N. 470 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 1997

                                N. 470
  Ordinanza emessa il 5 marzo 1997 dalla Corte dei conti sezione giur.
 per  la  regione  Sicilia  sul  ricorso  proposto da Borgese Antonino
 contro la direzione provinciale del tesoro di Palermo
 Pensioni - Pensionati svolgenti attivita' retribuita alle  dipendenze
    dello Stato, di enti pubblici o di terzi - Divieto di duplicazione
    dell'indennita'   integrativa  speciale  e  di  cumulo  con  altre
    indennita' della stessa  natura  comunque  denominate  -  Ritenuta
    permanente  vigenza, da parte della giurisprudenza della Corte dei
    conti, della  norma  impuganta,  con  conseguente  elusione  della
    sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  232/1992  dichiarativa
    dell'illegittimita' costituzionale di norma di contenuto analogo -
    Incidenza  sul  principio  della  retribuzione  (anche  differita)
    proporzionata  ed adeguata - Riferimento alla sentenza della Corte
    costituzionale n. 566/1989.
 (Legge 27 maggio 1959, n. 324, artt. 1,  comma  quarto,  e  2,  comma
    sesto).
 (Cost., artt. 36 e 136).
(GU n.30 del 23-7-1997 )
                          LA CORTE DEI CONTI
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza n. 99/97/ORD nel giudizio per
 ricorso in materia di pensione civile iscritto al n. 8279/C del  reg.
 di   segr.,   promosso   dal   sig.   Borgese  Antonino,  avverso  il
 provvedimento di revoca della indennita' integrativa speciale e della
 tredicesima mensilita', emesso dalla direzione provinciale del tesoro
 di Palermo in data 21 febbraio 1996.
   Sentiti  nella  pubblica udienza del 5 marzo 1997 il relatore cons.
 Francesco Rapisarda, per l'amministrazione resistente il dott. Pietro
 Di Giovanni; non comparso il ricorrente per la discussione.
   Esaminati gli atti e documenti di causa.
   Premesso in fatto e considerato in diritto.
   Il sig. Borgese Antonino, appuntato  dei  carabinieri  in  pensione
 (iscrizione  n.  4085787)  ha  proposto, nel tempo, ricorsi avverso i
 vari provvedimenti adottati dalla direzione provinciale del Tesoro  -
 da  ultimo  avverso  il  provvedimento  in epigrafe - con il quale e'
 stata sospesa la corresponsione della indennita' integrativa speciale
 e della tredicesima mensilita' ed e' stato disposto il recupero delle
 somme gia' corrisposte essendo stato successivamente  assunto  presso
 altra  amministrazione  statale. Ritiene la direzione provinciale che
 detta indennita' non competa per i periodi durante i quali  e'  stato
 accertato   che   il   sig.   Borgese,  pensionato  dello  Stato,  ha
 contemporaneamente svolto attivita' lavorativa percependo la relativa
 retribuzione.  Cio' in quanto la D.P.T. condivide  quell'orientamento
 giurisprudenziale  che  ritiene vigente il divieto di cumulo pur dopo
 la emanazione delle sentenze della Corte costituzionale  n.  566  del
 1989  e  n.  232 del 1992. Per tale motivo con decorrenza 1 settembre
 1995, essendo stato il ricorrente  assunto  presso  la  scuola  media
 statale  "Porpora" di Cefalu', con il provvedimento ora impugnato, la
 D.P.T. ha disposto la sospensione della  predetta  indennita'  ed  il
 recupero delle somme a tale titolo gia' erogate.
   Nella  pubblica  udienza il rappresentante della amministrazione ha
 confermato la richiesta di rigetto del  ricorso  per  le  motivazioni
 gia' formulate.
   Questa sezione deve decidere sulla base della normativa vigente.
