N. 56 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 4 dicembre 1997
N. 56 Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in cancelleria il 4 dicembre 1997 (della regione Toscana) Caccia - Attuazione della direttiva 409/79 CEE del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici - Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 settembre 1997 - Modalita' di esercizio delle deroghe alle limitazioni e ai divieti stabiliti dagli artt. 5, 6, 7 e 8 della direttiva, previste dall'art. 9, lett. c), della stessa, per consentire, in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantita' - Prevista adozione di tali deroghe da parte delle regioni, d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole, con indicazione, nei relativi provvedimenti, delle giustificazioni delle deroghe, tenuto conto dell'entita' della popolazione della singola specie, e di precisate valutazioni tecniche, statistiche e scientifiche acquisite in sede istruttoria; dell'esame delle diverse soluzioni alternative praticabili per soddisfare gli interessi tutelati; dei mezzi, impianti e metodi di cattura o di abbattimento, dei tempi e luoghi di esercizio della deroga e del termine finale della sua operativita'; degli organi di controllo e del sistema di verifica dei controlli effettuati; del piano di intervento e delle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali incaricate dell'attuazione - Applicazione di detta disciplina anche alla cattura per la cessione a fini di richiamo di cui all'art. 4, comma 4, legge 11 febbraio 1992, n. 157 - Individuazione dell'autorita' abilitata a dichiarare che le prescritte condizioni sono realizzate nell'Istituto nazionale per la fauna selvatica - Incidenza sulle competenze, esercitate dalla ricorrente regione Toscana, per quanto attiene alle deroghe in questione, con la legge regionale 21 agosto 1997, n. 77, spettanti alle regioni a statuto ordinario, in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in materia di caccia, e alle stesse gia' trasferite dall'art. 99 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e pressocche' integralmente, in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. legge Bassanini) dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143, con il quale sono stati riservati allo Stato solo i poteri di disciplina generale e di coordinamento, previsti dall'art. 18 della citata legge n. 157 del 1992 riguardo alle variazioni degli elenchi delle specie cacciabili, da non confondersi con quelli, nettamente diversi, inerenti alle deroghe in questione - Rilevata inosservanza, altresi', delle norme degli artt. 6 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1997 e dell'art. 9, comma 3, della legge 9 marzo 1989, n. 86, circa i limiti che possono porsi all'attivita' delle regioni a statuto ordinario, nella materia de qua, in ordine alle procedure di esecuzione delle direttive comunitarie - Impossibilita' che l'impugnato provvedimento - non certo configurabile, in mancanza di tutti i requisiti richiesti, come valido atto di indirizzo e coordinamento - trovi fondamento in un interesse nazionale unitario e non frazionabile, idoneo a legittimare un intervento statale di tale portata - Riferimenti a numerose pronunce della Corte costituzionale, e tra queste, in particolare, a sent. nn. 272 e 381/1996. (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 1997). (Cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 24 luglio 1997, n. 616, artt. 6 e 99; d.P.R. 4 giugno 1997, n. 143, art. 1, comma 2; legge 9 marzo 1989, n. 86, art. 9, comma 3).(GU n.1 del 7-1-1998 )
Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, autorizzato con deliberazione della Giunta n. 1304 del 17 novembre 1997, rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, dagli avvocati Vito Vacchi e Fabio Lorenzoni e presso il domicilio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del Viminale n. 43, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per conflitto di attribuzioni in relazione al d.P.C.M. 27 settembre 1997 "Modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva 409/79 CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici". La direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979, concernente la conservazione di tutti gli uccelli viventi allo stato selvatico nel territorio degli Stati membri, si prefigge la protezione, la gestione e la regolamentazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento. A tale fine sono previsti alcuni divieti