N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 marzo 1997
N. 11 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 21 marzo 1997 (della regione Emilia-Romagna) Paesaggio (tutela del) - Dichiarazione di notevole interesse pubblico, con decreto del sottosegretario di Stato del Ministero per i beni culturali e ambientali, dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l'emergenza di Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forli' - Adozione di tale provvedimento, su iniziativa e proposta del sopraintendente per i beni ambientali e architettonici di Ravenna e senza richiedere alla regione Emilia-Romagna di formulare una propria valutazione in proposito, dopo che la Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali prevista dall'art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, nella seduta, in Forli', dell'8 maggio 1995, aveva deliberato col voto favorevole di tutti i suoi componenti tranne che di quello del su indicato sopraintendente, di limitare l'imposizione del vincolo solo ad un'area del Colle di Corzano, non ravvisando la necessita' di estenderlo alle altre suddette localita' - Lamentato contrasto con l'art. 82, comma 2, lett. a), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (come modificato dall'art. 1 del d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431), sul quale l'impugnato decreto ministeriale si fonda, in quanto il potere dello stesso art. 82, comma 2, lett. a) conservato al Ministero nel rapporto costituitosi con la delega, contestualmente disposta, alle regioni, delle funzioni amministrative concernenti l'individuazione dei beni da proteggere, e' limitata alla "integrazione" degli elenchi approvati dalle regioni, e non si puo' quindi far diventare il medesimo, come nel caso e' avvenuto, un potere di controllo gerarchico di merito sulle decisioni collegiali locali - Denunciata violazione, altresi', del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, che trova garanzia nell'art. 5 della Costituzione, oltre che di quello della equilibrata concorrenza delle une e delle altre competenze richiesta, anche nella materia de qua, dall'art. 97 della Costituzione - Affermata ammissibilita' del sollevato conflitto, anche in considerazione delle interferenze, della funzione esercitata dal Ministero, nella politica urbanistica della regione, e non costituendo un ostacolo insuperabile alla stessa ammissibilita' le pronunce della Corte in senso contrario in precedenti casi di conflitti di attribuzione proposti da regioni a tutela di funzioni delegate - Riferimenti alle sentenze nn. 359/1985, 151 e 152 del 1986, 302 e 559 del 1988 e 282/1992. (Decreto del Ministero beni culturali e ambientali del 30 ottobre 1996). (Cost., artt. 5 e 97; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 82, secondo comma, lett. a), modificato dal d.-l. 26 giugno 1985, n. 312, art. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431).(GU n.14 del 2-4-1997 )
Ricorso della regione Emilia-Romagna in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 268 del 4 marzo 1997 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 10 marzo 1997 (rep. n. 21102) rogata dal notaio dott.ssa Rita Merone di Bologna (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova, Fabio Dani di Bologna e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri 5; contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione che non spetta allo Stato di sovrapporre in modo puramente discrezionale e gerarchico le proprie valutazioni alle diverse valutazioni espresse dalla regione in attuazione di funzioni delegate, provvedendo, in assenza di qualunque confronto con la regione stessa, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico di centri storici quando questa era stata espressamente ritenuta non necessaria in sede legale; nonche' per il conseguente annullamento, del decreto del sottosegretario di Stato del Ministero per i beni culturali ed ambientali 30 ottobre 1996, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 2 dell'11 gennaio 1997, recante Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l'emergenza di Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forli', per violazione: dell'art. 118, comma primo, della Costituzione, con riferimento alle funzioni regionali