N. 718 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 1997

                                N. 718
  Ordinanza  emessa  il  9  luglio  1997  dalla commissione tributaria
 provinciale di Verbania sui ricorsi riuniti  proposti  dalla  Graniti
 Sassomare S.r.l. contro l'ufficio imposte dirette di Domodossola
 Contenzioso  tributario  - Accertamento con adesione del contribuente
    ai fini delle imposte sul reddito e dell'IVA  -  Applicabilita'  -
    Esclusione, nel caso in cui e' configurabile l'obbligo di denuncia
    da  parte  dell'ufficio, all'autorita' giudiziaria, per i reati di
    cui agli articoli da 1 a 4, decreto-legge n. 429/1982 o quando per
    tali  reati risulti presentato rapporto dalla Guardia di finanza o
    quando risulti avviata  l'azione  penale  -  Riformulazione  della
    proposta di accertamento da parte dell'ufficio, se il procedimento
    penale   sia   stato   archiviato   o  definito  con  sentenza  di
    proscioglimento o di assoluzione - Mancata  previsione  -  Lesione
    del  principio di eguaglianza - Incidenza sul principio secondo il
    quale l'imputato non e' considerato colpevole sino  alla  condanna
    definitiva.
 (D.-L. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis, comma 2, e 3).
 (Cost., artt. 3 e 27, comma secondo).
(GU n.43 del 22-10-1997 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 49/97
 e 1372/96 proposti dalla S.r.l.  Graniti  Sassomare  in  persona  del
 legale  rappresentante, rappresentata e difesa dal rag. Egidio Pavan,
 contro l'avviso di accertamento n. 18/96 dell'ufficio  delle  imposte
 dirette  di Domodossola e del provvedimento di rigetto della proposta
 di accertamento con adesione per gli anni 1988-89-90-91-92-93.
                               F a t t o
   Con ricorso datato 12 febbraio 1997 la S.r.l. Graniti Sassomare  ha
 impugnato  l'avviso  n.  18/96  con  il quale l'ufficio delle imposte
 dirette di Domodossola ha accennato,  per  l'anno  di  imposta  1988,
 redditi  imponibili  ai  fini  Irpef  ed Irpeg di L. 2.379.525.000 in
 luogo dei denunziati L. 36.765.000.
   Con separato ricorso depositato in segreteria il 1 agosto  1996  la
 S.r.l.  Graniti  Sassomare  ha  altresi' impugnato il provvedimento 6
 giugno 1996, protocollo n. 6/3-A  con  cui  l'ufficio  delle  imposte
 dirette   di   Domodossola   ha   dichiarato  nulle  le  proposte  di
 accertamento  con  adesione  formulate  dalla  predetta  societa'  in
 relazione   agli  anni  di  imposta  1988-89-90-91-92-93  perche'  in
 contrasto con la legge n. 656/1994. Entrambi  i  ricorsi  sono  stati
 riuniti con provvedimento presidenziale del 14 aprile 1997.
   In particolare l'ufficio delle imposte ha motivato il provvedimento
 6  giugno  1996,  protocollo  n.  6/3-A  premettendo  che  "ai  sensi
 dell'art.  2-bis, comma 2 del decreto-legge n. 564 del  30  settembre
 1994,  convertito in legge n. 427 del 18 ottobre 1995, la definizione
 della rettifica delle  dichiarazioni  non  e'  ammessa  quando  sulla
 scorta  degli  elementi,  dati e notizie a conoscenza dell'ufficio e'
 configurabile l'obbligo di denuncia all'autorita' giudiziaria  per  i
 reati  di  cui agli artt.   1, comma 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge n.
 429 del 10 luglio 1982, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
 516/1982 o  quando,  per  i  medesimi  fatti,  risulti  essere  stato
 presentato  rapporto  dalla  Guardia  di  finanza  o  risulti avviata
 l'azione penale" ed osservando, in relazione  alla  fattispecie,  che
 dal  verbale  14  ottobre  1995  della  Guardia  di finanza di Baceno
 risultava che nel corso di indagini di p.g. era stata inoltrata  alla
 procura  della  Repubblica  di  Verbania  comunicazione di notizia di
 reato a carico della S.r.l. Graniti Sassomare per i  delitti  di  cui
 all'art.  4,  comma  1,  lettera  f)  del decreto-legge n. 429 del 10
 luglio 1982, convertito dalla legge n. 516 del 7 agosto 1982.
