N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 marzo 1997

                                 N. 11
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 21 marzo 1997 (della regione Emilia-Romagna)
 Paesaggio  (tutela  del)  -  Dichiarazione  di   notevole   interesse
    pubblico,  con  decreto del sottosegretario di Stato del Ministero
    per i beni culturali e ambientali, dei centri storici di  Bagno  e
    di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona
    S.  Piero  in  Bagno  e  Bagno di Romagna, compresa l'emergenza di
    Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in  provincia  di
    Forli'  - Adozione di tale provvedimento, su iniziativa e proposta
    del sopraintendente per i  beni  ambientali  e  architettonici  di
    Ravenna   e   senza  richiedere  alla  regione  Emilia-Romagna  di
    formulare una  propria  valutazione  in  proposito,  dopo  che  la
    Commissione  provinciale  per  la  tutela  delle bellezze naturali
    prevista dall'art. 2 della legge 29 giugno 1939,  n.  1497,  nella
    seduta,  in  Forli', dell'8 maggio 1995, aveva deliberato col voto
    favorevole di tutti i suoi componenti tranne che di quello del  su
    indicato  sopraintendente,  di  limitare l'imposizione del vincolo
    solo ad un'area del Colle di Corzano, non ravvisando la necessita'
    di estenderlo alle altre suddette localita' - Lamentato  contrasto
    con  l'art.  82,  comma 2, lett. a), del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
    616 (come modificato dall'art. 1 del d.-l. 27 giugno 1985, n. 312,
    convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431), sul quale  l'impugnato
    decreto  ministeriale  si  fonda, in quanto il potere dello stesso
    art. 82, comma 2, lett.  a) conservato al Ministero  nel  rapporto
    costituitosi   con   la  delega,  contestualmente  disposta,  alle
    regioni,     delle     funzioni     amministrative     concernenti
    l'individuazione   dei   beni  da  proteggere,  e'  limitata  alla
    "integrazione" degli elenchi approvati dalle  regioni,  e  non  si
    puo'  quindi far diventare il medesimo, come nel caso e' avvenuto,
    un potere  di  controllo  gerarchico  di  merito  sulle  decisioni
    collegiali locali - Denunciata violazione, altresi', del principio
    di  leale  collaborazione  tra Stato e regioni, che trova garanzia
    nell'art.   5  della  Costituzione,  oltre  che  di  quello  della
    equilibrata   concorrenza  delle  une  e  delle  altre  competenze
    richiesta,  anche  nella  materia  de  qua,  dall'art.  97   della
    Costituzione  -  Affermata ammissibilita' del sollevato conflitto,
    anche  in  considerazione  delle  interferenze,   della   funzione
    esercitata   dal   Ministero,  nella  politica  urbanistica  della
    regione,  e  non  costituendo un ostacolo insuperabile alla stessa
    ammissibilita' le pronunce  della  Corte  in  senso  contrario  in
    precedenti casi di conflitti di attribuzione proposti da regioni a
    tutela  di  funzioni  delegate  -  Riferimenti  alle  sentenze nn.
    359/1985, 151 e 152 del 1986, 302 e 559 del 1988 e 282/1992.
 (Decreto del Ministero beni culturali e  ambientali  del  30  ottobre
    1996).
 (Cost., artt. 5 e 97; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 82, secondo
    comma, lett. a), modificato dal d.-l. 26 giugno 1985, n. 312, art.
    1,  convertito,  con  modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n.
    431).