proprie in materia urbanistico-paesistica, delle regole e principi costituzionali disciplinanti le relazioni tra Stato e regioni nello svolgimento del rapporto di delega; del principio di leale cooperazione tra Stato e regioni; dell'art. 97 della Costituzione; per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o La delicata vicenda che da' origine al presente ricorso risulta in gran parte, pur se non sempre esattamente, narrata nelle premesse del provvedimento qui contestato. Ivi si legge che nel 1977 la commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Forli' approvo' un verbale con cui si dichiarava il notevole interesse pubblico di parte dei territori oggetto dell'attuale misura di vincolo, ma che a tale verbale "non e' seguito alcun provvedimento formale", ne' da parte regionale ne', giova precisare, da parte ministeriale. A diciotto anni di distanza la legge regionale n. 6 del 1995, di riforma del sistema della pianificazione urbanistica e paesistica, disponeva tra l'altro, all'art. 10, u.c., che "i procedimenti per l'apposizione del vincolo paesaggistico di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, ed alla legge regionale n. 26/1978 non perfezionati ... sono conclusi di diritto, nel senso della mancata apposizione del vincolo, a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore ... ferma restando la possibilita' per le commissioni provinciali di rinnovare le proposte". Nel caso concreto, cio' contribuiva alla chiarezza della situazione giuridica, ponendo termine ad un procedimento iniziato ma dopo moltissimi anni non ancora concluso. Di fatto tuttavia la nuova situazione sollecitava ex novo l'attenzione della soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Ravenna, la quale nel momento stesso dell'approvazione della legge regionale sopra detta richiedeva "e per l'area predetta la convocazione d'urgenza della commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Forli' al fine di rinnovare la procedura di vincolo". A seguito di tale richiesta la citata commissione provinciale si e' riunita in data 8 maggio 1995. In tale riunione si e' proceduto ad una approfondita valutazione degli interessi in gioco, in relazione agli strumenti di tutela disponibili, ritenendosi in conclusione la necessita' di una misura ai sensi della legge n. 1497 del 1939 soltanto per l'emergenza del colle di Corzano. A tale delibera fu' data piu' precisa esecuzione con la ulteriore riunione del 21 settembre 1995 - cui non prese parte benche' invitato il soprintendente ai beni ambietali - nella quale si specificarono i vincoli posti in relazione a Corzano. Secondo le premesse del provvedimento qui' contestato, a seguito delle decisioni assunte "dal 18 maggio 1995 ai sensi e per gli effetti della legge regionale suddetta il vincolo sopradescritto risulterebbe di fatto decaduto, cosi' che "pertanto, non sarebbe piu' necessaria la procedura prevista dalla legge n. 431/1985 per il rilascio dell'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497/1939". Per vero, e' da dubitare dell'esattezza di tale prospettazione se e' vero che, come enunciato nello stesso atto, al verbale del 1977 nessun formale provvedimento era seguito, ne' in sede regionale ne' in sede ministeriale. Se nessuna esecuzione era stata data all'ormai antico verbale, nessun vincolo poteva in realta' venir meno. Ne' tale situazione di non statuizione di un vincolo specifico aveva minimamente compromessoi lo stato dei luoghi. Al contrario, dalla stessa motivazione dell'atto impugnato risulta che, quando al contesto ambientale, "le pendici ricoperte in passato da folti boschi e poi disboscate in epoca relativamente recente per essere coltivate, negli ultimi anni sono state efficacemente rimboscate con numerose specie di piante caratteristiche della zona". Dunque, la politica paesistica seguita dalle autorita', dalle comunita' e dalle popolazioni locali non solo non aveva condotto a guasti ambientali, ma aveva drasticamente corretto gli errori di un piu' lontano passato. In questa situazione, inoltre, negli ultimi anni la tutela paesistico-ambinetale aveva preso corpo e vigore nella pianificazione regionale e nei piani regolatori locali, che alla gia' spontanea situazione di tutela e di rispetto dei luoghi aggiungevano l'efficacie