generali: la proibizione di uccidere, catturare, distruggere le specie di uccelli di cui all'art. 1 (art. 5); divieti e limitazioni nel commercio delle specie suddette (art. 6); indicazione delle specie che possono essere oggetto di caccia e dei periodi di caccia (art. 7 e all. II); proibizione di alcuni mezzi e metodi di caccia (art. 8 e all. IV). Tali limiti e divieti possono essere derogati per le ragioni indicate all'art. 9, par. 1, lettere a), b) e c) della stessa direttiva, e precisamente: nell'interesse della salute, della sicurezza pubblica, nell'interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca, alle acque, per la protezione della flora e della fauna (lett. a); ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonche' per l'allevamento connesso a tali operazioni (lett. b); per consentire, in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione, o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantita' (lett. c). Il paragrafo 2 dello stesso art. 9 dispone poi che le deroghe debbano menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti ed i metodi di cattura o di uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui possono essere fatte, l'autorita' abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone ed, infine, i controlli che saranno effettuati. La legge 11 febbraio 1992, n. 157 recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, all'art. 1, quarto comma, dispone il recepimento della sopracitata direttiva comunitaria, ma non contiene una specifica disciplina dei casi e delle procedure di deroga di cui all'art. 9. Successivamente, in attuazione della legge 15 marzo 997, n. 59, e' stato emanato il d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143 relativo al Ministero per le politiche agricole che ha ampliato le competenze regionali in materia di caccia, attribuendo alle regioni tutte le funzioni ed i compiti gia' svolti dal soppresso Ministero per le risorse agricole nelle materie "agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione" (art. 1), mantenendo al nuovo Ministero compiti di disciplina generale e di coordinamento in materia di specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992 (art. 2, secondo comma). Tanto premesso, nella Gazzetta Ufficiale n. 254 del 30 ottobre 1997 e' stato pubblicato il d.P.C.M. 27 settembre 1997, con cui si dettano le modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva 409/1979 CEE. All'art. 1 si afferma che vengono dettate tali modalita' per le deroghe di cui alla lett. c) dell'art. 9 della direttiva (cioe' le deroghe per la cattura, detenzione e altri impieghi di uccelli in piccole quantita'), in quanto (decimo capoverso delle premesse) si sostiene che la disciplina delle deroghe di cui alle lett. a) e b) del citato art. 9 sarebbe stata effettuata con gli artt. 2 e 19 della legge n. 157/1992. L'art. 2 del DPCM affida alle regioni il compito di adottare tali deroghe d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole, nel rispetto dei criteri indicati nello stesso art. 2 i quali sono piu' ampi di quelli indicati nel secondo capoverso dell'art. 9 piu' volte citato. L'art. 3 estende la disciplina delle deroghe anche alla cattura per la cessione a fini di richiamo e l'art. 4 abilita solo l'Istituto nazionale per la fauna selvatica a controllare le modalita' di attuazione delle deroghe. Tale DPCM si presenta lesivo delle attribuzioni regionali in materia di caccia costituzionalmente garantite ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione per i seguenti motivi: 1. - Dalle premesse del provvedimento sembra ricavarsi che lo Stato abbia inteso ancorare l'atto in oggetto sulla disposizione dell'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992; tale disposizione viene infatti richiamata piu' volte. Questo rappresenta pero' un uso improprio del potere previsto da tale norma, con lesione delle attribuzioni regionali. Infatti l'art. 18 ha un contenuto e presupposti assolutamente diversi da quelli disciplinati dal legislatore comunitario con l'art. 9 della direttiva 409/1979. Precisamente detto art. 18, al primo comma, contiene l'elenco di specie cacciabili, includendo anche specie ulteriori e diverse da quelle indicate nella direttiva comunitaria; il terzo comma poi prevede un potere di variazione e di aggiornamento dell'elenco delle specie cacciabili, posto in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, finalizzato a recepire, nel diritto interno, eventuali variazioni delle specie cacciabili