N. 33 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 1996- 21 gennaio 1997

                                 N. 33
  Ordinanza   emessa   il   1   luglio   1996  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  21  gennaio  1997)  dal  Consiglio  di  Stato,  in
 adunanza  plenaria  sul  ricorso  proposto  dal comune di Roma contro
 Cestelli Guidi Riccardo ed altri
 Edilizia  e  urbanistica  -  Vincoli  di  edificabilita'  e   vincoli
    preordinati   all'espropriazione   -   Facolta'   di  riproduzione
    indefinita nel  tempo  dei  vincoli  senza  la  corresponsione  di
    indennizzo  -  Incidenza  sul  principio di tutela del paesaggio e
    dell'ambiente, sul diritto alla salute, sul diritto di  proprieta'
    e  sui  principi  di  imparzialita'  e buon andamento della p.a. -
    Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale  nn.  6/1966,
    55/1968, 5/1980, 92/1982 e 575/1989.
 (Legge 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40; legge 19
    novembre 1968, n. 1187, art. 2, primo comma).
 (Cost.,  artt.  9, secondo comma, 32, primo comma, 42, terzo comma, e
    97).
(GU n.6 del 5-2-1997 )
                         IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio  del
 1 luglio 1996;
   Visto  l'appello  n.  4939/94  R.G.  proposto dal comune di Roma in
 persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e  difeso  dall'avv.to
 Mauro  Martis  e  presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma,
 via del Tempio di Giove n. 21;
                                 Contro
   Cestelli Guidi Riccardo,  Panzironi  Aristide,  Garofalo  Teresa  e
 Garofalo  Ugo,  rappresentati  e difesi dall'avv.   Giuseppe Lavitola
 presso cui sono elettivamente domiciliati in Roma, via Costabella 23;
   Censi Adele, Censi Petronilla,  Palombi  Emidio,  Palombi  Giorgio,
 Garofalo  Rosa,  Garofalo Luigi, Garofalo Raffaele, Garofalo Antonio,
 Garofalo Teresita, non costitiuiti in giudizio;
   Per   la   riforma  della  sentenza  del  tribunale  amministrativo
 regionale del Lazio - sez. I, 14 aprile 1993, n. 600;
   Visti gli atti e i documenti depositati con l'appello;
   Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  di  Cestelli  Guidi  e
 litisconsorti;
   Vista  l'ordinanza  della  IV  sezione 5 giugno 1995, n. 411 che ha
 rimesso il ricorso all'adunanza plenaria;
   Udito il relatore consigliere Stefano Baccarini, e  uditi  altresi'
 l'avv.  Molinaro  per  il  comune  di  Roma e l'avv. Lavitola per gli
 appellati costituiti;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                                 Fatto
   Con ricorso al TAR del Lazio notificato  l'11  gennaio  1991  Censi
 Adele   ed  i  litisconsorti  indicati  in  epigrafe,  qualificandosi
 proprietari  di  un'area  sita  in  Roma,  localita'   Torricella   e
 Serpentara, di superficie pari a circa 160.000 mq., destinata parte a
 zona  N  (verde  pubblico)  e  parte  a  zona  M/1  (servizi pubblici
 generali)  e  M/3   (servizi   pubblici   locali),   impugnavano   la
 deliberazione  della  g.m.  di  Roma  4 giugno 1990, n. 3622, con cui
 erano stati reiterati i vincoli urbanistici divenuti  inefficaci  per
 scadenza del quinquennio di legge.
   Premesso  che  l'atto impugnato, adottato in via d'urgenza, avrebbe
 perso efficacia in seguito all'abrogazione dell'art. 140 del t.u.  n.