presidio di specifiche regole e vincoli. E' dunque in tale situazione che la determinazione della commissione provinciale di non prevedere un vincolo ex lege n. 1497/1939 globale e generale - vincolo che, se mai era esistito, oggi non appariva affatto necessario - ma di disporre un vincolo specifico in relazione alla sola emergenza di Corzano appare saggia e ragionevole. Senonche' nel frattempo il soprintendente per i beni ambientali e architettonici con nota del 21 luglio 1995 n. 10883 formulava al Ministero proposta di vincolo per l'intera amplissima zona indicata nell'intitolazione dell'atto ed in esso precisamente definita, considerando che la zona "riveste un notevole interesse paesaggistico sia per la presenza dei significativi centri storici di San Piero in Bagno e Bagno di Romagna, sia per la possibilita' di godimento delle numerose visuali panoramiche che intrecciandosi reciprocamente, permettono di osservare i centri abitati sullo sfondo naturale costituito da ampie distese coltivate ed estese zone boscate": il che - a parte il linguaggio aulico e solenne - potrebbe dirsi in pratica, e per fortuna del nostro paese, dell'intera Italia appenninica. Sulla base di tale proposta il Sottosegretario delegato dal Ministro per i beni culturali ed ambientali ha emanato l'atto qui contestato: il quale, ad avviso, della ricorrente regione Emilia-Romagna, si rivela illegittimamente lesivo delle sue prerogative costituzionali per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Premessa sulla legittimazione della regione Emilia-Romagna alla proposizione del conflitto. Il presente conflitto si riferisce a funzioni delegate alla regione dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977. Questa circostanza, collegata alla copiosa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale nella materia, richiede che le prime argomentazioni siano dedicate alla discussione della legittimazione della regione Emilia-Romagna al conflitto. La regione e' infatti pienamente consapevole dell'esistenza di una consistente linea giurisprudenziale per la quale le funzioni regionali delegate in materia di tutela ambientale non costituirebbero spettanza regionale tutelabile mediante il ricorso a codesta ecc.ma Corte. Cosi' secondo la sentenza n. 152/1986 "le attribuzioni soltanto delegate ... non sono in linea di principio difendibili col rimedio del conflitto di attribuzione", in particolare, poi non lo sarebbero "le attribuzioni dovute alla regione con l'art. 82 d.P.R. n. 616/1977, in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti", la cui previsione "esclude ... la garanzia costituzionale delle competenze delegate". Tale orientamento, che risaliva ad un momento anteriore la svolta giurisprudenziale con la quale codesta Corte ha in certi casi ammesso il conflitto a tutela delle funzioni delegate, di cui si dira', e' stato tuttavia seguito anche in sentenze successive a tale svolta (tra le quali la n. 1112 del 1988), ed ha ricevuto conferma con la sentenza n. 282 del 1992, ove e' espressamente affermato che "l'entita' e la rilevanza" delle attribuzioni statali residue devolute al Ministero "inducono ad affermare che le funzioni delegate alle regioni ... non sono suscettibili di tutela attraverso il conflitto di atttribuzioni". Tuttavia, nonostante tale linea giurisprudenziale, la regione Emilia-Romagna ritiene di poter soddisfare i criteri richiesti per la legittimazione al ricorso, e cio' per un doppio ordine di ragioni. In primo luogo, e' giustificata una nuova riflessione sulla distinzione tra deleghe "traslative" e deleghe "libere", e sulla completezza e sufficienza di tale criterio nel giudicare l'ammissibilita' del conflitto. Come e' ben noto, tale distinzione fu elaborata ed introdotta nella giurisprudenza di codesta Corte con la sentenza n. 559 del 1988: con essa si noto' che il fenomeno della delega comprende diverse situazioni, e che talune di esse erano particolarmente prossime alla situazione delle funzioni proprie, si apre l'obiettiva connessione con le materie proprie, sia per l'assenza di funzioni statali residue tranne quelle di origine generale: per tali "devolutive" si ammise la tutelabilita'. Tale criterio, che rappresento' una svolta rispetto alla precedente posizione radicalmente negativa, ha