N. 61 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 ottobre 1997
N. 61 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 14 ottobre 1997 (del presidente della regione siciliana) Regione - Conferenza Stato-Regione - Unificazione con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, province, comuni e comunita' montane - Lesione delle competenze e dell'autonomia della regione siciliana, con riguardo, in particolare, alle funzioni attribuite all'Assemblea regionale, al presidente e agli assessori regionali - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale n. 343/1991 e n. 87/1996. (D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, artt. 1, 2, 8, commi 1 e 4, e 9). (Statuto regione Sicilia, artt. 14, 15, 17 e 20).(GU n.45 del 5-11-1997 )
Ricorso del presidente della regione siciliana pro-tempore on. prof. Giuseppe Provenzano, autorizzato a ricorrere con deliberazione della Giunta regionale n. 360 del 17 settembre 1997, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto dall'avv. Giovanni Lo Bue dell'ufficio legislativo e legale della regione, ed elettivamente domiciliato in Roma nell'ufficio della regione siciliana in Roma, via Marghera n. 36, contro il Presidente del Consiglio pro-tempore, domiciliato per la carica a Roma presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Palazzo Chigi e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, per la dichiarazione di incostituzionalita' degli artt. 1, 2, 8, commi I e IV, e 9 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 30 agosto 1997. 1. - Le disposizioni impugnate sono state emanate nell'esercizio della delega legislativa prevista dall'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 50 e sono affette dagli stessi vizi che inficiano queste ultime norme, gia' impugnate con autonomo ricorso dalla regione siciliana. In particolare, la regione censura l'equiparazione tra regione ed enti locali realizzata dal complesso normativo cosi' risultante, soprattutto nella parte in cui viola il disegno dello Statuto siciliano che differenzia nettamente la posizione della regione rispetto a quella degli enti locali. Di contro, la disciplina impugnata sembra risolvere il dilemma tra "neoregionalismo" e "neomuncipalismo" a favore di quest'ultimo. Com'e' noto, mentre la soluzione neoregionalista comporta l'integrazione del sistema delle autonomie (Regione-enti locali), la soluzione neomunicipalista comporta una sistematica delle relazioni centro-periferia di tipo sostanzialmente triangolare, con relazioni dirette Stato-regioni da un lato e Stato-enti locali, dall'altro. Mentre nel primo modello la regione e' competente a definire gli equilibri del sistema istituzionale integrato regione-enti locali, con il principio di sussidiarieta' a garanzia di un'adeguata autonomia di questi ultimi, il secondo modello affida allo Stato la ripartizione delle funzioni tra i diversi livelli territoriali di governo e fa dell'amministrazione centrale l'interlocutore tanto delle regioni che degli enti locali. Le analisi scientifiche degli Stati a forte decentramento territoriale hanno da tempo permesso di evidenziare come "neoregionalismo" e "neomunicipalismo" non sono movimenti compatibili. I sistemi federali o di "regionalismo forte" sono tanti, con diverse soluzioni per quanto riguarda la forma di governo, il sistema elettorale, l'organizzazione politica. Ma in nessuno di essi si e' affermato un "assetto a tre punti", basato sulla pariordinazione tra Stato centrale, Stati federali/Regioni e enti locali. O il sistema segue una strada oppure l'altra: o si costruisce uno Stato centrale molto forte che dialoga direttamente con il sistema locale senza una reale intermediazione politica delle Regioni, oppure il sistema si basa sulla dialettica tra governo centrale e Enti federati/Regioni, senza che vi sia spazio per l'interposizione dei governi locali. 