 148/1915, deducevano comunque che il provvedimento impugnato:
     1) in  quanto  reiterazione  in  blocco  dei  precedenti  vincoli
 urbanistici   scaduti,   costituiva   elusione   delle   norme  sulla
 temporaneita' dei vincoli e sull'obbligo di rivalutare la  situazione
 urbanistica  in  termini di fabbisogni attuali di aree a destinazione
 pubblica e di fornire adeguata motivazione;
     2) ometteva di compiere una adeguata ponderazione comparativa tra
 interesse pubblico ed interesse privato sacrificato  dalla  variante,
 in   relazione  alla  esistenza  di  possibili  alternative  ed  alla
 necessita' assoluta di utilizzazione dell'area per  il  perseguimento
 di  finalita'  pubblicistiche, nonche' alle prescrizioni regionali di
 procedere per zone omogenee, di specificare le funzioni e di  operare
 una piu' funzionale localizzazione del verde;
     3)  ometteva  di operare compensazioni tra superfici in esubero e
 superfici  in  deficit  e  di  computare   negli   standards   alcuni
 comprensori vincolati;
     4)  era  affetta  da  sviamento di potere, essendo finalizzata ad
 impedire l'applicazione del regime di standards di  cui  all'art.  4,
 ultimo comma, lett. c) della legge 28 gennaio 1977, n. 10;
     5)  in  quanto  reiterazione  del vincolo, ometteva di provvedere
 alla corresponsione  dell'indennizzo  e  di  prevedere,  in  apposita
 relazione   finanziaria,   i   mezzi  occorrenti  all'attuazione  del
 provvedimento;
     6)  era  stato  adottato  dalla  giunta  municipale   senza   che
 sussistesse una situazione di necessita' ed urgenza;
     7)   ometteva  di  considerare  che  l'area  dei  ricorrenti  era
 ricchissima di spazi destinati  a  zona  N  (verde  pubblico)  e  che
 interventi   relativi  alla  destinazione  a  zona  M/3  erano  stati
 sufficientemente realizzati su aree di terzi;
     8)  era  affetto  da  disparita'  di  trattamento  ed ingiustizia
 manifesta in quanto i ricorrenti avevano gia' subito un esproprio  di
 280.000 mq.
   Resisteva al ricorso il comune di Roma.
   Il  TAR  adito - Sez. I definiva il giudizio con sentenza 14 aprile
 1993 n. 600, dichiarando il ricorso inammissibile  nei  confronti  di
 sei  dei  ricorrenti  ed  accogliendolo  nei  confronti  degli  altri
 limitatamente al primo, secondo, quinto e settimo motivo.
   In  particolare,  la  sentenza  affermava  la  necessita'  di   una
 motivazione  specifica,  anche  in  riferimento  alle  singole  aree,
 relativa: 1) all'attualita' delle ragioni giustificative del vincolo;
 2) alla mancanza di soluzioni alternative; 3) alla  previsione  delle
 spese  occorrenti  e  dei  possibili  mezzi  di  copertura; censurava
 altresi' il provvedimento impugnato  per  difetto  di  istruttoria  e
 omessa specificazione delle destinazioni a servizi.
   Avverso  tale  sentenza  il  comune  di  Roma ha proposto appello a
 questo Consiglio di Stato.
   Gli appellati resistono, proponendo altresi' motivi aggiunti contro
 la deliberazione consiliare  n.  203/1995  di  controdeduzioni  sulle
 osservazioni alla variante.
   La  IV Sezione di questo Consiglio di Stato, con ordinanza 5 giugno
 1995,  n.  411,  propendendo  per   l'affermazione,   nei   casi   di
 reiterazione  di  vincoli  urbanistici,  di un obbligo di motivazione
 specifica, riferita alle singole aree, ma ritenendo la  stessa  fonte
 di  possibili  contrasti  giurisprudenziali,  ha rimesso il ricorso a
 questa adunanza plenaria.
   All'odierna udienza, uditi i difensori delle parti, il  ricorso  e'
 passato in decisione.
                             D i r i t t o
   1.  - Va esaminata con priorita' la questione dell'indenizzabilita'
 dei vincoli inaedificandi,  sia  perche'  oggetto  di  uno  specifico
 motivo del ricorso di primo grado (il quinto), accolto dalla sentenza
 impugnata,  sotto il profilo della mancanza di previsione delle spese
 e dei relativi mezzi di copertura, in un capo oggetto di appello, sia
 perche' la soluzione di  tale  questione,  attinente  ai  presupposti
 costituzionali   delle   espropriazioni  di  valore,  costituisce  la
 necessaria  cornice  concettuale  ed   argomentativa   del   problema
 dell'estensione della motivazione.
   2.  -  Non  sembra  inutile  osservare  che  la  cognizione di tale
 questione,  cosi'  come  proposta  dai  ricorrenti  in  primo   grado
 nell'ambito  dell'impugnazione  del provvedimento di reiterazione del
 vincolo, e' devoluta al giudice amministrativo, involgendo  questioni
 di interesse legittimo.
