N. 15 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 novembre 1996

                                 N. 15
  Ordinanza  emessa  il  15  novembre 1996 dal giudice per le indagini
 preliminari presso la pretura  di  Pisa  nel  procedimento  penale  a
 carico di Santucci Secondo
 Reato  in  genere  -  Sanzioni  sostitutive  delle  pene  detentive -
    Inapplicabilita' per i reati in materia di edilizia e  urbanistica
    in  caso  di  pena detentiva non alternativa a quella pecuniaria -
    Ingiustificata disparita' rispetto  al  trattamento  sanzionatorio
    previsto per analoghe ipotesi di reato.
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60).
 (Cost., art. 3).
(GU n.5 del 29-1-1997 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  emesso,  dandone  lettura  all'udienza del 15 novembre 1996, la
 seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di  Santucci
 Secondo, nato a Pieve Torina (Macerata) il 29 gennaio 1915, residente
 in  Pisa,  elettivamente domiciliato presso il difensore, avv. Simone
 Fiorini con studio in Pisa via S. Paolo n. 19; imputato:
     1) del reato di cui agli artt. 110 c.p., 7 e 20 lett. b) legge 28
 febbraio 1985 n. 47 per avere, quale proprietario  e  promittente  la
 vendita  dell'immobile posto in Pisa, p. Donati n. 4, committente dei
 lavori, in  concorso  con  Bertini  Vincenzo  promittente  l'acquisto
 (giudicato   separatamente),   eseguito   la   suddivisione   in  tre
 appartamenti dell'unico appartamento preesistente nel detto  edificio
 in  p. Donati n. 4, di sua proprieta', e la creazione di tre distinte
 unita' abitative  in  luogo  di  una,  in  assenza  della  necessaria
 concessione edilizia.
   Fatto commesso in Pisa sino alla fine del 1993;
   2)  del  reato  di  cui agli artt. 110 c.p., 483 c.p., 61 n. 2 c.p.
 per   avere,   in   concorso   con   Bertini   Vincenzo    (giudicato
 separatamente), falsamente attestato al comune di Pisa, mediante atto
 notorio  presentato  il  26  luglio  1991, costituito da un documento
 predisposto dallo stesso Bertini e firmato dal Santucci, che i lavori
 descritti al capo  1),  con  la  creazione  di  tre  distinte  unita'
 immobiliari,  erano  avvenuti  nel  1966, mentre essi erano ancora in
 corso al momento di presentazione  dell'istanza,  e  che  tali  opere
 dovevano essere ritenute comprese nel condono edilizio gia' richiesto
 dal Santucci il 1 luglio 1986, agendo al fine di ottenere l'impunita'
 per il reato di cui al capo 1) mediante il rilascio di concessioni in
 sanatoria,  effettivamente  rilasciate  dal  comune  di  Pisa  il  23
 dicembre 1991   (e successivamente annullate,  in  data  25  novembre
 1994).
   Fatto commesso in Pisa il 26 luglio 1991.
                              M o t i v i
   Con riferimento ai reati rubricati l'imputato avanzava richiesta di
 applicazione  di  pena  ai  sensi dell'art. 444 c.p.p. in ordine alla
 quale il p.m. prestava il consenso.
   All'udienza del 24 ottobre 1995 il  g.i.p.  riteneva  la  richiesta
 meritevole   di  accoglimento  e  pronunciava  sentenza  nei  termini
 proposti dalle parti.
   Il  procuratore  generale  di  Firenze   presentava   ricorso   per
 Cassazione  in  data  2 novembre 1995 lamentando erronea applicazione
 della legge penale ed in particolare dell'art. 60 legge  24  novembre
 1981 n. 689.
