N. 56 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 4 dicembre 1997

                                 N. 56
  Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in cancelleria il
 4 dicembre 1997 (della regione Toscana)
 Caccia  -  Attuazione  della  direttiva 409/79 CEE del 2 aprile 1979,
    concernente la conservazione degli uccelli selvatici - Decreto del
    Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  27  settembre  1997   -
    Modalita' di esercizio delle deroghe alle limitazioni e ai divieti
    stabiliti  dagli  artt.  5,  6,  7  e  8 della direttiva, previste
    dall'art.  9,  lett.    c),  della  stessa,  per  consentire,   in
    condizioni   rigidamente  controllate  e  in  modo  selettivo,  la
    cattura, la detenzione o altri impieghi  misurati  di  determinati
    uccelli  in  piccole quantita' - Prevista adozione di tali deroghe
    da parte delle regioni, d'intesa con i  Ministri  dell'ambiente  e
    per   le   politiche   agricole,  con  indicazione,  nei  relativi
    provvedimenti,  delle  giustificazioni delle deroghe, tenuto conto
    dell'entita'  della  popolazione  della  singola  specie,   e   di
    precisate   valutazioni   tecniche,   statistiche  e  scientifiche
    acquisite in sede istruttoria; dell'esame delle diverse  soluzioni
    alternative praticabili per soddisfare gli interessi tutelati; dei
    mezzi, impianti e metodi di cattura o di abbattimento, dei tempi e
    luoghi  di  esercizio  della deroga e del termine finale della sua
    operativita'; degli organi di controllo e del sistema di  verifica
    dei  controlli effettuati; del piano di intervento e delle guardie
    venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali  incaricate
    dell'attuazione  -  Applicazione  di  detta  disciplina anche alla
    cattura per la cessione a fini di richiamo di  cui  all'art.    4,
    comma   4,  legge  11  febbraio  1992,  n.  157  -  Individuazione
    dell'autorita' abilitata a dichiarare che le prescritte condizioni
    sono realizzate nell'Istituto nazionale per la fauna  selvatica  -
    Incidenza  sulle  competenze,  esercitate dalla ricorrente regione
    Toscana, per quanto attiene alle  deroghe  in  questione,  con  la
    legge  regionale  21  agosto 1997, n. 77, spettanti alle regioni a
    statuto  ordinario,  in  base  agli  artt.   117   e   118   della
    Costituzione,  in materia di caccia, e alle stesse gia' trasferite
    dall'art. 99 del d.P.R. 24 luglio  1977,  n.  616,  e  pressocche'
    integralmente,  in  attuazione  della  legge  15 marzo 1997, n. 59
    (c.d. legge Bassanini) dall'art. 1, comma  2,  d.lgs.    4  giugno
    1997,  n. 143, con il quale sono stati riservati allo Stato solo i
    poteri  di  disciplina  generale  e  di  coordinamento,   previsti
    dall'art.  18  della  citata  legge  n. 157 del 1992 riguardo alle
    variazioni  degli  elenchi  delle  specie   cacciabili,   da   non
    confondersi  con quelli, nettamente diversi, inerenti alle deroghe
    in questione - Rilevata inosservanza, altresi', delle norme  degli
    artt.  6 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 616
    del 1997 e dell'art. 9, comma 3, della legge 9 marzo 1989, n.  86,
    circa  i  limiti  che  possono porsi all'attivita' delle regioni a
    statuto ordinario, nella materia de qua, in ordine alle  procedure
    di  esecuzione  delle  direttive  comunitarie - Impossibilita' che
    l'impugnato provvedimento - non certo configurabile,  in  mancanza
    di  tutti  i  requisiti richiesti, come valido atto di indirizzo e
    coordinamento  -  trovi  fondamento  in  un  interesse   nazionale
    unitario  e  non  frazionabile, idoneo a legittimare un intervento
    statale di tale portata - Riferimenti a  numerose  pronunce  della
    Corte  costituzionale,  e  tra queste, in particolare, a sent. nn.
    272 e 381/1996.
 (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del  27  settembre
    1997).
