N. 528 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 giugno 1997

                                N. 528
  Ordinanza  emessa  il  10  giugno 1997 dal tribunale di Macerata nel
 procedimento penale a carico di Fabbracci Fernando ed altro
 Processo penale - Dibattimento -  Giudice  che  abbia  pronunciato  o
    concorso  a  pronunciare  una precedente sentenza nei confronti di
    altro soggetto concorrente nel medesimo reato nella quale pur  non
    essendo  stata  valutata  la  posizione  dell'imputato  sia  stata
    comunque valutata positivamente una prova  rilevante  per  la  sua
    posizione  -  Incompatibilita'  a  giudicare - Omessa previsione -
    Disparita' di trattamento - Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1998, art. 34, comma secondo).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.36 del 3-9-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Pronuncia la seguente ordinanza, nel procedimento n. 177-96  rg,  a
 carico di Fabbracci Fernando e Molinari Umberto.
   1.  -    Si procede a carico del Fabbracci e del Molinari in quanto
 imputati del reato di tentata concussione (artt. 56, 110 e 317  c.p.)
 in concorso fra loro e con Costamagna Ivo e Frinconi Augusto.
   2. - La Corte di appello di Ancona, pronunciandosi in merito ad una
 dichiarazione  di  ricusazione  relativa  a  due magistrati di questo
 collegio, pur dichiarandola inammissibile, ha tuttavia osservato  che
 l'istanza, in astratto, e' fondata (come si evincerebbe dalla lettura
 della  sentenza  n.  20/1996  di  questo tribunale), rilevando che il
 collegio (di cui facevano parte i due magistrati  ricusati),  avrebbe
 valutato  in  maniera  penetrante  la  responsabilita' penale dei due
 istanti (Fabbracci e Molinari), soprattutto sulla base del teste ing.
 Vitale Antonio, che il collegio ritenne attendibile.
   Sicche', ritenne la Corte d'appello, alla luce della sentenza della
 Corte costituzionale  n.  371/1996,  ricorrerebbe  l'ipotesi  di  cui
 all'art.    34,  comma  2,  c.p.p. e 36 comma 1 lettera G) del c.p.p.
 (obbligo di astenersi).
   3. - In realta'  si  versa  nella  classica  ipotesi  del  concorso
 eventuale di persone nel reato.
   E  per  essere  ancor  piu'  precisi, trattasi di concorso non solo
 eventuale, ma nel quale le condotte dei  vari  presunti  correi  sono
 dotate di una spiccata autonomia rispetto a quella del Costamagna.
   Basti solo considerare, in proposito (pag. 6 della sentenza 20/1996
 del  tribunale  di  Macerata),  il  vistosissimo  dato  per  il quale
 l'asserita minaccia di revoca dell'incarico, asseritamente  formulata
 al  Vitale, in alcun modo fu riferita materialmente dal Vitale stesso
 al Fabbracci o al Molinari.
   Ebbene,   la   giurisprudenza    costituzionale    in    tema    di
 incompatibilita' e concorso eventuale di persone nel reato e' chiara,
 ed  e'  stata  chiaramente  ribadita  anche  nella stessa sentenza n.
 371/1996 (punto 2 del "Considerato in diritto".
   Del  resto  tale  posizione  della  Corte  venne esposta gia' nella
 sentenza n. 186/1992, al punto 3.1 del "Considerato in diritto".
   In  sintesi  la   Corte   costituzionale,   sul   presupposto   che
 l'incompatibilita'  discende dal fatto che il giudice sia chiamato ad
 un'ulteriore   valutazione   sulla   medesima   "regiudicanda"   (con
 conseguente  rischio di condizionamento, reale o apparente, derivante
 dalla cd. "forza della prevenzione"), nega l'incompatibilita' de  qua
 nel  concorso di persone nel reato, proprio perche', in tal caso, non
 vi sarebbe  una  identita'  di  oggetto  sul  quale  si  eserciti  la
 valutazione del giudice.
   Vero  e'  infatti,  secondo  la  Corte, che nel caso di concorso di
 persone nel reato si ha la comunanza dell'imputazione, ma vi e' anche
 una pluralita' di condotte, distintamente  riconducibili  a  ciascuno
 dei concorrenti (e quanto cio' sia vero nel caso concreto si e' sopra
 visto).
   Dette  condotte,  ai  fini del giudizio di responsabilita', debbono
 essere autonomamente valutate, sia sotto  il  profilo  materiale  che
 sotto  quello  psicologico;  sicche'  detta autonoma valutazione puo'
 sfociare in un accertamento di responsabilita' per un  concorrente  e
 non per l'altro.