   Va  premesso  che ai sensi dell'art. 97 del d.P.R. n. 1092 del 1973
 "Al titolare di pensione o di assegno rinnovabile  che  presta  opera
 retribuita  alle dipendenze dello Stato, di amministrazioni pubbliche
 o di enti  pubblici,  anche  se  svolgono  attivita'  lucrativa,  non
 competono  la tredicesima mensilita' e l'assegno di caroviveri per il
 periodo in cui ha prestato detta  opera  retribuita";  ai  sensi  del
 successivo  art.  99,  comma  5,  la  corresponsione della indennita'
 integrativa speciale  "e'  sospesa  nei  confronti  del  titolare  di
 pensione  o  di  assegno che presti opera retribuita, sotto qualsiasi
 forma, presso lo Stato, amministrazioni pubbliche  o  enti  pubblici,
 anche  se svolgono attivita' lucrativa".  La Corte costituzionale con
 sentenza  n.   232   del   1992   ha   dichiarato   "l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  97,  comma  1, d.P.R. 29 dicembre 1973, n.
 1092 (approvazione del testo unico delle  norme  sul  trattamento  di
 quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte
 in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non
 compete  la  tredicesima  mensilita'"; con precedente sentenza n. 566
 del 1989 la  Corte  ha  dichiarato  "l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  99,  comma  5,  del  d.P.R.  29  dicembre  1973,  n. 1092"
 (approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
 quiescenza  "dei dipendenti civili e millitari dello Stato" esponendo
 in motivazione  che  "non  sono  legittime  norme  che,  come  quella
 impugnata,  implicano  una sostanziale decurtazione del ''complessivo
 trattamento  pensionistico,  senza   stabilire   il   limite   minimo
 dell'emolumento''  dell'attivita'  esplicata, in relazione alla quale
 tale decurtazione diventa operante".  "L'art. 99, comma 5, del d.P.R.
 29  dicembre  1973,  n.  1092,  va quindi dichiarato illegittimo ''in
 quanto non ha stabilito il limite dell'emolumento  per  le  attivita'
 alle  quali  si  riferisce'',  dovendosi  ritenere ammissibile, al di
 sotto  di  tale  limite,  il  cumulo  integrale   fra   ''trattamento
 pensionistico    e   retribuzione,   senza   che   sia   sospesa   la
 corresponsione'' dell'indennita' integrativa".  In conseguenza  delle
 riportate  sentenze  della  Corte costituzionale si sarebbe creato un
 "vuoto" nell'ordinamento che, in mancanza di un successivo intervento
 del legislatore, le sezioni riunite di questa Corte dei  conti  hanno
 inteso  colmare  con la sentenza n. 100/C del 13 luglio 1994, "la cui
 pronuncia  e'  destinata  a  produrre  effetto  con  l'autorita'   di
 principio  giurisprudenziale,  nell'ambito  di cognizione dei giudizi
 pendenti". Avendo precisato nei seguenti termini il punto di  diritto
 "se  sia  operante - nei confronti di titolari di pensioni, o assegni
 ordinari che prestino opera retribuita in dipendenza della quale gia'
 percepiscono l'i.i.s. - il cumulo o il divieto  di  esso  dell'i.i.s.
 sulla  base  di  norme  diverse  da  quelle  espunte dall'ordinamento
 giuridico con le sentenze della Corte costituzionale", le SS.RR.    -
 "con   valore   di   massima",  -  lo  hanno  cosi'  definito:  "Fino
 all'intervento (futuro) del legislatore ... trova applicazione in via
 analogica, ai sensi dell'art. 12, secondo comma, delle preleggi,  nei
 confronti  di  pensionati  che  svolgono  attivita'  retributiva alle
 dipendenze dello Stato, di enti pubblici e di terzi,  vietare,  oltre
 alla  duplicazione  dell'indennita' integrativa speciale propriamente
 detta, il cumulo di questa con altra indennita' della stessa  natura,
 pur  se diversamente denominata (art. 2, sesto comma, legge 27 maggio
 1959, n. 324".  In vero il sesto comma dell'art. 2 della legge n. 324
 del 1959, riguarda i soggetti titolari di piu' pensioni ai  quali  la
 indennita'  "compete ad un solo titolo" ed in rapporto a tale ipotesi
 risulta  costantemente  applicato  l'art.  99,  comma  2,  del   t.u.
