N. 238 SENTENZA 19 giugno - 15 luglio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Sospensione dei termini di  custodia  cautelare  -
 Richiesta   di   sospensione   da  parte  del  p.m.  con  limitazioni
 all'operativita' della medesima - Possibilita' da parte  del  giudice
 di  provvedere secondo il modello legislativo, in tal modo pervenendo
 alla  sospensione   dei   termini   di   custodia   cautelare   senza
 l'apposizione  di  condizioni  o di limitazioni di sorta - Erroneita'
 dei presupposti interpretativi da parte  del  giudice  a  quo  -  Non
 fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 304, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 101).
 
(GU n.30 del 23-7-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente:, prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 3,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  29
 gennaio 1997 dalla Corte d'assise di Torino nel procedimento penale a
 carico  di  Alberga  Nicola  ed altri, iscritta al n. 69 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  18 giugno 1997 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un dibattimento a carico di numerosi imputati  in
 stato  di  custodia  cautelare  per reati rientranti nella previsione
 dell'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di  procedura  penale,
 dibattimento  contrassegnato  da  plurime  sospensioni dei termini di
 custodia cautelare, il Pubblico ministero, all'udienza del 17 gennaio
 1997,  nel  richiedere  una  nuova  sospensione  dei  detti  termini,
 formulava  apposita  riserva  nei  confronti  di  tre  imputati,  per
 l'"insussistenza - secondo la propria valutazione  -  delle  esigenze
 cautelari",  avendo tali imputati offerto una collaborazione in grado
 di escludere le esigenze di cui all'art. 274, lettera c), del  codice
 di procedura penale.
   Nella  stessa  udienza  la difesa dei medesimi imputati chiedeva la
 revoca della misura  cautelare,  provvedimento  che  veniva  denegato
 dalla  Corte d'assise sul presupposto della permanente esigenza della
 pericolosita' sociale  degli  imputati  esclusi  dalla  richiesta  di
 sospensione.
   Con  ordinanza  del 29 gennaio 1997, la Corte d'assise di Torino ha
 sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  101  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  dell'art.  304,  comma  3, del codice di
 procedura penale, "nella parte in cui esclude poteri di  ufficio  del
 giudice  in  tema  di  sospensione  dei  termini  massimi di custodia
 cautelare, nella fase dibattimentale".
   2. - Premette il giudice  a  quo  che  la  richiesta  del  Pubblico
 ministero   e'   "eccentrica   rispetto   ai   presupposti  di  legge
 dell'istituto della sospensione": sia perche' uno dei presupposti  e'
 costituito  dall'attualita' dello stato custodiale in conseguenza del
 provvedimento  di  un  giudice  sia  perche',  in  caso  di  difformi
 valutazioni  del  pubblico  ministero  e  del  giudice in ordine alla
 pericolosita', da' per scontato che  e'  il  giudizio  di  una  parte
 quello  che  deve  prevalere, sia perche' la sospensione ha per unico
 obiettivo la permanenza in  vinculis  di  imputati  di  gravi  reati,
 giudicati  pericolosi,  in  pendenza  di dibattimenti particolarmente
 complessi.
   Con la conseguenza - sempre ad avviso  del  giudice  a  quo  -  che
 davvero  incomprensibile  si rivela la necessita' che il procedimento
 diretto  alla  sospensione  debba  essere   attivato   dal   pubblico
 ministero,   non   potendo   il  giudice,  di  ufficio,  accertare  i
 presupposti richiesti dall'art. 304 del codice di  procedura  penale,
 presupposti tutti, peraltro, di agevole verifica.
   Una  situazione, dunque, profondamente diversa tanto dall'esercizio
 del potere cautelare quanto dall'istituto della proroga dei  termini,
 entrambi iscrivibili alla fase delle indagini preliminari, fase nella
 quale   il   giudice  esercita  esclusivamente  poteri  di  controllo
 sull'attivita' del pubblico ministero.
   Un potere,  quello  attribuito  ad  una  parte,  che  da'  luogo  a
 trattamenti  processuali differenziati, nonostante  l'identita' delle
 situazioni  poste  a  confronto;  inserendosi  erroneamente   fra   i
 presupposti    condizionanti   la   sospensione   "il   comportamento
 processuale collaborativo" dell'imputato che puo'  incidere  soltanto
 sulle  condizioni  per la revoca della misura, condizioni che solo il
 giudice e' tenuto a valutare.