1.2. - Certamente il problema accennato in sede di riforma costituzionale potra' essere risolto in una direzione oppure in un'altra, sulla base dei diversi argomenti che militano a favore delle due soluzioni e della reale forza degli attori e degli interessi in gioco. Purche' la scelta tra le due alternative sia chiara evitando gli ibridi istituzionali che sono sempre fonte di ambiguita' e disfunzioni. Ma a "Costituzione invariata" ed in costanza di vigenza degli Statuti delle regioni speciali, la soluzione non puo' essere affidata semplicemente al confronto dei partiti politici, ai loro rapporti di forza e, in definitiva, alle scelte della maggioranza di governo. Piuttosto qui sono in gioco principi che rivestono una cruciale importanza nel definire l'assetto del pluralismo tipico del nostro Stato costituzionale e di cui la Corte costituzionale non puo' che essere garante, indipendentemente e autonomamente da quelli che sono i contingenti rapporti tra gli attori politici. Del resto, in questa materia il giudice costituzionale si e' espresso con grande chiarezza. Com'e' noto, l'occasione e' stata offerta soprattutto dall'art. 3 della legge n. 142 del 1990. Con la sentenza n. 343 del 1991 e poi con la sentenza n. 87 del 1996, la Corte ha affermato che "tratto caratterizzante della riforma appare il ruolo conferito alla regione dall'art. 3 della legge n. 142 del 1990" e che tale ruolo consiste nel fatto che la legge n. 142 "ha individuato per l'appunto nella Regione il centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali". Questo ruolo delineato dalla legge n. 142 del 1990 affonda le sue radici direttamente in Costituzione per le regioni ordinarie e negli statuti speciali per le regioni ad autonomia differenziata. Come ha precisato il giudice costituzionale nella sentenza citata per ultimo, la soluzione di configurare la regione quale centro propulsivo e di coordinamento delle autonomie locali si inserisce in una "prospettiva di maggiore aderenza all'art. 5 della Costituzione". "In tale disegno - continua il giudice costituzionale - la programmazione concertata tra regioni ed enti locali come metodo di raccordo dei vari livelli di governo, nonche' degli interessi e delle competenze che in essi si esprimono, contribuisce alla piena realizzazione del sistema delle autonomie in attuazione di quei principi costituzionali...", tra cui in particolare "quello che mette in luce la natura costituzionale dell'autonomia regionale (art. 115) e quello che indica le materie attribuite alla competenza delle regioni stesse (art. 117)". Gli artt. 5 e 114 della Costituzione infatti vanno interpretati sistematicamente in rapporto agli artt. 115, 117 e 128, che sanciscono la differente garanzia costituzionale delle regioni rispetto a quelle degli enti locali. Garanzia di "propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione", per le regioni, mentre per le province e i comuni sono autonomi "nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica". 1.3. - Ancora piu' netta e' la differente posizione costituzionale degli enti locali rispetto alle regioni speciali, ed in particolare alla regione siciliana. Infatti, la Sicilia, secondo il suo statuto, ha competenza legislativa esclusiva in materia di regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative" (art. 14, lett. o). Il successivo art. 15 dello statuto siciliano prevede che, nell'ambito dei principi stabiliti dalla medesima disposizione, "spetta alla regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali". Con la legge costituzionale n. 2 del 1993, la materia dell'ordinamento dei comuni e' stata attribuita alla competenza legislativa primaria delle altre regioni speciali. Pertanto, come ha prontamente rilevato la dottrina, puo' sostenersi come "la recente legge costituzionale sia per le regioni speciali un ulteriore passo nella direzione della costruzione di un tipo di regionalismo in cui le autonomie locali sono una parte del sistema regionale e non una parte del sistema statale. Si tratta di una soluzione che certamente avvicina di piu' il regionalismo alla strutturazione dei rapporti tra le diverse comunita' territoriali caratteristica di un sistema federale. In effetti, il riferimento al federalismo puo' comprendere molti aspetti, uno dei quali verosimilmente e' anche questo: un'organizzazione federale che poggi su enti di natura in qualche modo "statale" e' anche una struttura in cui il livello regionale (ovvero il livello dello stato membro) ha una padronanza del sistema amministrativo interno che non ammette, tra le altre, neppure l'eccezione degli enti territoriali" (cosi' G. Falcon, Problemi e modelli per la ricomposizione delle funzioni degli enti locali, in Le Regioni, 1994, 672). In questo sistema e' esclusa la possibilita' di un sistema istituzionale a "tre punte" con regioni e autonomie locali come interlocutori pariordinati degli organi costituzionali dello Stato. Espressione evidente di tale conclusione sono le norme dello statuto siciliano che riservano alla regione la cooperazione con gli organi dello Stato centrale. Infatti, solamente "l'Assemblea regionale puo' emettere voti, formulare progetti sulle materie di competenza degli organi dello Stato che possano interessare la regione, e presentarli alle Assemblee legislative dello Stato" (art. 18). Inoltre, e' il presidente della regione che "partecipa al Consiglio dei ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la regione" (art. 21). 