   Come  avvertito  dalla Corte di cassazione con giurisprudenza ormai
 costante, infatti,   la legge 19  novembre  1968,  n.  1187,  recante
 modificazioni  ed  integrazioni  alla legge urbanistica del 17 agosto
 1942, n. 1150, conferisce ai comuni, in via permanente, il potere  di
 imporre,  con i piani regolatori generali, vincoli di destinazione di
 tipo espropriativo, anche in assenza della previsione di  indennizzo,
 salvo  l'obbligo,  a  pena  di  inefficacia  dei  vincoli  stessi, di
 approvare  nel  quinquennio  i  suddetti  strumenti  urbanistici   di
 attuazione,   con  la  conseguenza  che,  rispetto  all'attivita'  di
 imposizione dei vincoli senza indennizzo, il proprietario interessato
 e'  titolare  di  situazioni  aventi  la  consistenza  dell'interesse
 legittimo   e   tutelabili  in  sede  di  giurisdizione  generale  di
 legittimita',  escludendosi  che l'attivita' stessa, anche in caso di
 reiterazione di vincoli scaduti, sia configurabile come espletata  in
 assoluta  carenza  di potere, cosi' da fondare diritti soggettivi, di
 contenuto risarcitorio, tutelabili  davanti  al  giudice  ordinario."
 (Cass.,  sez.  un.,  28  ottobre  1995, n. 11308; 15 ottobre 1992, n.
 11257; 10 giugno 1983, n. 3987).
   3. - Va altresi' osservato che  la  censura  di  ultrapetizione  in
 ordine  a questo capo della sentenza e' inammissibile perche' dedotta
 dal comune di Roma non nell'atto di appello ma soltanto nella memoria
 del 14 dicembre 1994 (v. p. 21).
   4. - Nel merito, va osservato che la disciplina attuale dei vincoli
 inaedificandi  e'  il  risultato  di  una  complessa  successione  di
 interventi normativi e di sentenze di legittimita' costituzionale.
   La sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1968 aveva avviato
 tale processo dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli artt.
 7  nn.  2, 3, 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nella parte
 in cui non prevedevano un indennizzo per l'imposizione di limitazioni
 operanti immediatamente ed a  tempo  determinato  nei  confronti  del
 diritto   di   proprieta',  quando  le  limitazioni  stesse  avessero
 contenuto espropriativo nei sensi indicati in motivazione.
   Veniva conseguentemente approvata la legge  19  novembre  1968,  n.
 1187,  il  cui  art.  2  dispone al comma 1: "Le indicazioni di piano
 regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni  determinati
 ed    assoggettano    i    beni    stessi   a   vincoli   preordinati
 all'espropriazione od a vincoli  che  comportino  l'inedificabilita',
 perdono  ogni  efficacia  qualora  entro  cinque  anni  dalla data di
 approvazione del piano regolatore generale non siano stati  approvati
 i   relativi  piani  particolareggiati  od  autorizzati  i  piani  di
 lottizzazione convenzionati. L'efficacia  dei  vincoli  predetti  non
 puo'  essere  protratta  oltre  il  termine  di  attuazione dei piani
 particolareggiati e di lottizzazione."
   L'efficacia  delle  indicazioni  di  piano  veniva  successivamente
 prorogata  (legge  30  novembre  1973,  n. 756 e succ. proroghe) fino
 all'entrata in vigore della legge  concernente  l'edificabilita'  dei
 suoli  e  delle  relative leggi regionali, sull'implicito presupposto
 che la questione avrebbe trovato definitiva soluzione in quella sede.
   Senonche', la Corte costituzionale, con sentenza n. 5 del 1980,  ha
 avvertito  che,  anche nel sistema della legge 28 gennaio 1977, n. 10
 sulla edificabilita'  dei  suoli,  lo  ius  aedificandi  continua  ad
 inerire  alla  proprieta',  restando  cosi' attuale il presupposto di
 diritto delle espropriazioni di valore e del conseguente  obbligo  di
 indennizzo.