   In  piu'  l'inoperativita'  della  sospensione  per  taluni   degli
 imputati,   in   forza   della   richiesta  del  Pubblico  ministero,
 comportando l'imminente decorrenza dei termini di custodia,  verrebbe
 ad incidere, compromettendone l'osservanza, anche sul precetto di cui
 all'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
   3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 chiedendo   che  la  questione  venga  dichiarata  inammissibile  per
 irrilevanza, data l'erroneita' del presupposto interpretativo da  cui
 muove  il  giudice  a  quo:  quello  cioe'  che  il  provvedimento di
 sospensione dei termini di  custodia  cautelare  possa  dar  luogo  a
 posizioni  individuali differenziate.  Tale assunto e' smentito dalla
 costante  interpretazione  giurisprudenziale,  potendo   una   simile
 differenziazione  operare soltanto nei confronti di imputati ai quali
 i  casi  di  sospensione  non  si  riferiscono  e che chiedono che si
 proceda nei loro confronti previa separazione dei processi.
   Nella specie, quindi, trattandosi, fra l'altro, di provvedimento di
 sospensione, preceduto da altri provvedimenti dello stesso  tipo,  la
 mancata richiesta nei confronti di taluni degli imputati non sara' di
 ostacolo  all'operativita'  della  sospensione anche nei confronti di
 quelli per i quali la  sospensione  non  e'  stata  richiesta  "senza
 necessita'  di  instaurare  un ulteriore sub-procedimento attivato da
 una  nuova  richiesta  del  p.m."  e  quali  che  possano  essere  le
 determinazioni  del  giudice  a  quo  in  ordine alla esistenza delle
 esigenze cautelari nei confronti di ciascun  imputato.
                         Considerato in diritto
   1. - La Corte d'assise di Torino dubita, in riferimento agli  artt.
 3  e  101 della Costituzione, della legittimita' dell'art. 304, comma
 3, del codice di procedura penale, "nella parte in cui esclude poteri
 d'ufficio del giudice in tema di sospensione dei termini  massimi  di
 custodia cautelare nella fase dibattimentale".
   Piu'  in particolare, il giudice a quo nel corso del dibattimento a
 carico di numerose persone, in  vinculis  per  reati  compresi  nella
 previsione  dell'art.  407,  comma  2,  lettera  a),  del  codice  di
 procedura penale, e riguardo  alle  quali  aveva,  su  richiesta  del
 Pubblico   ministero,   con   reiterati  provvedimenti,  disposto  la
 sospensione dei termini di custodia per la "particolare  complessita'
 del   dibattimento",   di   fronte  ad  una  ulteriore  richiesta  di
 sospensione  del  Pubblico  ministero  che  eccettuava   dall'effetto
 sospensivo  tre degli imputati per l'assenza nei loro confronti delle
 esigenze  cautelari,  ritenendosi  vincolato  a  tale  richiesta,  ha
 sollevato la questione di legittimita' sopra indicata.
   Da  cio'  si  evince  che,  pur sembrando l'ordinanza di rimessione
 investire l'art. 304, comma 3, nel suo integrale contenuto precettivo
 avente ad oggetto i poteri del giudice in presenza della richiesta di
 sospensione dei termini da parte del pubblico ministero,  l'effettivo
 petitum    perseguito   risulta   incentrato   sulla   illegittimita'
 dell'ineludibile alternativa derivante dalla richiesta parziale,  cui
 conseguirebbe  o  la  corrispondente sospensione parziale dei termini
 ovvero il rigetto della domanda di sospensione.
   E pur osservando che, alla stregua della giurisprudenza della Corte
 di cassazione, l'istituto della sospensione dei  termini,  fondandosi
 sul  dato  oggettivo della sospensione del dibattimento, non puo' che
 riferirsi "a tutti i soggetti partecipi, anche per le connessioni  di
 vario   tipo,  insite  nell'intreccio  di  incolpazioni  correlate  e
 accomunanti" senza che possa farsi luogo, nell'ipotesi  prevista  dai
 commi   2   e  3  dell'art.  304,  "al  riconoscimento  di  posizioni
 individuali differenziate" - nessun discrimine essendo possibile alla
 stregua  della  normativa  denunciata  -  ritiene  pero'  di   essere
 "impedita a pronunciarsi dall'inattivita'" del Pubblico ministero.