 (Cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 24 luglio 1997, n. 616, artt. 6 e 99;
    d.P.R. 4 giugno 1997, n. 143, art. 1, comma 2; legge 9 marzo 1989,
    n. 86, art. 9, comma 3).
(GU n.1 del 7-1-1998 )
   Ricorso   per   la  regione  Toscana,  in  persona  del  presidente
 pro-tempore della Giunta  regionale,  autorizzato  con  deliberazione
 della  Giunta  n.  1304 del 17 novembre 1997, rappresentato e difeso,
 per mandato a margine del presente atto, dagli avvocati Vito Vacchi e
 Fabio Lorenzoni e presso il domicilio di  quest'ultimo  elettivamente
 domiciliato in Roma, via del Viminale n. 43, contro il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri pro-tempore per conflitto di attribuzioni in
 relazione al d.P.C.M. 27 settembre 1997 "Modalita' di esercizio delle
 deroghe  di cui all'art. 9 della direttiva 409/79 CEE, concernente la
 conservazione degli uccelli selvatici".
   La  direttiva  79/409/CEE  del  2  aprile  1979,   concernente   la
 conservazione  di  tutti gli uccelli viventi allo stato selvatico nel
 territorio degli Stati membri, si prefigge la protezione, la gestione
 e la regolamentazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento.
 A tale fine sono previsti alcuni divieti generali:
     la proibizione di uccidere, catturare, distruggere le  specie  di
 uccelli di cui all'art. 1 (art. 5);
     divieti  e  limitazioni nel commercio delle specie suddette (art.
 6);
     indicazione delle specie che possono essere oggetto di  caccia  e
 dei periodi di caccia (art. 7 e all. II);
     proibizione  di  alcuni  mezzi  e metodi di caccia (art. 8 e all.
 IV).
   Tali limiti e  divieti  possono  essere  derogati  per  le  ragioni
 indicate  all'art.  9,  par.  1,  lettere  a),  b)  e c) della stessa
 direttiva, e precisamente:
     nell'interesse   della   salute,   della   sicurezza    pubblica,
 nell'interesse  della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle
 colture, al bestiame, ai boschi,  alla  pesca,  alle  acque,  per  la
 protezione della flora e della fauna (lett. a);
     ai  fini  della  ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e
 della  reintroduzione  nonche'  per  l'allevamento  connesso  a  tali
 operazioni (lett. b);
     per  consentire,  in condizioni rigidamente controllate e in modo
 selettivo la cattura, la detenzione, o  altri  impieghi  misurati  di
 determinati uccelli in piccole quantita' (lett. c).
   Il  paragrafo  2  dello  stesso  art.  9 dispone poi che le deroghe
 debbano menzionare le specie che ne formano  oggetto,  i  mezzi,  gli
 impianti  ed  i  metodi  di  cattura  o  di uccisione autorizzati, le
 condizioni di rischio e le circostanze di tempo e  di  luogo  in  cui
 possono  essere  fatte,  l'autorita'  abilitata  a  dichiarare che le
 condizioni stabilite  sono  realizzate  e  a  decidere  quali  mezzi,
 impianti  e metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da
 quali persone ed, infine, i  controlli  che  saranno  effettuati.  La
 legge 11 febbraio 1992, n.  157 recante norme per la protezione della
 fauna  selvatica  omeoterma  e per il prelievo venatorio, all'art. 1,
 quarto comma, dispone  il  recepimento  della  sopracitata  direttiva
 comunitaria,  ma  non  contiene  una  specifica disciplina dei casi e
 delle procedure di deroga di cui all'art. 9.
   Successivamente, in attuazione della legge 15 marzo 997, n. 59,  e'
 stato  emanato  il d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143 relativo al Ministero
 per le politiche agricole che ha ampliato le competenze regionali  in
 materia  di  caccia,  attribuendo alle regioni tutte le funzioni ed i
 compiti gia' svolti dal soppresso Ministero per le  risorse  agricole
 nelle  materie  "agricoltura,  foreste,  pesca,  agriturismo, caccia,
 sviluppo  rurale,  alimentazione"  (art.  1),  mantenendo  al   nuovo
 Ministero  compiti  di  disciplina  generale  e  di  coordinamento in
 materia di specie cacciabili ai  sensi  dell'art.  18,  terzo  comma,
 della legge n. 157/1992 (art. 2, secondo comma).
