N. 756 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 1996- 8 ottobre 1997

                                N. 756
  Ordinanza  emessa  il  22  novembre  1996  (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale l'8 ottobre 1997) dal tribunale di Reggio Calabria nel
 procedimento penale a carico di Ardizzone Salvatore ed altro
 Misure  cautelari personali - Custodia cautelare in carcere - Termini
    di durata massima - Superamento del doppio  del  termine  di  fase
    nella ipotesi di regressione del procedimento - Mancata previsione
    di  perdita  di efficacia della misura - Disparita' di trattamento
    rispetto alla disciplina prevista dall'art.  304,  comma  6,  cod.
    proc.  pen.,  circa  la  sospensione dei termini di durata massima
    della custodia cautelare
 (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4).
 (Cost., art. 3).
(GU n.45 del 5-11-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sull'appello  proposto  dal
 difensore  di  Ardizzone  Salvatore  e  La Rosa Francesco, avverso il
 provvedimento del g.i.p. presso il tribunale di Reggio Calabria, che,
 in data 2 ottobre 1996, rigettava la richiesta di revoca della misura
 cautelare in corso a carico dei  due  interessati,  per  decorso  dei
 termini  massimi  di  custodia cautelare a scioglimento della riserva
 adottata in udienza;
                           Osserva in fatto
   Ardizzone e La Rosa venivano sottoposti  a  custodia  cautelare  in
 forza  di  provvedimento  emesso  dal  g.i.p.  presso il tribunale di
 Milano, eseguito il 15 giugno 1994 nei confronti dell'Ardizzone ed il
 29 giugno 1994 nei confronti del La Rosa.
   Nel giugno 1995, gli imputati venivano rinviati a  giudizio  avanti
 al  tribunale  di  Milano  per  associazione  mafiosa e detenzione di
 stupefacenti.
   Il tribunale, il 15 dicembre 1995, si dichiarava  incompetente  per
 territorio,  trasmettendo gli atti al tribunale di Palmi, che pero' a
 sua volta si  dichiarava  incompetente,  disponendo  la  trasmissione
 degli atti alla procura distrettuale di Reggio Calabria.
   Successivamente, in data 26 giugno 1996, ai due veniva rinnovata la
 misura  cautelare  con  ordinanza  del  g.i.p. di Reggio Calabria, in
 applicazione dell'art. 27 c.p.p.
   Finalmente, gli imputati venivano rinviati a  giudizio  dal  g.i.p.
 medesimo, il 27 luglio 1996, avanti al tribunale di Palmi.
   Attualmente, il processo e' pendente in fase predibattimentale.
   Il  25  settembre  1996,  il  difensore  degli  imputati presentava
 domanda di scarcerazione dei due, per decorso dei termini massimi  di
 custodia  cautelare,  atteso  che  dalla  data di arresto, nel giugno
 1994, alla data della pronuncia del decreto che dispone il  giudizio,
 luglio  1996,  erano gia' decorsi piu' di due anni, termine superiore
 al doppio del termine di fase, da individuare in anni  uno,  a  norma
 dell'art.    303 lett. a) n. 3) c.p.p. Cio' avrebbe dovuto comportare
 la scarcerazione dei due  imputati,  per  quanto  previsto  dall'art.
 304/6 c.p.p.
   Il g.i.p., competente a decidere non essendo stati ancora trasmessi
 gli  atti  al  giudice  del  dibattimento,  rigettava  la  richiesta,
 rilevando che la norma di cui all'art. 304 e' esclusivamente riferita
 alla fase dibattimentale e che, al contrario, nell'ipotesi di  specie
 -  in  cui  la  situazione  saliente  che  si pretendeva maturata con
 riferimento alla fase anteriore al decreto che dispone il giudizio -,
 si verteva esclusivamente nell'ambito di applicazione  dell'art.  303
 c.p.p.; in particolare, con riferimento ai suoi commi due e quattro.
   Appellava  il  difensore  riproponendo  la  questione  negli esatti
 termini in cui l'aveva sottoposta all'attenzione del g.i.p.
   In   udienza,   il   difensore   sollevava   anche   questione   di
 costituzionalita'  della  norma  di  cui  all'art.  304  c.p.p., come
 richiesta subordinata al mancato accoglimento  del  primo  motivo  di
 impugnazione.