   Sostiene la ricorrente che l'art. 2-bis, comma 2 del  decreto-legge
 n. 564 del 30 settembre 1994 sia illegittimo perche' in contrasto con
 gli  artt.  3  e  27  della  Costituzione e chiede pertanto all'adita
 commissione l'annullamento dell'impugnato provvedimento fondato sulla
 norma anzidetta.
                             D i r i t t o
   Il  principale  ed  assorbente motivo di annullamento contenuto nel
 ricorso n. 1372/96 proposto dalla S.r.l. Graniti  Sassomare  concerne
 la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di
 cui  agli  artt.  3  e 2-bis, comma 2 del d.-l. 30 settembre 1994, n.
 564.
   Questa  commissione  ritiene  che   la   sollevata   questione   di
 legittimita'  costituzionale del combinato disposto di cui agli artt.
 3 e 2-bis, comma 2 del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564  per  contrasto
 con  gli  artt.  3  e  27  della  Costituzione non sia manifestamente
 infondata e che pertanto il giudizio non possa essere definito se non
 previa risoluzione della questione stessa
   La questione  appare  di  evidente  rilevanza  atteso  che  investe
 l'applicabilita'  delle  norme  sospette  di  incostituzionalita'  al
 rapporto tributario controverso. Sull'applicazione di siffatte  norme
 riposa   la   validita'  delle  proposte  di  accertamento  formulate
 all'ufficio  dalla  ricorrente,  e  dalla  validita'  delle  proposte
 discende  la  definizione  del  rapporto  tributario conseguente alla
 avvenuta rettifica delle dichiarazioni  reddituali  presentate  dalla
 ricorrente medesima.
   Ne'  pare  superfluo  rilevare  che  l'oggetto  del  contenzioso  e
 dell'impugnativa  e'  specificamente  il  provvedimento   con   quale
 l'ufficio   imposte  di  Domodossola  ha  ritenuto  inammissibili  le
 proposte di  accertamento  con  adesione,  in  presenza  della  causa
 ostativa  prevista  dalle norme in esame, di tal che' la sopravvenuta
 illegittimita' delle disposizioni  in  odore  di  incostituzionalita'
 determinerebbe  l'accoglimento  delle  ragioni  enunciate  in ricorso
 dalla S.r.l. Graniti Sassomare all'ufficio di  validamente  formulare
 alla  ricorrente  le proposte di accertamento, ovvero di accettare la
 richiesta di formulazione avanzata dalla societa' Graniti  Sassomare,
 per gli anni considerati.
   La  questione  appare  non manifestamente infondata in virtu' delle
 seguenti considerazioni:
     va anzitutto premesso  che  nel  sistema  delineato  dagli  artt.
 2-bis,  2-ter  e  3 decreto-legge n. 564/1994, convertito in legge n.
 564/1994, d.P.R. 13 aprile 1995,  n.  177  recante  disposizioni  per
 l'esecuzione  del  primo,  l'istituto  dell'accertamento per adesione
 rappresenta un diritto per  il  contribuente,  e  non  un  mero  atto
 dicrezionale  dell'ufficio  impositore.  L'art.  1  del  decreto  del
 Presidente della Repubblica n. 177/1995 al  quinto  e  ultimo  comma,
 stabilisce  infatti  che  qualora  la  proposta  non sia pervenuta al
 contribuente  questi  possa  chiedere  all'ufficio  di  formulare  la
 proposta.  La  richiesta ha effetto vincolante atteso che in tal caso
 l'ufficio  provvede  alla   formulazione   della   proposta   stessa,
 sempreche' non ricorrano condizioni ostative (tassativamente elencate
 dalla legge).
   In  siffatto  sistema,  caratterizzato da un perfetto bilanciamento
 dei  poteri   dell'ufficio   e   dei   corrispondenti   diritti   del
 contribuente,  si  inserisce un elemento spurio fonte di squilibrio a
 favore dell'amministrazione finanziaria, che preclude al contribuente
 l'accesso  alla  proposta  di  accertamento  formulata  o  formulanda
 dall'Ufficio:   tale  elemento  e'  costituito  non  da  a  un  fatto
 oggettivo,  bensi'  da  un  mero  apprezzamento  soggettivo  e   piu'
 precisamente   una   valutazione  giuridica  che  lo  stesso  ufficio
 impositore  effettua  circa  la  sussumibilita'  di  elementi, dati e
 notizie in suo possesso, ad un'ipotesi di  reato  rientrante  fra  le
 fattispecie  criminali  contemplate  dagli  articoli  da  1  a  4 del
 decreto-legge n. 429/1982.