   Tanto premesso, nella Gazzetta Ufficiale n. 254 del 30 ottobre 1997
 e' stato pubblicato il d.P.C.M. 27 settembre 1997, con cui si dettano
 le  modalita'  di  esercizio  delle  deroghe  di cui all'art. 9 della
 direttiva 409/1979 CEE.
   All'art.  1  si  afferma  che vengono dettate tali modalita' per le
 deroghe di cui alla lett. c) dell'art. 9 della  direttiva  (cioe'  le
 deroghe  per  la  cattura,  detenzione e altri impieghi di uccelli in
 piccole quantita'), in quanto (decimo capoverso  delle  premesse)  si
 sostiene  che  la  disciplina delle deroghe di cui alle lett. a) e b)
 del citato art. 9 sarebbe stata effettuata con gli artt. 2 e 19 della
 legge n. 157/1992.
   L'art. 2 del DPCM affida alle regioni il compito di  adottare  tali
 deroghe  d'intesa  con  i  Ministri  dell'ambiente e per le politiche
 agricole, nel rispetto dei criteri indicati nello  stesso  art.  2  i
 quali  sono  piu'  ampi  di  quelli  indicati  nel  secondo capoverso
 dell'art.  9 piu' volte citato.
   L'art. 3 estende la disciplina delle deroghe anche alla cattura per
 la cessione a fini di richiamo e l'art.  4  abilita  solo  l'Istituto
 nazionale  per  la  fauna  selvatica  a  controllare  le modalita' di
 attuazione delle deroghe.
   Tale DPCM  si  presenta  lesivo  delle  attribuzioni  regionali  in
 materia  di  caccia costituzionalmente garantite ai sensi degli artt.
 117 e 118 della Costituzione per i seguenti motivi:
   1. - Dalle premesse del provvedimento sembra ricavarsi che lo Stato
 abbia inteso ancorare l'atto in oggetto sulla disposizione  dell'art.
 18,  terzo  comma,  della  legge n. 157/1992; tale disposizione viene
 infatti richiamata piu' volte.
   Questo rappresenta pero' un uso improprio del  potere  previsto  da
 tale norma, con lesione delle attribuzioni regionali.
   Infatti  l'art.  18  ha  un  contenuto  e presupposti assolutamente
 diversi da quelli disciplinati dal legislatore comunitario con l'art.
 9 della direttiva 409/1979.
   Precisamente detto art. 18, al primo comma,  contiene  l'elenco  di
 specie  cacciabili,  includendo  anche  specie ulteriori e diverse da
 quelle indicate nella  direttiva  comunitaria;  il  terzo  comma  poi
 prevede  un potere di variazione e di aggiornamento dell'elenco delle
 specie cacciabili, posto in capo alla Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri,  finalizzato  a  recepire,  nel  diritto interno, eventuali
 variazioni delle specie cacciabili decise dalla Comunita' europea; e'
 altresi' previsto un potere di variazione dell'elenco che, sempre  in
 conformita' al diritto comunitario e alle convenzioni internazionali,
 e'  disposto  sentito  il parere dell'Istituto nazionale per la fauna
 selvatica, sulla base della  consistenza  delle  singole  specie  sul
 territorio.
   L'art.  9 della direttiva comunitaria, invece, ha in primo luogo un
 contenuto diverso da quello  dell'art.  8,  perche'  la  deroga  puo'
 riguardare  non  solo  l'esercizio  venatorio,  ma anche il commercio
 nonche' mezzi e metodi, tempi e luoghi in genere vietati. In  secondo
 luogo  l'art.  9  si  basa su presupposti del tutto diversi da quelli
 considerati dall'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992: si e'
 appena visto che le variazioni dell'elenco delle specie cacciabili  -
 riservate  allo  Stato - sono disposte o per l'adeguamento al diritto
 comunitario  ovvero  per  una  specifica  valutazione  tecnica  sulla
 consistenza  delle singole specie sul territorio; la deroga ex art. 9
 ha invece come presupposto altre situazioni (danni alle  colture,  al
 bestiame, ai boschi, ripopolamento, detenzioni per piccole quantita',
 ecc.)   che nulla hanno a che vedere con la consistenza delle singole
 specie.