decise dalla Comunita' europea; e' altresi' previsto un potere di variazione dell'elenco che, sempre in conformita' al diritto comunitario e alle convenzioni internazionali, e' disposto sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, sulla base della consistenza delle singole specie sul territorio. L'art. 9 della direttiva comunitaria, invece, ha in primo luogo un contenuto diverso da quello dell'art. 8, perche' la deroga puo' riguardare non solo l'esercizio venatorio, ma anche il commercio nonche' mezzi e metodi, tempi e luoghi in genere vietati. In secondo luogo l'art. 9 si basa su presupposti del tutto diversi da quelli considerati dall'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992: si e' appena visto che le variazioni dell'elenco delle specie cacciabili - riservate allo Stato - sono disposte o per l'adeguamento al diritto comunitario ovvero per una specifica valutazione tecnica sulla consistenza delle singole specie sul territorio; la deroga ex art. 9 ha invece come presupposto altre situazioni (danni alle colture, al bestiame, ai boschi, ripopolamento, detenzioni per piccole quantita', ecc.) che nulla hanno a che vedere con la consistenza delle singole specie. Ben puo' verificarsi, ad esempio, che sia riconosciuta non cacciabile una specie per motivi di consistenza, ma che quella specie in un particolare periodo arrechi grave danno alle colture, per cui, in mancanza di altre soluzioni soddisfacenti, divenga opportuno autorizzarne, in deroga, la cattura, ovviamente nel rispetto di modalita' determinate e per il periodo necessario. Dunque e' chiaro che il potere di deroga e' riconosciuto a prescindere dall'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 18, terzo comma, ed anzi e' proprio regolato con riguardo alle specie non cacciabili. Per questo la dottrina ha correttamente evidenziato che "se il procedimento di cui all'art. 18 e' finalizzato alla stabile variazione dell'elenco delle specie cacciabili sul territorio nazionale, il potere di deroga di cui all'art. 9 dir. 79/409 ha tutt'altro scopo, che e' poi quello di sospendere, temporaneamente e alle condizioni stabilite dalla direttiva, il regime di protezione disposto in via generale a favore della fauna selvatica. In altre parole, nella direttiva il rapporto tra la determinazione delle specie cacciabili e il potere di deroga e' un rapporto di genere a specie; da un lato si pone un principio di carattere generale, che diviene "regola" attraverso l'indicazione analitica delle specie cacciabili; dall'altro si assicura la possibilita' di "derogare" a questa "regola" in presenza di condizioni rigorosamente verificate ........... Delle due l'una: o l'art. 18 della legge n. 157/1992, ammesso che attui il diritto comunitario nella parte in cui prevede la "variazione" delle specie cacciabili, e' in contrasto con la dir. 79/409 perche', sostituendosi all'art. 9 dir. cit., omette di introdurre e disciplinare le molteplici condizioni poste dalla stessa per l'esercizio del potere di deroga; oppure questo articolo non attua l'art. 9 della direttiva, ed allora la distinzione tra ''regola'' e ''deroga'' continua a sussistere". (A. Mangia "Interessi unitari ed immediata applicabilita' delle direttive comunitarie". Nota a sentenza della Corte costituzionale n. 272/1996 in Le Regioni 1996, pag. 1225). Tale interpretazione e' confermata dalla sentenza della Corte di giustizia del 7 marzo 1996 emessa nella causa 118/1994: la Corte non ha detto, ovviamente, chi sia nell'ambito dell'ordinamento interno il soggetto legittimato a dare attuazione al potere di deroga, ma ha chiarito che, all'interno dei singoli ordinamenti nazionali, l'esercizio del potere di deroga puo' essere ammesso solo attraverso atti specifici che comportino un riferimento preciso agli elementi di cui al secondo capoverso dell'art. 9 della direttiva. La deroga e' quindi espressione di un potere particolare, specifico, contingente, che non puo' confondersi con il potere generale di variazione degli elenchi. In tale ottica, mentre il potere di variazione degli elenchi e' sempre stato riconosciuto allo Stato, il potere di deroga e' stato riconosciuto legittimamente esercitato dalle regioni dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Veneto, 17 febbraio 1996 n. 207; TAR Toscana n. 1956/1988; TAR Lombardia n. 563/1997; n. 681/1996). Un ulteriore motivo e' poi determinante per escludere che l'esercizio del potere di deroga sia riconducibile all'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992. Se