   Rilevava  che,  contestati i reati di cui agli artt. 483 c.p. e 7 e
 20 lett. b) legge  28  febbraio  1985  n.  47  uniti  da  vincolo  di
 continuazione  ex  art.  81  cpv.  c.p.,  il  g.i.p.  aveva  ritenuto
 applicabile la pena richiesta di mesi due  di  reclusione  sostituita
 con  lire  1.500.000  di multa ai sensi degli artt. 53 e ss. legge 24
 gennaio 1981 n. 689; pur apparendo corretto considerare piu' grave il
 delitto  previsto  dal  codice  penale   ed   applicare   quindi   la
 continuazione per la contravvenzione edilizia, tuttavia ad avviso del
 p.g.  ricorrente non era possibile, per contrasto con l'art. 60 legge
 24  novembre  1981  n.  689,  disporre  la  sostituzione  della  pena
 detentiva;  cio'  in quanto "e' ben vero che il reato continuato, per
 una fictio juris, e' reato unico, ma con riferimento  all'aumento  di
 pena  in  ordine alla violazione meno grave, quest'ultima conserva la
 sua  originaria  qualificazione  giuridica";   conseguentemente   non
 sarebbe stato possibile disporre la sostituzione ai sensi della legge
 n.  689/1981  stante  il  divieto  di  utilizzazione  delle  sanzioni
 sostitutive sancito dall'art. 60 in caso di reati previsti  da  leggi
 in  materia  edilizia  ed  urbanistica puniti, come nella specie, con
 pena detentiva congiunta  a pena pecuniaria.
   Con sentenza resa all'udienza del  30  aprile  1996,  la  Corte  di
 cassazione    accoglieva   il   ricorso   del   p.g.   condividendone
 l'impostazione giuridica e,  annullata  la  sentenza,  rinviava  alla
 pretura per nuovo esame.
   Si  disponeva  pertanto nuova citazione dinanzi ad altro magistrato
 per l'udienza odierna in cui, alla luce del  criterio  dettato  dalla
 Cassazione,  deve valutarsi la richiesta di patteggiamento gia' a suo
 tempo avanzata dalle parti ed in  ordine  alla  quale  non  e',  allo
 stato, intervenuta alcuna modifica.
   Ritiene  a questo punto il giudicante, in via preliminare, di dover
 sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale relativa
 all'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 nella parte  in  cui
 esclude l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive ai reati previsti
 dalle  leggi  in  materia  di edilizia ed urbanistica puniti con pena
 detentiva sola o congiunta a pena pecuniaria, e  segnatamente  quelli
 di  cui  all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, oggetto del
 presente giudizio, per contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione
 quale  ormai  ritenuto principio di ragionevolezza e razionalita' cui
 le norme ordinarie debbono ispirarsi.
   Non pare vi siano dubbi in ordine alla rilevanza  della  questione:
 laddove  la  Corte  costituzionale dovesse ravvisare l'illegittimita'
 della disposizione citata, cio' costituirebbe  fatto  nuovo  rispetto
 alla  pronuncia della Cassazione con conseguente accoglibilita' della
 richiesta di applicazione  di  pena  gia'  formulata  dalle  parti  e
 ritenuta non conforme alla legge.
   Quanto  alla  non  manifesta infondatezza si osserva sinteticamente
 quanto segue.
   All'atto della introduzione del sistema  delle sanzioni sostitutive
 delle pene detentive  brevi  (art.  53  e  seguenti  della  legge  24
 novembre  1981, n. 689), il legislatore caratterizzo' il nuovo regime
 sanzionatorio  con  una  serie  di  cautele  che   ne   circoscriveva
 ampiamente il raggio di azione.
   Tra  di  esse  appunto  quella  sancita  dall'art. 60 che escludeva
 originariamente una serie di reati di competenza pretorile  ritenuti,
 evidentemente  alla  luce  di  criteri  di gravita' in allora stimati
 prevalenti, non meritevoli di una reazione  sanzionatoria  diversa  e
 piu'  mite  rispetto  alle  ordinarie  pene  detentive  e  pecuniarie
 previste dal codice penale o in sede di leggi speciali, quali fra  le
 altre le disposizioni a tutela dell'edilizia e dell'urbanistica.
   Non  si deve in tal senso dimenticare che a fianco dell'art. 60 era
 stato posto l'art. 54 che, riservando l'utilizzazione delle  sanzioni
 sostitutive ai soli reati di competenza del pretore, ne escludeva per
 implicito  ed  in termini assoluti l'irrogazione a fronte di reati di
 competenza del tribunale e della corte di assise.
   Nel corso del tempo le limitazioni previste dalla legge 24 novembre
 1981, n. 689 all'atto  della  sua  entrata  in  vigore  hanno  subito
 successive e progressive erosioni attraverso vari interventi.
