N. 226 SENTENZA 19 giugno - 4 luglio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Rappresentanti di commercio  -  Cancellazione  automatica  dal  ruolo
 degli agenti e rappresentanti di commercio  senza previo procedimento
 disciplinare  in  caso di condanna penale - Riferimento alle sentenze
 della Corte nn. 220/1995, 297/1993 e  971/1988  -  Insussistenza  del
 vincolo  specifico  costituzionale per quanto attiene alla disciplina
 in esame - Non fondatezza.
 
 (Legge 3 maggio 1985, n. 204, art. 7, terzo comma, n. 1).
 
 (Cost., artt. 3, 4, 24, 35 e 97).
 
(GU n.30 del 23-7-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof. Cesare MIRABELLI,   prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.  Cesare  RUPERTO,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,   prof. Guido NEPPI  MODONA,    prof.
 Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, terzo comma,
 numero  1),  della  legge  3  maggio   1985,   n.   204   (Disciplina
 dell'attivita' di agente e rappresentante di commercio), promossi con
 due  ordinanze emesse il 2 luglio 1993 e l'11 gennaio 1994 dal T.A.R.
 per la Puglia, sezione  di  Lecce,  sui  ricorsi  proposti  da  Casto
 Rodolfo  contro la Camera di commercio per l'industria, l'artigianato
 e l'agricoltura  di  Taranto,  e  da  Blandamura  Roberto  contro  la
 Commissione  provinciale  per  la  tenuta  del  ruolo  degli agenti e
 rappresentanti di commercio  e  la  stessa  Camera  di  commercio  di
 Taranto,  iscritte  ai  nn.  468 e 1284 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  22  e  48,
 prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  maggio 1997 il giudice
 relatore Francesco Guizzi.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Il tribunale amministrativo regionale per la Puglia,  sezione
 II  di  Lecce,  investito  dei  ricorsi  proposti  da Rodolfo Casto e
 Roberto Blandamura, con due ordinanze di analogo contenuto, emesse il
 2  luglio  1993  e  l'11  gennaio  1994  (pervenute  a  questa  Corte
 rispettivamente  il 29 aprile e il 4 novembre 1996), ha sollevato, in
 riferimento agli articoli 3, 4,  24,  35  e  97  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 7, terzo comma,
 numero  1),  della  legge  3  maggio   1985,   n.   204   (Disciplina
 dell'attivita'  di  agente e rappresentante di commercio),nella parte
 in cui prevede l'automatica cancellazione dal ruolo  degli  agenti  e
 rappresentanti  di commercio, senza previo procedimento disciplinare,
 qualora sia pronunciata condanna per uno dei reati previsti dall'art.
 5, primo comma, lettera c), della stessa legge.
   Il  Collegio  ricorda  che  la  giurisprudenza  costituzionale   ha
 censurato  l'adozione di sanzioni disciplinari espulsive dei pubblici
 dipendenti conseguenti alla condanna penale, senza che si  svolga  il
 procedimento  disciplinare  (sentenza  n.  971  del  1988): principio
 affermato anche per le libere professioni (sentenze n. 40  del  1990,
 per  i  notai,  e  n.  158 del 1990 per i dottori commercialisti). La
 Corte ha richiesto sanzioni proporzionate  all'addebito  al  fine  di
 tutelare il diritto al lavoro (artt. 4 e 35) e alla difesa (art. 24),
 il  buon  andamento  dell'amministrazione (art. 97) e il principio di
 ragionevolezza  desumibile  dall'art.  3  della  Costituzione.   Ora,
 l'automatica cancellazione dal ruolo per effetto di condanna penale -
 conclude   il   rimettente   -  sarebbe  provvedimento  analogo  alla
 destituzione di diritto, e dunque illegittimo, anche considerando  il
 fatto che nell'ordinamento non vi sono piu' norme analoghe, in virtu'
 dell'art.  9  della  legge  n. 19 del 1990 e delle citate sentenze di
 questa Corte.
                        Considerato in diritto
   1. - Il tribunale amministrativo regionale per la  Puglia,  sezione