(GU n.14 del 2-4-1997 )
   Ricorso della regione  Emilia-Romagna  in  persona  del  presidente
 della  Giunta  regionale  pro-tempore,  autorizzato con deliberazione
 della  Giunta  regionale  n.  268  del  4  marzo   1997   (all.   1),
 rappresentata  e  difesa - come da procura speciale del 10 marzo 1997
 (rep. n. 21102) rogata dal notaio dott.ssa  Rita  Merone  di  Bologna
 (all.  2)  - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova, Fabio Dani
 di Bologna e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso
 lo studio dell'avv.  Manzi, via Confalonieri 5;
   contro  il  Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   per   la
 dichiarazione  che  non  spetta  allo  Stato  di  sovrapporre in modo
 puramente discrezionale e  gerarchico  le  proprie  valutazioni  alle
 diverse  valutazioni espresse dalla regione in attuazione di funzioni
 delegate, provvedendo, in  assenza  di  qualunque  confronto  con  la
 regione  stessa, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico di
 centri storici quando questa era  stata  espressamente  ritenuta  non
 necessaria in sede legale;
   nonche'   per   il   conseguente   annullamento,  del  decreto  del
 sottosegretario di Stato  del  Ministero  per  i  beni  culturali  ed
 ambientali  30  ottobre  1996,  pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 2
 dell'11 gennaio 1997, recante  Dichiarazione  di  notevole  interesse
 pubblico  dei  centri  storici  di Bagno e di S. Piero in Bagno e del
 rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno  di
 Romagna,  compresa  l'emergenza  di  Corzano  ricadenti nel comune di
 Bagno di Romagna in provincia di Forli', per violazione:
     dell'art. 118, comma primo, della Costituzione,  con  riferimento
 alle funzioni regionali proprie in materia urbanistico-paesistica,
     delle   regole   e  principi  costituzionali    disciplinanti  le
 relazioni tra Stato e  regioni  nello  svolgimento  del  rapporto  di
 delega;
     del principio di leale cooperazione tra Stato e regioni;
     dell'art. 97 della Costituzione;
 per i profili e nei modi di seguito illustrati.
                               F a t t o
   La  delicata vicenda che da' origine al presente ricorso risulta in
 gran parte, pur se non sempre esattamente, narrata nelle premesse del
 provvedimento  qui  contestato.  Ivi  si  legge  che  nel   1977   la
 commissione  provinciale  per  la  tutela  delle bellezze naturali di
 Forli'  approvo'  un  verbale  con  cui  si  dichiarava  il  notevole
 interesse pubblico di parte dei territori oggetto dell'attuale misura
 di vincolo, ma che a tale verbale "non e' seguito alcun provvedimento
 formale",  ne'  da  parte  regionale  ne',  giova precisare, da parte
 ministeriale.
   A  diciotto  anni  di distanza la legge regionale n. 6 del 1995, di
 riforma del sistema della pianificazione   urbanistica e  paesistica,
 disponeva  tra  l'altro,  all'art.  10, u.c., che "i procedimenti per
 l'apposizione del vincolo paesaggistico di cui alla legge  29  giugno
 1939,    n. 1497, ed alla legge regionale n. 26/1978 non perfezionati
 ... sono conclusi di diritto, nel senso della mancata apposizione del
 vincolo, a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata  in
 vigore   ...  ferma  restando  la  possibilita'  per  le  commissioni
 provinciali di  rinnovare  le  proposte".  Nel  caso  concreto,  cio'
 contribuiva   alla  chiarezza  della  situazione  giuridica,  ponendo
 termine ad un procedimento  iniziato  ma  dopo  moltissimi  anni  non
 ancora concluso.
   Di   fatto   tuttavia  la  nuova  situazione  sollecitava  ex  novo
 l'attenzione  della  soprintendenza   per   i   beni   ambientali   e
 architettonici    di   Ravenna,   la   quale   nel   momento   stesso
 dell'approvazione della legge regionale sopra detta    richiedeva  "e
 per  l'area  predetta  la  convocazione  d'urgenza  della commissione
 provinciale per la tutela delle bellezze naturali della provincia  di
 Forli' al fine di rinnovare la procedura di vincolo".
   A seguito di tale richiesta la citata commissione provinciale si e'
 riunita  in  data  8 maggio 1995. In tale riunione si e' proceduto ad
 una approfondita valutazione degli interessi in gioco,  in  relazione
 agli  strumenti  di tutela disponibili, ritenendosi in conclusione la
 necessita' di una misura ai  sensi  della  legge  n.  1497  del  1939
 soltanto  per  l'emergenza  del colle di Corzano. A tale delibera fu'
 data piu'  precisa  esecuzione  con  la  ulteriore  riunione  del  21
 settembre   1995   -   cui   non  prese  parte  benche'  invitato  il
 soprintendente ai beni ambietali - nella  quale  si  specificarono  i
 vincoli posti in relazione a Corzano.
   Secondo  le  premesse  del provvedimento qui' contestato, a seguito
 delle decisioni assunte "dal 18  maggio  1995  ai  sensi  e  per  gli
 effetti  della  legge  regionale  suddetta  il vincolo sopradescritto
 risulterebbe di fatto decaduto, cosi' che "pertanto, non sarebbe piu'
 necessaria la procedura prevista  dalla  legge  n.  431/1985  per  il
 rilascio dell'autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497/1939".