1.4. - Di contro la legge n. 59 del 1997 - che per altri profili costituisce una svolta storica da tempo auspicata nell'organizzazione dei pubblici poteri in Italia, per la chiara opzione verso la valorizzazione delle autonomie territoriali - persegue un disegno istituzionale di equiparazione di regioni, comuni e province. Questa scelta di politica istituzionale si rinviene fin dai primi quattro articoli della legge riguardanti la delega al Governo per l'emanazione dei decreti legislativi di trasferimento di finzioni amministrative a regioni ed enti locali, i quali attribuiscono sostanzialmente al Governo la ripartizione delle funzioni tra il livello regionale e quello locale. La regione siciliana, pero', non ha impugnato le sopra citate disposizioni nel presupposto che esse non si applicano al suo ordinamento, visto che sulla base dello statuto speciale e della prassi concretamente seguita i trasferimenti di funzioni si realizzano mediante le norme di attuazione statutaria approvate dal Governo, previa determinazione della Commissione paritetica. Pertanto, ritenendo che i decreti legislativi di trasferimento di funzioni previsti dalla legge non riguardano la regione siciliana, quest'ultima non ha proposto ricorso avverso le sopra citate disposizioni. 1.5. - Diversa e' l'efficacia dell'art. 9 che, prevedendo l'unificazione della Conferenza Stato-regioni-provincie autonome con quella Stato-citta', incide direttamente sulla posizione della regione siciliana nel sistema costituzionale, per l'ovvio effetto di svuotamento del ruolo differenziato rispetto agli enti locali che, sulla base del suo Statuto approvato con legge costituzionale, ad essa deve essere riconosciuto. Piu' precisamente, l'art. 9, primo comma, prevede che la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome sia unificata, per i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni con la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali. Questa unificazione potrebbe avvenire - la disposizione e' poco perspicua al riguardo lasciando in piedi entrambe le possibilita' - o nella forma di una vera e propria fusione dei due organismi, ovvero mantenendo distinte le due figure organizzative che pero' verrebbero riunite insieme nel caso delle materie comuni, le quali pero' sarebbero, in un sistema ispirato al decentramento ed alla sussidiarieta', certamente la stragrande maggioranza. Peraltro, ai sensi del secondo comma della disposizione impugnata, la Conferenza unificata dovrebbe esprimere tutti i pareri richiesti dall'attuale legislazione alla Conferenza Stato-regioni-province autonome. Com'e' noto, la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali e' stata recentemente istituita con d.P.C.M. del 2 luglio 1996, con compiti di coordinamento nei rapporti con le autonomie locali, di studio, di informazione e confronto sulle problematiche connesse con gli indirizzi di politica generale che possono incidere sulle funzioni proprie di comuni e province e su quelle delegate agli stessi da leggi dello Stato. L'organismo neoistituito ha incontrato le critiche di chi lo ha ritenuto espressione di un assetto triangolare con relazioni dirette tra lo Stato, da una parte, e le regioni e le autonomie locali dall'altra. In particolare, e' stato osservato come "la soluzione adottata dal decreto e' tanto piu' criticabile in quanto contrasta direttamente con scelte istituzionali gia' operate da leggi di settore (una per tutte: la sanita' e l'assetto attuale del S.S.N.) o da leggi ordinamentali generali (art. 3 della legge n. 142/1990) che invece hanno optato per un sistema di necessaria intermediazione regionale, al punto che potrebbe sostenersi che disposizioni quali quelle della presenza (stabile|) del Ministro della sanita' nello Stato-citta' (art. 2.1) o quella relativa ai provvedimenti da adottarsi in ordine alle attivita' di gestione ed erogazione dei servizi pubblici (art. 1.2 lettera b) sono illegittime per contrasto con le ricordate, e vigenti, disposizioni legislative" (cosi' M. Cammelli, La conferenza Stato-citta': partenze false e problemi veri, in Le Regioni, 1996, 422). Esistono quindi profili di