   Nonostante  cio',  l'ordinanza di rimessione afferma la rilevanza -
 donde una qualche  contraddittorieta'  nei  suoi  enunciati  -  della
 questione  sollevata  solo nei confronti degli imputati relativamente
 ai quali il Pubblico ministero ha espressamente omesso  di  formulare
 la  richiesta  di  sospensione,  perche'  con  riferimento agli altri
 imputati il Pubblico  ministero  "e',  invece,  ancora  in  grado  di
 determinarsi   altrimenti,   essendo   l'istituto  della  sospensione
 applicabile in ogni momento del procedimento".
   2. - La questione non e' fondata.
   Il  presupposto  interpretativo  da  cui  muove  il  giudice  a quo
 risulta, infatti, erroneo in  quanto  fondato  su  una  non  corretta
 lettura  del  disposto  dell'art.  304,  commi  2  e 3, del codice di
 procedura penale.
   3. - Appare opportuno precisare come l'istituto  della  sospensione
 dei  termini  di  custodia  cautelare  ha la sua genesi nelle diverse
 stesure dell'art. 272, settimo comma, dell'abrogato codice  di  rito,
 l'ultima  delle  quali,  quella  derivante dall'art. 1 della legge 17
 febbraio 1987, n.  29,  prevedeva  che  i  termini  di  durata  della
 custodia   cautelare  rimangono  sospesi  durante  il  tempo  in  cui
 l'imputato e' sottoposto ad osservazione psichiatrica e,  nella  fase
 del  giudizio,  durante  il tempo in cui il dibattimento e' sospeso o
 rinviato per legittimo impedimento dell'imputato o per consentirne la
 partecipazione all'udienza quando in precedenza egli ha rifiutato  di
 assistervi,  ovvero  a  richiesta  sua o del difensore, sempre che la
 sospensione o  il  rinvio  non  siano  stati  disposti  per  esigenze
 istruttorie  ritenute  indispensabili  con  espresse  indicazioni nel
 provvedimento di sospensione o di rinvio. Come ulteriore  ipotesi  di
 sospensione  veniva  contemplata,  infine, quella operante nella fase
 del giudizio, per  il  tempo  in  cui  il  dibattimento  deve  essere
 rinviato   o   sospeso,   a   causa   della   mancata  presentazione,
 dell'allontanamento o della mancata partecipazione al dibattimento di
 uno o piu' difensori.
   4. - L'art. 2, numero 61, della legge-delega 16 febbraio  1987,  n.
 81,   dopo   aver   prescritto   la  previsione,  per  ciascuna  fase
 processuale, di  termini  autonomi  di  custodia  cautelare  ed  aver
 dettato  le  direttive  in  tema di proroga della custodia cautelare,
 introduceva nella  sua  terza  sub-direttiva  la  "previsione  che  i
 termini di durata massima delle misure possano essere sospesi durante
 il  dibattimento  in  relazione  allo svolgimento e alla complessita'
 dello stesso  nonche'  a  differimenti  processuali  non  imposti  da
 esigenze istruttorie e determinati da fatti riferibili all'imputato o
 al suo difensore".
   Alla   detta   direttiva   venne  data  attuazione,  per  la  parte
 concernente la sospensione dei termini di durata massima di  custodia
 cautelare,  con  l'art.  304  del  codice,  contemplante,  nella  sua
 versione originaria, due ordini di provvedimenti di  sospensione  dei
 termini.  L'uno,  quello  previsto  dal  comma  1,  quasi estrapolato
 dall'art.  272,  settimo  comma,  cod.  proc.  pen.   1930,   dettato
 dall'intento di prevenire eventuali comportamenti dilatori diretti ad
 ottenere   la   scarcerazione  (lettera  a)),  o  di  precludere  che
 comportamenti anche  pienamente  legittimi  dei  difensori  potessero
 anticipare la scarcerazione dell'imputato (lettera b)).
   L'altro,  previsto  nei  commi  2  e  3  dell'articolo e scaturente
 dall'ultima parte della sub-direttiva sopra ricordata, contemplava (e
 contempla tuttora, dato che il testo originario non e' stato  oggetto
 di  modifiche di sorta) la possibilita' di sospensione dei termini di
 durata massima della custodia cautelare,  nella  fase  del  giudizio,
 quando si tratti di reati indicati nell'art. 407, comma 2, lettera a)
 (una  norma  oggetto,  peraltro, di plurime stesure rispetto al testo
 originario, dapprima ad opera dell'art. 6 del decreto-legge 8  giugno
 1992,  n.  306,  convertito  dalla  legge    7 agosto 1992, n. 356, e
 successivamente ad opera dell'art.  21 della legge 8 agosto 1995,  n.