   Anche  la Corte costituzionale n. 439/1993 rimase coerente con tale
 insegnamento, cosi' come Corte costituzionale, ord. 42/1994.
   La Corte costituzionale,  sulla  scia  di  tali  precedenti,  nella
 sentenza  n.  371/1996, si fa semplicemente consapevole del fatto per
 cui, nel concreto, il  giudice,  nel  valutare  la  posizione  di  un
 concorrente,  puo'  finire  per  valutare  anche, sia pure incidenter
 tantum, la posizione dell'altro.
    Tale   "cognizione   soggettivamente   allargata"   puo'    essere
 necessitata    (vedasi    in    particolare   l'ipotesi   del   reato
 necessariamente   plurisoggettivo)   o    addirittura    del    tutto
 ingiustificata, ma cio' poco importa.
   Infatti comunque verrebbe smentito il fondamento che serve a negare
 l'incompatibilita',  e  cioe'  l'autonomia  nella  valutazione  della
 posizione di ciascun concorrente.
   Senonche', in punto  di  fatto  e  nel  caso  di  cui  al  presente
 processo,  non solo non si e' in presenza di un reato necessariamente
 plurisoggettivo,  ma  il  tribunale  (nella  precedente  sentenza  n.
 20/1996)    non   pervenne   affatto   ad   una   valutazione   della
 responsabilita' penale degli imputati Fabbracci e  Molinari,  la  cui
 posizione  e  le  cui  asserite  condotte sono ben diverse e distinte
 rispetto a quella attribuita al Costamagna con la detta  sentenza  n.
 20/1996.
   4.  -  In  effetti,  come  risulta dal provvedimento della Corte di
 appello, di cui  sopra,  il  presente  processo  pone  una  questione
 estranea  al  tessuto  argomentativo della sentenza n. 371/1996 della
 Corte costituzionale.
   Qui, infatti, non si tratta di aver gia' valutato positivamente  la
 responsabilita'  penale degli imputati Fabbracci e Molinari, cosa che
 va assolutamente esclusa.  E  si  badi  bene:  una  tale  valutazione
 avrebbe  dovuto  consistere  (alternativamente, al limite) quantomeno
 nella  individuazione  di  talune  condotte  materiali;  nella   loro
 attribuzione  agli odierni imputati; nella loro riconducibilita' alla
 figura  astratta  di  reato  di  cui  all'art.  317      c.p.   nella
 individuazione dell'elemento soggettivo del reato.
   Cio'   deriva   dallo   stesso  dispositivo  della  sentenza  Corte
 costituzionale n. 371/1996 (in cui si fa derivare  l'incompatibilita'
 da una precedente sentenza nella quale la posizione dell'imputato sub
 judice  in  ordine  alla  sua  responsabilita'  penale sia gia' stata
 comunque valutata), ma soprattutto da  quanto  ribadito  dai  giudici
 della  Consulta  nella  motivazione,  laddove  affermano  con estrema
 chiarezza che il mero concorso eventuale nel reato  rimane  fuori  da
 quel dispositivo.
   E  se rimane fuori la mera ipotesi di concorso eventuale nel reato,
 allora rimane logicamente fuori tutto quanto e' connesso generalmente
 ad una tale ipotesi, ivi compreso il fatto che il reato  commesso  in
 concorso,  per  essere  ovviamente  un'entita'  unitaria,  nella sede
 processuale va generalmente fondato in modo  del  tutto  naturale  su
 delle  prove  che  lo  investono  unitariamente,  senza  distinguere,
 ordinariamente, fra le posizioni dei singoli correi.
   E' proprio il caso del presente processo, in cui la prova del reato
 consiste (in misura non certo  secondaria)  nella  testimonianza  del
 Vitale,  che  riguarda il fatto in se', ma e' anche rilevante ai fini
 della prova dell'apporto dei singoli concorrenti nel reato.
   Eccola, allora, la questione: se l'incompatibilita' possa  derivare
 (a    prescindere    dalla    gia'   effettuata   valutazione   della
 responsabilita' personale dell'imputato, cui  si  riferisce  in  modo
 affermativo Corte costituzionale n. 371/1996):
     a)  dal  ben  diverso fatto di aver gia' valutato (nel precedente
 processo) una prova (la testimonianza del  Vitale,  in  questo  caso)
 comunque rilevante anche nel successivo processo in corso;
     b)  ed  inoltre,  per  completezza,  se  l'incompatibilita' possa
 derivare dal fatto  stesso  di  aver  affermato  (non  l'apporto  del
 singolo  imputato  al  reato  ma) l'esistenza oggettiva del fatto (la
 condotta concussiva, nel caso presente).