contraddittorieta' dell'art. 9 impugnato, che consolida la Conferenza Stato-Citta', con la trama normativa complessiva dell'ordinamento, in cui si e' consolidata, anche a livello subcostituzionale, la posizione differenziata delle regioni rispetto agli enti locali, che tra l'altro implica la necessaria intermediazione regionale. Con la conseguenza che potrebbe prospettarsi la irragionevolezza della disposizione citata. Ma al di la' di quest'ultimo aspetto, cio' che maggiormente rileva e' che l'art. 9 si pone in stridente contrasto con il sistema costituzionale, cosi' come e' stato ricostruito nei precedenti paragrafi, il quale comporta la netta differenziazione della posizione delle regioni, in particolare delle speciali come la Sicilia, rispetto a quella degli enti locali. Differenziazione che presenta due momenti strettamente complementari: a) la regione ha la padronanza del sistema amministrativo interno che si caratterizza per una forte integrazione del sistema delle autonomie locali (regioni-enti locali); b) le relazioni centro-periferia sono relazioni tra lo Stato e le regioni, con la conseguenza che e' necessaria l'intermediazione regionale. Questa e' la ricostruzione preferibile del sistema costituzionale delle regioni ordinarie e questa e' l'unica ricostruzione possibile dell'assetto delle relazioni centro-periferia secondo le inequivocabili previsioni degli statuti delle regioni speciali 1.6. - Se poi dal piano del diritto costituzionale, su cui si sono sviluppate le considerazioni che precedono, ci si sposta su quello della politica istituzionale, si puo' convenire che alla base della soluzione organizzatoria criticata vi sono le preoccupazioni, corroborate dall'esperienza, di un centralismo regionale soffocante le autonomie locali. Ma a questa giusta preoccupazione puo' rispondersi in maniera diversa rispetto a quanto viene fatto con la Conferenza Stato-citta'. Da una parte il sistema amministrativo a scala regionale puo' essere costruito con attenzione ed efficaci garanzie nei confronti del principio di sussidiarieta', in modo da garantire la piu' ampia autonomia agli enti locali. Il che puo' avvenire gia' nel vigente sistema costituzionale. Si pensi, in particolare, all'art. 15 dello Statuto siciliano, ai sensi del quale i comuni ed i liberi consorzi dei comuni devono essere "dotati della piu' ampia autonomia amministrativa e finanziaria". Dall'altra parte, vi sono le figure organizzatorie che consentono la realizzazione di forme di cooperazione tra la regione e le autonomie locali, inserendo queste ultime nei processi decisionali regionali. In tale prospettiva si pone l'art. 43 della legge regionale siciliana 7 marzo 1997, n. 6 che ha istituito la Conferenza permanente regione-autonomie locali per il coordinamento delle politiche locali nel territorio della regione con compiti di informazione, consultazione e raccordo in relazione agli indirizzi di politica generale del Governo regionale che incidono sulle funzioni proprie o delegate dei comuni e delle province. Attraverso le vie sinteticamente indicate pare possibile una riorganizzazione della nostra "forma di Stato", anche a "Costituzione invariata", che consenta di valorizzare sul serio regioni e autonomie locali. Invece, come ha osservato un lucido studioso dello Stato regionale, "sicuramente perdente e' l'idea di una pari rappresentanza dei due livelli di governo al centro ...", perche' la loro rappresentanza in seno ad uno stesso organo darebbe luogo ad un collegio "votato a sicura paralisi", come e' dimostrato, tra l'altro, dalle esperienze "del Senato, Camera di rappresentanza territoriale in Spagna (che infatti si vorrebbe convertire al modello Bundesrat) e (piu' recenti, ma gia' significative) del Comitato delle regioni in Europa" (R. Bin, Quando i sindaci marciano su Roma, in Le Regioni, 1995, p. 836). 