tuttavia, ad avviso della regione, due limiti: da una parte non tutela affatto il rapporto costituzionale di delega come tale, ma soltanto assimila alle funzioni trasferite una minuscola quota di quelle delegate; dall'altra esso fa poi in sostanza del legislatore statale l'arbitro della tutelabilita' costituzioanle del rapporto di delega: basta infatti che esso trattenga allo Stato taluni poteri significativi, affinche' la tutelabilita' sia esclusa proprio nel momento, verrebbe da dire, in cui l'intreccio delle funzioni la renderebbe piu' urgente. Ad avviso della regione, la questione della esperibilita' del conflitto in relazione alle funzioni delegate potrebbe porsi in modo nuovo chiedendosi non gia' se le funzioni delegate possano essere tutelate come le funzioni proprie, bensi' se esista o meno uno statuto costituzionale della delega, che le regioni delegatarie abbiano un interesse a vedere rispettato. In questa prospettiva, sembra di poter affermare che, benche' le funzioni delegate non siano affatto assimilabili a quelle proprie, nel senso che mentre per le seconde la regione ha un diritto costituzionale al trasferimento, per le prime lo Stato rimane a livello costituzionale completamente libero nell'assegnarle o meno, tuttavia l'istituto della delega e' pur sempre un istituto giuridico avente un proprio statuto costituzionale: esso cioe' esprime un rapporto tra Stato e regioni che e' nei suoi tratti fondamentali non solo previsto ma anche disciplinato dalla Costituzione. I tratti salienti di tale rapporto costituzionale sono vari. Vi e' in primo luogo la necessita' che l'assegnazione della funzione delegata avvenga "con legge". Cio' certamente non toglie la distinzione con le funzioni proprie (cfr. sentenza n. 151/86), ma costituisce ugualmente un tratto fondamentale del rapporto costituzionale di delega: di modo che sarebbe invasivo dell'autonomia regionale, e ad avviso della regione Emilia-Romagna tutelabile di fronte e codesta ecc.ma Corte, il conferimento di una delega (o la sua abrogazione) con regolamento o con provvedimento amministrativo. In secondo luogo, fa parte dello statuto costituzionale della delega che lo Stato mantenga sulle funzioni delegate un potere di dettare "istruzioni", e che tali istruzioni siano decise dal "Governo centrale", secondo il disposto dell'art. 121 della Costituzione. In terzo luogo, anche al rapporto di delega non possono non applicarsi le regole che valgono a disciplinare le relazioni tra Stato e regioni in quanto soggetti di rilievo costituzionale e costituzionalmente titolari, a diverso titolo, della funzione di realizzare in modo coordinato i compiti della Repubblica. In particolare, non puo' ad avviso della regione non caratterizzare anche il rapporto di delega il principio di leale collaborazione, quale principio cardine della relazione tra i due ordini di soggetti in quanto tali, nell'ambito dell'art. 5 della Costituzione. In altre parole, cio' che va tutelato nel rapporto di delega non e' tanto - come forse troppo spesso e' apparso - la "titolarita'" delle funzioni delegate (titolarita' che in effetti per definizione non ha supporto costituzionale, essendo il legislatore ordinario lasciato libero di attivare o meno la delega per ciascuna funzione non propria della regione), ma lo svolgimento del rapporto pur liberamente attivato dal legislatore nel quadro prestabilito a livello costituzionale. Anche nel rapporto di delega la regione entra come soggetto dotato di garanzie costituzionali, ed in primo luogo come titolare costituzionale della garanzia che tale rapporto - che ove correttamente attivato la regione deve subire - si svolga in effetti secondo le regole poste dalla Costituzione stessa. In questo senso, tra le "attribuzioni" regionali al cui presidio e' rivolto il conflitto a termini dell'art. 134 della Costituzione non puo' non essere incluso (non gia' questa o quella funzione delegata come tale ma) il diritto di esercitare qualunque funzione delegata nel regime costituzionale previsto dalla carta fondamentale; e nello stesso senso, ovviamente, deve essere intesa la "competenza costituzioinale" di cui all'art. 39, comma primo, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che d'altronde, proprio per il suo carattere attuativo, non potrebbe recare un