N. 109 SENTENZA 9 - 22 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Minori - Minori condannati a pena detentiva derivante da  conversione
 di  pena  sostitutiva  per  violazione  delle relative prescrizioni -
 Affidamento  in  prova  al  servizio  sociale   e   ammissione   alla
 semi-liberta' - Esclusione per i condannati di minore eta' al momento
 della  sentenza  di  condanna - Rigido automatismo insito nella norma
 impugnata ed escludente ogni valutazione  discrezionale  in  antitesi
 con  le  finalita'  di reinserimento sociale del giovane condannato -
 Contrasto con il principio di funzione  rieducativa  della  pena  con
 parificazione   dei   condannati   minorenni   a   quelli   adulti  -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 67).
 
(GU n.18 del 30-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 67 della legge
 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)  promosso  con
 ordinanza emessa il 15 dicembre 1995 dal tribunale per i minorenni di
 Genova  nel procedimento penale a carico di B.D., iscritta al n.  396
 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 febbraio 1997 il giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un procedimento instaurato a seguito  di  istanza
 di   affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,  avanzata  da  un
 condannato minorenne all'epoca della condanna,  il  tribunale  per  i
 minorenni  di  Genova,  in funzione di tribunale di sorveglianza, con
 ordinanza emessa il 15 dicembre 1995, pervenuta a questa Corte  il  5
 aprile 1996, e iscritta al n. 396 del registro ordinanze del 1996, ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  67  della  legge 24 novembre
 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "nella parte in  cui  non
 consente  (recte:   in cui consente) di ritenere che l'affidamento in
 prova al servizio sociale  e  l'ammissione  alla  semiliberta'  siano
 esclusi  anche  per  il  condannato,  minore di eta' al momento della
 sentenza di condanna, in espiazione di pena detentiva per conversione
 effettuata ai sensi del primo comma dell'art. 66 della citata legge".
   Il giudice  remittente  rileva  che  l'instante  deve  scontare  un
 residuo  di  pena  di  mesi  1 e giorni 8 di reclusione, derivante da
 conversione in pena detentiva della pena sostitutiva  della  liberta'
 controllata,  effettuata ai sensi dell'art. 66 della legge n. 689 del
 1981, a seguito di inosservanza delle relative prescrizioni, e che il
 condannato si trova in condizioni che  consentirebbero  l'affidamento
 al  servizio sociale, se non vi ostasse il divieto di cui all'art. 67
 della stessa legge, a cui tenore "l'affidamento in prova al  servizio
 sociale  e l'ammissione al regime di semiliberta' sono esclusi per il
 condannato  in  espiazione  di   pena   detentiva   per   conversione
 effettuata" ai sensi del comma 1 dell'art. 66.
   Osserva  il  giudice  a  quo  che, benche' la legge n. 689 del 1981
 abbia,  almeno  in  parte,  tenuto  presente  la  specificita'  della
 condizione  minorile,  in  particolare  con l'art. 75 (concernente le
 modalita' di esecuzione della liberta' controllata nei confronti  del
 condannato  minorenne),  l'art. 67 della stessa legge non consente di
 differenziare in alcun modo il condannato minorenne da quello adulto,
 con  la   conseguenza   di   un   trattamento   in   fase   esecutiva
 indifferenziato a fronte di situazioni soggettive totalmente diverse.
   Il    remittente    sottolinea    l'evoluzione    giurisprudenziale
 verificatasi nella materia del diritto penale minorile  grazie  anche
 agli interventi della Corte costituzionale, ricordando in particolare
 la sentenza n. 46 del 1978 che aveva ritenuto, in via interpretativa,
 non  applicabile  ai  minori  il  rigido divieto di concessione della
 liberta' provvisoria previsto dall'art. 1 della legge 22 maggio 1975,
 n. 152, e osservando che nella specie i termini della questione  sono
 analoghi,  trovandosi  l'interprete  di  fronte ad un automatismo che
 impedisce valutazioni e prognosi individualizzate che  tengano  conto
 delle  possibilita'  di  recupero  del  "giovane  adulto" il quale ha
 commesso in eta' minore il reato per cui e' stato condannato.
   Aggiunge poi che la legislazione internazionale e' intervenuta piu'
 volte per mettere in  evidenza  la  particolarita'  della  condizione
 minorile  in  ambito penale: ricordando la dichiarazione dell'ONU del
 29 novembre 1985  (c.d. regole di Pechino), che rimarca la necessita'
 di un trattamento "efficace, equo ed umano" e l'esigenza di prevedere
 un potere discrezionale degli  organi  giudicanti  anche  nella  fase
 esecutiva; e la convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre
 1989,  resa  esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176,
 il  cui  art.  40  afferma  che  al  minore  condannato  deve  essere
 assicurato  un  trattamento  "che  tenga conto della sua eta' nonche'
 della necessita' di facilitare il suo reinserimento nella societa'  e
 di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest'ultima".
