N. 61 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 ottobre 1997

                                 N. 61
  Ricorso  per  questione di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria  il  14  ottobre  1997  (del  presidente  della   regione
 siciliana)
 Regione  -  Conferenza Stato-Regione - Unificazione con la Conferenza
    Stato-citta' ed autonomie locali per le materie ed  i  compiti  di
    interesse  comune  delle  regioni,  province,  comuni  e comunita'
    montane - Lesione delle competenze e dell'autonomia della  regione
    siciliana,  con riguardo, in particolare, alle funzioni attribuite
    all'Assemblea regionale, al presidente e agli assessori  regionali
    - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale  n. 343/1991 e
    n. 87/1996.
 (D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, artt. 1, 2, 8, commi 1 e 4, e 9).
 (Statuto regione Sicilia, artt. 14, 15, 17 e 20).
(GU n.45 del 5-11-1997 )
   Ricorso  del  presidente  della  regione  siciliana pro-tempore on.
 prof. Giuseppe Provenzano, autorizzato a ricorrere con  deliberazione
 della  Giunta regionale n. 360 del 17 settembre 1997, rappresentato e
 difeso, giusta procura a margine del presente atto dall'avv. Giovanni
 Lo  Bue  dell'ufficio  legislativo  e  legale   della   regione,   ed
 elettivamente   domiciliato   in   Roma  nell'ufficio  della  regione
 siciliana in Roma, via Marghera  n.  36,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio  pro-tempore,  domiciliato  per  la carica a Roma presso la
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Palazzo  Chigi  e  difeso  per
 legge   dall'Avvocatura   dello   Stato,   per  la  dichiarazione  di
 incostituzionalita' degli artt. 1, 2, 8, commi I e IV, e 9 del d.lgs.
 28 agosto 1997, n. 281, pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  n.  202
 del 30 agosto 1997.
   1.  -  Le  disposizioni impugnate sono state emanate nell'esercizio
 della delega legislativa prevista dall'art. 8 della  legge  15  marzo
 1997,  n.  50  e  sono affette dagli stessi vizi che inficiano queste
 ultime norme, gia'  impugnate  con  autonomo  ricorso  dalla  regione
 siciliana.    In  particolare, la regione censura l'equiparazione tra
 regione ed enti  locali  realizzata  dal  complesso  normativo  cosi'
 risultante,  soprattutto  nella  parte  in cui viola il disegno dello
 Statuto siciliano  che  differenzia  nettamente  la  posizione  della
 regione rispetto a quella degli enti locali. Di contro, la disciplina
 impugnata   sembra  risolvere  il  dilemma  tra  "neoregionalismo"  e
 "neomuncipalismo" a favore di quest'ultimo.
   Com'e'   noto,   mentre   la   soluzione  neoregionalista  comporta
 l'integrazione del sistema delle autonomie (Regione-enti locali),  la
 soluzione  neomunicipalista  comporta una sistematica delle relazioni
 centro-periferia di tipo sostanzialmente triangolare,  con  relazioni
 dirette  Stato-regioni  da  un  lato e Stato-enti locali, dall'altro.
 Mentre nel primo modello la regione  e'  competente  a  definire  gli
 equilibri  del  sistema  istituzionale integrato regione-enti locali,
 con  il  principio  di  sussidiarieta'  a  garanzia  di   un'adeguata
 autonomia  di  questi ultimi, il secondo modello affida allo Stato la
 ripartizione delle funzioni tra i  diversi  livelli  territoriali  di
 governo  e  fa  dell'amministrazione  centrale  l'interlocutore tanto
 delle regioni che degli enti locali.
   Le  analisi  scientifiche  degli  Stati   a   forte   decentramento
 territoriale   hanno   da   tempo   permesso   di   evidenziare  come
 "neoregionalismo"   e   "neomunicipalismo"   non    sono    movimenti
 compatibili. I sistemi federali o di "regionalismo forte" sono tanti,
 con  diverse  soluzioni  per  quanto riguarda la forma di governo, il
 sistema elettorale, l'organizzazione politica. Ma in nessuno di  essi
 si   e'   affermato   un   "assetto   a   tre  punti",  basato  sulla
 pariordinazione tra Stato centrale,  Stati  federali/Regioni  e  enti
 locali. O il sistema segue una strada oppure l'altra: o si costruisce
 uno  Stato  centrale  molto  forte  che  dialoga  direttamente con il
 sistema  locale  senza  una  reale  intermediazione  politica   delle
 Regioni,  oppure  il  sistema  si  basa  sulla dialettica tra governo
 centrale e  Enti  federati/Regioni,  senza  che  vi  sia  spazio  per
 l'interposizione dei governi locali.