   In particolare la  norma  denunciata  configura  ed  elenca,  quali
 condizioni  ostative  della proposta di accertamento con adesione del
 contribuente,  una  serie  di  circostanze  che  di   per   se'   non
 costituiscono  prova  dell'esistenza di una responsabilita' penale ma
 rappresentano  semplicemente  l'aspetto  e  la  fase  prodromica  del
 procedimento  penale: in particolare va sottolineato come la prima di
 tali  circostanze  sia  rappresentata   dal   fatto   che   l'ufficio
 finanziario  sia  in  possesso di elementi, dati e notizia sulla base
 dei quali esso ritenga configurabile l'obbligo  di  denunzia  penale.
 Non  v'e'  chi  non  veda come la definizione del rapporto tributario
 venga  a  dipendere  in  tal  caso  dalla  valutazione   estremamente
 soggettiva,   e   non  rientrante  nella  sua  specifica  competenza,
 dell'ufficio tributario circa la  sussistenza  degli  estremi  di  un
 reato,  laddove  invece  1'a.g.    raggiunta  dalla notizia di reato,
 potrebbe ritenere non ravvisabili estremi di reato,  anche  sotto  il
 mero profilo dell'elemento soggettivo.
   La  norme  di  cui all'art. 2-bis, c.p.v. decreto-legge n. 564/1994
 appare dunque in contrasto con la presunzione di innocenza  stabilita
 dall'art. 27, c.p.v. della Costituzione quantomeno nella parte in cui
 preclude  ineluttabilmente  al  contribuente di accedere, aderendovi,
 alla proposta di accertamento che all'ufficio e' peraltro inibito  di
 formulare   in  presenza  delle  cennate  condizioni  ostative  anche
 nell'ipotesi in cui la notizia di  reato  risultasse  successivamente
 infondata,  ne'  prevede  un  meccanismo  in  virtu'  del  quale  sia
 consentito all'ufficio di riformulare la proposta di accertamento una
 volta caduta l'accusa nei confronti del contribuente.
   Il contrasto con il principio della  presunzione  di  innocenza  si
 risolve in una deteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento,
 e  quindi anche in una violazione della norma di cui all'art. 3 della
 Costituzione,  fra  coloro  che   beneficiano   della   proposta   di
 accertamento   formulata   dall'ufficio  impositore  e  quegli  altri
 contribuenti che, pur potendone astrattamente beneficiare, si  vedono
 preclusa  definitivamente,  in  quanto  inammissibile,  anziche' solo
 improcedibile, la definizione del rapporto tributario nelle forme del
 "concordato" a causa di una valutazione operata dall'ufficio  stesso,
 che  abbia  ravvisato  l'obbligo  di  rapporto penale, ovvero a causa
 della presentazione di un rapporto da parte della Guardia di  finanza
 o  a  causa  dell'avvio  di  un  procedimento  penale  non seguito da
 condanna penale irrevocabile.
   Occorre esaminare peraltro se la condizione ostativa in esame,  che
 pone  una deroga ad un beneficio di carattere universale, applicabile
 incondizionatamente   ad   una    generalita'    indiscriminata    di
 contribuenti, sia giustificabile alla stregua del sistema in cui essa
 si   inquadra,   tenuto   altresi'  contro  di  eventuali  precedenti
 normativi.
   E' noto che il principio di uguaglianza sancito dall'art.  3  della
 Costituzione  e  che  esige uguale disciplina normativa in situazioni
 uguali, puo' e deve tollerare deroghe legittime  soltanto  se  queste
 trovino giustificazione, e quindi ragionevolezza in altri principi ed
 interessi costituzionalmente garantiti.