cio' fosse, esso dovrebbe essere riservato eslusivamente allo Stato; l'art. 2 dell'atto impugnato affida invece alle regioni, seppure di intesa con i competenti Ministeri, l'esercizio del potere di deroga: cio' dunque rende evidente che, al di la' delle affermazioni delle premesse, nella sostanza il fondamento normativo del DPCM in oggetto non puo' essere l'art. 18, terzo comma, della legge n. 157, pena, altrimenti, una evidente illegittimita' dell'atto, posto che il DPCM non puo' certo modificare la competenza che il citato art. 18, terzo comma, affida in via esclusiva allo Stato. Il decreto impugnato richiama poi la sentenza della Corte costituzionale n. 272/1996 per giustificare la propria tesi. Ma tale sentenza non sembra legittimare l'atto in oggetto, perche' si riferisce al potere statale di variare gli elenchi che, per i motivi appena esposti, e' diverso dalla disciplina delle deroghe e poi perche' detta sentenza e' stata pronunciata in un contesto legislativo diverso da quello attuale, cioe' prima dell'emanazione del recente decreto legislativo n. 143/1997 che, come sopra evidenziato, ha ampliato le competenze regionali in materia di caccia. Precisamente, in base a tale nuova normativa, che da' attuazione al sistema di competenze delineato all'art. 117 della Costituzione secondo i nuovi principi di decentramento stabiliti dalla legge "Bassanini" n. 59/1997, le deroghe alle specie cacciabili non possono essere concretamente disciplinate dallo Stato, perche' a questo compete solo dettare le norme generali entro cui le regioni devono poi attuare nell'ambito del proprio territorio i singoli casi di deroga previsti dalla direttiva. 2. - Il provvedimento impugnato non puo' essere ritenuto rispettoso delle attribuzioni regionali neppure in nome degli interessi unitari richiamati nelle premesse. In primo luogo, infatti, la sussistenza dell'interesse unitario non suscettibile di frazionamento, che puo' legittimare l'intervento statale, deve essere fondato su reali situazioni e non puo' costituire un'affermazione di principio "irragionevole, arbitraria e pretestuosa" (C. cost. n. 360/1991): nel caso di specie non si comprende quali siano tali interessi nazionali sottesi all'esercizio delle deroghe, posto che non puo' dubitarsi che la disciplina delle specifiche deroghe rientri nell'interesse differenziato di ciascuna regione, essendo i vari casi rapportabili alle differenti situazioni locali e territoriali (danni alle colture locali, tutela della salute e sicurezza pubblica regionale, ripopolamento, impieghi misurati di uccelli in piccole quantita', ecc.) e quindi apprezzabili solo a livello regionale. In secondo luogo, nella sentenza n. 272/1996 citata nelle premesse dell'atto, la Corte costituzionale ha specificato che gli strumenti per la tutela dell'interesse nazionale vanno individuati a seconda della natura della competenza regionale. Poiche' nel caso in esame vengono in questione competenze regionali costituzionalmente garantite a norma dell'art. 117 della Costituzione, come poi attuato dal decreto legislativo n. 143/1997, lo Stato avrebbe dovuto, in ipotesi comunque contestata, ricorrere all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento. Questa rappresenta infatti lo strumento con cui lo Stato puo' agire per le esigenze unitarie, insuscettibili di frazionamento o di localizzazione territoriale, sottese ai limiti costituzionalmente fissati alle competenze regionali (C. cost. n. 242/1989); similmente l'art. 9, sesto comma, della legge La Pergola 9 marzo 1989, n. 86 (pertinente nel caso in esame in cui viene in considerazione l'attuazione di una direttiva comunitaria) dispone che "la funzione di indirizzo e coordinamento delle attivita' amministrative delle regioni, nelle materie cui hanno riguardo le direttive, attiene ad esigenze di carattere unitario". Ma, com'e' noto, l'esercizio della funzione di indirizzo e di coordinamento e' soggetto all'osservanza i precisi requisiti di forma e di sostanza, a garanzia delle prerogative regionali costituzionalmene garantite e precisamente: si richiede, innanzitutto, una delibera del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 2, comma terzo, lett. d) della legge n. 400/1988, nonche' del citato art. 9, sesto comma, legge n. 86/1989; occorre poi una base legislativa statale contenente principi e criteri idonei a vincolare e dirigere le scelte del Governo (C. cost. n. 381/1996; 124, 113 e 26/1994; 355 e 45/1993); e' altresi' necessario che l'atto di