 approvato  con  n.  d.P.R. n. 1092/1973, come vigente a seguito della
 sentenza della Corte costituzionale n. 494 del  31  dicembre  1993  e
 cioe',   che   pur   restando  vietato  il  cumulo  delle  indennita'
 integrative speciali, debba farsi salvo l'importo  corrispondente  al
 trattamento  minimo  di  pensione  previsto  per  il  fondo  pensioni
 lavoratori dipendenti; in  motivazione  e'  richiamato  come  tuttora
 vigente  l'art.  1,  sesto  comma,  della legge n. 324/1959 che cosi'
 dispone:  "L'indennita'  integrativa  speciale  compete  ad  un  solo
 titolo,  con  opzione  per  la  misura  piu'  favorevole  nei casi di
 consentito cumulo di impieghi" ed e' certamente  questa  disposizione
 che le SS.RR. hanno indicato come idonea a colmare il vuoto in quanto
 suscettibile  di  applicazione  in  via  analogica.   Certo e' che le
 SS.RR. hanno, cosi', fatto rivivere la norma che  comunque  vieta  la
 percezione  della indennita' integrativa su due trattamenti dei quali
 uno di quiescenza e l'altro di attivita'.  Tale norma e' ora ritenuta
 vigente e quindi e' stata applicata nelle sentenze emesse  da  alcune
 sezioni regionali e sezioni di appello della Corte dei conti chiamate
 a pronunciarsi successivamente alla decisione di massima emessa dalle
 SS.RR.;  anche il Ministero del tesoro che a seguito della emanazione
 delle citate sentenze della Corte costituzionale,  con  circolare  n.
 281  del  28  aprile  1990  aveva  impartito  istruzioni operative ai
 competenti uffici mirate al  ripristino  della  corresponsione  della
 indennita'  in questione nei casi in cui fosse stata sospesa ai sensi
 della precitata normativa contenuta nel d.P.R. n. 1092/1973,  ritiene
 ora  vigente  la  norma  che  le SS.RR.   della Corte dei conti hanno
 ritenuto vigente ed  applicabile:  tale  disposizione  si  pone  come
 oggettiva  ed  operante  fonte  di  "diritto  vivente", concretamente
 applicato in sede amministrativa ed  in  sede  giurisdizionale.    Il
 contenuto  di tale disposizioni che non contiene alcun "limite minimo
 dell'emolumento dell'attivita' esplicata" tale da  giustificare  "una
 sostanziale  decurtazione del complessivo trattamento pensionistico",
 suscita, con riferimento all'art. 36 della  Costituzione,  le  stesse
 censure  di  illegittimita'  della  norma  ("la  corresponsione della
 indennita' integrativa speciale e' sospesa nei confronti del titolare
 di pensione o di assegno che presti oepra retribuita, sotto qualsiasi
 forma, presso lo Stato, amministrazioni pubbliche  o  enti  pubblici,
 anche  se svolgono attivita' lucrativa": art. 99, comma 5, del d.P.R.
 n.     1092   del   1973)   gia',   per   tali   motivi,   dichiarata
 incostituzionale;  percio'  gli  stessi  devono  essere  ritenuti non
 manifestamente infondati ed il collegio ritiene di doverli assumere a
 sostegno della nuova rimessione al giudice delle leggi per l'esame di
 costituzionalita'.  La fattispecie, peraltro, manifesta un  ulteriore
 profilo  di  incostituzionalita'.    Ai  sensi  dell'art.  136  della
 Costituzione, all'accertamento della incostituzionalita' di una norma
 consegue  la  sua   perdita   di   efficacia   e   le   modificazioni
 dell'ordinamento  giuridico  derivano,  in  forza  della citata norma
 costituzionale, ipso iure dalla  pronuncia  della  Corte;  spetta  ai
 diversi  organi  dell'ordinamento  ed,  in  particolare,  ai  giudici
 rendere  concreto  l'effetto  previsto  dal  predetto   art.      136
 Costituzione  fermo  restando  il rispetto del principio di autonomia
 propria dell'autorita' giudiziaria nell'attivita'  interpretativa  in
 genere  e,  nella specie, per quella diretta alla ricostruzione della
 disciplina giuridica risultante in conseguenza della dichiarazione di
 incostituzionalita'. Il sistema normativo non consente  nemmeno  alla
 stessa  Corte  costituzionale  di  sindacare le scelte interpretative
 effettuate di  volta  in  volta  dall'autorita'  giudiziaria  ne'  di
 interpretare le proprie decisioni. Per tale motivo, come prima detto,
 non  deve  in  questa  sede  essere  valutata  la logicita' esegetica
 espressa nella decisione delle SS.RR. della Corte dei  conti  ne'  la
 sua  compatibilita'  con  la  sentenza  della  Corte  costituzionale.