significato diverso e limitativo rispetto a quello implicito in Costituzione. Le considerazioni sopra svolte appaiono alla ricorrente regione in grado di fondare la legittimazione al ricorso a prescindere da una nuova valutazione sul carattere traslativo o meramente libero della delega operata dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977: nuova riflessione che pure la regione ritiene di per se' giustificata, tenuto conto della particolare ampiezza e stabilita' del conferimento, del fatto che esso e' disposto con un atto - il d.P.R. n. 616 del 1977 - per il quale la legge di delegazione prevedeva quale principio direttivo la delega delle "funzioni amministrative necessaria per rendere possibile l'esercizio organico da parte delle regioni delle funzioni gia' trasferite o delegate" (art. 1, comma 1, lett. c) legge n. 382 del 1975), e dell'appartenenza alla Repubblica nel suo insieme e non al solo Stato del compito di tutelare il paesaggio ai sensi dell'art. 9 della Costituzione (cfr. sentenza n. 302 del 1988, nella quale il carattere devolutivo o traslativo della delega in questione pareva implicito). Accanto alle ragioni ora esposte, collegate all'affermazione della necessaria tutelabilita' dello statuto costituzionale del rapporto di delega, la regione ritiene di avere una diversa ragione di legittimazione al presente conflitto, consistente nella indubbia interferenza che la funzione esercitata dal Ministero comporta nella politica urbanistica della regione. Si noti che l'affermazione in questi termini della legittimazione non implica affatto che si neghi la distinzione tra la materia urbanistica (comprensiva degli aspetti paesistici) e la tutela ambientale in senso stretto, distinzione sempre affermata nella giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze n. 359/1985, 151 e 152 del 1986). Al contrario, presupponendo tale distinzione, si afferma tuttavia che l'esercizio dei poteri statali in materia ambientale puo' comportare, e nel caso comporta, una interferenza in grado di ledere, ove illeggittimamente compiuta, le funzioni costituzionali proprie della regione. Nel caso specifico, appare chiaro che l'inclusione di una ampia area negli elenchi dei beni soggetti alla particolare autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497/1939 rende eventuale, e da ultimo dipendente da una autorita' statale, la realizzazione delle previsioni urbanistiche locali. 2. - Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. Che lo Stato nella presente vicenda non si sia attenuto alle regole di comportamento imposte dal principio di leale collaborazione tra Stato e regioni risulta, ad avviso della ricorrente Regione, gia' da quanto esposto in narrativa. Il sopraintendente ai beni ambientali di Ravenna fa parte della commissione provinciale preposta alla compilazione degli elenchi dei beni da sottoporre a tutela. Di tale commissione egli chiese ed ottenne la convocazione. Dal verbale della riunione dell'8 maggio 1995 risulta che in essa fu esposto il punto di vista del comune di Bagno di Romagna, secondo cui, a paragone della proposta vincolistica del 1977, risultava ormai inutile il vincolo della Foresta di Lama, in quanto inclusa nell'area di un parco nazionale, non necessari altresi' i vincoli dei centri storici, ormai disciplinati dai piani regolatori, coerenti con il piano paesistico regionale, necessario ancora invece il vincolo relativo all'area di Corzano. Nella stessa riunione - come pure risulta dal verbale - l'arch. Cozzolino espose il suo punto di vista, ritenendo anch'egli superfluo il vincolo della Foresta di Lama, in quanto altrimenti disposto, ritenendo ancora che l'emergenza di Corzano andasse vincolata anche se in un perimetro inferiore rispetto alla proposta del 1977, e ritenendo infine che dovesse rimanere il vincolo sui centri storici. La divergenza riguardava dunque il vincolo sui centri storici. Posta la questione in votazione, la proposta dell'arch. Cozzolino ottenne un solo voto, mentre tutti i rimanenti membri della commissione furono contrari. Quando dunque nelle premesse dell'atto impugnato si legge che la proposta di limitare il vincolo all'emergenza di Corzano fu approvata "la maggioranza" si dice una cosa tecnicamente giusta, che tuttavia in pratica vuol dire che