   Ben   puo'  verificarsi,  ad  esempio,  che  sia  riconosciuta  non
 cacciabile una specie per motivi di consistenza, ma che quella specie
 in un particolare periodo arrechi grave danno alle colture, per  cui,
 in  mancanza  di  altre  soluzioni  soddisfacenti,  divenga opportuno
 autorizzarne, in deroga,  la  cattura,  ovviamente  nel  rispetto  di
 modalita' determinate e per il periodo necessario.
   Dunque  e'  chiaro  che  il  potere  di  deroga  e'  riconosciuto a
 prescindere dall'elenco delle specie cacciabili di cui  all'art.  18,
 terzo comma, ed anzi e' proprio regolato con riguardo alle specie non
 cacciabili.
   Per  questo  la  dottrina ha correttamente evidenziato   che "se il
 procedimento  di  cui  all'art.  18  e'  finalizzato   alla   stabile
 variazione   dell'elenco   delle  specie  cacciabili  sul  territorio
 nazionale, il potere di deroga di  cui  all'art.  9  dir.  79/409  ha
 tutt'altro scopo, che e' poi quello di sospendere,  temporaneamente e
 alle  condizioni  stabilite  dalla direttiva, il regime di protezione
 disposto in via generale a favore della  fauna  selvatica.  In  altre
 parole,  nella  direttiva  il  rapporto  tra  la determinazione delle
 specie cacciabili e il potere di deroga e' un rapporto  di  genere  a
 specie;  da  un  lato si pone un principio di carattere generale, che
 diviene "regola"  attraverso  l'indicazione  analitica  delle  specie
 cacciabili;  dall'altro  si  assicura la possibilita' di "derogare" a
 questa "regola" in presenza  di condizioni  rigorosamente  verificate
 ...........  Delle  due  l'una:  o l'art. 18 della legge n. 157/1992,
 ammesso che attui il diritto comunitario nella parte in  cui  prevede
 la  "variazione" delle specie cacciabili, e' in contrasto con la dir.
 79/409 perche', sostituendosi  all'art.    9  dir.  cit.,  omette  di
 introdurre e disciplinare le molteplici condizioni poste dalla stessa
 per  l'esercizio  del  potere  di  deroga; oppure questo articolo non
 attua  l'art.  9  della  direttiva,  ed  allora  la  distinzione  tra
 ''regola''   e   ''deroga''  continua  a  sussistere".    (A.  Mangia
 "Interessi  unitari  ed  immediata  applicabilita'  delle   direttive
 comunitarie".  Nota a sentenza della Corte costituzionale n. 272/1996
 in Le Regioni 1996, pag. 1225).
   Tale  interpretazione  e'  confermata dalla sentenza della Corte di
 giustizia del 7 marzo 1996 emessa nella causa 118/1994: la Corte  non
 ha detto, ovviamente, chi sia nell'ambito dell'ordinamento interno il
 soggetto  legittimato  a  dare  attuazione al potere di deroga, ma ha
 chiarito  che,  all'interno  dei   singoli   ordinamenti   nazionali,
 l'esercizio  del potere di deroga puo' essere ammesso solo attraverso
 atti specifici che comportino un riferimento preciso agli elementi di
 cui al secondo capoverso dell'art. 9 della direttiva.
   La  deroga  e'  quindi  espressione  di  un   potere   particolare,
 specifico,  contingente,  che  non  puo'  confondersi  con  il potere
 generale di variazione degli elenchi.
   In tale ottica, mentre il potere di  variazione  degli  elenchi  e'
 sempre  stato  riconosciuto  allo Stato, il potere di deroga e' stato
 riconosciuto   legittimamente   esercitato   dalle   regioni    dalla
 giurisprudenza  amministrativa  (TAR Veneto, 17 febbraio 1996 n. 207;
 TAR Toscana n. 1956/1988; TAR Lombardia n. 563/1997; n. 681/1996).