 Permane, tuttavia, la possibilita' che successivamente,  in  sede  di
 controllo  di  "diritto vivente" la Corte costituzionale possa essere
 chiamata a verificare la conformita' ai precetti costituzionali di un
 indirizzo  giurisprudenziale  consolidato  che  ha  assunto   valenza
 normativa  cogente  giacche'  applica  una  disposizione  legislativa
 tuttora vigente. Cio' in quanto il sistema non consente la violazione
 del contenuto normativo  dell'art.  136  Costituzione  attraverso  la
 reintroduzione,  in contrasto con il dispositivo della sentenza della
 Corte costituzionale, dello stesso precetto contenuto  in  una  norma
 gia'  dichiarata  incostituzionale.    E'  questo un principio che la
 stessa  Corte  costituzionale  ha  avuto  modo   di   affermare   con
 destinazione  generale,  non escluso il legislatore il quale non puo'
 perseguire  e  raggiungere,  direttamente  o  indirettamente,   esiti
 corrispondenti  a  quelli  gia'  ritenuti  lesivi  della Costituzione
 (vedi: Corte costituzionale 28 luglio 1988, n. 922) e che  certamente
 e'  vincolante anche in sede di pronuncia "di massima" da parte delle
 SS.RR. della Corte dei conti.  In definitiva la  fonte  applicata  in
 via  analogica  - sia essa l'art.  1, quarto comma, (come indicato in
 motivazione), oppure l'art. 2, sesto comma, (come indicato a chiusura
 del  dispositivo)  della  legge  27  maggio  1959,  n.  324, - appare
 incostituzionale per violazione del giudicato  costituzionale  e  per
 nuova  violazione delle norme e principi costituzionali prima addotti
 nel gia' definito giudizio sulle  norme  contenute  negli  artt.  97,
 comma 1, e 99, comma 5, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
   La questione sollevata e' rilevante per la definizione del giudizio
 in  quanto  solo  la cessazione di efficacia della norma, conseguente
 alla dichiarazione della sua incostituzionalita' da parte della Corte
 costituzionale, consentirebbe  l'accoglimento  del  ricorso  pendente
 davanti  a  questo  giudice  ed  il  riconoscimento  del  diritto del
 ricorrente a percepire gli emolumenti in questione.
                               P. Q. M.
   La  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la   Regione
 siciliana,
   Visti  gli  artt.  134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87; ritiene rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  costituzionalita'  per violazione degli artt. 36 e 136
 della Costituzione, della  norma  contenuta  negli  artt.  1,  quarto
 comma,  e  2,  sesto  comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, che,
 applicata  in  via  analogica,  vieta  il  cumulo  della   indennita'
 integrativa  speciale  nei  confronti  di pensionati dipendenti dello
 Stato  in  quiescenza,  che  svolgano  attivita'   retributiva   alle
 dipendenze  dello  Stato,  di  pubbliche  amministrazioni  e  di enti
 pubblic. Sospende il giudizio ed ordina la  trasmissione  degli  atti
 alla Corte costituzionale.
   Ordina  che  a  cura  della  segreteria  della sezione, la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e  che venga comunicata al Presidente della
 Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
   Cosi' disposto in Palermo, nella  Camera  di  Consiglio  tenuta  il
 giorno 5 marzo 1997
                   Il presidente: Todaro Marescotti
 97C0802