   Per  vero,  e' da dubitare dell'esattezza di tale prospettazione se
 e' vero che, come enunciato nello stesso atto, al  verbale  del  1977
 nessun  formale  provvedimento era seguito, ne' in sede regionale ne'
 in sede ministeriale. Se nessuna esecuzione era stata data  all'ormai
 antico verbale, nessun vincolo poteva in realta' venir meno.
   Ne'  tale  situazione  di  non  statuizione di un vincolo specifico
 aveva minimamente compromessoi lo stato  dei  luoghi.  Al  contrario,
 dalla  stessa  motivazione dell'atto impugnato risulta che, quando al
 contesto ambientale, "le pendici ricoperte in passato da folti boschi
 e poi disboscate in epoca relativamente recente per essere coltivate,
 negli ultimi anni sono state efficacemente  rimboscate  con  numerose
 specie  di  piante  caratteristiche  della zona". Dunque, la politica
 paesistica  seguita  dalle  autorita',  dalle   comunita'   e   dalle
 popolazioni  locali  non solo non aveva condotto a guasti ambientali,
 ma aveva  drasticamente  corretto  gli  errori  di  un  piu'  lontano
 passato.
   In   questa  situazione,  inoltre,  negli  ultimi  anni  la  tutela
 paesistico-ambinetale aveva preso corpo e vigore nella pianificazione
 regionale e nei piani regolatori  locali,  che  alla  gia'  spontanea
 situazione   di   tutela   e  di  rispetto  dei  luoghi  aggiungevano
 l'efficacie presidio di specifiche regole e vincoli.
   E'   dunque   in   tale  situazione  che  la  determinazione  della
 commissione provinciale di  non  prevedere  un  vincolo  ex  lege  n.
 1497/1939 globale e generale - vincolo che, se mai era esistito, oggi
 non appariva affatto necessario - ma di disporre un vincolo specifico
 in   relazione  alla  sola  emergenza  di  Corzano  appare  saggia  e
 ragionevole.
   Senonche' nel frattempo il soprintendente per i beni  ambientali  e
 architettonici  con  nota  del  21  luglio 1995 n. 10883 formulava al
 Ministero proposta di vincolo per l'intera amplissima  zona  indicata
 nell'intitolazione   dell'atto  ed  in  esso  precisamente  definita,
 considerando che la zona "riveste un notevole interesse paesaggistico
 sia per la presenza dei significativi centri storici di San Piero  in
 Bagno  e Bagno di Romagna, sia per la possibilita' di godimento delle
 numerose  visuali  panoramiche  che  intrecciandosi   reciprocamente,
 permettono  di  osservare  i  centri  abitati  sullo  sfondo naturale
 costituito da ampie distese coltivate ed estese zone boscate": il che
 - a parte il   linguaggio  aulico  e  solenne  -  potrebbe  dirsi  in
 pratica,   e   per  fortuna  del  nostro  paese,  dell'intera  Italia
 appenninica.
    Sulla base  di  tale  proposta  il  Sottosegretario  delegato  dal
 Ministro  per  i  beni  culturali ed ambientali ha emanato l'atto qui
 contestato:    il  quale,  ad  avviso,   della   ricorrente   regione
 Emilia-Romagna,   si   rivela   illegittimamente   lesivo  delle  sue
 prerogative costituzionali per le seguenti ragioni di
                             D i r i t t o
   1. - Premessa sulla  legittimazione  della  regione  Emilia-Romagna
 alla proposizione del  conflitto.
   Il presente conflitto si riferisce a funzioni delegate alla regione
 dall'art.  82  del  d.P.R.  n.  616  del  1977.  Questa  circostanza,
 collegata  alla  copiosa  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma   Corte
 costituzionale  nella  materia,  richiede che le prime argomentazioni
 siano dedicate alla discussione della  legittimazione  della  regione
 Emilia-Romagna al conflitto.
   La  regione e' infatti pienamente consapevole dell'esistenza di una
 consistente  linea  giurisprudenziale  per  la  quale   le   funzioni
 regionali    delegate   in   materia   di   tutela   ambientale   non
 costituirebbero spettanza regionale tutelabile mediante il ricorso  a
 codesta ecc.ma Corte.
   Cosi'  secondo  la  sentenza  n. 152/1986 "le attribuzioni soltanto
 delegate ... non sono in linea di principio difendibili  col  rimedio
 del  conflitto di attribuzione", in particolare, poi non lo sarebbero
 "le  attribuzioni  dovute  alla  regione  con  l'art.  82  d.P.R.  n.