   In  tal  modo,  la  legge  n.  1187/68 ha maturato un esito sociale
 ulteriore rispetto a quello per cui era  stata  concepita,  divenendo
 norma  permanente  (in  tal  senso, cfr. Corte cost., sent. n. 92 del
 1982).
   Il  fatto  e,  pero',  che  il  principio  dell'alternativita'  tra
 temporaneita' ed indennizzabilita' del vincolo, affermato dalla Corte
 costituzionale  fin  dalle  sentenze n. 55 del 1968 e n. 82 del 1982,
 era stato attuato dalla legge n. 1187/68,  sul  presupposto  del  suo
 carattere  transitorio,  nella  sola  parte  della  temporaneita' del
 vincolo, nulla disponendosi quanto all'indennizzabilita'.
   Ora,  invece,  la legge predetta deve essere applicata ad una nuova
 fattispecie emergente nella prassi  amministrativa:  la  reiterazione
 dei  vincoli  divenuti  inefficaci  per scadenza del quinquennio, che
 puo'  collocarsi  dall'una  o  dall'altra  parte  del   crinale   tra
 temporaneita' ed indennizzabilita' del vincolo.
    Investita  del  problema  sotto  il profilo della legittimita' del
 potere di reiterazione, la Corte costituzionale, con sentenza n.  575
 del 1989, interpretativa di rigetto, ha avvertito:
     a) che e' propria della potesta' pianificatoria  la  possibilita'
 di   rinnovare   illimitatamente   nel   tempo   i  vincoli  su  beni
 indeterminati,  purche'  adeguatamente  motivata  in  relazione  alle
 effettive esigenze urbanistiche;
     b)  che  l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile
 dalla potesta' di reiterarli indefinitamente nel tempo anche  se  con
 diversa   motivazione   o  con  altri  mezzi,  e'  costituzionalmente
 legittima a  condizione  che    l'esercizio  di  detta  potesta'  non
 determini  situazioni  incompatibili con la garanzia della proprieta'
 secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del
 1968.
    5.  -  In  tale  cornice  normativa,  il  collegio  dubita   della
 legittimita'  costituzionale  del  sistema (artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40
 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e  2,  comma  1  della  legge  19
 novembre  1968,  n. 1187) posto a presidio dell'indennizzabilita' dei
 vincoli inaedificandi.
    6. - Le questioni appaiono  rilevanti,  dovendo  il  giudice  fare
 applicazione  delle  norme  predette  per  le ragioni esposte sub1) e
 rientrando  le  questioni  medesime,  in  base  al  diritto   vivente
 formatosi successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n.
 575  del  1989,  nella giurisdizione del giudice amministrativo, come
 rilevato sub2).
    7. - Come esposto  in  precedenza,  per  effetto  della  legge  n.
 1187/68     e     delle    sue    applicazioni,    la    problematica
 dell'indennizzabilita' dei vincoli  inaedificandi  si  e'  trasferita
 dalla fattispecie dell'imposizione di vincoli di durata indeterminata
 -   che   la  Corte  costituzionale  ha  qualificato  sostanzialmente
 espropriativa,  ricollegandovi  l'obbligo  dell'indennizzo   -   alla
 diversa fattispecie della reiterazione di vincoli temporanei.
   Tale  reiterazione  e' ammissibile senza indennizzo a condizione di
 non superare la soglia massima di tollerabilita' del  vincolo,  oltre
 la  quale  la  reiterazione  integra  gli  estremi  della fattispecie
 espropriativa e determina la corresponsione dell'indennizzo.
   Tuttavia, questa  soglia  massima  di  tollerabilita'  non  risulta
 espressamente  definita  dalle disposizioni sopra menzionate, che non
 prevedono il caso della reiterazione del vincolo.
   Ecco, quindi, che nella specie confliggono posizioni  contrapposte,
 pretendendosi  dai  ricorrenti  che una sola reiterazione del vincolo
 sia sufficiente a determinare tassativamente il sorgere  dell'obbligo
 di  indennizzo  (cfr.  p. 29 del ricorso di primo grado), opponendosi
 dal comune, ed anche in precedenti giurisprudenziali, che a tal  fine
 siano necessarie plurime reiterazioni.
   In   tale   situazione,   l'accertamento   dell'esistenza   di  una
 fattispecie espropriativa tassativa e'  prioritario,  ai  fini  della
 pronuncia  sulle  domande dei ricorrenti, su quello dell'esistenza di
 una fattispecie espropriativa elastica.