   1.2.  -  Certamente  il  problema  accennato  in  sede  di  riforma
 costituzionale potra' essere  risolto  in  una  direzione  oppure  in
 un'altra,  sulla  base  dei  diversi  argomenti che militano a favore
 delle due  soluzioni  e  della  reale  forza  degli  attori  e  degli
 interessi  in  gioco.  Purche'  la  scelta tra le due alternative sia
 chiara evitando gli ibridi istituzionali che  sono  sempre  fonte  di
 ambiguita' e disfunzioni.
   Ma  a  "Costituzione  invariata"  ed  in  costanza di vigenza degli
 Statuti delle regioni speciali, la soluzione non puo' essere affidata
 semplicemente al confronto dei partiti politici, ai loro rapporti  di
 forza e, in definitiva, alle scelte della maggioranza di governo.
   Piuttosto  qui  sono  in  gioco principi che rivestono una cruciale
 importanza nel definire l'assetto del pluralismo  tipico  del  nostro
 Stato  costituzionale  e  di cui la Corte costituzionale non puo' che
 essere garante, indipendentemente e autonomamente da quelli che  sono
 i contingenti rapporti tra gli attori politici.
   Del  resto,  in  questa  materia  il  giudice  costituzionale si e'
 espresso con grande chiarezza.
   Com'e' noto, l'occasione e' stata offerta soprattutto dall'art.   3
 della  legge  n.  142 del 1990. Con la sentenza n. 343 del 1991 e poi
 con la sentenza n. 87 del 1996, la Corte  ha  affermato  che  "tratto
 caratterizzante  della riforma appare il ruolo conferito alla regione
 dall'art. 3 della legge n. 142 del 1990" e che  tale  ruolo  consiste
 nel  fatto  che  la  legge n. 142 "ha individuato per l'appunto nella
 Regione il centro propulsore e di coordinamento  dell'intero  sistema
 delle autonomie locali".
   Questo  ruolo  delineato dalla legge n. 142 del 1990 affonda le sue
 radici direttamente in Costituzione per le regioni ordinarie e  negli
 statuti speciali per le regioni ad autonomia differenziata.
   Come  ha  precisato il giudice costituzionale nella sentenza citata
 per ultimo, la soluzione  di  configurare  la  regione  quale  centro
 propulsivo  e di coordinamento delle autonomie locali si inserisce in
 una "prospettiva di maggiore aderenza all'art. 5 della Costituzione".
 "In  tale  disegno  -  continua  il  giudice  costituzionale   -   la
 programmazione  concertata  tra regioni ed enti locali come metodo di
 raccordo dei vari livelli di governo, nonche' degli interessi e delle
 competenze  che  in  essi  si  esprimono,  contribuisce  alla   piena
 realizzazione  del  sistema  delle  autonomie  in  attuazione di quei
 principi costituzionali...", tra cui in particolare "quello che mette
 in luce la natura costituzionale dell'autonomia regionale (art.  115)
 e  quello  che  indica  le  materie  attribuite alla competenza delle
 regioni stesse (art. 117)".
   Gli artt. 5 e 114 della  Costituzione  infatti  vanno  interpretati
 sistematicamente   in  rapporto  agli  artt.  115,  117  e  128,  che
 sanciscono  la  differente  garanzia  costituzionale  delle   regioni
 rispetto  a  quelle  degli  enti locali. Garanzia di "propri poteri e
 funzioni secondo i  principi  fissati  dalla  Costituzione",  per  le
 regioni, mentre per le province e i comuni sono autonomi "nell'ambito
 dei principi fissati da leggi generali della Repubblica".
   1.3.  - Ancora piu' netta e' la differente posizione costituzionale
 degli enti locali rispetto alle regioni speciali, ed  in  particolare
 alla  regione siciliana. Infatti, la Sicilia, secondo il suo statuto,
 ha competenza legislativa esclusiva in materia di regime  degli  enti
 locali  e  delle  circoscrizioni  relative"  (art.  14,  lett. o). Il
 successivo art. 15 dello statuto siciliano prevede  che,  nell'ambito
 dei  principi  stabiliti  dalla  medesima  disposizione, "spetta alla
 regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta  in  materia
 di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali".