   Un  ulteriore  motivo  e'  poi  determinante  per   escludere   che
 l'esercizio del potere di deroga sia riconducibile all'art. 18, terzo
 comma,  della  legge n. 157/1992. Se cio' fosse, esso dovrebbe essere
 riservato eslusivamente allo  Stato;  l'art.  2  dell'atto  impugnato
 affida  invece  alle  regioni,  seppure  di  intesa  con i competenti
 Ministeri, l'esercizio  del  potere  di  deroga:  cio'  dunque  rende
 evidente  che,  al  di  la'  delle affermazioni delle premesse, nella
 sostanza il fondamento normativo del DPCM in oggetto non puo'  essere
 l'art.  18,  terzo  comma,  della legge n. 157, pena, altrimenti, una
 evidente illegittimita' dell'atto, posto che il DPCM non  puo'  certo
 modificare  la  competenza che il citato art. 18, terzo comma, affida
 in via esclusiva allo Stato.
   Il  decreto  impugnato  richiama  poi  la  sentenza   della   Corte
 costituzionale n. 272/1996 per giustificare la  propria tesi.
   Ma  tale sentenza non sembra legittimare l'atto in oggetto, perche'
 si riferisce al potere statale di variare  gli  elenchi  che,  per  i
 motivi  appena  esposti,  e' diverso dalla disciplina delle deroghe e
 poi perche' detta  sentenza  e'  stata  pronunciata  in  un  contesto
 legislativo  diverso  da  quello attuale, cioe' prima dell'emanazione
 del  recente  decreto  legislativo  n.  143/1997  che,   come   sopra
 evidenziato,  ha  ampliato  le  competenze  regionali  in  materia di
 caccia. Precisamente,  in  base  a  tale  nuova  normativa,  che  da'
 attuazione  al  sistema  di  competenze  delineato all'art. 117 della
 Costituzione secondo i  nuovi  principi  di  decentramento  stabiliti
 dalla legge "Bassanini" n. 59/1997, le deroghe alle specie cacciabili
 non  possono essere concretamente disciplinate dallo Stato, perche' a
 questo compete solo dettare le norme generali entro  cui  le  regioni
 devono  poi attuare nell'ambito del proprio territorio i singoli casi
 di deroga previsti dalla direttiva.
   2. - Il provvedimento impugnato non puo' essere ritenuto rispettoso
 delle attribuzioni regionali neppure in nome degli interessi  unitari
 richiamati nelle premesse.
   In primo luogo, infatti, la sussistenza dell'interesse unitario non
 suscettibile  di  frazionamento,  che  puo'  legittimare l'intervento
 statale,  deve  essere  fondato  su  reali  situazioni  e  non   puo'
 costituire  un'affermazione di principio "irragionevole, arbitraria e
 pretestuosa" (C. cost. n.  360/1991):  nel  caso  di  specie  non  si
 comprende  quali siano tali interessi nazionali sottesi all'esercizio
 delle deroghe, posto che non puo' dubitarsi che la  disciplina  delle
 specifiche  deroghe  rientri nell'interesse differenziato di ciascuna
 regione, essendo i vari casi rapportabili alle differenti  situazioni
 locali e territoriali (danni alle colture locali, tutela della salute
 e  sicurezza  pubblica regionale, ripopolamento, impieghi misurati di
 uccelli in piccole quantita', ecc.)  e  quindi  apprezzabili  solo  a
 livello regionale.
   In  secondo luogo, nella sentenza n. 272/1996 citata nelle premesse
 dell'atto, la Corte costituzionale ha specificato che  gli  strumenti
 per  la  tutela  dell'interesse nazionale vanno individuati a seconda
 della natura della competenza regionale.
   Poiche' nel caso in esame vengono in questione competenze regionali
 costituzionalmente   garantite   a   norma   dell'art.   117    della
 Costituzione,  come  poi attuato dal decreto legislativo n. 143/1997,
 lo Stato avrebbe dovuto, in ipotesi  comunque  contestata,  ricorrere
 all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento.