 616/1977,  in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato di
 poteri concorrenti", la  cui  previsione  "esclude  ...  la  garanzia
 costituzionale  delle  competenze  delegate".  Tale orientamento, che
 risaliva ad un momento anteriore la svolta giurisprudenziale  con  la
 quale  codesta  Corte  ha in certi casi ammesso il conflitto a tutela
 delle funzioni delegate, di cui si dira', e' stato  tuttavia  seguito
 anche  in  sentenze successive a tale svolta (tra le quali la n. 1112
 del 1988), ed ha ricevuto conferma con la sentenza n. 282  del  1992,
 ove  e'  espressamente affermato che "l'entita' e la rilevanza" delle
 attribuzioni statali  residue  devolute  al  Ministero  "inducono  ad
 affermare  che  le  funzioni  delegate  alle  regioni  ...  non  sono
 suscettibili di tutela attraverso il conflitto di atttribuzioni".
   Tuttavia,  nonostante  tale  linea  giurisprudenziale,  la  regione
 Emilia-Romagna ritiene di poter soddisfare i criteri richiesti per la
 legittimazione al ricorso, e cio' per un doppio ordine di ragioni.
   In  primo  luogo,  e'  giustificata  una  nuova  riflessione  sulla
 distinzione tra deleghe "traslative"  e  deleghe  "libere",  e  sulla
 completezza   e   sufficienza   di   tale   criterio   nel  giudicare
 l'ammissibilita' del conflitto. Come e' ben noto, tale distinzione fu
 elaborata ed introdotta nella giurisprudenza di codesta Corte con  la
 sentenza  n.  559  del  1988: con essa si noto' che il fenomeno della
 delega comprende diverse situazioni,  e  che  talune  di  esse  erano
 particolarmente  prossime  alla situazione delle funzioni proprie, si
 apre  l'obiettiva  connessione  con  le  materie  proprie,  sia   per
 l'assenza  di  funzioni  statali  residue  tranne  quelle  di origine
 generale: per tali "devolutive" si ammise la tutelabilita'.
   Tale criterio, che rappresento' una svolta rispetto alla precedente
 posizione  radicalmente  negativa,  ha  tuttavia,  ad  avviso   della
 regione,  due  limiti:  da  una  parte non tutela affatto il rapporto
 costituzionale  di  delega  come  tale,  ma  soltanto  assimila  alle
 funzioni   trasferite   una   minuscola  quota  di  quelle  delegate;
 dall'altra esso fa poi in sostanza del legislatore statale  l'arbitro
 della  tutelabilita'  costituzioanle  del  rapporto  di delega: basta
 infatti che esso trattenga allo Stato  taluni  poteri  significativi,
 affinche'  la tutelabilita' sia esclusa proprio nel momento, verrebbe
 da dire,  in  cui  l'intreccio  delle  funzioni  la  renderebbe  piu'
 urgente.
   Ad  avviso  della  regione,  la  questione  della esperibilita' del
 conflitto in relazione alle funzioni delegate potrebbe porsi in  modo
 nuovo  chiedendosi  non  gia'  se le funzioni delegate possano essere
 tutelate come le funzioni  proprie,  bensi'  se  esista  o  meno  uno
 statuto  costituzionale  della  delega,  che  le  regioni delegatarie
 abbiano un interesse a vedere rispettato.
   In questa prospettiva, sembra di poter affermare  che,  benche'  le
 funzioni  delegate  non  siano affatto assimilabili a quelle proprie,
 nel senso che  mentre  per  le  seconde  la  regione  ha  un  diritto
 costituzionale  al  trasferimento,  per  le  prime  lo Stato rimane a
 livello costituzionale completamente libero nell'assegnarle  o  meno,
 tuttavia  l'istituto della delega e' pur sempre un istituto giuridico
 avente un proprio  statuto  costituzionale:  esso  cioe'  esprime  un
 rapporto  tra Stato e regioni che e' nei suoi tratti fondamentali non
 solo previsto ma anche disciplinato dalla Costituzione.