indirizzo e coordinamento lasci comunque alle regioni lo spazio di autonomia necessario per poter svolgere le funzioni legislative ed amministrative che sono state loro costituzionalmente affidate (C. cost. nn. 1145/1988; 177/1988; 195/1986; 245/1984); infine, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/1997, l'atto di indirizzo e coordinamento deve essere adottato previa intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni. Il DPCM in questione non risponde ad alcuno dei requisiti di legittimita' appena richiamati, Infatti non e' stato adottato con delibera del Consiglio dei Ministri; manca una legge che fissi i principi ed i criteri cui il Governo deve attenersi, posto che ne' la legge n. 157/1992 ne' il decreto legislativo n. 143/1997 nulla dispongono al riguardo; l'atto non e' neppure stato esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni che quindi non ha potuto esprimere la necessaria intesa; infine l'atto e' estremamente dettagliato e impone l'intesa della regione con due Ministeri e quindi e non lascia quel necessario margine di autonomia alle regioni per l'esercizio delle funzioni loro attribuite costituzionalmente. Anche in tale ottica quindi l'atto non rispetta le attribuzioni regionali. 3. - Nelle premesse del decreto in oggetto e' affermato che, con riferimento alle ipotesi di cui alla lettera c) dell'art 9 della direttiva comunitaria, "va disciplinata dallo Stato l'ammissibilita' delle deroghe e il controllo sulla loro applicazione da parte delle Regioni"; cio' perche', secondo lo Stato, le altre ipotesi di deroga di cui alle lett. a) e b) dell'art. 9 sarebbero gia' state disciplinate con gli artt. 2, comma terzo, e 19 della legge n. 157/1992. Cio' non puo' ritenersi fondato. In particolare gli artt. 2 e 19 di tale legge non sono attuativi delle deroghe: l'art. 2 comma terzo, infatti, si limita ad attribuire al Ministero dei trasporti il controllo della popolazione degli uccelli negli aeroporti, mentre l'art. 19 prevede la possibilita' per le regioni di vietare o ridurre la caccia di alcune specie per ragioni di consistenza faunistica e di controllare le specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, con l'uso di metodi ecologici o autorizzando piani di abbattimento. Quindi tale art. 19 (che riproduce l'art. 12 della precedente legge 27 dicembre 1977 n. 968 anteriore quindi alla direttiva comunitaria in questione) riguarda non le deroghe, cioe' le eccezioni alla cattura o all'abbattimento delle specie non cacciabili - come invece dispone l'art. 9 della direttiva comunitaria - ne' i divieti di commercializzazione, di tempi e luoghi o di uso di strumenti (pure derogabili in base all'art. 9 citato), ma concerne la possibilita' di abbattere tutte le specie (cacciabili e non) anche nelle zone vietate alla caccia, solo per fini di controllo del territorio. E' quindi chiaro che si tratta di fattispecie diverse, sia nei presupposti che nel contenuto. In ogni caso, se si segue l'impostazione dello Stato, non si comprende perche' le ipotesi di deroga di cui alle lett. a) e b) dell'art. 9 sono state disciplinate con legge, mentre quella di cui alla lett. c) con atto amministrativo. In verita', posto che lo Stato afferma di dover provvedere in rapporto all'art. 9 lett. c) della direttiva nel presupposto di non avere attuato l'ipotesi, la disciplina statale avrebbe dovuto rispettare la normativa di cui all'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 e alla legge n. 86/1989, trattandosi di attuazione di una disposizione comunitaria. In base a tali normative l'attuazione delle direttive comunitarie deve essere effettuata: con la legge comunitaria o con altra legge (art. 9, terzo comma, della legge n. 86/1989) dello Stato che indichi quali disposizioni di principio non sono derogabili dalle regioni; ugualmente l'art. 6 del d.P.R. n. 616/1977 dispone che lo Stato attua le direttive comunitarie con legge; con regolamento, se cosi' dispone la legge comunitaria per le materie non coperte da riserva di legge (art. 4 della legge n. 86/1989). L'atto in esame non rispetta la forma richiesta dallla suddetta normativa ed e' emanato in violazione delle norme che disciplinano la fonte e le modalita' di esercizio del potere regolamentare del Governo: tale vizio del corretto utilizzo della fonte si ripercuote in una lesione dell'autonomia regionale, in quanto gli atti governativi non possono contenere limiti alle potesta' regionali, essendo cio' riservato alle sole leggi (C. cost. nn. 204 e 391/1991; 97/1992) o comunque previo adeguato supporto legislativo che diriga l'attivita' dell'esecutivo (C. cost. nn. 453/1991; 278/1993). 