   Questa rappresenta infatti lo strumento con cui lo Stato puo' agire
 per  le  esigenze  unitarie,  insuscettibili  di  frazionamento  o di
 localizzazione territoriale,  sottese  ai  limiti  costituzionalmente
 fissati  alle competenze regionali (C. cost. n. 242/1989); similmente
 l'art.  9,  sesto  comma,  della legge La Pergola 9 marzo 1989, n. 86
 (pertinente  nel  caso  in  esame  in  cui  viene  in  considerazione
 l'attuazione  di  una direttiva comunitaria) dispone che "la funzione
 di indirizzo e coordinamento  delle  attivita'  amministrative  delle
 regioni,  nelle  materie  cui hanno riguardo le direttive, attiene ad
 esigenze di carattere unitario".
   Ma, com'e' noto, l'esercizio  della  funzione  di  indirizzo  e  di
 coordinamento e' soggetto all'osservanza i precisi requisiti di forma
 e    di    sostanza,   a   garanzia   delle   prerogative   regionali
 costituzionalmene garantite e precisamente:
     si  richiede,  innanzitutto,  una  delibera  del  Consiglio   dei
 Ministri,  ai sensi dell'art. 2, comma terzo, lett. d) della legge n.
 400/1988, nonche' del citato art. 9, sesto comma, legge n. 86/1989;
     occorre poi una base legislativa statale  contenente  principi  e
 criteri  idonei  a  vincolare  e  dirigere  le scelte del Governo (C.
 cost. n. 381/1996; 124, 113 e 26/1994; 355 e 45/1993);
     e' altresi' necessario che l'atto di  indirizzo  e  coordinamento
 lasci  comunque  alle  regioni  lo spazio di autonomia necessario per
 poter svolgere le funzioni legislative  ed  amministrative  che  sono
 state  loro  costituzionalmente  affidate  (C.  cost.  nn. 1145/1988;
 177/1988; 195/1986; 245/1984);
     infine, ai sensi dell'art. 8 della legge n.  59/1997,  l'atto  di
 indirizzo  e  coordinamento deve essere adottato previa intesa con la
 Conferenza permanente Stato-Regioni.
   Il DPCM in questione  non  risponde  ad  alcuno  dei  requisiti  di
 legittimita' appena richiamati,
   Infatti  non  e'  stato  adottato  con  delibera  del Consiglio dei
 Ministri; manca una legge che fissi i principi ed i  criteri  cui  il
 Governo  deve  attenersi,  posto  che ne' la legge n. 157/1992 ne' il
 decreto legislativo n. 143/1997 nulla dispongono al riguardo;  l'atto
 non  e'  neppure  stato  esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni che
 quindi non ha potuto esprimere la necessaria intesa; infine l'atto e'
 estremamente dettagliato e impone  l'intesa  della  regione  con  due
 Ministeri  e quindi e non lascia quel necessario margine di autonomia
 alle  regioni  per  l'esercizio  delle   funzioni   loro   attribuite
 costituzionalmente.
   Anche  in  tale  ottica  quindi l'atto non rispetta le attribuzioni
 regionali.
   3. - Nelle premesse del decreto in oggetto e'  affermato  che,  con
 riferimento  alle  ipotesi  di  cui  alla lettera c) dell'art 9 della
 direttiva comunitaria, "va disciplinata dallo Stato  l'ammissibilita'
 delle  deroghe  e il controllo sulla loro applicazione da parte delle
 Regioni"; cio' perche', secondo lo Stato, le altre ipotesi di  deroga
 di  cui  alle    lett.  a)  e  b)  dell'art.  9  sarebbero gia' state
 disciplinate con gli   artt. 2, comma terzo,  e  19  della  legge  n.
 157/1992.
   Cio' non puo' ritenersi fondato.
   In  particolare  gli  artt. 2 e 19 di tale legge non sono attuativi
 delle deroghe: l'art. 2 comma terzo, infatti, si limita ad attribuire
 al Ministero dei  trasporti  il  controllo  della  popolazione  degli
 uccelli negli aeroporti, mentre l'art. 19 prevede la possibilita' per
 le  regioni  di  vietare  o  ridurre  la  caccia di alcune specie per
 ragioni di consistenza faunistica e di controllare le specie di fauna
 selvatica  anche  nelle zone vietate alla caccia, con l'uso di metodi
 ecologici o autorizzando piani di abbattimento. Quindi tale  art.  19
 (che  riproduce  l'art. 12 della precedente legge 27 dicembre 1977 n.