   In   particolare,   il   difensore   denunciava  di  illegittimita'
 costituzionale l'art. 304/6 c.p.p., per violazione degli artt. 3,  24
 e 76 Cost., poiche' disciplina limitata al solo caso di sospensione e
 non   estensibile   a  casi  previsti  dall'art.  303/2  c.p.p.,  con
 conseguente  irragionevole  disparita'  di  trattamento   delle   due
 situazioni.
                               In diritto
   La  prospettiva  da cui muove il difensore appare inesatta, poiche'
 la  fattispecie  in  esame  e'  disciplinata  dalle  norme  contenute
 nell'art.  303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 c.p.p.
   Infatti,  la  vicenda subita dal procedimento e' riconducibile alla
 previsione di cui all'art. 303/2 c.p.p., che impone l'azzeramento dei
 termini massimi di custodia cautelare in  caso  di  regressione,  per
 qualunque causa, del procedimento ad un grado od uno stato anteriore.
 La  conseguenza  e'  che  ogni volta il termine di custodia cautelare
 deve essere computato nuovamente dall'inizio, verificandosi  una  sua
 interruzione.
   L'unico  limite  insuperabile,  malgrado il meccanismo interruttivo
 detto - il quale puo' anche impedire, di volta in volta, la integrale
 maturazione  del  termine  massimo  di  custodia  cautelare,  proprio
 perche'  deve  decorrere  ex  novo per ciascun evento interruttivo -,
 rimane  il  termine  complessivo,  disciplinato,  in  via  ordinaria,
 dall'art.  303/4 c.p.p.
   Stando alle imputazioni mosse agli imputati, che prevedono una pena
 massima di anni 20 (art. 73 d.P.R. n. 309/90), il termine complessivo
 di  custodia  cautelare  e'  di  anni  quattro  (art.  303/4 lett. b)
 c.p.p.).  Tempo non superato, allo stato,  poiche'  dal  giugno  1994
 (data della cattura), ad oggi, sono decorsi poco piu' di due anni.
   Ogni  riferimento  all'art.  304 c.p.p., e', percio', inconferente,
 poiche' disciplina situazioni affatto differenti.
   Infatti, esso attiene all'istituto della sospensione del termine di
 custodia cautelare ed ai suoi limiti cronologici.
   Nel  nostro caso, invece, si tratta di un procedimento regredito in
 fase  di  indagine  preliminare  in  seguito   a   dichiarazioni   di
 incompetenza  del  giudice  del  dibattimento  originariamente adito,
 senza che sia intervenuta alcuna sospensione dei termini  custodiali,
 e che ora si trova in fase predibattimentale.
   Percio',  le  uniche  questioni  relative  alla  misura  cautelare,
 possono essere quelle inerenti al superamento dei termini massimi  di
 fase, nonche' di quelli complessivi. Come detto, risultano rispettati
 entrambi.
   Sicche',  la domanda principale proposta con l'appello e' infondata
 e la questione di costituzionalita', nei  termini  in  cui  e'  stata
 sollevata, e' irrilevante, intendendo colpire direttamente regole che
 non troverebbero applicazione nel caso concreto (art. 304 c.p.p.).
   Tuttavia,  il  tribunale  ritiene  di  dover  rilevare d'ufficio la
 questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in
 cui non prevede che, oltre al superamento  del  termine  complessivo,
 possa  essere  causa di scarcerazione anche il superamento del doppio
 del termine di fase, allorche' si verifichi la  situazione  descritta
 nel comma due di detto articolo 303 c.p.p.
   Il  parametro costituzionale che si ritiene violato e' il principio
 di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione.
   Il termine di comparazione da considerare, per  la  identificazione
 della  situazione  omogenea  rispetto  alla  quale  si  denuncia  una
 irragionevole, perche' ingiustificata, diversita' di trattamento,  e'
 da  individuare  proprio nella disciplina dell'art. 304/6 c.p.p., che
 non e'  la  norma  da  denunciare  d'incostituzionalita',  bensi'  il
 termine  di raffronto che evidenzia l'irrazionalita' della disciplina
 sospettata.