4. - L'art. 2 del decreto in oggetto dispone che le regioni adottano le deroghe di cui all'art. 1 (cioe' quelle per la cattura, detenzione e altri impieghi di uccelli in piccole quantita') d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche comunitarie. Dunque l'esercizio dei poteri regionali e' subordinato alla previa intesa con due Ministeri. In merito e' noto che ove sia prevista l'intesa l'ente cui spetta esprimere il proprio consenso, in quanto titolare di un potere di effettiva partecipazione all'esercizio di una competenza, deve essere coinvolto nella determinazione del contenuto del provvedimento (C. cost. n. 747/1988). In certi casi l'intesa rappresenta una forma di coordinamento paritario o di determinazione paritaria del contenuto di un atto; e' l'intesa c.d. in senso forte, che ha i connotati tipici del modello convenzionale, a fronte di materie interferenti e di competenze concorrenti di due soggetti istituzionali. Qui "i soggetti partecipanti sono posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e quindi di una negoziazione diretta tra il soggetto cui la decisione e' giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve concorrere alla decisione stessa" (C. cost. nn. 337/1989; 20/1990; 116/1994). Naturale corollario di tale intesa e' che, se essa non e' raggiunta, viene inibito il proseguimento del procedimento. In altri casi l'istituto assume i caratteri dell'intesa c.d. in senso debole, che comporta un obbligo di trattare con l'altro soggetto, o di acquisirne il parere o di esplicitare i motivi per cui si procede pur in mancanza di intesa (C. cost. nn. 5l4/1988; 1031/1988; 180/1989). In queste ipotesi, quindi, il modulo procedimentale dell'intesa non ha effetti paralizzanti dell'esercizio delle competenze di cui l'ente e' titolare, perche' la leale cooperazione e' assicurata dalla partecipazione al procedimento, senza che sia pero' necessario pervenire alla codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto. In via generale, comunque, l'intesa rappresenta sempre, in entrambe le forme suddette, "un paradigma di concertazione, di coordinamento, di leale cooperazione, e quindi strumento per l'esercizio in forma collaborativa del potere, che ha lo scopo di conciliare gli interessi di cui sono portatori Stato e Regioni, a fronte delle interferenze tra le diverse funzioni loro assegnate (C. cost. nn. 203/1974; 21/1991; 304/1994). Ma nel caso in esame non ricorre tale esigenza di risoluzioni delle interferenze tra diverse funzioni statali e regionali, perche', come gia' evidenziato sopra, il decreto legislativo n. 143/1997 ha dato attuazione alle competenze regionali in materia di caccia, attribuendo alle regione tutte le funzioni legislative ed amministrative e riservando allo Stato solo compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale in materia di specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992 che, come gia' rilevato, e' norma attributiva di un potere assolutamente diverso da quello di deroga. Ne discende che la normativa vigente non prevede interferenze nell'esercizio del potere di deroga tra Stato e Regioni, assegnando invece solo a quest'ultime il relativo compito; cio', tra l'altro, in attuazione di una legge (n. 59/1997) che ha inteso attuare il piu' ampio conferimento alle regioni ed enti locali di tutte le funzioni e compiti localizzabili dei rispettivi territori. Come gia' rilevato in precedenza, non puo' dubitarsi che la disciplina delle specifiche deroghe rientri nell'interesse differenziato di ciascuna regione, essendo i vari casi previsti come presupposto per la deroga rapportabili proprio alle differenti situazioni locali e territoriali. Dunque non vi sono interferenze da risolvere con la prevista intesa; oltretutto la norma sancisce l'obbligatoria intesa con i due Ministri, senza prevedere l'attivazione di strumenti che comunque consentano la conclusione del procedimento di competenza regionale, anche in caso di mancata intesa di entrambi o di un solo Ministro. Da cio' si deduce il carattere di "intesa forte" che si vuol attribuire all'istituto nel caso in esame, con conseguente necessario consenso addirittura di due Ministeri sulle scelte regionali. Quindi la introduzione di tale intesa non assolve alla sua funzione specifica di strumento di cooperazione a fronte di molteplicita' di competenze tra esse interferenti riferibili