   Nel  caso  di  specie  l'esigenza,  che  appare  sottesa alla norma
 sospetta, di escludere dalla proposta di accertamento assimilabile ad
 un condono tributario,  coloro  che  siano  in  predicato  di  essere
 sottoposti   a   procedimento   penale  per  gravi  reati  di  natura
 finanziaria,  confligge  con   altra   esigenza,   costituzionalmente
 tutelata  dalla  norma di cui all'art 27, comma 2 della Costituzione,
 di impedire che l'imputato riceva  danno,  anche  solo  alla  propria
 immagine,  dalla pendenza, e durante tutto il corso, del procedimento
 penale, sino a che la sua colpevolezza non risulti affermata  da  una
 sentenza irrevocabile di condanna. Alla luce di tale principio non e'
 chi  non  veda  come l'irrevocabile esclusione dal c.d. concordato di
 massa, che  per  definizione  dovrebbe  essere  aperto  ed  allargato
 all'intera  massa  dei contribuenti, di chi soltanto in forza di dati
 ed  elementi  in  possesso  dell'ufficio  finanziario  di  un   reato
 tributario,  non  puo'  non contrastare con quell'esigenza, avvertita
 dal  legislatore  costituente,  di   sancire   il   principio   della
 presunzione di innocenza dell'imputato.
   La  condizione  ostativa  in  commento rappresenta un innovativo ma
 incomprensibile  "giro  di   vite"   nel   variegato   panorama   dei
 provvedimenti   di   clemenza   tributaria   succedutisi  negli  anni
 successivi alla riforma tributaria del 1972/73. Gli articoli da 14  a
 35 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429 non prevedevano alcuna condizione
 ostativa   alla   definizione  del  rapporto  tributario  che,  nella
 previsione  legislativa,  avveniva  mediante  presentazione  di   una
 dichiarazione integrativa.
   Neppure   era   previsto   nel  decreto-legge  in  oggetto  che  la
 definizione  avesse  incidenza  ed   effetti   sulla   pendenza   dei
 provvedimenti  penali  in corso ma al testo in esame venne affiancato
 un coevo decreto presidenziale (d.P.R.  9 agosto 1982,  n.  525)  che
 espressamente  prevedevva  la  concessione  di  amnistia  per i reati
 tributari commessi fino al  30  giugno  1982,  subordinatamente  alla
 condizione    dall'avvenuta    presentazione    della   dichiarazione
 integrativa prevista dal decreto-legge n. 429/1982.
   L'art. 2 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  525/1982
 disponeva   la   sospensione   dei   procedimenti  e  la  sospensione
 dell'esecuzione penale delle sentenze di condanna fino alla  scadenza
 dei   termini   per   presentare  le  dichiarazioni  integrative.  Il
 meccanismo  cosi'  prefigurato  dai  due  testi  normativi   lasciava
 chiaramente  trasparire l'intendimento del legislatore di individuare
 nell'avvenuta definizione del  rapporto  tributario,  a  mezzo  della
 domanda integrativa con la quale il contribuente riconduceva i propri
 redditi  dichiarati nell'alveo della congruita' fiscale presunta, una
 causa di estinzione anche del  fatto-reato  tributario,  inteso  come
 estrema  sanzione conseguente l'evasione fiscale in senso lato e che,
 una  volta  raggiunta  la  definizione  del  rapporto  attraverso   i
 meccanismi  di  legge,  non  aveva  piu'  alcuna  ragione  di  essere
 perseguito dalla norma penale.
   La situazione inizia ad evolversi (ovvero, a seconda delle  diverse
 prospettive  di  politica  fiscale-criminale  alle  quali  si  voglia
 aderire, ad involversi, verso forme piu' restrittive con la norma  di
 cui  all'art.   68 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 il quale, pur
 prevedendo un sistema procedurale analogo a quello dianzi  esaminato,
 delego'  il  Capo  dello  Stato  a  stabilire  che  l'amnistia non si
 applicasse ai condannati per i delitti di  cui  agli  artt.  416-bis,
 648-bis,  648-ter  c.p., e via dicendo, che tuttavia non hanno natura
 di reati tributari:   la norma che si commenta,  pur  se  dettata  da
 ragioni  di  natura  extra-tributaria  faceva  pur salvo il principio
 della presunzione di innocenza dell'imputato in quanto escludeva  dal
 provvedimento  di  clemenza  i  "condannati" con sentenza definitiva,
 come si argomenta dal tenore del capoverso dell'art. 68.  L'eccezione
 alla regola dell'applicazione generalizzata del concordato alla massa
 dei  contribuenti,  stabilita  dall'art.  2-bis  del decreto-legge n.