   Con   la   legge   costituzionale   n.   2  del  1993,  la  materia
 dell'ordinamento dei  comuni  e'  stata  attribuita  alla  competenza
 legislativa primaria delle altre regioni speciali.
   Pertanto, come ha prontamente rilevato la dottrina, puo' sostenersi
 come  "la recente legge costituzionale sia per le regioni speciali un
 ulteriore passo nella direzione  della  costruzione  di  un  tipo  di
 regionalismo  in  cui  le autonomie locali sono una parte del sistema
 regionale e non una parte del  sistema  statale.  Si  tratta  di  una
 soluzione  che  certamente  avvicina  di  piu'  il  regionalismo alla
 strutturazione dei rapporti tra  le  diverse  comunita'  territoriali
 caratteristica  di un sistema federale. In effetti, il riferimento al
 federalismo  puo'  comprendere   molti   aspetti,   uno   dei   quali
 verosimilmente  e' anche questo: un'organizzazione federale che poggi
 su enti di natura in qualche modo "statale" e' anche una struttura in
 cui il livello regionale (ovvero il livello dello  stato  membro)  ha
 una  padronanza  del  sistema amministrativo interno che non ammette,
 tra le altre, neppure l'eccezione degli enti territoriali" (cosi'  G.
 Falcon, Problemi e modelli per la ricomposizione delle funzioni degli
 enti locali, in Le Regioni, 1994, 672).
   In  questo  sistema  e'  esclusa  la  possibilita'  di  un  sistema
 istituzionale a "tre punte"  con  regioni  e  autonomie  locali  come
 interlocutori  pariordinati  degli organi costituzionali dello Stato.
 Espressione evidente di tale conclusione sono le norme dello  statuto
 siciliano  che  riservano alla regione la cooperazione con gli organi
 dello Stato centrale.  Infatti, solamente "l'Assemblea regionale puo'
 emettere voti, formulare progetti sulle materie di  competenza  degli
 organi  dello Stato che possano interessare la regione, e presentarli
 alle Assemblee legislative dello Stato" (art.  18).  Inoltre,  e'  il
 presidente della regione che "partecipa al Consiglio dei ministri con
 voto  deliberativo  nelle  materie  che interessano la regione" (art.
 21).
   1.4. - Di contro la legge n. 59 del 1997 - che  per  altri  profili
 costituisce una svolta storica da tempo auspicata nell'organizzazione
 dei  pubblici  poteri  in  Italia,  per  la  chiara  opzione verso la
 valorizzazione delle autonomie territoriali  -  persegue  un  disegno
 istituzionale di equiparazione di regioni, comuni e province.
   Questa  scelta  di politica istituzionale si rinviene fin dai primi
 quattro articoli della legge riguardanti la  delega  al  Governo  per
 l'emanazione  dei  decreti  legislativi  di trasferimento di finzioni
 amministrative a  regioni  ed  enti  locali,  i  quali  attribuiscono
 sostanzialmente  al  Governo  la  ripartizione  delle funzioni tra il
 livello regionale e quello locale.
   La regione siciliana, pero',  non  ha  impugnato  le  sopra  citate
 disposizioni  nel  presupposto  che  esse  non  si  applicano  al suo
 ordinamento, visto che sulla base  dello  statuto  speciale  e  della
 prassi   concretamente   seguita   i  trasferimenti  di  funzioni  si
 realizzano mediante le norme di attuazione statutaria  approvate  dal
 Governo,   previa   determinazione   della   Commissione  paritetica.
 Pertanto, ritenendo che i decreti  legislativi  di  trasferimento  di
 funzioni  previsti  dalla  legge non riguardano la regione siciliana,
 quest'ultima  non  ha  proposto  ricorso  avverso  le  sopra   citate
 disposizioni.
   1.5.   -   Diversa  e'  l'efficacia  dell'art.  9  che,  prevedendo
 l'unificazione della Conferenza Stato-regioni-provincie autonome  con
 quella   Stato-citta',  incide  direttamente  sulla  posizione  della
 regione siciliana nel sistema costituzionale, per l'ovvio effetto  di
 svuotamento  del  ruolo  differenziato rispetto agli enti locali che,
 sulla base del suo Statuto approvato  con  legge  costituzionale,  ad
 essa deve essere riconosciuto.