   I tratti salienti di tale rapporto costituzionale sono vari. Vi  e'
 in  primo  luogo  la  necessita'  che  l'assegnazione  della funzione
 delegata  avvenga  "con  legge".  Cio'  certamente  non   toglie   la
 distinzione  con  le  funzioni  proprie (cfr. sentenza n. 151/86), ma
 costituisce  ugualmente   un   tratto   fondamentale   del   rapporto
 costituzionale di delega: di modo che sarebbe invasivo dell'autonomia
 regionale,  e  ad  avviso  della regione Emilia-Romagna tutelabile di
 fronte e codesta ecc.ma Corte, il conferimento di una  delega  (o  la
 sua abrogazione) con regolamento o con provvedimento amministrativo.
   In  secondo  luogo,  fa  parte  dello  statuto costituzionale della
 delega che lo Stato mantenga sulle funzioni  delegate  un  potere  di
 dettare "istruzioni", e che tali istruzioni siano decise dal "Governo
 centrale", secondo il disposto dell'art. 121 della Costituzione.
   In  terzo  luogo,  anche  al  rapporto  di  delega  non possono non
 applicarsi le regole che valgono  a  disciplinare  le  relazioni  tra
 Stato  e  regioni  in  quanto  soggetti  di  rilievo costituzionale e
 costituzionalmente titolari, a  diverso  titolo,  della  funzione  di
 realizzare   in  modo  coordinato  i  compiti  della  Repubblica.  In
 particolare, non puo' ad  avviso  della  regione  non  caratterizzare
 anche  il  rapporto  di  delega il principio di leale collaborazione,
 quale principio cardine della relazione tra i due ordini di  soggetti
 in quanto tali, nell'ambito dell'art. 5 della Costituzione.
   In altre parole, cio' che va tutelato nel rapporto di delega non e'
 tanto  - come forse troppo spesso e' apparso - la "titolarita'" delle
 funzioni delegate (titolarita' che in effetti per definizione non  ha
 supporto  costituzionale,  essendo  il legislatore ordinario lasciato
 libero di attivare o meno la delega per ciascuna funzione non propria
 della regione),  ma  lo  svolgimento  del  rapporto  pur  liberamente
 attivato   dal   legislatore   nel   quadro  prestabilito  a  livello
 costituzionale.  Anche nel rapporto di delega la regione  entra  come
 soggetto  dotato  di  garanzie costituzionali, ed in primo luogo come
 titolare costituzionale della garanzia che tale rapporto  -  che  ove
 correttamente  attivato la regione deve subire - si svolga in effetti
 secondo le regole poste dalla Costituzione stessa.
   In questo senso, tra le "attribuzioni" regionali al cui presidio e'
 rivolto il conflitto a termini dell'art. 134 della  Costituzione  non
 puo'  non  essere incluso (non gia' questa o quella funzione delegata
 come tale ma) il diritto di esercitare  qualunque  funzione  delegata
 nel  regime costituzionale previsto dalla carta fondamentale; e nello
 stesso  senso,  ovviamente,  deve  essere   intesa   la   "competenza
 costituzioinale" di cui all'art. 39, comma primo, ultima parte, della
 legge  11  marzo  1953,  n.  87,  che  d'altronde, proprio per il suo
 carattere attuativo, non potrebbe recare  un  significato  diverso  e
 limitativo rispetto a quello implicito in Costituzione.
   Le  considerazioni sopra svolte appaiono alla ricorrente regione in
 grado di fondare la legittimazione al ricorso a  prescindere  da  una
 nuova  valutazione  sul carattere traslativo o meramente libero della
 delega operata dall'art.  82  del  d.P.R.  n.  616  del  1977:  nuova
 riflessione  che  pure  la  regione  ritiene di per se' giustificata,
 tenuto  conto   della   particolare   ampiezza   e   stabilita'   del
 conferimento,  del fatto che esso e' disposto con un atto - il d.P.R.
 n. 616 del 1977 - per il quale  la  legge  di  delegazione  prevedeva
 quale  principio  direttivo  la delega delle "funzioni amministrative
 necessaria per rendere possibile l'esercizio organico da parte  delle
 regioni  delle funzioni gia' trasferite o delegate" (art. 1, comma 1,
 lett. c) legge n. 382 del 1975), e dell'appartenenza alla  Repubblica
 nel  suo  insieme  e  non  al  solo  Stato del compito di tutelare il
 paesaggio ai sensi dell'art. 9 della Costituzione (cfr.  sentenza  n.
 302  del 1988, nella quale il carattere devolutivo o traslativo della
 delega in questione pareva implicito).