   Tali due aspetti, rilevanti  nel  presente  caso,  che  non  furono
 affrontati  dalla sent. 371/1996 della Corte costituzionale, e quindi
 non sono compresi nell'attuale versione dell'art. 34 c.p.p., inducono
 questo   tribunale   a   dubitare   nuovamente   della   legittimita'
 costituzionale dello stesso art. 34 c.p.p., sia in relazione all'art.
 3  della  Costituzione  (per  disparita' di trattamento rispetto agli
 altri casi previsti nel testo novellato della  norma,  che,  come  il
 presente  si  fondano ugualmente sulla cd. "forza della prevenzione",
 sia in relazione all'art. 24 Cost. (per  violazione  del  diritto  di
 difesa, leso dalla possibilita' di un giudice "prevenuto").
   5.  -  Ammesso (come ammette la Corte costituzionale) che la "forza
 della prevenzione" rappresenti un pregiudizio per la  sua  posizione,
 l'imputato   giudicato   successivamente  (nell'ambito  del  concorso
 eventuale nel reato) potra' essere danneggiato, infatti almeno  sotto
 due  profili (che rappresentano altrettanti motivi di dubbio circa la
 legittimita' costituzionale dell'attuale art. 34 c.p.p.):
     a) nella sua aspettativa di essere assolto "perche' il fatto  non
 sussiste"  essendo  possibile  prevedere che, se il giudice (credendo
 alla asserita persona offesa) abbia ritenuto  l'esistenza  del  fatto
 nel primo processo, non cambiera' idea nel secondo.
   In  sostanza,  il difensore dell'imputato giudicato successivamente
 dovrebbe accettare di essere danneggiato  (o  rischiare  di  esserlo)
 dalla  forza  della  prevenzione  in  ordine alle sue possibilita' di
 negare che il fatto stesso si sia mai verificato (ad esempio: che sia
 mai avvenuta, nel presente caso, la minaccia al Ristorante Tosca),  e
 dovra'   accontentarsi   delle  residue  possibilita'  difensive  (in
 particolare della possibilita' di negare che il suo  assistito  abbia
 partecipato,  materialmente  o moralmente, al fatto, o di negare, per
 il suo assistito, l'esistenza dell'elemento soggettivo del reato).
   Ebbene, non pare potersi accettare che i valori costituzionali  che
 dovrebbero  ispirare  il  regime  delle incompatibilita' (e, fra tali
 valori, segnatamente il diritto di difesa) debbano "accontentarsi" di
 una tutela piu' o meno parziale, per cui,  per  dirla  in  breve,  il
 difensore  debba  subire  il  negativo  influsso  della  "forza della
 prevenzione" su una parte  del  "fronte  difensivo"  (in  particolare
 quello  relativo  alla negazione del fatto in se'), e limitare il suo
 impegno al fronte residuo, piu' o meno esteso, a seconda dei casi (in
 particolare negando la partecipazione  al  fatto,  o  la  sussistenza
 dell'elemento psicologico del reato).
   Oltretutto, accettando una tale prospettiva, la misura della tutela
 dei   valori  costituzionali  riassunti  nella  formula  del  "giusto
 processo" sarebbe affidata alle infinite combinazioni  della  pratica
 e,  in  definitiva,  al  caso,  quindi  anche  in  palese  violazione
 dell'art. 3 Cost.;
     b) ma, a ben vedere, l'imputato  non  riceve  sufficiente  tutela
 nemmeno nella sua aspettativa di essere assolto per non aver commesso
 il  fatto,  posto  che,  se  il teste e' stato ritenuto credibile nel
 primo giudizio (circa  l'essersi  verificato  il  fatto  in  se',  ed
 eventualmente  circa  la  condotta del correo giudicato per primo) e'
 ovvio temere che  il  giudice  tenda  a  mantenere  tale  valutazione
 positiva  di  credibilita'  anche  nel  giudizio successivo, non solo
 relativamente all'essersi  verificato  il  fatto  in  se',  ma  anche
 relativamente   alla   partecipazione   del   secondo   correo   alla
 consumazione del reato.