   Non   e'  qui  il  caso  di  ripercorrere  tale  evoluzione  ma  e'
 sufficiente ricordare quale sia  la  situazione  attuale:  l'art.  54
 della  legge n. 689/1981 e' stato abrogato, aprendosi la possibilita'
 di applicare le sanzioni sostitutive anche ai reati di competenza del
 tribunale  e  della  corte  di  assise;  i  limiti  di  pena  sanciti
 originariamente  dall'art.  53  della  legge  n.  689/1981 sono stati
 consistentemente elevati, consentendo l'utilizzazione delle  sanzioni
 sostitutive  in  casi  concreti  e  con riferimento a figure di reato
 rispetto alle quali precedentemente esse non trovavano spazio; alcune
 pronuncie della Corte costituzionale  hanno  preso  atto  che  alcune
 esclusioni oggettive previste dall'art. 60 non rispondevano a criteri
 di ragionevolezza e contrastavano con l'art. 3 della Costituzione.
   In  sostanza,  se  si eccettuano poche decine di reati i cui minimi
 edittali non rendono praticabile di fatto  l'astratta  applicabilita'
 di  una  sanzione  sostitutiva, la quasi totalita' dei reati previsti
 dall'ordinamento  penale,  sia  di  competenza   pretorile   sia   di
 competenza   superiore,   sono  punibili  in  concreto  con  sanzioni
 sostitutive, grazie anche alle riduzioni  di  pena  conseguibili  con
 l'adozione  del  rito  abbreviato  e  del  patteggiamento  cosi' come
 delineati dal nuovo codice di procedura penale.
   Rimangono inevitabilmente esclusi soltanto i reati di cui  all'art.
 60 citato.
   Cio'  accade  peraltro  in  virtu'  di  scelte  normative  che,  se
 ragionevoli   al   tempo   dell'introduzione   del    nuovo    regime
 sanzionatorio,  tuttavia  non sembrano oggi mantenere intatta la loro
 originale razionalita'.
   Questa perdita di razionalita' emerge, ad  avviso  del  g.i.p.,  in
 tutta  la  sua evidenza alla luce della modifica dell'art. 53 e della
 soppressione dell'art. 54 citati.
   Queste   infatti,   ad   esempio  nell'ambito  dei  delitti  contro
 l'attivita'  giudiziaria,   hanno   reso   irrogabili   le   sanzioni
 sostitutive  a  reati  originariamente  esclusi  (artt.  363, seconda
 ipotesi, artt. 368, 370, 371-bis, 374-is, 378, 379 e 382  del  c.p.),
 laddove cio' continua ed essere inibito per i reati di cui agli artt.
 371,  372 e 373 c.p.  (l'innalzamento di pena disposto per l'art. 372
 c.p.  con  l'art.  11,  comma  2,  del  decreto-legge  n.   306/1992,
 convertito, con la legge n. 356/1992 non sembra in tal senso decisivo
 rimanendo  comunque  la stessa inferiore a quella di cui all'art. 382
 c.p. ed uguale a quella prevista dall'art. 368 c.p.).
   Per quel che piu' da vicino concerne i reati in materia di edilizia
 ed urbanistica deve notarsi in primo luogo che trattandosi  di  reati
 contravvenzionali  mal  si  comprende  a  questo  punto perche' siano
 esclusi dal regime sanzionatorio  piu'  mite  a  fronte  di  tutti  i
 delitti  anche  di competenza del tribunale cui esso e' applicabile e
 che sono posti a tutela di beni  parimenti  fondamentali  e  generali
 come la fede pubblica, l'industria, il commercio e, come si e' visto,
 l'amministrazione della giustizia.
   Inoltre   proprio   la   Corte  costituzionale,  nel  riconosce  la
 irragionevolezza dell'inclusione nell'art. 60 citato della  legge  n.
 319/1976  in  relazione  al  fatto  che  numerose  altre normative in
 materia ambientale - prima fra tutte quelle in tema  di  rifiuti,  ma
 anche  quelle  a  tutela  della  qualita'  dell'aria ed altre di piu'
 recente introduzione -,   ha in sostanza  chiarito  che  non  possono
 sussistere   evidenti   e  clamorose  disparita'  -  e  non  semplici
 differenze - di  trattamento  penale  rispetto  a  comportamenti  che
 incidono   sui   medesimi   beni   giuridici  (sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 254/1994).