fu approvata all'unanimita' con il solo voto contrario dell'arch. Cozzolino. Il soprintendente tuttavia non si perse d'animo ma, rinunciando ormai a partecipare ai successivi lavori della commissione provinciale, in data 21 luglio 1995 con nota n. 10883 formulava direttamente al Ministero la proposta che, da questo recepita, ha condotto all'atto qui contestato. Quando il legislatore del d.P.R. n. 616 del 1977 delego' all'art. 82 alle regioni le funzioni relative alla compilazioine degli elenchi delle belezze naturali tutelate, e contemporaneamente ammise un potere concorrente del Ministero di "integrare" tale elenco, penso' in sostanza che diverse zone potessero trovare convergente tutela, le une ad iniziativa locale, le altre ad iniziativa ministeriale: ma certo il concorrente potere di integrare gli elenchi non fu concepito alla stregua di un surrettizio ricorso gerarchico avverso le decisioni locali. Ma questo e' proprio cio' che e' accaduto: la Soprintendenza, rimasta in minoranza - o piuttosto rimasta del tutto isolata nel ritenere la opportunita' di un certo vincolo - ha semplicemente ottenuto la vanificazione delle valutazioni rese in sede locale attraverso la sovrapposizione del potere ministeriale. Il quale potere a questo modo, piu' che di semplice "integrazione" degli elenchi, diventa un permanente potere di controllo gerarchico di merito sulle decisioni collegiali locali: quando persino secondo le regole dello Stato accentrato non c'e' potere gerarchico sugli organi collegiali| E' chiaro tuttavia che da una simile prassi la procedura locale risulta del tutto delegittimata: e verrebbe da dire che, in simili circostanze, occorrerebbe almeno riconoscere alla regione il diritto di rifiutare la delega, quando non siano realizzate per il suo esercizio condizioni coerenti con lo status costituzionale della stessa regione e con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, ad avviso della regione anch'esso leso da provvedimenti ministeriali che di fatto revocano e vanificano provvedimenti legittimamente assunti in sede locale dalle competenti autorita', sulla base di specifiche e pertinenti valutazioni. La ricorrente regione ritiene che in una simile situazione il Ministero, nel rispetto del principio di leale collaborazione, avrebbe potuto e dovuto quanto meno rappresentare alla regione stessa i gravi motivi di interesse pubblico che a suo avviso richiedevano la statuizionie dei vincoli nonostante la contraria determinazione della commissione provinciale, e richiedere alla regione di formulare una propria valutazione, che il Ministero stesso avrebbe poi dovuto tenere presente nell'assumere quelle finali valutazioni che la legge gli consente. Solo cosi' si sarebbe potuto conseguire quella "equilibrata concorrenza e cooperazione fra le une e le altre competenze" richiesta in questa materia dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 302 del 1988. Non avendo fatto cio', il Ministero ha violato il principio di leale collaborazione ed il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, rendendo privo di senso, di autorita' e di credibilita' l'esercizio della funzione delegata.
Tutto cio' premesso, la ricorrente regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa chiede voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di sovrapporre in modo puramente discrezionale e gerarchico le proprie valutazioni alle diverse valutazioini espresse dalla regione in attuazione di funzioni delegate, provvedendo, in assenza di qualunque confronto con la regione stessa, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico di centri storici quando questa era stata espressamente ritenuta non necessaria in sede locale nonche' conseguentemente annullare il decreto del sottosegretario di stato del Ministero per i beni culturali ed ambientali 30 ottobre 1996, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 2 dell'11 gennaio 1997, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l'emergenza di Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forli' per violazione: delle disposizioni e principi costituzionali e di legislazione attuativa indicati in premessa. Padova-Bologna-Roma, addi' 10 marzo 1997 Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Fabio Dani - avv. Luigi Manzi 97X0113