   Ed e' evidente che di questo soprattutto si dolgono,  nel  presente
 caso,  gli  imputati;  cosi'  come  questo  e'  il punto che ha fatto
 ritenere alla Corte di  appello  la  situazione  di  incompatibilita'
 (finendo  pero'  per  attribuire al dictum di Corte costituzionale n.
 371/1996 un contenuto invece ad esso estraneo).
   Tale obiezione consente di gettare  lo  sguardo  al  di  la'  della
 distinzione  fatto/distinte  partecipazioni  al fatto (adottata dalla
 Corte per negare, sul piano generale, l'incompatibilita' in  tema  di
 concorso   di  persone  nel  reato),  per  attingere  ad  un  livello
 "retrostante",  ma  molto  piu'  sostanziale  del   problema   (tanto
 sostanziale  che  non  e' sfuggito ne' ai ricusanti ne' alla Corte di
 appello).
   Si vuol dire che, a ben vedere,  la  prevenzione  del  giudice  non
 opera  tanto  (o  almeno non solo) per aver affermato un fatto in se'
 (esemplificando: che un imputato concorrente  e'  colpevole),  quanto
 per  avere gia' valutato le prove (intese in senso ampio) in un certo
 modo (nel caso e' stato ritenuto attendibile il teste Vitale).
    In altre parole, se il giudice si e' formata  una  certa  opinione
 circa  lo  svolgimento di un fatto, cio' significa che, a monte, egli
 ha valutato in un certo modo le prove (nel caso la testimonianza  del
 Vitale, ma non solo) relative a quel fatto.
   Se  dunque la genesi remota della prevenzione sta nella valutazione
 della prova, che il giudice abbia gia' fatto in precedenza, allora il
 principio generale affermato dalla Corte costituzionale  in  tema  di
 concorso   di   persone   nel  reato  e  incompatibilita'  va  ancora
 approfondito.
   Cio' in quanto la valutazione di attendibilita' della singola prova
 e'  tendenzialmente  unitaria e globale (si pensi alla valutazione di
 attendibilita' di una testimonianza), in modo da ricomprendere in se'
 sia il verificarsi del fatto, sia il contributo di  ciascun  imputato
 al  fatto,  sia l'elemento psicologico del correo, sia in genere ogni
 altra componente oggetto di quella prova.
   Volendo rimanere sul piano della concretezza, se il  giudice  crede
 (per  determinati  motivi)  che una donna, la quale affermi di essere
 stata violentata, dice il vero ed e' credibile, ovviamente tendera' a
 crederle, o almeno c'e' tale rischio, sia per  la  parte  in  cui  la
 donna  afferma  essere  avvenuta la violenza, sia per la parte in cui
 accusa Tizio e Caio di esserne stati gli autori.
   Si dubita quindi della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34
 c.p.p.,  secondo  comma,  in  relazione  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che   non   possa
 partecipare  al  giudizio nei confronti di un imputato il giudice che
 abbia pronunciato o concorso a pronunciare  una  precedente  sentenza
 nei confronti di altro soggetto concorrente nel medesimo reato, nella
 quale,  pur  non essendo stata valutata la posizione di quello stesso
 imputato  in  ordine  alla  sua  responsabilita'  penale,  sia  stata
 tuttavia  valutata  positivamente  una  prova  rilevante  per  la sua
 posizione.
   La questione appare  non  manifestamente  infondata  alla  luce  di
 quanto  sopra  esposto,  e  rilevante,  posto che dalla sua soluzione
 dipende la composizione del collegio giudicante.
                               P. Q. M.
   Solleva d'ufficio, e dichiara non manifestamente infondata, nonche'
 rilevante  nel  presente  giudizio,  la  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 34 c.p.p., secondo comma, in relazione agli
 artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non  prevede  che
 non  possa  partecipare  al  giudizio nei confronti di un imputato il
 giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente
 sentenza nei confronti di altro  soggetto  concorrente  nel  medesimo
 reato,  nella  quale,  pur non essendo stata valutata la posizione di
 quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' penale, sia
 stata tuttavia valutata positivamente una prova rilevante per la  sua
 posizione;
   Sospende  il  giudizio  e  dispone trasmettersi gli atti alla Corte
 costituzionale per l'ulteriore corso;
   Dispone che la presente ordinanza,  dopo  la  lettura  nell'udienza
 odierna,  venga,  a  cura della cancelleria, notificata al Presidente
 del Consiglio dei Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due
 Camere del Parlamento.
   Deciso in Macerata, li' 10 giugno 1997.
                        Il presidente: Paciaroni
 97C0892