   Tali principi, che ad avviso del remittente in certa misura possono
 rappresentare   un'estrinsecazione  in  ambito  penale  minorile  dei
 principi  fondamentali  enunciati  nell'art.  3  della  Costituzione,
 sarebbero  anche  a  fondamento  del  nuovo processo penale minorile,
 disciplinato dal d.P.R. 29 settembre 1988, n. 448, che ha  introdotto
 una  nuova  normativa  incidente  anche  sul  diritto sostanziale. E'
 rimasto invece irrisolto il problema di un ordinamento  penitenziario
 minorile, sicche' e' tuttora vigente l'art. 79 della legge n. 354 del
 1975,  ai  cui  sensi  le  norme  dell'ordinamento  penitenziario "si
 applicano  anche  nei  confronti  dei  minori  degli  anni   diciotto
 sottoposti  a  misure  penali, fino a quando non sara' provveduto con
 apposita legge".
   Nella materia delle sanzioni sostitutive il d.P.R. n. 448 del  1988
 -  rileva  il  remittente - ha apportato rilevanti novita', ma non ha
 preso in considerazione una modifica  dell'art.  67  della  legge  n.
 689.  L'inerzia  del  legislatore  nell'adottare  una  normativa  che
 introduca nel settore penitenziario gli adattamenti  e  i  correttivi
 richiesti  dalla  specificita'  della  condizione  minorile,  inerzia
 perdurante nonostante i richiami della  stessa  Corte  costituzionale
 (si  ricorda  in  proposito  la  sentenza  n.  125  del  1992), rende
 doveroso, ad avviso del giudice a quo, sollevare  la    questione  di
 legittimita' costituzionale di detto art. 67.
   2.  -  Non  vi  e'  stata  costituzione di parti ne' intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione  sollevata  investe  l'art.  67  della  legge  24
 novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al sistema penale), che esclude
 l'affidamento in  prova  al  servizio  sociale  e  l'ammissione  alla
 semiliberta'  per  i  condannati  la  cui  pena  detentiva  derivi da
 conversione di pena sostitutiva, effettuata  ai  sensi  dell'art.  66
 della  stessa  legge,  per violazione delle relative prescrizioni. La
 disposizione e' censurata limitatamente alla parte in cui si  applica
 ai condannati di eta' minore al momento della sentenza di condanna.
   Il parametro espressamente invocato e' l'art. 3 della Costituzione,
 ritenendo  il  giudice  a  quo  che  il  principio di eguaglianza sia
 violato per effetto  della  parificazione,  ai  fini  della  suddetta
 esclusione,  del condannato minorenne al condannato di eta' maggiore.
 Ma l'argomentazione del remittente e' fondata  altresi'  sul  rilievo
 che   tale  parificazione,  dando  luogo  all'applicazione  rigida  e
 automatica del divieto di concessione delle misure  alternative  alla
 detenzione, non e' in armonia con i principi, accolti anche a livello
 internazionale,  che  debbono  ispirare la disciplina del trattamento
 penale del  minore,  in  particolare  nella  fase  della  esecuzione:
 principi   che   dal   punto  di  vista  costituzionale,  secondo  la
 giurisprudenza di questa Corte ricordata  ed  invocata  dallo  stesso
 remittente,  si  riconducono,  oltre  che all'art. 3, agli artt.  27,
 terzo  comma,  30  e   31   della   Costituzione,   richiedendo   una
 "considerazione  unitaria"  (sentenza  n.  125 del 1992; e cfr. anche
 sentenza n. 46 del 1978). Onde e'  da  questo  punto  di  vista  piu'
 ampio,  sostanzialmente  fatto  proprio  dal remittente, che la Corte
 ritiene di dover esaminare anche la presente questione.
   2. - La ratio della disposizione di cui all'art. 67 della legge  n.