   Cio'  posto,  il  collegio dubita della legittimita' costituzionale
 del sistema sotto un triplice profilo.
    8. - In primo luogo, la mancata determinazione per legge dei  casi
 in  cui  la  reiterazione  dei  vincoli costituisce espropriazione di
 valore  e  comporta  la  corresponsione  dell'indennizzo  appare  non
 conforme,   sotto  il  profilo  del  difetto  di  tassativita'  della
 fattispecie, alla riserva di legge di cui all'art.  42,  terzo  comma
 della   Cost.,   secondo   cui  la  proprieta'  privata  puo'  essere
 espropriata per motivi di interesse generale nei casi preveduti dalla
 legge.
   Vero e' che la possibilita' di reiterazione dei vincoli urbanistici
 e' propria della potesta' pianificatoria,  ma  e'  vero  altresi  che
 appare  ineludibile  la  definizione  specifica  dei casi in cui alla
 compressione   del    diritto    di    proprieta'    consegue,    con
 l'espropriazione, la corresponsione dell'indennizzo.
   La proposizione generale di cui alla sentenza n. 575 del 1989 della
 Corte  costituzionale (l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa
 possibile dalla potesta'  di  reiterarli  indefinitamente  nel  tempo
 anche   se   con   diversa   motivazione   o   con  altri  mezzi,  e'
 costituzionalmente legittima a condizione che  l'esercizio  di  detta
 potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della
 proprieta'  secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966
 e  n.  55  del  1968),  sufficiente  a  risolvere  la  questione   di
 legittimita'    costituzionale   della   reiterazione   dei   vincoli
 urbanistici  ex  se,  non  appare  invece  idonea  a  soddisfare   il
 presupposto  della  riserva  di  legge,  una  volta  che la questione
 dell'indennizzo sia, come qui appare, rilevante.
   Diversamente   opinando,   l'accertamento   degli   estremi   della
 fattispecie  espropriativa  -  di  valore  -  sarebbe  rimesso  ad un
 apprezzamento discrezionale - delle amministrazioni e dei  giudici  -
 con  compromissione  della  certezza  del  diritto in una materia che
 esige uniformita' di soluzioni.
     9. - In secondo luogo, appare egualmente in contrasto con  l'art.
 42,  terzo comma della Costituzione la mancanza di una previsione con
 legge dei criteri di determinazione dell'indennizzo  per  i  casi  di
 espropriazione di valore, necessaria per la concreta attuabilita' del
 diritto  all'indennizzo,  cosi'  come per la copertura amministrativa
 della spesa.
   10. - Infine, la questione e' rilevante ai fini della pronuncia sui
 motivi d'appello del comune di Roma, la  mancata  determinazione  con
 legge  dei  casi  in  cui  la  reiterazione  dei  vincoli costituisce
 espropriazione e comporta la  corresponsione  dell'indennizzo  appare
 essere  non  soltanto  in  contrasto con la tutela costituzionale del
 diritto di proprieta', ma altresi' di ostacolo al  bilanciamento  tra
 il  diritto  di  proprieta'  e gli altri interessi costituzionalmente
 protetti   cui   e'   preordinata   l'attivita'   di   pianificazione
 urbanistica.
   I   vincoli   che   qui   vengono  in  considerazione,  infatti,  -
 destinazioni a verde pubblico, a servizi pubblici generali e locali -
 sono in via generale, salvo l'esame dei motivi di ricorso proposti in
 primo  grado,  preordinati  alla  localizzazione  di   attivita'   di
 interesse  collettivo  secondo  criteri  di proporzionalita' rispetto
 agli insediamenti residenziali ed a quelli produttivi:  costituiscono
 quindi il contenuto di atti dovuti.
   Ai  sensi  dell'art.  41-quinquies  della  legge 17 agosto 1942, n.
 1150sub, art. 17 della legge 6  agosto  1967,  n.  765,  in  tutti  i
 comuni,  ai  fini  della  formazione di nuovi strumenti urbanistici o
 della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati  limiti
 inderogabili  di  densita'  edilizia,  di  altezza, di distanza tra i
 fabbricati,  nonche'  rapporti  massimi  tra  spazi  destinati   agli
 insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o riservati
 alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi".