   Infatti,  la  materia  che  attiene  al  verificarsi  degli  eventi
 interruttivi  del  corso dei termini massimi della custodia cautelare
 (art. 303/2 c.p.p.), presenta una evidente omogeneita' di contenuto e
 di effetti con quella della sospensione  dei  termini  massimi  della
 misura (art.  304 c.p.p.).
   Entrambi   gli   istituti  rappresentano  degli  accidenti  che  si
 verificano nel cammino del procedimento, perlopiu' indipendenti dalla
 volonta'  -   eventualmente   ostruzionistica   o   defatigatoria   -
 dell'imputato.
   In  particolare,  l'istituto  della  sospensione dei termini, nelle
 ipotesi di maggior rilievo, e' riferibile al comma  2  dell'art.  304
 c.p.p.,   poiche'  e'  in  queste  situazioni  che  si  verifica  una
 protrazione prolungata dei termini di custodia  cautelare.  Presenta,
 invece,   una  consistenza  cronologicamente  circoscritta  nei  casi
 indicati al primo comma dell'art. 304 c.p.p.
   Quindi, aldila' degli episodi del tutto contingenti e  di  limitata
 incidenza  temporale  sul  corso  dei  termini  di custodia cautelare
 riferibile alle situazioni previste al primo comma,  quelle  previste
 al  secondo  comma  dell'art. 304 c.p.p., rappresentano evenienze che
 incidono sulla custodia  cautelare,  nel  computo  dei  suoi  termini
 massimi ed anche complessivi.
   Il  medesimo effetto di incidenza sui termini custodiali si produce
 anche in occasione delle evenienze, parimenti accidentali,  descritte
 dall'art.  303/2  c.p.p.,  a  causa  dell'interruzione del termine in
 corso: ripristino del dies a quo del termine massimo, per ogni evento
 interruttivo.
   La  omogeneita'  degli istituti e' confermata, poi, rammentando che
 l'attuale disciplina di cui all'art. 304 c.p.p., e'  stata  novellata
 dalla  legge  8  agosto  1995,  n.  332,  la  quale ha indicato, come
 parametro temporale il cui  superamento  determina  la  scarcerazione
 dell'interessato,  il doppio del termine massimo della fase in cui si
 sono verificate le sospensioni.
   Accanto a tale parametro, il legislatore  ha  aggiunto  quello  del
 termine complessivo di cui all'art. 303/4 c.p.p., che non deve essere
 superato  per piu' della sua meta', in qualunque fase si consideri la
 posizione dell'interessato, anche diversa da quella  in  cui  si  sia
 verificata  la sospensione. Alternativo a tale ultimo parametro, e da
 preferire al precedente se piu' favorevole, e' quello che  indica  il
 termine  complessivo  non  superabile,  in  caso  di  sospensione dei
 termini, nei due terzi della pena massima comminata per il reato  per
 cui si procede o ritenuto in sentenza (art. 304/6 vigente).
   Nella  versione  originaria  (vecchio  art.  304/4 c.p.p.), l'unico
 parametro  temporale  di  riferimento  indicato  per   contenere   la
 legittimita' delle sospensioni dei termini di custodia cautelare, era
 un  termine  complessivo,  indicato  nei due terzi della pena massima
 edittale, ora criterio concorrente.
   Va rilevato che la vecchia disciplina era,  sul  punto,  del  tutto
 omologa  a  quella  relativa ai termini complessivi ordinari previsti
 dall'art.  303/4  c.p.p.   Questi   erano   stabiliti   come   limite
 invalicabile per una legittima carcerazione preventiva, anche in caso
 di  vicende  di  regresso  ad  altro  stato  o grado del procedimento
 descritte dal comma due dell'art. 303 c.p.p. Un  termine  complessivo
 insuperabile   -   sia   pur   variabile  quantitativamente,  perche'
 determinato secondo una proporzione (due terzi della pena massima)  e
 non  in misura fissa come l'altro, ma comunque dello stesso genere di
 questo -, era preveduto anche per le ipotesi di  sospensione  di  cui
 all'art. 304 c.p.p.
   La  modifica  dell'art.  304  c.p.p.,  sul  punto  ha introdotto un
 contemperamento del vecchio regime, rendendolo piu'  duttile  e  piu'
 favorevole  all'imputato,  per  l'aggiunta  di un parametro vincolato
 anche al termine massimo di fase e per  l'alternativa  previsione  di
 due  parametri relativi al termine complessivo, in un'ottica di favor
 libertatis, cui era, del resto, notoriamente ispirata l'intera  legge
 citata.  Tuttavia,  ha  finito per rendere non solo differenziato, ma
 anche eterogeneo il trattamento delle situazioni  regolate  dall'art.