 689  del  1981  e'  pienamente  individuabile. Poiche' la conversione
 della  pena  sostitutiva  (semidetenzione  o  liberta'   controllata)
 sanziona  la violazione delle prescrizioni ad essa connesse, e dunque
 in certo modo una manifestazione di "immeritevolezza"  del  beneficio
 concesso  con l'applicazione della pena sostitutiva medesima in luogo
 della pena detentiva, comportando il ripristino di  quest'ultima,  il
 legislatore  ha  ritenuto  opportuno escludere che la pena detentiva,
 rimasta cosi' da scontare, possa essere espiata con le  modalita'  di
 esecuzione,  totalmente o parzialmente extracarcerarie, proprie delle
 misure alternative il cui  contenuto  e'  sostanzialmente  analogo  a
 quello   delle   pene  sostitutive  "convertite",  vale  a  dire  con
 l'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  (di  contenuto   non
 dissimile  dalla  liberta'  controllata)  o  con la concessione della
 semiliberta'  (di  contenuto  analogo  alla  semidetenzione).  Si  e'
 stabilita  cosi'  una  sorta di presunzione assoluta di inadeguatezza
 delle misure alternative alla detenzione rispetto alla situazione dei
 condannati che  subiscono  la  conversione  della  pena  sostitutiva,
 escludendo  la  stessa possibilita' di effettuare quell'apprezzamento
 del caso concreto, in rapporto alla  finalita'  di  risocializzazione
 del  condannato  e alla prevenzione di nuovi reati, che sta alla base
 della ammissione a dette misure alternative. Si presume cioe',  senza
 possibilita'  di  valutazione  contraria  nel  caso  concreto, che la
 specifica finalita' rieducativa propria della misura alternativa  (il
 contributo  alla rieducazione del reo, di cui e' parola nell'art. 47,
 comma 1, dell'ordinamento penitenziario, in tema  di  affidamento  in
 prova,  o  la  possibilita'  di  "graduale reinserimento del soggetto
 nella societa'", che condiziona l'ammissione  alla  semiliberta',  ai
 sensi dell'art. 50, comma 4, della stessa legge) debba in questo caso
 cedere alle esigenze di applicazione della pena detentiva nelle forme
 ordinarie  o di prevenzione di nuovi reati attraverso il mantenimento
 pieno dello stato di detenzione del condannato.
   3. - Siffatta presunzione, e la ratio  che  vi  si  ricollega,  non
 appaiono   di  per  se'  senz'altro  irrazionali.  Ma  l'applicazione
 indiscriminata della disposizione de qua anche ai condannati di  eta'
 minore  al momento del reato o al momento della condanna, per i quali
 valgono le speciali esigenze e  regole  proprie  del  diritto  penale
 minorile,  comportando  anche  in questo caso un rigido automatismo e
 impedendo una valutazione individualizzata e flessibile in ordine  al
 trattamento   del   condannato   e  in  rapporto  alla  finalita'  di
 risocializzazione, appare in irrimediabile contrasto con le  predette
 speciali esigenze.
   La  giurisprudenza  di  questa  Corte ha piu' volte sottolineato il
 "peculiare interesse-dovere dello Stato al ricupero del minore",  cui
 "e'  addirittura  subordinata  la  realizzazione o meno della pretesa
 punitiva" (sentenza n. 49 del 1973), e il  fatto  che    la  funzione
 rieducativa  della  pena  "per  i  soggetti  minori  di  eta'  e'  da
 considerarsi, se non esclusiva, certamente preminente"  (sentenza  n.
 168   del  1994);  cosi'  che  "la  giustizia  minorile  deve  essere
 improntata all'essenziale finalita' di recupero del  minore  deviante
 mediante  la  sua  rieducazione  ed  il  suo  reinserimento  sociale"
 (sentenza n. 125 del  1992,  e  v.    ivi  altri  riferimenti).  Tale
 finalita' "caratterizza tutti i momenti e le fasi attraverso le quali
 la  giurisdizione  penale  si esplica nei confronti dei minori", e in
 particolare connota "il  trattamento  del  minore  anche  nella  fase
 esecutiva",  cosi'  che  il  ricorso  all'istituzione carceraria deve
 essere considerato, per i minori, come ultima ratio (ancora  sentenza
 n. 125 del 1992, nonche' sentenza n. 46 del 1978).
   Cosi'   pure   e'   costante  nella  giurisprudenza  costituzionale
 l'affermazione della esigenza che il sistema  di  giustizia  minorile
 sia  caratterizzato  fra l'altro dalla "necessita' di valutazioni, da
 parte dello stesso giudice, fondate su prognosi  individualizzate  in
 funzione del recupero del minore deviante" (sentenze n. 143 del 1996,
 n.  182  del 1991, n. 128 del 1987, n. 222 del 1983, n. 46 del 1978),
 anzi su "prognosi particolarmente individualizzate" (sentenza  n.  78
 del  1989),  questo  essendo  "l'ambito  di  quella  protezione della
 gioventu' che trova fondamento nell'ultimo comma dell'art. 31  Cost."
 (sentenze  n.  128  del  1987,  e n. 222 del 1983): vale a dire della
 "esigenza  di  specifica  individualizzazione  e  flessibilita'   del
 trattamento  che  l'evolutivita'  della  personalita' del minore e la
 preminenza della funzione rieducativa richiedono"  (sentenza  n.  125
 del 1992).