a soggetti diversi e tutti di rilievo costituzionale, ma diviene piuttosto un modo per attribuire allo Stato una funzione di codecisione, di supremazia e di vigilanza, non prevista in Costituzione, su funzioni di competenza delle regioni e da esse esercitate, imponendo alle stesse Amministrazioni regionali, nell'ambito di settori di loro spettanza, illegittimi "moduli procedimentali che condizionano in radice l'esercizio delle riconosciuta attribuzioni" (sentenza C. cost. n. 483/1991). La reale e pesante incidenza del provvedimento in questione sulle competenze regionali si ravvisa tanto piu' rilevando che la regione ricorrente con propria legge regolarmente vistata dal Governo ha disciplinato l'esercizio delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva comunitaria, in piena conformita' con quest'ultima (legge regionale n. 70/1997: doc. n. 1). Se il Governo non ha avuto rilievi da esprimere su tale legge ha evidentemente riconosciuto sussistere la competenza regionale in materia: dunque non puo' un atto dell'esecutivo emanato senza il rispetto del principio di legalita' sostanziale, interferire su una legge regionale in vigore vanificandone contenuto e procedure. Per gli esposti motivi la prevista obbligatoria intesa e' lesiva delle competenze regionali in materia di caccia. 5. - L'art. 3 del DPCM in questione estende la disciplina delle condizioni e delle modalita' delle deroghe di cui ai precedenti articoli anche alla cattura per cessione a fini di richiamo di cui all'art. 4, quarto comma, della legge n. 157/1992. Anche tale disposizione e' lesiva delle attribuzioni regionali. L'art. 4 della citata legge n. 157 dispone che le regioni, su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica possano autorizzare, tra l'altro, la cattura per la cessione a fini di richiamo, limitatamente agli esemplari indicati nel quarto comma dello stesso articolo. L'art. 3 del DPCM pretende di limitare detto potere regionale, prevedendo anche per esso la obbligatoria intesa con i due Ministeri, nonche' la presenza dei presupposti indicati dall'art. 2 del DPCM stesso. In tal modo con un atto dell'esecutivo, senza alcun fondamento normativo, si modifica una disposizione di legge statale e delle leggi regionali che hanno disciplinato la cattura per la cessione a fini di richiamo. Tale scorretto uso delle fonti si traduce in una lesione dell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni in materia di caccia. 6. - L'art. 4 del DPCM stabilisce che solo l'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'art. 7 della legge n. 157/1992 e' abilitato a dichiarare che le condizioni stabilite dagli artt. 2 e 3 del provvedimento sono realizzate. In tal modo, in difformita' a quanto previsto dalla legge n. 157/92, si limita solo ad un soggetto sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di controllare l'attuazione dell'esercizio delle deroghe, mentre tale controllo deve essere disciplinato dalle Regioni cui compete, per i motivi sopra detti, la competenza a disciplinare le deroghe ai sensi dell'art. 9 della direttiva comunitaria 79/409. 7. - In conclusione, vertendosi in una materia tipicamente regionale coma la caccia (artt. 117 e 118 Cost.) nella quale tutte le funzioni amministrative sono attribuite direttamente alle regioni (ai sensi dell'art. 99 decreto del Presidente della Repubblica n. 616/77 e, soprattutto, dell'art. 1, comma secondo, del decreto legislativo n. 143/1997) e dato il principio dell'attuazione diretta da parte delle regioni delle direttive recepite dallo Stato con norme di principio (art. 6 decreto del Presidente della Repubblica n. 616/77), non puo' negarsi alle regioni il potere di disciplinare concretamente la materia delle deroghe, nel rispetto dell'art. 9 della direttiva comunitaria.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spetta allo Stato disciplinare le modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva 409/79 CEE e, quindi, annullare il d.P.R. 27 settembre 1997 perche' invasivo delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di caccia, per violazione degli artt. 117 e 118 Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 99 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e dell'art. 1, secondo comma, del d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143; Si depositano il testo della legge regionale n. 70/1997 e la delibera di autorizzazione a stare in giudizio. Firenze-Roma, addi' 24 novembre 1997 Avv. Vito Vacchi - avv. Fabio Lorenzoni 97C1390