   Accanto alle ragioni ora esposte, collegate all'affermazione  della
 necessaria tutelabilita' dello statuto costituzionale del rapporto di
 delega,   la   regione  ritiene  di  avere  una  diversa  ragione  di
 legittimazione al  presente  conflitto,  consistente  nella  indubbia
 interferenza  che la funzione esercitata dal Ministero comporta nella
 politica urbanistica della regione.
   Si  noti  che l'affermazione in questi termini della legittimazione
 non implica affatto che  si  neghi  la  distinzione  tra  la  materia
 urbanistica  (comprensiva  degli  aspetti  paesistici)  e  la  tutela
 ambientale in  senso  stretto,  distinzione  sempre  affermata  nella
 giurisprudenza  costituzionale  (cfr. sentenze n. 359/1985, 151 e 152
 del 1986). Al contrario, presupponendo tale distinzione,  si  afferma
 tuttavia  che  l'esercizio  dei  poteri statali in materia ambientale
 puo' comportare, e nel caso comporta, una interferenza  in  grado  di
 ledere,  ove  illeggittimamente  compiuta, le funzioni costituzionali
 proprie della regione.
   Nel caso specifico, appare chiaro che  l'inclusione  di  una  ampia
 area  negli elenchi dei beni soggetti alla particolare autorizzazione
 ex art. 7 legge n. 1497/1939 rende eventuale, e da ultimo  dipendente
 da   una   autorita'   statale,  la  realizzazione  delle  previsioni
 urbanistiche locali.
   2. - Violazione del principio di leale collaborazione tra  Stato  e
 regioni.
   Che lo Stato nella presente vicenda non si sia attenuto alle regole
 di  comportamento  imposte  dal principio di leale collaborazione tra
 Stato e regioni risulta, ad avviso della ricorrente Regione, gia'  da
 quanto esposto in narrativa.
   Il  sopraintendente  ai  beni  ambientali di Ravenna fa parte della
 commissione provinciale preposta alla compilazione degli elenchi  dei
 beni  da  sottoporre  a  tutela.  Di  tale commissione egli chiese ed
 ottenne la convocazione. Dal verbale  della  riunione  dell'8  maggio
 1995  risulta  che in essa fu esposto il punto di vista del comune di
 Bagno di Romagna, secondo cui, a paragone della proposta vincolistica
 del 1977, risultava ormai inutile il vincolo della Foresta  di  Lama,
 in  quanto  inclusa  nell'area  di  un parco nazionale, non necessari
 altresi' i vincoli dei centri storici, ormai disciplinati  dai  piani
 regolatori,  coerenti  con  il piano paesistico regionale, necessario
 ancora invece il vincolo relativo all'area di Corzano.
   Nella stessa riunione - come pure risulta  dal  verbale  -  l'arch.
 Cozzolino espose il suo punto di vista, ritenendo anch'egli superfluo
 il  vincolo  della  Foresta  di  Lama, in quanto altrimenti disposto,
 ritenendo ancora che l'emergenza di Corzano andasse  vincolata  anche
 se  in  un  perimetro  inferiore  rispetto  alla proposta del 1977, e
 ritenendo infine che dovesse rimanere il vincolo sui centri storici.
   La divergenza riguardava dunque  il  vincolo  sui  centri  storici.
 Posta  la  questione  in  votazione, la proposta dell'arch. Cozzolino
 ottenne  un  solo  voto,  mentre  tutti  i  rimanenti  membri   della
 commissione  furono  contrari. Quando dunque nelle premesse dell'atto
 impugnato  si  legge  che  la  proposta  di   limitare   il   vincolo
 all'emergenza  di  Corzano  fu approvata "la maggioranza" si dice una
 cosa tecnicamente giusta, che tuttavia in pratica vuol  dire  che  fu
 approvata  all'unanimita'  con  il  solo  voto  contrario  dell'arch.
 Cozzolino.
   Il soprintendente tuttavia non si  perse  d'animo  ma,  rinunciando
 ormai   a   partecipare   ai   successivi  lavori  della  commissione
 provinciale, in data 21 luglio  1995  con  nota  n.  10883  formulava
 direttamente  al  Ministero  la  proposta che, da questo recepita, ha
 condotto all'atto qui contestato.
   Quando  il  legislatore del d.P.R. n. 616 del 1977 delego' all'art.