   Il  buon  andamento  dell'attivita'  di  pianificazione urbanistica
 viene dunque individuato dal legislatore ordinario  in  uno  sviluppo
 della comunita' territoriale bilanciato tra insediamenti residenziali
 e  produttivi  ed attivita' di interesse collettivo, verde pubblico e
 parcheggi.
   Qualora pero', in  considerazione  della  rilevanza  demografica  o
 delle  difficolta' finanziarie di un comune, l'attuazione dei vincoli
 ritardi,  la  scadenza  contemporanea  e  generalizzata  dei  vincoli
 medesimi per decorso del quinquennio puo' determinare, in mancanza di
 un  meccanismo  correttivo di graduazione temporale, l'impossibilita'
 di reperire le aree da destinare agli standards specifici di legge.
   Da un lato, infatti,  l'ente  locale  presumibilmente  non  dispone
 delle  risorse  sufficienti  per  la  corresponsione  contemporanea e
 generalizzata  degli  indennizzi  a   tutti   gli   aventi   diritto;
 dall'altro,  gli  standards  generali  previsti  nei casi di mancanza
 degli strumenti urbanistici generali (art. 4, ult. comma della  legge
 28  gennaio  1977, n. 10), applicabili anche nei casi di scadenza dei
 vincoli (Ad. plen., 2 aprile  1984,  n.  7),  si  rivelano  idonei  a
 limitare   incisivamente   l'edificazione   residenziale  ma  non  ad
 ostacolare  la  realizzazione  di   edifici,   anche   di   rilevanti
 dimensioni,  commerciali  e  direzionali,  compresi  nella nozione di
 edifici produttivi di cui alla lett. c) dell'art. 4 cit.  (cfr. Cons.
 Stato, sez. V, 15 marzo 1991, n. 262).
   Valga per tutti il caso dell'impugnato provvedimento del comune  di
 Roma,  la  cui  relazione  tecnica  da' atto che, in ordine alle aree
 interessate  dalla  scadenza  dei  vincoli,  erano  state  presentate
 domande edilizie per una cubatura pari a 2.500.000 mc.
   In  situazioni  siffatte,  in  mancanza  di  un adeguato meccanismo
 correttivo  di  graduazione  temporale  ed  in  presenza  di  plurime
 contemporanee  iniziative  edificatorie  dei  privati,  l'ente locale
 sarebbe impossibilitato a reiterare i vincoli, le aree necessarie per
 il reperimento degli standards specifici  sarebbero  conseguentemente
 destinate,  con l'edificazione da parte dei privati, ad irrimediabile
 compromissione  ed  il  modello  legale  di  sviluppo  bilanciato   a
 sostanziale inattuazione.
   Sotto questo aspetto, la mancanza di una legge che, nel prevedere i
 casi  in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e
 comporta la corresponsione dell'indennizzo, attui, con un  meccanismo
 correttivo   di   graduazione,   un   bilanciamento   tra   interessi
 costituzionalmente rilevanti, appare in contrasto con  gli  artt.  97
 (in   quanto   deviazione   dal   modello  di  buon  andamento  della
 pianificazione urbanistica), 9 comma secondo e 32 comma primo  Cost.,
 cui  il regime degli standards, nella sua preordinazione "forte" alla
 tutela del paesaggio e del diritto alla salute, appare principalmente
 riconducibile.
   Per  le  suesposte considerazioni, apparendo le suesposte questioni
 di  legittimita'  costituzionale  rilevanti  e   non   manifestamente
 infondate,  gli  atti  vanno  rimessi  alla Corte costituzionale e il
 giudizio va sospeso.
                                P.Q.M.
   Il Consiglio di Stato in s.g. (Adunanza plenaria), visti gli  artt.
 1  della  legge  cost. 9 febbraio1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
   Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli
 artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n.  1150  e  2,
 comma  primo,  della  legge  19 novembre 1968, n. 1187 in riferimento
 agli artt. 42, comma terzo, 97, 9, comma secondo e 32,  comma  primo,
 della Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio;
   Ordina che a cura  della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in causa nonche' al Presidente del Consiglio
 dei  Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
     Roma, addi' 1 luglio 1996
                         Il presidente: Anelli
                                                L'estensore: Baccarini
 97C0086