 968  anteriore  quindi  alla  direttiva  comunitaria  in   questione)
 riguarda   non   le  deroghe,  cioe'  le  eccezioni  alla  cattura  o
 all'abbattimento delle specie non cacciabili -  come  invece  dispone
 l'art.   9   della   direttiva   comunitaria   -  ne'  i  divieti  di
 commercializzazione, di tempi e luoghi o di uso  di  strumenti  (pure
 derogabili in base all'art. 9 citato), ma concerne la possibilita' di
 abbattere tutte le specie (cacciabili e non) anche nelle zone vietate
 alla caccia, solo per fini di controllo del territorio.
   E'  quindi  chiaro  che  si  tratta di fattispecie diverse, sia nei
 presupposti che nel contenuto.
   In ogni caso, se  si  segue  l'impostazione  dello  Stato,  non  si
 comprende  perche'  le  ipotesi  di  deroga di cui alle lett. a) e b)
 dell'art.  9 sono state disciplinate con legge, mentre quella di  cui
 alla  lett.    c)  con  atto amministrativo. In verita', posto che lo
 Stato afferma di dover provvedere in rapporto  all'art.  9  lett.  c)
 della  direttiva  nel  presupposto di non avere attuato l'ipotesi, la
 disciplina statale avrebbe dovuto  rispettare  la  normativa  di  cui
 all'art.  6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 e
 alla legge n. 86/1989, trattandosi di attuazione di una  disposizione
 comunitaria.
   In  base  a tali normative l'attuazione delle direttive comunitarie
 deve essere effettuata:
     con la legge comunitaria o con altra legge (art. 9, terzo  comma,
 della  legge  n. 86/1989) dello Stato  che indichi quali disposizioni
 di principio non sono derogabili dalle regioni; ugualmente l'art.   6
 del  d.P.R.  n.  616/1977  dispone  che  lo  Stato attua le direttive
 comunitarie con legge;
     con regolamento, se cosi' dispone la  legge  comunitaria  per  le
 materie  non  coperte  da  riserva  di  legge  (art. 4 della legge n.
 86/1989).
   L'atto in esame non rispetta la  forma  richiesta  dallla  suddetta
 normativa ed e' emanato in violazione delle norme che disciplinano la
 fonte  e  le  modalita'  di  esercizio  del  potere regolamentare del
 Governo: tale vizio del corretto utilizzo della fonte  si  ripercuote
 in   una   lesione  dell'autonomia  regionale,  in  quanto  gli  atti
 governativi non possono contenere  limiti  alle  potesta'  regionali,
 essendo  cio' riservato alle sole leggi (C. cost. nn. 204 e 391/1991;
 97/1992) o comunque previo adeguato supporto legislativo  che  diriga
 l'attivita' dell'esecutivo (C. cost. nn. 453/1991; 278/1993).
   4.  -  L'art.  2  del  decreto  in  oggetto  dispone che le regioni
 adottano le deroghe di cui all'art. 1 (cioe' quelle per  la  cattura,
 detenzione e altri impieghi di uccelli in piccole quantita') d'intesa
 con  i Ministri dell'ambiente e per le politiche comunitarie.  Dunque
 l'esercizio dei poteri regionali e' subordinato  alla  previa  intesa
 con due Ministeri.
   In  merito  e' noto che ove sia prevista l'intesa l'ente cui spetta
 esprimere il proprio consenso, in quanto titolare  di  un  potere  di
 effettiva partecipazione all'esercizio di una competenza, deve essere
 coinvolto  nella  determinazione  del contenuto del provvedimento (C.
 cost. n. 747/1988).