 82 alle regioni le funzioni relative alla compilazioine degli elenchi
 delle belezze  naturali  tutelate,  e  contemporaneamente  ammise  un
 potere  concorrente  del Ministero di "integrare" tale elenco, penso'
 in sostanza che diverse zone potessero trovare convergente tutela, le
 une ad iniziativa locale, le altre  ad  iniziativa  ministeriale:  ma
 certo il concorrente potere di integrare gli elenchi non fu concepito
 alla   stregua  di  un  surrettizio  ricorso  gerarchico  avverso  le
 decisioni locali.
   Ma questo e' proprio  cio'  che  e'  accaduto:  la  Soprintendenza,
 rimasta  in  minoranza  -  o  piuttosto rimasta del tutto isolata nel
 ritenere la opportunita' di  un  certo  vincolo  -  ha  semplicemente
 ottenuto  la  vanificazione  delle  valutazioni  rese  in sede locale
 attraverso la  sovrapposizione  del  potere  ministeriale.  Il  quale
 potere  a  questo  modo,  piu'  che  di semplice "integrazione" degli
 elenchi, diventa un permanente  potere  di  controllo  gerarchico  di
 merito  sulle  decisioni collegiali locali: quando persino secondo le
 regole dello Stato accentrato non c'e' potere gerarchico sugli organi
 collegiali|
   E' chiaro tuttavia che da una simile  prassi  la  procedura  locale
 risulta  del  tutto  delegittimata: e verrebbe da dire che, in simili
 circostanze, occorrerebbe almeno riconoscere alla regione il  diritto
 di  rifiutare  la  delega,  quando  non  siano  realizzate per il suo
 esercizio condizioni coerenti  con  lo  status  costituzionale  della
 stessa  regione  e  con il principio di buon andamento della pubblica
 amministrazione,  ad  avviso  della   regione   anch'esso   leso   da
 provvedimenti   ministeriali  che  di  fatto  revocano  e  vanificano
 provvedimenti legittimamente assunti in sede locale dalle  competenti
 autorita', sulla base di specifiche e pertinenti valutazioni.
   La  ricorrente  regione  ritiene  che  in  una simile situazione il
 Ministero,  nel  rispetto  del  principio  di  leale  collaborazione,
 avrebbe potuto e dovuto quanto meno rappresentare alla regione stessa
 i gravi motivi di interesse pubblico che a suo avviso richiedevano la
 statuizionie dei vincoli nonostante la contraria determinazione della
 commissione  provinciale,  e richiedere alla regione di formulare una
 propria valutazione, che  il  Ministero  stesso  avrebbe  poi  dovuto
 tenere  presente nell'assumere quelle finali valutazioni che la legge
 gli  consente.  Solo  cosi'  si  sarebbe  potuto  conseguire   quella
 "equilibrata  concorrenza  e  cooperazione  fra  le  une  e  le altre
 competenze" richiesta  in  questa  materia  dalla  giurisprudenza  di
 codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 302 del 1988.
   Non  avendo  fatto  cio',  il  Ministero ha violato il principio di
 leale collaborazione ed il principio di buon andamento della pubblica
 amministrazione,  rendendo  privo  di  senso,  di  autorita'   e   di
 credibilita' l'esercizio della funzione delegata.
   Tutto  cio'  premesso,  la  ricorrente regione Emilia-Romagna, come
 sopra rappresentata e difesa chiede  voglia  l'eccellentissima  Corte
 costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di sovrapporre in
 modo puramente discrezionale e gerarchico le proprie valutazioni alle
 diverse valutazioini espresse dalla regione in attuazione di funzioni
 delegate,  provvedendo,  in  assenza  di  qualunque  confronto con la
 regione stessa, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico  di
 centri  storici  quando  questa  era stata espressamente ritenuta non
 necessaria in  sede  locale  nonche'  conseguentemente  annullare  il
 decreto  del  sottosegretario  di  stato  del  Ministero  per  i beni
 culturali  ed  ambientali  30  ottobre  1996,  pubblicato in Gazzetta
 Ufficiale n.  2  dell'11  gennaio  1997,  recante  "Dichiarazione  di
 notevole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero
 in  Bagno  e  del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in
 Bagno e Bagno di Romagna, compresa l'emergenza di  Corzano  ricadenti
 nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forli' per violazione:
 delle  disposizioni  e  principi  costituzionali  e  di  legislazione
 attuativa indicati in premessa.
     Padova-Bologna-Roma, addi' 10 marzo 1997
 Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Fabio Dani - avv. Luigi Manzi
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