   Piu' precisamente, l'art. 9, primo comma, prevede che la Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome sia unificata, per  i  compiti  di  interesse  comune  delle
 regioni, delle province e dei comuni con la Conferenza Stato-citta' e
 autonomie   locali.   Questa  unificazione  potrebbe  avvenire  -  la
 disposizione  e'  poco  perspicua  al  riguardo  lasciando  in  piedi
 entrambe  le  possibilita'  -  o  nella  forma  di una vera e propria
 fusione dei due organismi, ovvero mantenendo distinte le  due  figure
 organizzative  che  pero'  verrebbero  riunite insieme nel caso delle
 materie comuni, le quali pero' sarebbero, in un sistema  ispirato  al
 decentramento   ed  alla  sussidiarieta',  certamente  la  stragrande
 maggioranza. Peraltro, ai sensi del secondo comma della  disposizione
 impugnata,  la Conferenza unificata dovrebbe esprimere tutti i pareri
 richiesti     dall'attuale     legislazione      alla      Conferenza
 Stato-regioni-province autonome.
   Com'e' noto, la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali e' stata
 recentemente istituita con d.P.C.M. del 2 luglio 1996, con compiti di
 coordinamento  nei  rapporti  con  le autonomie locali, di studio, di
 informazione  e  confronto  sulle  problematiche  connesse  con   gli
 indirizzi  di  politica  generale che possono incidere sulle funzioni
 proprie di comuni e province e su  quelle  delegate  agli  stessi  da
 leggi dello Stato. L'organismo neoistituito ha incontrato le critiche
 di  chi  lo  ha  ritenuto  espressione  di un assetto triangolare con
 relazioni dirette tra lo Stato, da una  parte,  e  le  regioni  e  le
 autonomie  locali dall'altra. In particolare, e' stato osservato come
 "la soluzione adottata dal  decreto  e'  tanto  piu'  criticabile  in
 quanto  contrasta  direttamente con scelte istituzionali gia' operate
 da leggi di settore (una per tutte: la sanita'  e  l'assetto  attuale
 del  S.S.N.) o da leggi ordinamentali generali (art. 3 della legge n.
 142/1990) che invece  hanno  optato  per  un  sistema  di  necessaria
 intermediazione  regionale,  al  punto  che  potrebbe  sostenersi che
 disposizioni quali quelle  della  presenza  (stabile|)  del  Ministro
 della  sanita'  nello  Stato-citta'  (art.  2.1) o quella relativa ai
 provvedimenti da adottarsi in ordine alle attivita'  di  gestione  ed
 erogazione   dei   servizi  pubblici  (art.    1.2  lettera  b)  sono
 illegittime per contrasto con le ricordate, e  vigenti,  disposizioni
 legislative" (cosi' M. Cammelli, La conferenza Stato-citta': partenze
 false e problemi veri, in Le Regioni, 1996, 422).
   Esistono   quindi   profili   di   contraddittorieta'  dell'art.  9
 impugnato, che consolida la Conferenza  Stato-Citta',  con  la  trama
 normativa  complessiva  dell'ordinamento,  in  cui si e' consolidata,
 anche a livello subcostituzionale, la posizione  differenziata  delle
 regioni  rispetto  agli  enti  locali,  che  tra  l'altro  implica la
 necessaria intermediazione regionale. Con la conseguenza che potrebbe
 prospettarsi la irragionevolezza della disposizione citata.
   Ma al di la' di quest'ultimo aspetto, cio' che maggiormente  rileva
 e'  che  l'art.  9  si  pone  in  stridente  contrasto con il sistema
 costituzionale,  cosi'  come  e'  stato  ricostruito  nei  precedenti
 paragrafi,   il   quale  comporta  la  netta  differenziazione  della
 posizione delle  regioni,  in  particolare  delle  speciali  come  la
 Sicilia,  rispetto  a  quella degli enti locali. Differenziazione che
 presenta due momenti strettamente complementari: a) la regione ha  la
 padronanza del sistema amministrativo interno che si caratterizza per
 una   forte   integrazione   del   sistema   delle  autonomie  locali
 (regioni-enti  locali);  b)  le   relazioni   centro-periferia   sono
 relazioni  tra  lo  Stato  e  le  regioni,  con la conseguenza che e'
 necessaria l'intermediazione regionale.
