N. 11 ORDINANZA 9 - 23 gennaio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena  -  Concorso  di   reati   unificati   dalla   continuazione   -
 Interpretazione  della  Corte  di cassazione - Pena per la violazione
 piu' grave - Possibilita' di  una  sua  determinazione  nella  misura
 inferiore  al  minimo  edittale  previsto per taluna delle violazioni
 ritenute in concreto piu' gravi -  Non  conformita'  dei  presupposti
 interpretativi,  da  parte del giudice a quo, rispetto alle soluzioni
 ermeneutiche della Cassazione - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P., art. 81).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.5 del 29-1-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,    prof.  Gustavo
 ZAGREBELS  KY,  prof.  Valerio ONIDA,   prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Guido  NEPPI  MODONA,    prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 81 del codice
 penale, promosso  con  ordinanza  emessa  il  13  dicembre  1995  dal
 tribunale  di  Trapani  nel  procedimento  penale a carico di Candela
 Nicolo', iscritta al n. 349 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  17,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 13 novembre 1996 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che, chiamato  a  decidere  sull'applicazione  della  pena
 concordemente richiesta dalle parti in relazione ai reati di falso in
 atto pubblico e di abuso di ufficio a fini patrimoniali, il tribunale
 di  Trapani  ha,  con  ordinanza  del 13 dicembre 1995, sollevato, in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
 dell'art.   81  del  codice  penale,  nella  parte  in  cui,  secondo
 l'interpretazione  della   Corte   di   cassazione   -   di   recente
 consolidatasi  nel  senso  che,  ai  fini  della individuazione della
 violazione piu' grave da porre a base dell'aumento previsto dal primo
 comma  della  disposizione  oggetto di censura, debba aversi riguardo
 alla pena edittale - "consente che, nell'ipotesi di concorso di reati
 unificabili per continuazione, la pena stabilita  per  la  violazione
 piu'  grave"  (da identificare in quella per la quale e' comminato il
 massimo edittale piu' elevato)  "possa  essere  inferiore  al  minimo
 edittale  previsto  per  taluna delle violazioni ritenute in concreto
 meno gravi";
     che il giudice a  quo  osserva  che,  nel  caso  di  specie,  ove
 l'imputato  fosse  stato  chiamato  a  rispondere del solo delitto di
 abuso d'ufficio a norma dell'art.  323,  secondo  comma,  del  codice
 penale,  sarebbe  stato  assoggettato alla pena minima di due anni di
 reclusione, mentre, concorrendo il delitto di falso in atto  pubblico
 (art.  479 del codice penale, in relazione all'art. 476, primo comma,
 dello stesso codice), punito in astratto  con  pena  piu'  grave  nel
 massimo  ma meno grave nel minimo, la pena minima irrogabile potrebbe
 essere  contenuta  in  un  anno  di  reclusione;  pena  che,  pur  se
 "aumentata   di   due  mesi  di  reclusione  per  la  continuazione",
 risulterebbe inferiore alla prima; con la  conseguenza,  da  ritenere
 davvero  paradossale,  che la persona che ha commesso solo un delitto
 per il quale la legge prevede  un  minimo  edittale  superiore  e  un
 massimo   edittale   inferiore,  in  concreto  sarebbe  condannata  -
 nonostante la minor  gravita'  della  sua  condotta  -  ad  una  pena
 maggiore  rispetto  a quella irrogabile a chi ha commesso, assieme al
 primo, altri reati unificati dal vincolo della  continuazione,  senza
 che  ad  ovviare  a  tale inconveniente possa ritenersi correttamente
 prospettabile la soluzione di aumentare la pena base di  piu'  di  un
 anno  di  reclusione,  giacche'  in tal modo diverrebbe piu' grave il
 reato  "satellite",  con  conseguente  violazione  della   disciplina
 dettata dall'art. 81 del codice penale;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata non fondata per
 erroneita' della premessa  interpretativa  alla  base  dell'ordinanza
 impugnata;
     che,  ad  avviso  della Avvocatura, l'indirizzo giurisprudenziale
 che escludeva la possibilita' di applicare in continuazione una  pena
 inferiore a quella minima prevista per ogni singolo reato non sarebbe
 contraddetta   dal   piu'   recente   orientamento   che  identifica,
 all'opposto, nelle pene edittali astratte il parametro  alla  stregua
 del  quale  identificare  la  violazione  piu' grave, "esprimendo una
 limitazione che risulta comunque consequenziale  e  connaturata  alla
 ratio  della  norma  censurata,  di  contenimento dell'asprezza delle
 regole sul cumulo  materiale  delle  pene",  fermo  restando  che  il
 giudice  che  individui la violazione piu' grave nel reato punito con
 il piu' elevato massimo edittale non  potrebbe  comunque  "infliggere
 una pena inferiore a quella minima prevista per altro reato unificato
 dal vincolo della continuazione col primo".