 332),  nel caso di dibattimenti particolarmente complessi, durante il
 tempo in cui si sono tenute le udienze o si delibera la sentenza  nel
 giudizio di primo grado o nel giudizio di impugnazione.
   Alla  diversita'  delle  previsioni rispettivamente contemplate dal
 comma 1 e dai  commi  2  e  3  dell'art.  304  fa  da  riscontro  una
 differenziata   disciplina  processuale.    La  sospensione  prevista
 dall'art. 304, comma 1, consegue pressoche' di diritto al verificarsi
 degli eventi da esso indicati e  senza  che  venga  richiesta  alcuna
 iniziativa  del  pubblico  ministero. Il relativo provvedimento viene
 cosi' ad assumere i connotati dell'atto vincolato in  presenza  delle
 condizioni  richieste  dalla  legge.    Per  la  sospensione prevista
 dall'art. 304,  comma  2,  invece,  la  quale  deriva  da  situazioni
 oggettive   che   devono  essere  verificate  da  parte  del  giudice
 (particolare complessita' del dibattimento), cosi' da  atteggiare  il
 detto  provvedimento  come  ascrivibile  alla  categoria  di quelli a
 discrezionalita' vincolata, la legge  richiede  l'apposita  richiesta
 del pubblico ministero (comma 3 dell'articolo).
   Rimasta,  come si e' visto, pressoche' immutata la disciplina della
 sospensione su richiesta, una prima integrazione ha attinto il  comma
 1 dell'art. 304: l'introduzione della lettera b)-bis poi divenuta c),
 ad  opera  dell'art.  4  del  decreto-legge  1  marzo  1991,  n.  60,
 convertito nella legge 22 aprile 1991, n. 133, che ha contemplato  la
 sospensione durante la pendenza dei termini previsti dagli artt. 544,
 commi 2 e 3, quelli, cioe' necessari per la stesura della motivazione
 della  sentenza.  Le innovazioni di maggiore significato apportate al
 testo dell'art.  304 del codice di procedura penale attengono  sempre
 alle ipotesi che si sono definite di sospensione vincolata. L'art. 15
 della legge n. 332 del 1995 ha, infatti, da un lato, esteso il regime
 della  sospensione  dei  termini  (questa volta, ovviamente, di fase)
 all'udienza preliminare, se questa e' sospesa o rinviata  per  taluno
 dei  casi  indicati  dal  comma  1,  lettere  a)  e  b).  Ma  la piu'
 significativa   delle   innovazioni   e'   nella    previsione    che
 l'operativita'  dei casi di sospensione ora ricordati (quelli, cioe',
 previsti dall'art. 304, comma 1, lettere a) e b)), resta preclusa nei
 confronti dei coimputati "ai quali  i  casi  di  sospensione  non  si
 riferiscono  e  che chiedono che si proceda nei loro confronti previa
 separazione dei processi".
   5. - Cosi' riassunto il quadro normativo ora vigente in forza delle
 "novellazioni" conclusesi con la legge n. 332 del 1995, e'  possibile
 pervenire  ad  una  prima  essenziale  conclusione:  e  cioe'  che la
 disciplina processuale  delle  ipotesi  previste  dal  primo  (e  dal
 quarto)  comma  e  di  quelle  previste dal secondo e dal terzo comma
 dell'art. 304 differiscono profondamente.    A  parte  la  necessaria
 richiesta  del  pubblico ministero che contrassegna la sospensione da
 ultimo ricordata, la ratio a fondamento  di  essa  risulta  designata
 esclusivamente  da  due  presupposti: la particolare complessita' del
 dibattimento ed il rientrare  i  reati  contestati  nella  previsione
 dell'art.  407.  Ma se, per un verso, puo' senz'altro dubitarsi della
 effettiva   coerenza   della   scelta   legislativa   di   trasferire
 l'apprezzamento  di  simili presupposti in capo al pubblico ministero
 al punto da averlo configurato alla stregua di titolare esclusivo del
 potere di iniziativa  in  ordine  al  provvedimento  di  sospensione,
 considerata,  da  un  lato,  la  specifica  e  gia'  segnalata natura
 "oggettiva" di  quei  parametri  di  valutazione  e,  dall'altro,  la
 circostanza  che  gli  stessi  ruotano attorno alle esigenze connesse
 alla  gestione  di  una   fase   ormai   riservata   all'organo   del
 dibattimento,  resta  il fatto - assorbente agli effetti del presente
 giudizio - che una volta compiuto un simile apprezzamento e,  dunque,
 esercitato  il  potere di richiesta, tale potere finisce per assumere
 connotazioni ontologicamente "inscindibili" proprio perche'  ancorato
 al processo nella sua globalita' e non a singole posizioni cautelari.