   Questa e' la ricostruzione preferibile del  sistema  costituzionale
 delle  regioni  ordinarie e questa e' l'unica ricostruzione possibile
 dell'assetto   delle   relazioni    centro-periferia    secondo    le
 inequivocabili previsioni degli statuti delle regioni speciali
   1.6.  - Se poi dal piano del diritto costituzionale, su cui si sono
 sviluppate le considerazioni che precedono, ci si  sposta  su  quello
 della  politica  istituzionale, si puo' convenire che alla base della
 soluzione  organizzatoria  criticata  vi  sono   le   preoccupazioni,
 corroborate  dall'esperienza,  di un centralismo regionale soffocante
 le  autonomie  locali.  Ma  a  questa  giusta   preoccupazione   puo'
 rispondersi  in  maniera diversa rispetto a quanto viene fatto con la
 Conferenza Stato-citta'.  Da una parte il  sistema  amministrativo  a
 scala  regionale  puo'  essere  costruito  con attenzione ed efficaci
 garanzie  nei  confronti  del principio di sussidiarieta', in modo da
 garantire la piu' ampia autonomia  agli  enti  locali.  Il  che  puo'
 avvenire  gia'  nel  vigente  sistema  costituzionale.   Si pensi, in
 particolare, all'art. 15 dello Statuto siciliano, ai sensi del  quale
 i  comuni ed i liberi consorzi dei comuni devono essere "dotati della
 piu' ampia  autonomia  amministrativa  e  finanziaria".    Dall'altra
 parte,   vi   sono   le   figure  organizzatorie  che  consentono  la
 realizzazione di forme di cooperazione tra la regione e le  autonomie
 locali,  inserendo  queste ultime nei processi decisionali regionali.
 In tale prospettiva si pone l'art. 43 della legge regionale siciliana
 7 marzo  1997,  n.  6  che  ha  istituito  la  Conferenza  permanente
 regione-autonomie  locali per il coordinamento delle politiche locali
 nel  territorio  della   regione   con   compiti   di   informazione,
 consultazione  e  raccordo  in  relazione  agli indirizzi di politica
 generale del Governo regionale che incidono sulle funzioni proprie  o
 delegate dei comuni e delle province.
   Attraverso  le  vie  sinteticamente  indicate  pare  possibile  una
 riorganizzazione della nostra "forma di Stato", anche a "Costituzione
 invariata", che consenta di valorizzare sul serio regioni e autonomie
 locali.  Invece, come ha osservato un  lucido  studioso  dello  Stato
 regionale, "sicuramente perdente e' l'idea di una pari rappresentanza
 dei   due  livelli  di  governo  al  centro  ...",  perche'  la  loro
 rappresentanza in seno ad uno  stesso  organo  darebbe  luogo  ad  un
 collegio "votato a sicura paralisi", come e' dimostrato, tra l'altro,
 dalle  esperienze  "del Senato, Camera di rappresentanza territoriale
 in Spagna (che infatti si vorrebbe convertire al modello Bundesrat) e
 (piu' recenti, ma gia' significative) del Comitato delle  regioni  in
 Europa"  (R.   Bin, Quando i sindaci marciano su Roma, in Le Regioni,
 1995, p. 836).
   1.7.  -   Portando   alle   conseguenze   estreme   le   precedenti
 considerazioni si potrebbe addivenire ad una censura, sul piano della
 legittimita'   costituzionale,   della   stessa   previsione  di  una
 Conferenza Stato-citta'.
   Ma anche a non  volere  accedere  ad  una  soluzione  radicale,  e'
 incontrovertibile  come la disciplina di cui all'art. 9, primo comma,
 della  legge  impugnata  sia   in   contrasto   con   la   disciplina
 costituzionale  e  con  quella  dello  Statuto  siciliano relativa ai
 rapporti tra Stato, regioni e autonomie locali.
   Infatti, la Conferenza Stato-citta', nella versione attuale, svolge
 una mera funzione di informazione e di confronto tra il Governo ed  i
 rappresentanti    delle   autonomie   locali.   Invece,   a   seguito
 dell'unificazione della  Conferenza  Stato-regioni-province  autonome
 con  la  Conferenza Stato-citta' e autonomie locali, i rappresentanti
 delle  autonomie  locali   parteciperebbero   a   quei   procedimenti
 attraverso  cui  oggi  si  svolge la collaborazione tra lo Stato e le
 regioni e  che  possono  assumere  diverse  configurazioni:  funzione
 consultiva  obbligatoria; funzione di cogestione "concertata", frutto
 cioe'  di  intese  con  l'amministrazione   centrale;   funzioni   di
 cogestione "diretta", consistenti nella determinazione da parte della
 Conferenza,  in  via  diretta  ed esclusiva, del contenuto di atti di
 indirizzo e programmazione. In tal modo la Conferenza e' diventata un
 organismo legittimato non soltanto a perfezionare intese, ma anche  a
 gestire  direttamente  le fasi programmatiche di attuazione di talune
 normative,  mediante  deliberazioni  con  cui  la  Conferenza   fissa
 direttive generali e programmi di attivita'.