   Considerato  che  effettivamente il presupposto interpretativo alla
 base  dell'ordinanza  di  rimessione  risulta  non   sufficientemente
 attento  alle soluzioni ermeneutiche cui sono di recente approdate le
 Sezioni unite della Corte di cassazione;
     che, piu' in particolare, una prima decisione, nel  risolvere  il
 contrasto  giurisprudenziale  circa l'individuazione della violazione
 piu' grave, mutando un precedente indirizzo interpretativo  risalente
 ai  primi  anni  ottanta  -  indirizzo,  peraltro,  non costantemente
 seguito  dalla  successiva giurisprudenza della Corte di cassazione -
 ha ritenuto che l'unico concetto di violazione piu' grave ancorato  a
 criteri  di  certezza  non  possa  che  "riferirsi  alle  valutazioni
 astratte  compiute   dal   legislatore,   sul   presupposto,   spesso
 dimenticato,  che  la  modifica  del  1974  non  ha inteso alterare i
 presupposti  del  reato  continuato,  ma  solo  renderli  applicabili
 mediante  procedimento  estensivo  ad ipotesi per le quali l'istituto
 non  risultasse  operante"  (Cass.,  Sez.   un.,   23   marzo   1992,
 Cardarilli);
     che, a parte la considerazione che il contrasto giurisprudenziale
 da  cui  e'  scaturita  l'ora  ricordata  pronuncia  si riferiva alla
 determinazione della nozione di violazione piu' grave in  ipotesi  di
 reati  relativamente  ai  quali fossero previste sanzioni diverse per
 genere o  per  specie,  dall'esame  di  tale  sentenza  mai  e'  dato
 riscontrare,  pure  generalizzando  la  valenza  ermeneutica dei suoi
 enunciati, la statuizione che in caso di reati  in  ordine  ai  quali
 debba  trovare applicazione una pena di identica specie, ove l'uno di
 essi sia punito con pena piu' elevata nel massimo e l'altro con  pena
 piu' elevata nel minimo, la pena da irrogare in concreto possa essere
 inferiore  alla  seconda  previsione  edittale;  tanto  piu'  che  il
 richiamo al disposto degli artt. 32 e  47  del  codice  di  procedura
 penale  del  1930,  relativi  alla  competenza  e  alla  connessione,
 contenuto nella decisione da ultimo ricordata risulta effettuato solo
 obiter, anche considerando le diverse esigenze teleologiche alla base
 di tali regole, rispetto alle  quali  il  tasso  di  astrattezza  del
 criterio cui occorre aver riferimento si collega a profili estrinseci
 alla   pena   da  irrogare,  come  sembra  confermato  dalla  diversa
 espressione   "reato   piu'   grave"   utilizzata   ai   fini   della
 individuazione del giudice competente per territorio in caso di reati
 alcuni  dei  quali  appartenenti  alla  cognizione territoriale di un
 giudice ed altri alla  medesima  cognizione  di  altro  giudice;  una
 regola peraltro ribadita dal nuovo codice di procedura penale in tema
 di  competenza per territorio determinata dalla connessione (art. 16,
 comma 1; con in piu' la precisazione, contenuta nel comma 3,  che  "i
 delitti  si  considerano piu' gravi delle contravvenzioni", con ovvio
 specifico riferimento alla imputazione; v., sul punto,  anche  l'art.
