. 1722,
 n.  4  c.c.,  che  prevede  l'estinzione  del  mandato  per morte del
 mandante, legittimando il difensore della parte  colpita  dall'evento
 interuttivo   (non   dichiarato   ne'   notificato)   a  ricevere  la
 notificazione dell'impugnazione, offre certamente  una  tutela  piena
 del diritto di difesa della controparte, che vede cosi' facilitato il
 suo  compito,  ma non soddisfa adeguatamente le esigenze degli eredi,
 le  cui  situazioni   giuridiche   possono   essere   definitivamente
 pregiudicate, in quanto il giudicato formatosi nel processo in cui si
 verifica  il  decesso del proprio dante causa, ha effetto diretto nei
 loro confronti (art. 2909  c.c.)  e  pertanto,  in  caso  di  mancata
 partecipazione  al processo, per causa a loro non imputabile, secondo
 la  tesi  piu'  seguita  in  giurisprudenza  e  dottrina,  non   sono
 legittimati all'esperimento dell'opposizione di terzo di cui al primo
 comma dell'art. 404 c.p.c.
   Ma  se,  come  afferma la Corte costituzionale, "il contraddittorio
 non si puo' svolgere senza la conoscenza delle  situazioni  di  fatto
 obbiettive  o  subbiettive  cui  la  legge  ricollega,  condiziona  o
 subordina, in virtu' di oneri, preclusioni e decadenze,  il  concreto
 esercizio  del  diritto di difesa" (sentenza 139/1967), e in concreto
 "Gli eredi della parte deceduta ad esempio  che  non  sappiano  della
 morte  del  loro  dante  causa non sono infatti posti in grado di far
 valere in giudizio le  loro  pretese"  (sentenza  159/1971),  occorre
 necessariamente  verificare  la  compatibilita' alla Costituzione del
 modello di notificazione enucleato.
   In  relazioni  alle  esigenze  individuate   dalla   giurisprudenza
 costituzionale  si  e'  ritenuto  di superare i dubbi di legittimita'
 costituzionale della disciplina legislativa applicabile alla presente
 fattispecie evidenziandone un duplice  presupposto,  di  fatto  e  di
 diritto.
   Da  una  parte  si  ritiene  che  il difensore, conosciuto l'evento
 interruttivo che ha colpito il  proprio  cliente,  sia  in  grado  di
 prendere  contatto  con le persone alle quali spetta di proseguire il
 processo e  di  concordare  con  loro  la  tattica  processuale  piu'
 conveniente,  valutando  in  primo  luogo l'opportunita' di provocare
 l'interruzione del  processo  con  la  dichiarazione  o  la  notifica
 dell'evento  stesso,  e  dall'altra si valuta sufficiente la garanzia
 degli interessi degli eredi costituita dall'eventuale responsabilita'
 del difensore per la cattiva gestione della lite. Si  aggiunge  anche
 che  l'ultrattivita'  del  mandato  non  sarebbe estranea alla stessa
 ordinaria disciplina civilistica (art.  1728, primo comma, c.c.).
   Ma le considerazioni esposte non appaiono sufficienti  al  collegio
 per  superare  il dubbio di legittimita' costituzionale che d'ufficio
 invece si e' prospettato.
   E' noto infatti che la realta' sociale e familiare e' profondamente
 mutata dall'entrata in vigore del codice di diritto. La  sostituzione
 della  famiglia patriarcale, composta da molte generazioni conviventi
 sotto lo stesso tetto, con la famiglia nucleare formata  soltanto  da
 genitori e figli e l'elevata mobilita' sul territorio hanno reso meno
 intensi  i  rapporti  familiari e piu' difficile (forse anche per una
 qualche diminuzione di interesse) la stessa conoscenza delle  vicende
 riguardanti  i  suoi membri, specialmente, se di grado parentale piu'
 remoto. Mutata e' anche la realta' professionale: da albi  con  pochi
 iscritti  e  da  una  prassi  di  frequenti  rapporti  tra  clienti e
 difensori,  si  e'  arrivata  all'attuale  situazione  che  vede   un
 altissimo  numero di professionisti e l'inadempimento, se non totale,
 quanto  meno  molto  diffuso,  dell'antico  dovere  deontologico   di
 comunicare  al  cliente  l'andamento della causa, peraltro ampiamente
 giustificato dalla realta' concreta della  miriade  di  rinvii  delle
 udienze di trattazione privi di qualsiasi rilievo processuale.