 II  di Lecce, con due ordinanze di analogo contenuto ha sollevato, in
 riferimento agli  artt.  3,  4,  24,  35  e  97  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 7, terzo comma,
 numero   1),   della   legge   3  maggio  1985,  n.  204  (Disciplina
 dell'attivita' di agente e rappresentante di commercio), nella  parte
 in  cui  prevede  l'automatica cancellazione dal ruolo degli agenti e
 rappresentanti di commercio, senza procedimento disciplinare, qualora
 sia pronunciata condanna per uno  dei  reati  previsti  dall'art.  5,
 primo comma, lettera c) della stessa legge.
   2.  -  Le  due  ordinanze,  stante  l'identita' dell'oggetto, vanno
 riunite in unico giudizio.
   La questione non e' fondata.
   Il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale in  tema
 di  misure  disciplinari  espulsive  che,  dichiarando illegittima la
 destituzione di diritto, ha posto  il  principio  della  "gradualita'
 sanzionatoria", la quale e' assicurata dal procedimento disciplinare;
 il  principio di proporzione richiede l'adeguatezza della sanzione al
 caso concreto pure quando si tratti della destituzione  o  radiazione
 di  liberi  professionisti  (sentenze  nn.  158 e 40 del 1990). Ma la
 cancellazione dal ruolo, qui  in  esame,  non  e'  assimilabile  alla
 destituzione o a istituti di analoga conformazione.
   L'art.  5,  citato,  individua  i requisiti soggettivi per ottenere
 l'iscrizione nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio,  e
 l'art.  7  contempla  l'ipotesi del venir meno di siffatti requisiti:
 l'intervenuta condanna penale - come le  altre  fattispecie  elencate
 dall'art.  5  -  incide su tale complessiva situazione soggettiva. Il
 provvedimento di  cancellazione  dal  ruolo  e'  conseguenziale  alla
 modificazione  di  essa: non essendo misura disciplinare, non si pone
 infatti l'esigenza - costituzionalmente rilevante - di commisurare la
 sanzione  all'addebito  attraverso  il   procedimento   disciplinare,
 prevedendo   la   partecipazione   dell'incolpato   affinche'   possa
 esercitare il suo diritto di difesa.  Non si puo' invocare,  percio',
 il  principio  di  proporzione  (sul  quale v. la sentenza n. 220 del
 1995) per quei provvedimenti espulsivi che conseguono, di diritto, al
 venir meno di un requisito soggettivo (sentenza n. 297 del 1993); ne'
 vale altresi' il riferimento alla legge n. 19 del 1990, il  cui  art.
 9,  recependo  le  indicazioni  della  giurisprudenza costituzionale,
 ribadisce che il  pubblico  dipendente  non  puo'  essere  destituito
 automaticamente   in   seguito  a  condanna  penale.  Si'  che  vanno
 dichiarate infondate le censure  mosse  con  riguardo  al  canone  di
 razionalita'  normativa,  al diritto di difesa e al principio di buon
 andamento dell'amministrazione; e va  ritenuto  non  pertinente,  per
 l'estraneita'  della  materia, il richiamo agli articoli 4 e 35 della
 Costituzione, non potendosi evincere dalla tutela costituzionale  del
 lavoro  alcun vincolo specifico per quanto attiene alla disciplina in
 esame.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondata   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  terzo  comma, numero 1),
 della legge 3 maggio  1985,  n.  204  (Disciplina  dell'attivita'  di
 agente e rappresentante di commercio), sollevata, in riferimento agli
 articoli  3,  4,  24,  35  e  97  della  Costituzione,  dal tribunale
 amministrativo regionale per la Puglia con le ordinanze in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
                        Il Presidente: Vassalli
                         Il redattore: Guizzi
                        Il cancelliere: Malvica
   Depositata in cancelleria il 4 luglio 1997.
                        Il cancelliere: Malvica
 97C0792