   Siffatte  esigenze,  come e' noto, hanno trovato larga espressione,
 oltre che  nella  disciplina  del  nuovo  processo  penale  minorile,
 dettata  con  il  d.P.R.  22  settembre 1988, n. 448, anche a livello
 internazionale.  Cosi' le "regole minime per l'amministrazione  della
 giustizia   minorile"   (c.d.   regole   di   Pechino)  di  cui  alla
 dichiarazione di New York dell'ONU del 29 novembre  1985,  al  n.  8,
 prevedono  "un  potere  discrezionale  appropriato  a diversi livelli
 dell'amministrazione della giustizia  minorile",  anche  "nella  fase
 esecutiva";  e  la convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New
 York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in Italia con la legge  27
 maggio  1991,  n.  176,  non  solo riconosce al minore condannato "il
 diritto ad un  trattamento  tale  da  favorire  il  suo  senso  della
 dignita'  e del valorepersonale" e che tenga conto fra l'altro "della
 necessita' di facilitare il suo reinserimento  nella  societa'  e  di
 fargli  svolgere  un  ruolo costruttivo in seno a quest'ultima" (art.
 40, comma 1), ma prescrive che la detenzione o  l'imprigionamento  di
 un fanciullo devono "costituire un provvedimento di ultima risorsa ed
 avere la durata piu' breve possibile" (art.  37, lettera b).
   4. - Con le suddette esigenze costituzionalmente tutelate contrasta
 irrimediabilmente il rigido automatismo insito nella norma impugnata,
 che  esclude,  come  si  e' detto, ogni valutazione discrezionale del
 caso concreto, e impedisce  l'adozione  di  misure  alternative  alla
 detenzione  in  carcere per l'espiazione della pena convertita, anche
 quando esse in concreto appaiano appropriate rispetto alla preminente
 finalita' di reinserimento sociale del giovane condannato,  che  puo'
 risultare  in  tal  modo  frustrata.  E  cio',  si  badi,  pur quando
 continuino a sussistere le condizioni generali alle  quali  la  legge
 subordina  l'adozione  delle  misure  alternative,  le  quali possono
 proseguire anche se durante la loro esecuzione sopravvenga un  titolo
 di  esecuzione  di  altra  pena  detentiva, purche', tenuto conto del
 cumulo delle pene, permangano le condizioni di entita' della pena  da
 scontare  che  la  legge  prevede  per le diverse misure (art. 51-bis
 della legge 26 luglio 1975, n. 354).
   5. - La Corte ha gia'  avuto  occasione  di  sottolineare  che  "le
 esigenze  di  recupero  e di risocializzazione dei minori devianti e,
 quindi, di accentuazione della funzione rieducativa della pena  e  di
 differenziazione  del loro trattamento rispetto a quello previsto per
 gli adulti"  restano  "tuttora  non  integralmente  soddisfatte"  con
 riferimento  alla  fase  di esecuzione delle pene, data la perdurante
 applicabilita' ai minori delle norme  dell'ordinamento  penitenziario
 generale,  prevista dall'art.  79 della legge n. 354 del 1975 "fino a
 quando non sara' provveduto con apposita legge", finora non  emanata;
 e  che  "l'assoluta  parificazione  tra  adulti e minori" proprio nel
 campo   delle   misure   alternative   alla   detenzione   "non   e',
 indubbiamente,  in armonia" con i principi che debbono reggere questa
 materia,   risultandone   compressa    l'esigenza    "di    specifica
 individualizzazione  e  flessibilita' del trattamento" del condannato
 minorenne (sentenza n. 125 del 1992).
   A  maggior  ragione  risulta   in   contrasto   con   le   esigenze
 riconducibili  ai  parametri  costituzionali indicati una norma, come
 quella  impugnata,  che  -  parificando  a  sua  volta  i  condannati
 minorenni  a  quelli  adulti  -  introduce  un  ulteriore elemento di
 rigidita'  e  di  automatismo,  tale  da  precludere  al   condannato
 l'accesso  alle  misure  alternative pur in presenza delle condizioni
 generali per esse previste, in forza di una presunzione  assoluta  di
 "immeritevolezza"  o  di  inadeguatezza  della misura, che puo' avere
 certamente, come si e' detto, una sua  ratio  ma  che  nel  caso  dei
 minori contraddice la necessita' di dare preminenza alla finalita' di
 risocializzazione  e  di  adattare  il  trattamento del condannato in
 relazione a valutazioni e prognosi individualizzate e  ancorate  alla
 concretezza del caso.
   6.  -  La  disposizione  denunciata  deve  dunque essere dichiarata
 costituzionalmente illegittima nella  parte  in  cui  si  applica  ai
 condannati di eta' minore al momento della condanna.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 67 della legge
 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),  nella  parte
 in  cui  si  applica  ai  condannati  minori di eta' al momento della
 condanna.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 aprile 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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