1.7. - Portando alle conseguenze estreme le precedenti considerazioni si potrebbe addivenire ad una censura, sul piano della legittimita' costituzionale, della stessa previsione di una Conferenza Stato-citta'. Ma anche a non volere accedere ad una soluzione radicale, e' incontrovertibile come la disciplina di cui all'art. 9, primo comma, della legge impugnata sia in contrasto con la disciplina costituzionale e con quella dello Statuto siciliano relativa ai rapporti tra Stato, regioni e autonomie locali. Infatti, la Conferenza Stato-citta', nella versione attuale, svolge una mera funzione di informazione e di confronto tra il Governo ed i rappresentanti delle autonomie locali. Invece, a seguito dell'unificazione della Conferenza Stato-regioni-province autonome con la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali, i rappresentanti delle autonomie locali parteciperebbero a quei procedimenti attraverso cui oggi si svolge la collaborazione tra lo Stato e le regioni e che possono assumere diverse configurazioni: funzione consultiva obbligatoria; funzione di cogestione "concertata", frutto cioe' di intese con l'amministrazione centrale; funzioni di cogestione "diretta", consistenti nella determinazione da parte della Conferenza, in via diretta ed esclusiva, del contenuto di atti di indirizzo e programmazione. In tal modo la Conferenza e' diventata un organismo legittimato non soltanto a perfezionare intese, ma anche a gestire direttamente le fasi programmatiche di attuazione di talune normative, mediante deliberazioni con cui la Conferenza fissa direttive generali e programmi di attivita'. Attraverso l'unificazione prevista dall'impugnato art. 9 si avrebbe un salto di qualita' della Conferenza Stato-citta' autonomie locali, perche' da semplice organo che puo' realizzare un confronto non obbligatorio tra il Governo ed e i rappresentanti delle autonomie locali, potrebbe intervenire in processi decisionali che culminano in decisioni di altra amministrazione immediatamente incidenti nell'ordinamento regionale. Ma in questa trasformazione sarebbe implicita l'equiparazione nel sistema delle relazioni tra centro e periferia delle regioni e delle autonomie locali, in contrasto con i risultati interpretativi ottenuti nei precedenti paragrafi. 1.8. - Ma anche se - per assurdo - non volessero condividersi le precedenti conclusioni, difficilmente potrebbe negarsi che sia almeno necessario che nella Conferenza unificata la posizione delle regioni e quella delle autonomie locali resti comunque differenziata, almeno sotto il profilo delle differenti quote di rappresentanti che dovrebbe comunque essere favorevole alle regioni. A questo proposito non sembra inutile osservare che nel Comitato delle regioni dell'Unione europea la maggior parte dei seggi e' stata attribuita ai rappresentanti dei livelli di governo regionale, mentre significativamente piu' limitata e' la rappresentanza delle Citta' (93 seggi su un totale di 222). Tuttavia, la disposizione impugnata nulla stabilisce al riguardo, prestandosi cosi' ad ulteriori rilievi sotto il profilo dell'incostituzionalita'. 1.9. - Si aggiunga, per concludere, come e' palesemente incostituzionale la lett. a) del primo comma secondo cui la Conferenza Stato-regioni-province autonome partecipa, oltre che "a tutti i processi decisionali di interesse regionale" (che riguardano, cioe', tutte le regioni), anche a quelle di interesse "interregionale e infraregionale". In questo modo si incide macroscopicamente sull'autonomia amministrativa e organizzativa della regione nei suoi rapporti con gli enti locali collocati in una dimensione infraregionale oppure con rapporti autonomamente determinati con altre regioni. E' inspiegabile a quale titolo Stato o le altre regioni possano intervenire ed ingerirsi in un processo infraregionale o interregionale della regione siciliana. Le menzionate censure - che gia' determinano l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997 n. 50, comportano altresi' l'illegittimita' delle norme del d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281, ed in particolare degli artt. 1 e 2, 8 commi I e VI, e dell'art. 9, nella parte in cui unificando la Conferenza Stato-regioni e quella Stato-citta', per compiti e materie di interesse comune, non prevedano una qualche forma di preminenza nel processo decisionale delle regioni. Piu' in particolare, maggiormente vistosa e' la violazione degli artt. 14, 15, 17 e 20 dello statuto siciliano da parte di queste norme, nella parte in cui paiono consentire di ritenere le determinazioni assunte nella Conferenza unificata, con il dissenso della regione siciliana, vincolanti anche nei confronti di quest'ultima, pure in relazione alla sfera dei rapporti tra la regione e gli enti locali siciliani ovvero con riguardo all'ordinamento ed all'attivita' di questi ultimi.
Si chiede pertanto che voglia l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 8, commi I e IV, e dell'art. 9 del d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281, per violazione degli artt. 14, 15, 17 e 20 dello statuto siciliano. Palermo-Roma, addi' 26 settembre 1997 Avv. Giovanni Lo Bue 97C1158