 297 dello stesso codice);
     che  le  ulteriori, piu' recenti, statuizioni delle Sezioni unite
 si limitano ad un mero allineamento al decisum della  sentenza  sopra
 richiamata,  anche  in  ipotesi  di continuazione fra delitti, quello
 posto a base del calcolo contrassegnato dalla previsione  del  minimo
 ed  il  massimo  della sanzione edittale piu' elevati; il tutto senza
 che mai venga postulato che, in  caso  di  continuazione  fra  reati,
 possa essere irrogata una pena base inferiore a quella corrispondente
 al   minimo   edittale   previsto   per   uno   dei  reati  unificati
 dall'identita' del disegno criminoso;
     che, del resto,  una  simile  preclusione  (pure  se  inespressa)
 risulta conforme anche alla piu' risalente giurisprudenza della Corte
 di cassazione: pur essendosi, infatti, costantemente statuito che, al
 fine  della individuazione della violazione piu' grave, si deve tener
 conto, in caso di concorso di pene  dello  stesso  genere  e  specie,
 della  pena  edittale  massima  e,  a parita' di massimo, del maggior
 minimo, si e' derogato a tale regola nelle ipotesi in cui  il  minimo
 della  pena edittale contemplata per un reato sia superiore al minimo
 della pena edittale contemplata per un altro reato in  continuazione,
 cosi'  da  individuare  quale pena base quella comminata per il reato
 relativamente al quale sia prevista la pena piu' elevata nel  minimo,
 coincidente  con  la  violazione  piu' grave, pure se altro reato sia
 punito con una sanzione piu' elevata nel massimo; e "cio' allo  scopo
 di  evitare,  in  ogni  caso,  di  irrogare una pena base inferiore a
 quella minima prevista dalla legge per alcuni dei  reati  concorrenti
 formalmente o riuniti nella continuazione";
     che,  inoltre,  parte  della  piu' recente giurisprudenza o si e'
 discostata dall'indirizzo seguito  dalle  statuizioni  delle  Sezioni
 unite  sopra  ricordate,  ritornando al criterio che identifica nella
 violazione piu' grave quella  che,  in  concreto,  presenti  maggiore
 gravita'  e  sia,  quindi,  passibile  della  pena  piu'  grave  o ha
 ribadito, sempre nel solco del canone della gravita' in concreto,  il
 principio  in  base al quale se il giudice ritenga concretamente piu'
 grave una violazione punita meno severamente di altra concorrente, la
 sua valutazione non potra' mai  valicare  i  limiti  di  applicazione
 dell'istituto  della  continuazione, diretto a mitigare il rigore del
 cumulo materiale delle pene, sino a far conseguire al  reo  una  pena
 inferiore a quella minima prevista per un singolo reato;
     che, pure se seguendo una linea interpretativa che, nonostante le
 affermazioni  di  massima,  appare  di dubbia conformita' ai principi
 dettati dalle Sezioni unite, si e', dopo aver  ribadito  il  criterio
 dell'astratta  pena  edittale  come  regola  da  applicare in caso di
 continuazione fra reati, altresi' precisato che la pena base non puo'
 mai essere calcolata, almeno nelle ipotesi in cui il giudice  ritenga
 di  irrogare  il minimo della pena (donde la deviazione dal postulato
 della gravita'  in  astratto),  adottando  il  criterio  del  massimo
 edittale  quando  per uno dei reati in continuazione sia comminata la
 pena piu' elevata nel minimo anche se non nel massimo (Cass., Sez. V,
 20 novembre 1995, Costa);
     che, in conclusione, non solo  non  si  trova  mai  contenuta  in
 decisioni  della  Corte  di cassazione l'affermazione di un principio
 dal quale si debba dedurre che in caso di continuazione sia possibile
 irrogare una pena inferiore alla pena base corrispondente  al  minimo
 previsto  dalla legge per uno dei reati unificati, ma si trovano anzi
 esplicite affermazioni della totale incongruenza di un tale risultato
 rispetto all'istituto della continuazione e  alla  funzione  ad  esso
 assegnata dalla legge;
     che,  pertanto,  la  questione,  cosi' come proposta, deve essere
 dichiarata manifestamente infondata;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  81  del  codice   penale   sollevata,   in
 riferimento  all'art.  3 della Costituzione, dal tribunale di Trapani
 con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il  9 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Guizzi
                        Il cancelliere: Malvica
   Depositata in cancelleria il 23 gennaio 1997.
                        Il cancelliere: Malvica
 97C0068