   Attraverso l'unificazione prevista dall'impugnato art. 9 si avrebbe
 un  salto di qualita' della Conferenza Stato-citta' autonomie locali,
 perche' da semplice organo  che  puo'  realizzare  un  confronto  non
 obbligatorio  tra  il  Governo  ed e i rappresentanti delle autonomie
 locali, potrebbe intervenire in processi decisionali che culminano in
 decisioni   di   altra   amministrazione   immediatamente   incidenti
 nell'ordinamento  regionale.    Ma  in  questa trasformazione sarebbe
 implicita l'equiparazione nel sistema delle relazioni  tra  centro  e
 periferia  delle regioni e delle autonomie locali, in contrasto con i
 risultati interpretativi ottenuti nei precedenti paragrafi.
   1.8. - Ma anche se - per assurdo - non  volessero  condividersi  le
 precedenti conclusioni, difficilmente potrebbe negarsi che sia almeno
 necessario  che nella Conferenza unificata la posizione delle regioni
 e quella delle autonomie locali resti comunque differenziata,  almeno
 sotto  il  profilo  delle  differenti  quote  di  rappresentanti  che
 dovrebbe comunque essere favorevole alle regioni. A questo  proposito
 non   sembra   inutile  osservare  che  nel  Comitato  delle  regioni
 dell'Unione europea la maggior parte dei seggi e' stata attribuita ai
 rappresentanti   dei   livelli   di   governo    regionale,    mentre
 significativamente  piu'  limitata  e' la rappresentanza delle Citta'
 (93 seggi su un totale di 222). Tuttavia, la  disposizione  impugnata
 nulla  stabilisce al riguardo, prestandosi cosi' ad ulteriori rilievi
 sotto il profilo dell'incostituzionalita'.
   1.9.  -  Si  aggiunga,  per   concludere,   come   e'   palesemente
 incostituzionale   la  lett.  a)  del  primo  comma  secondo  cui  la
 Conferenza Stato-regioni-province autonome partecipa,  oltre  che  "a
 tutti i processi decisionali di interesse regionale" (che riguardano,
 cioe', tutte le regioni), anche a quelle di interesse "interregionale
 e   infraregionale".  In  questo  modo  si  incide  macroscopicamente
 sull'autonomia amministrativa e organizzativa della regione nei  suoi
 rapporti   con   gli   enti   locali   collocati  in  una  dimensione
 infraregionale oppure  con  rapporti  autonomamente  determinati  con
 altre  regioni.  E'  inspiegabile  a  quale  titolo  Stato o le altre
 regioni   possano   intervenire   ed   ingerirsi   in   un   processo
 infraregionale o interregionale della regione siciliana.
   Le  menzionate  censure  -  che  gia'  determinano l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  8  della  legge  15  marzo  1997  n.   50,
 comportano altresi' l'illegittimita' delle norme del d.lgs. 28 agosto
 1997  n.  281, ed in particolare degli artt. 1 e 2, 8 commi I e VI, e
 dell'art.  9,  nella  parte   in   cui   unificando   la   Conferenza
 Stato-regioni  e  quella  Stato-citta',  per  compiti  e  materie  di
 interesse comune, non prevedano una qualche forma di  preminenza  nel
 processo   decisionale   delle   regioni.      Piu'  in  particolare,
 maggiormente vistosa e' la violazione degli artt. 14,  15,  17  e  20
 dello  statuto siciliano da parte di queste norme, nella parte in cui
 paiono  consentire  di  ritenere  le  determinazioni  assunte   nella
 Conferenza  unificata,  con  il  dissenso  della  regione  siciliana,
 vincolanti anche nei confronti di  quest'ultima,  pure  in  relazione
 alla  sfera  dei  rapporti tra la regione e gli enti locali siciliani
 ovvero  con  riguardo  all'ordinamento  ed  all'attivita'  di  questi
 ultimi.
   Si   chiede  pertanto  che  voglia  l'ecc.ma  Corte  costituzionale
 dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 8, commi
 I e IV, e  dell'art.  9  del  d.lgs.  28  agosto  1997  n.  281,  per
 violazione degli artt. 14, 15, 17 e 20 dello statuto siciliano.
     Palermo-Roma, addi' 26 settembre 1997
                         Avv. Giovanni Lo Bue
 97C1158