N. 264 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 1997
N. 264 Ordinanza emessa il 24 febbraio 1997 dal pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale nel procedimento penale a carico di Zappala' Angelo e Principato Rosario Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti - Sentenza - Non identificabilita', secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', con la sentenza di condanna - Lamentata omessa pronuncia di responsabilita' dell'imputato - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento tra imputati - Lesione dei principi della personalita' della responsabilita' penale e della presunzione di non colpevolezza. (C.P.P. 1988, art. 444). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.21 del 21-5-1997 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel dibattimento penale contro Zappala' Angelo e Principato Rosario imputati del reato di cui agli artt. 56, 110, 624 e 625 c.p. All'udienza odierna imputati e pubblico ministero hanno concordato l'applicazione di una pena. Con sentenza dell'8 maggio 1996 le sezioni unite della Cassazione penale, confermando un orientamento giurisprudenziale e dottrinario diffuso, hanno deciso che la sentenza colla quale il giudice applica la pena concordata dalle parti (art. 444 c.p.p.), non essendo emessa a seguito di giudizio, non e' sentenza di condanna, nel senso che non accerta ne' la fondatezza dell'accusa ne' la colpevolezza dell'imputato. Cio' seppure, come nel caso in esame, in cui gli imputati, in sede di convalida dell'arresto, hanno ammesso l'addebito. L'equiparazione della sentenza in esame alla sentenza di condanna (stabilita dall'art. 445 c.p.p) non varrebbe quindi a far ritenere l'imputato colpevole del reato. Pertanto, secondo questo orientamento consolidato, da ritenersi ormai diritto vivente, il giudice dovrebbe applicare la pena concordata senza esser certo che l'imputato sia colpevole (ossia autore responsabile) e addirittura senza esser certo che il fatto-reato esista o meno. Trattasi, ad avviso di questo giudice, di una concezione aberrante sia sul piano etico che giuridico, perche', scindendo pena da responsabilita', vulnera il principio fondamentale del diritto penale secondo cui non puo' esserci applicazione, di pena (cioe' condanna penale) senza accertamento di responsabilita'. Tale principio, nella Costituzione, trova espressione nell'art. 27 laddove si dispone che la responsabilita' penale e' personale e che l'imputato non e' considerato colpevole sino alla condanna definitiva: infatti dal complesso di dette norme si ricava la correlazione necessaria tra pena e responsabilita'. Oltre a cio', ritenere che il giudice possa applicare una pena a una persona senza essere moralmente certo della sua colpevolezza significa mortificare la funzione giurisdizionale, riducendola a un ruolo meramente notarile. Ed e' per queta ragione che la Corte costituzionale colla sentenza n. 313 del 1990 ha ammesso che il giudice possa valutare la congruita' della pena patteggiata. La mortificazione della funzione giurisdizionale, derivante dalla consolidata interpetrazione dell'art. 444 c.p.p. secondo cui la applicazione della pena concordata non comporta accertamento di colpevolezza dell'imputato (cui la pena e' applicata), contrasta col principio di ragionevolezza (desumibile dall'art. 3 della Costituzione creando una assurda disparita' di trattamento tra imputati, riguardo a un problema cardine del diritto penale, a seconda del rito applicato. La questione sollevata non investe l'istituto del patteggiamento nel suo complesso, bensi' un aspetto dello stesso di fondamentale importanza. Si ritiene, pertanto, non manifestamente infondata e ammissibile la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 444 c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, precisamente nella parte in cui non prevede che la sentenza, colla quale il giudice applica la pena concordata tra le parti, accerta la colpevolezza dell'imputato, ovverosia nella parte in cui non prevede che il giudice nel pronunziare detta sentenza dichiara l'imputato colpevole del reato attribuitogli ovverosia (piu' semplicemente) nella parte in cui non prevede che il giudice su richiesta delle parti "condanna" l'imputato alla pena concordata dalle parti.
Si sospende il giudizio in corso e si dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale dopo che la cancelle avra' compiuto gli adempimenti di cui all'art. 23 della legge n. 87 del 1953. Il pretore: (firma illeggibile) 97C0482