 564/1994, non e' pertanto in sintonia con le linee e con la ratio del
 sistema, imperniato sulla incentivazione  del  contribuente,  nessuno
 escluso,  alla  definizione  delle  pendenze  tributarie  e  su di un
 meccanismo che comporta necessariamente, proprio in  virtu'  di  tale
 incentivo,   oltre   alla   definizione   del   rapporto   tributario
 conseguentemente  anche  l'estinzione  dei   reati   collegati   alla
 violazione  delle  norme  sostanziali  miranti a reprimere l'illecito
 finanziario. In siffatto contesto l'esclusione di taluni contribuenti
 dalla  definizione  concordata  del  rapporto  con  l'amministrazione
 finanziaria,   aggravata   dal   mancato   rispetto   del  principio,
 costituzionalmente tutelato,  dalla  presunzione  di  innocenza,  non
 risulta  coerente  con  la  ratio  del  sistema e sembra piuttosto il
 frutto  di  scelte   irrazionali   ed   emotive,   ispirate   ad   un
 giustizialismo fine a se stesso.
   Non  pare,  dunque,  manifestamente  infondata,  e se ne rimette la
 conseguente decisione alla Corte costituzionale, a'  sensi  dell'art.
 23  della  legge  11  marzo 1953, n. 87, la questione di legittimita'
 costituzionale del combinato disposto di cui agli artt.  3  e  2-bis,
 comma  2, del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 per ravvisato possibile
 contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 2  della  Costituzione  laddove
 stabilisce  che la definizione non e' ammessa quando sulla base degli
 elementi, dati e notizie a conoscenza dell'ufficio, e'  configurabile
 l'obbligo  di denuncia all'a.g. per i reati di cui agli articoli da 1
 a 4 del decreto-legge n. 429/1982  e  quando  per  i  medesimi  reati
 risulta  essere  stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o
 risulta avviata l'azione penale, senza prevedere che l'ufficio  debba
 riformulare  la  proposta  di  accertamento  qualora, su segnalazione
 dell'a.g.  penale  ovvero  del  contribuente,  risulti  archiviato  o
 altrimenti definito con sentenza di proscioglimento o di assoluzione,
 il  procedimento penale avviato a seguito del rapporto dell'ufficio o
 della Guardia di finanza o comunque incardinato  sulla  base  di  una
 notizia  criminis  comunque  acquisita dalla competente procura della
 Repubblica.
                               P. Q. M.
   Ritenuta e dichiarata rilevante, non potendosi altrimenti  definire
 il  giudizio  indipendentemente  dalla risoluzione della questione, e
 non   manifestamente   infondata,   in   virtu'    delle    superiori
 considerazioni,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
 combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30
 settembre 1994, n. 564 per contrasto con gli artt. 3 e  27,  comma  2
 della  Costituzione,  laddove  stabilisce  che  la definizione non e'
 ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza
 dell'ufficio e' configurabile l'obbligo di denuncia  all'a.g.  per  i
 reati  di  cui agli articoli da 1 a 4 del decreto-legge n. 482/1982 e
 quando,  per  i  medesimi  reati,  risulta  essere  stato  presentato
 rapporto  dalla Guardia di finanza o risulta avviata l'azione penale,
 senza  prevedere  che  l'ufficio  debba  riformulare  la  proposta di
 accertamento  qualora,  su  segnalazione  dell'a.g.  penale   ovvero,
 alternativamente,  del  contribuente, e ad istanza di questo, risulti
 archiviato o altrimenti definito con sentenza di proscioglimento o di
 assoluzione il corrispondente procedimento penale, ordina che a  cura
 della  segreteria  vengano  immediatamente  trasmessi  gli  atti  del
 giudizio alla Corte costituzionale per la decisione  della  sollevata
 questione  di legittimita' costituzionale e che la presente ordinanza
 venga notificata alle parti  in  causa,  nonche'  al  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti del Senato e della
 Camera dei deputati.
   Sospende il giudizio in corso.
   Cosi' deciso in Verbania oggi 9 luglio 1997.
                        Il presidente: Genovese
                                                Il relatore: La Monaca
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