 303/2  c.p.p., essendo stato mantenuto il solo riferimento al termine
 complessivo nel comma quattro dell'art. 303/4 c.p.p.,  rispetto  alle
 situazioni  che  si  son  dette  sostanzialmente  omogenee  descritte
 all'art. 304 c.p.p., i cui limiti di legittimita' sono  riferiti  ora
 anche ai termini della fase in corso.
   Parametro,  questo,  rimasto estraneo alle prime ipotesi, ma che in
 concreto, qualora fosse  previsto,  determinerebbe  la  scarcerazione
 indipendentemente  da quello riferito al termine complessivo ed anche
 molto prima della sua maturazione.
   Sicche', la sostanziale omogeneita' dei due istituti, per contenuto
 ed effetti  -  segnalata  anche  dalla  loro  disciplina  in  origine
 parimenti  omogenea,  o  comunque  ragionevolmente  differenziata  -,
 denota  il  carattere  ingiustificato  della  diversita'  delle   due
 discipline   attualmente   vigenti;  differenze  che  si  riverberano
 senz'altro contra  reo,  per  la  mancata  previsione  di  un  limite
 riferito  anche al termine massimo di fase nell'art. 303/4 c.p.p., in
 relazione all'art. 303/2 c.p.p.
   Non   si   ritiene   che,   sul  tema,  possa  essere  invocata  la
 discrezionalita' del  legislatore,  per  giustificare  la  diversita'
 denunziata.
   Tale  potere consente di predisporre una disciplina ragionevolmente
 differenziata, nell'ambito di regimi  tra  loro  omogenei  e  non  di
 imporre regole arbitrariamente eterogenee.
   Sicche',  l'unico  spazio riconoscibile alla potesta' discrezionale
 del  legislatore  potrebbe  essere  quello  di  prevedere  un  limite
 temporale diverso (inferiore) a quello del doppio del termine massimo
 di  fase.    Ma  un  termine  di  tale  specie  avrebbe dovuto essere
 introdotto, per mantenere l'originaria omogeneita'.
   Al contrario, ora, non e' dato di riscontrare quella  "correlazione
 tra  precetto e scopo che consente di rinvenire nella causa o ragione
 della disciplina, l'espressione di una libera scelta che soltanto  il
 legislatore  e' abilitato a compiere" (Corte costituzionale, sentenza
 25-28 marzo 1996. n. 89, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale,
 n. 14, pag. 27).
   In questi termini, la questione di  costituzionalita'  della  norma
 contenuta nell'art. 303/4 c.p.p., in relazione all'art. 303/2 c.p.p.,
 appare non manifestamente infondata, con riferimento al parametro del
 principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
   La   sua  rilevanza  appare  altresi'  evidente,  poiche'  dal  suo
 accoglimento dipende la scarcerazione dell'imputato  per  superamento
 del  doppio  del  termine massimo di custodia cautelare (di anni uno)
 durante la fase compresa tra l'esecuzione dell'ordinanza di  custodia
 cautelare e il decreto che dispone il giudizio. Limite gia' superato,
 come  premesso in fatto, poiche' dal giugno 1994 al luglio 1996, sono
 decorsi piu' di anni due, termine doppio di quello ordinario di fase.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 303 e 304 del c.p.p., 3  della  Costituzione  e  23
 della  legge  n.  87/1953,  dichiara  rilevante  e non manifestamente
 infondata la questione di costituzionalita' dell'art.  303/4  c.p.p.,
 nella  parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la  situazione
 descritta nel comma due di detto art. 303 del c.p.p.;
   Sospende il procedimento in corso;
   Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che  il presente provvedimento sia notificato a cura della
 cancelleria ad Ardizzone Salvatore  e  La  Rosa  Francesco,  all'avv.
 Domenico  Alvaro,  del  foro  di  Palmi,  nonche'  al  Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicato ai Presidenti delle due Camere.
     Reggio Calabria, addi' 22 novembre 1996
                        Il presidente: Campagna
                                      Il giudice estensore: Boninsegna
 97C1202