   Non    appare    convincente,    d'altra    parte,    il   richiamo
 all'ultrattivita' del  mandato  disposta  dall'art.  1728  c.c.,  sia
 perche'  l'orientamento  giurisprudenziale dal quale si sono prese le
 mosse presuppone l'autonomia della disciplina processuale  da  quella
 sostanziale e sia perche', comunque, l'ultrattivita' di cui si tratta
 limita  l'obbligo  (e al tempo stesso anche il potere) del mandatario
 al  compimento  degli  atti  urgenti,  mentre  l'ultrattivita'  della
 procura alle liti non ha altro limite che la fine del processo per il
 quale e' conferita.
   Ne',    infine,    e'    appagante    il   richiamo   all'eventuale
 rersponsabilita' del difensore nei confronti degli eredi (o di coloro
 ai quali  spetterebbe  proseguire  il  giudizio),  perche',  anche  a
 limitare  l'attenzione  alla  sola responsabilita' civile, non sembra
 che  la  lesione   di   un   diritto   costituzionale   espressamente
 qualitificato  come  "inviolabile" sia suscettibile di reintegrazione
 monetaria, la cui attuazione  poggia  peraltro  esclusivamente  sulla
 responsabilita'  patrimoniale  del  difensore o sulla efficacia di un
 eventuale contratto di assicurazione. D'altra parte la monetizzazione
 della lesione del diritto di difesa e' di per se' inidonea quando  il
 processo  abbia  avuto ad oggetto situazioni giuridiche di natura non
 patrimoniale.
   Una effettiva tutela del diritto di difesa degli  eredi  esigerebbe
 invece   che   l'evento   preso   in   considerazione   dalla  legge,
 indipendentemente dalla fase processuale  nella  quale  si  verifica,
 abbia   immediata   efficacia   interruttiva,  o,  quanto  meno,  che
 verificatosi  l'evento  durante  una  determinata  fase  processuale,
 l'ultrattivita'  della procura, derivante dalla mancata dichiarazione
 o  notifica dell'evento stesso da parte del difensore, non travalichi
 il grado di giudizio nel  corso  del  quale  esso  si  e'  verificato
 (arrivando, come nel caso di specie, a svolgere i suoi effetti, anche
 al  di  la' del grado successivo a quello in cui e' accaduto l'evento
 interruttivo). E' infatti dopo la pronuncia del provvedimento che  si
 verifichino  quelle  situazioni  di natura processuale, come notifica
 del   provvedimento   stesso,   la   proposizione   e   la   notifica
 dell'impugnazione,  le  quali,  attenendo  alla formazione della cosa
 giudicata, assumono un rilievo tale da non essere  lasciate  al  solo
 senso  di responsabilita' del difensore, ma che debbono comportare la
 conoscenza e quindi il compimento di scelte  da  parte  dei  soggetti
 titolari delle situazioni giuridiche dedotte nel processo.
   Ne'  l'interruzione  automatica sembra imporre oneri eccessivi alla
 parte avversa a quella colpita dall'evento interruttivo,  perche'  il
 termine  di  sei  mesi decorrenti dalla conoscenza dell'evento (Corte
 cost. n. 159/1971) se e' congruo ai fini della ricerca  degli  eredi,
 ai  quali  notificare l'atto di riassunzione, nel caso di morte della
 parte non costituita (art. 299 c.p.c.), non si vede come possa essere
 incongruo per  svolgere  la  stessa  attivita',  nel  caso  di  parte
 costituita  (art.  300  c.p.c.).  La differenza tra le due situazioni
 infatti puo' rilevare  ai  fini  della  tutela  della  parte  colpita
 dall'evento  interruttivo, ma non influisce sulla portata degli oneri
 imposti alla controparte.
   A maggior ragione i dubbi di legittimita' costituzionale si pongono
 nel caso di specie, in cui la controparte  al  tempo  stesso  intende
 giovarsi  sia  dell'effetto  interruttivo derivante dalla (conoscenza
 della) morte dell'avversario,  che  a  suo  avviso  avrebbe  prodotto
 l'estinzione  del  mandato  alle  liti,  che  dell'ultrattivita'  del
 mandato stesso che sarebbe idonea a rendere valida  la  notifica  del
 ricorso.
                                P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt.  300 e
 330 del c.p.c., nella parte in cui dispone che, in  caso  di  mancata
 dichiarazione  o  notificazione  a  cura  del procuratore della morte
 della  parte  da  lui  assistita,  verificatasi  anteriormente   alla
 chiusura  della  discussione,  l'atto di impugnazione sia validamente
 notificato al domicilio del procuratore stesso;
   Ordina la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che a cura  della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti,  al procuratore generale e al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei  due  rami  del
 Parlamento.
     Roma, addi' 27 marzo 1996
                         Il presidente: Lipari
 97C0050