   In  tal  senso,  ad  avviso  del  giudicante,  il  territorio,   il
 paesaggio,  l'assetto  idrogeologico e piu' in generale le  c.d. zone
 di  particolare  interesse  ambientale  protette  sotto  il   profilo
 edilizio ed urbanistico (v. in particolare il  d.-l.  27 giugno 1985,
 n.  312 convertito con legge 8 agosto 1985, n. 431), rappresentano il
 medesimo insieme di beni  tutelati  dalle  normative  che  tendono  a
 regolare, limitare e reprimere il fenomeno dell'inquinamento.
   Conseguentemente appare inspiegabile - e sotto il profilo dell'art.
 3   della Costituzione irrazionale - che il trattamento sanzionatorio
 previsto dalle normative in materia edilizia e urbanistica, destinate
 comunque alla tutela degli stessi beni ancorche' aggrediti  in  forme
 diverse,   sia   piu'  rigoroso  di  quello  sancito  in  materia  di
 inquinamento,  segnatamente  non  essendo  consentito  il  ricorso  a
 sanzioni sostitutive in caso di reati puniti con la detenzione sola o
 congiunta  alla  pena  pecuniaria.  Ne'  soccorre  a  giustificare la
 permanenza di tale scelta la  natura  dei  reati  -  tutti  di  rango
 contravvenzionale -, l'entita' delle sanzioni previste - un raffronto
 tra  le varie ipotesi evidenzia una chiara omogeneita' di trattamento
 in via edittale - ovvero i presupposti normativi delle fattispecie  -
 generalmente  impostati  sul  rapporto  intercorrente tra le potesta'
 della  pubblica  amministrazione  ed  i  comportamenti  dei   singoli
 consociati.
   Peraltro  non  si  puo'  sottacere  come  si  appalesi un ulteriore
 contrasto con criteri logici e razionali, anche quando  si  consideri
 che  proprio  le normative in materia di edilizia ed urbanistica sono
 state oggetto di ripetuti interventi speciali  di  condono  in  forme
 piu'  o  meno  ampie,  laddove l'integrita' del territorio e' stata a
 piu' riprese  oggetto  di  scambio  economico  tra  lo  Stato  ed  il
 cittadino  autore  dell'abuso, scambio finalizzato e giustificato dal
 perseguimento del risanamento finanziario dell'erario.
   Alla luce di queste considerazioni,  che  costituiscono  ovviamente
 mero  spunto  di  riflessione  per  una  valutazione di non manifesta
 infondatezza, ritiene  il  g.i.p.  che  sussistano  gli  estremi  per
 sottoporre  all'attenzione della Corte costituzionale l'art. 60 della
 legge  24  novembre  1981,  n.  689  nella  parte  in   cui   esclude
 dall'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive le leggi in materia
 urbanistica ed edilizia, ed in particolare l'art. 20 della  legge  28
 febbraio  1985,  n. 47, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione
 in virtu' di  sopravvenuta  irragionevolezza  ed  irrazionalita'  dei
 criteri   in   base   ai   quali  ne  venne  originariamente  sancita
 l'esclusione.
   Piu' in generale si ritiene l'intero  art.  60  citato  gravato  da
 dubbio  di  costituzionalita' in riferimento al medesimo art. 3 della
 Costituzione e per le stesse ragioni: ma tale dubbio non potrebbe che
 essere oggetto di autonoma attenzione della Corte ai sensi  dell'art.
 27 della legge n. 87/1953.
                                P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  23  e  segg.  della  legge 11 marzo 1953, n. 87,
 dichiara  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non   manifestamente
 infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 60
 della legge 24 novembre 1981, n. 689 in relazione  all'art.  3  della
 Costituzione della Repubblica italiana;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
   Ordina clie  la  presente  ordinanza  venga  notificata  al  signor
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  comunicata  ai siggnori
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
     Pisa, addi', 15 novembre 1996
            Il giudice per le indagini preliminari: Merani
 97C0061