 Qualsiasi  diverso  enunciato  che  pretendesse  di  circoscrivere la
 portata della richiesta del pubblico ministero a parte degli imputati
 o a parte delle imputazioni, finirebbe  quindi  ineluttabilmente  per
 introdurre  -  come  il  caso  di  specie  e'  emblematico  esempio -
 parametri e finalita' del tutto  eterogenei  rispetto  alla  funzione
 dell'istituto,  con  evidente  compromissione  delle  esigenze che il
 legislatore ha inteso salvaguardare.
   6. - Tutto cio' risulta, del resto, confermato dalla giurisprudenza
 della Corte di cassazione, costante nel ritenere che  la  sospensione
 di  cui  all'art.  304,  commi  2  e 3, presuppone la difficolta' del
 dibattimento nel suo complesso e fa astrazione  dalle  posizioni  dei
 singoli imputati.
   Questa  linea  e'  stata ulteriormente ribadita con la introduzione
 dell'art. 304, comma 5, ad opera dell'art. 15 della legge n. 332  del
 1995 che - nel consentire per i casi previsti dal comma 1, lettere a)
 e  b), del medesimo articolo l'inapplicabilita' della sospensione nei
 confronti degli imputati ai  quali  i  casi  di  sospensione  non  si
 riferiscono  e  che chiedono che si proceda nei loro confronti previa
 separazione  dei  processi  -  ha  tracciato  un  ulteriore  decisivo
 discrimine  tra  le  due  ipotesi  di  sospensione.   Cosi' potendosi
 ripetere relativamente alla sospensione disciplinata dai commi 2 e  3
 dell'art.  304,  per  un verso, che la facolta' consentita al giudice
 dal comma 2 dell'art. 304 cod. proc. pen., non puo'  comportare,  ove
 effettivamente  esercitata,  distinzioni individuali fra imputati nel
 processo, sempreche' raggiunti  da  imputazioni  fra  quelle  di  cui
 all'art.   407,   comma   2,   lett.  a),  attenendo  alla  obiettiva
 complessita' particolare del dibattimento e cioe' ad  una  situazione
 collettiva  (o cumulativa) comune a tutti i soggetti partecipi, anche
 per le condizioni di connessione di vario tipo insite  nell'intreccio
 di  incolpazioni  correlate  ed accomunanti, cosicche' il richiamo al
 dato obiettivo della complessita' del  dibattimento  e'  ostativo  al
 riconoscimento  di  posizioni individuali differenziate; per un altro
 verso, che il  tema  della  sospensione  prescinde  da  quello  delle
 esigenze cautelari il cui venir meno potra' essere fatto valere dagli
 imputati soltanto con il chiedere la revoca della misura.
   7.  - Si deve, dunque, concludere nel senso che la stessa richiesta
 di  sospensione  del  pubblico  ministero  che  contenga  limitazioni
 all'operativita'  della sospensione stessa, deviando cosi' dal quadro
 normativo predisposto dall'art. 304, commi 2 e 3, e' da ritenere  del
 tutto  estranea  alla  disciplina  legislativa.  Tale illegittimita',
 peraltro, mentre non e' in grado di viziare  (in  base  al  principio
 utile  per  inutile  non  vitiatur)  la  domanda  nel  suo complesso,
 consente al giudice di provvedere secondo il modello legislativo,  in
 tal  modo pervenendo, nei sensi previsti dall'art. 304, comma 2, alla
 sospensione dei termini di custodia cautelare senza l'apposizione  di
 condizioni o di limitazioni di sorta.
   Cosi' interpretata, la norma denunciata si sottrae agli addebiti di
 illegittimita' costituzionale formulati dal  giudice a quo.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 304, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento agli artt.  3  e  101  della  Costituzione,  dalla  Corte
 d'assise di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
                  Il Presidente e redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 15 luglio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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