   In  certi  casi  l'intesa  rappresenta  una  forma di coordinamento
 paritario o di determinazione paritaria del contenuto di un atto;  e'
 l'intesa  c.d.  in senso forte, che ha i connotati tipici del modello
 convenzionale, a fronte  di  materie  interferenti  e  di  competenze
 concorrenti   di   due   soggetti   istituzionali.  Qui  "i  soggetti
 partecipanti  sono  posti  sullo  stesso  piano  in  relazione   alla
 decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come
 il prodotto di un accordo e quindi di una negoziazione diretta tra il
 soggetto cui la decisione e' giuridicamente
  imputata  e  quello  la  cui volonta' deve concorrere alla decisione
 stessa"  (C.  cost.  nn.  337/1989;  20/1990;    116/1994).  Naturale
 corollario  di  tale  intesa  e' che, se essa non e' raggiunta, viene
 inibito il proseguimento del  procedimento.
   In altri casi l'istituto assume i  caratteri  dell'intesa  c.d.  in
 senso  debole,  che  comporta  un  obbligo  di  trattare  con l'altro
 soggetto, o di acquisirne il parere o di esplicitare i motivi per cui
 si procede  pur  in  mancanza  di  intesa  (C.  cost.  nn.  5l4/1988;
 1031/1988;   180/1989).     In  queste  ipotesi,  quindi,  il  modulo
 procedimentale dell'intesa non ha effetti paralizzanti dell'esercizio
 delle  competenze  di  cui  l'ente  e'  titolare,  perche'  la  leale
 cooperazione  e'  assicurata  dalla  partecipazione  al procedimento,
 senza  che  sia  pero'  necessario  pervenire  alla  codeterminazione
 paritaria del contenuto dell'atto.
   In via generale, comunque, l'intesa rappresenta sempre, in entrambe
 le  forme suddette, "un paradigma di concertazione, di coordinamento,
 di leale cooperazione, e quindi strumento per  l'esercizio  in  forma
 collaborativa del potere, che ha lo scopo di conciliare gli interessi
 di  cui  sono  portatori Stato e Regioni, a fronte delle interferenze
 tra le diverse  funzioni  loro  assegnate  (C.  cost.  nn.  203/1974;
 21/1991; 304/1994).
   Ma nel caso in esame non ricorre tale esigenza di risoluzioni delle
 interferenze  tra diverse funzioni statali e regionali, perche', come
 gia' evidenziato sopra, il decreto legislativo n.  143/1997  ha  dato
 attuazione   alle   competenze   regionali   in  materia  di  caccia,
 attribuendo  alle  regione   tutte   le   funzioni   legislative   ed
 amministrative  e  riservando  allo  Stato solo compiti di disciplina
 generale e di coordinamento nazionale in materia di specie cacciabili
 ai sensi dell'art. 18, terzo comma, della legge n. 157/1992 che, come
 gia' rilevato,  e'  norma  attributiva  di  un  potere  assolutamente
 diverso da quello di deroga.
   Ne  discende  che  la  normativa  vigente  non prevede interferenze
 nell'esercizio del potere di deroga tra Stato e  Regioni,  assegnando
 invece solo a quest'ultime il relativo compito; cio', tra l'altro, in
 attuazione  di  una  legge (n. 59/1997) che ha inteso attuare il piu'
 ampio conferimento alle regioni ed enti locali di tutte le funzioni e
 compiti localizzabili dei rispettivi territori. Come gia' rilevato in
 precedenza, non puo' dubitarsi che  la  disciplina  delle  specifiche
 deroghe  rientri  nell'interesse  differenziato  di ciascuna regione,
 essendo  i  vari  casi  previsti  come  presupposto  per  la   deroga
 rapportabili    proprio   alle   differenti   situazioni   locali   e
 territoriali.
   Dunque non vi  sono  interferenze  da  risolvere  con  la  prevista
 intesa;  oltretutto la norma sancisce l'obbligatoria intesa con i due
 Ministri, senza prevedere l'attivazione  di  strumenti  che  comunque
 consentano  la  conclusione del procedimento di competenza regionale,
 anche in caso di mancata intesa di entrambi o di un solo Ministro.
   Da  cio'  si  deduce  il  carattere  di  "intesa forte" che si vuol
 attribuire all'istituto nel caso in esame, con conseguente necessario
 consenso addirittura di due Ministeri sulle scelte regionali.
   Quindi la introduzione di tale intesa non assolve alla sua funzione
 specifica di strumento di cooperazione a fronte di  molteplicita'  di
 competenze  tra  esse  interferenti  riferibili  a soggetti diversi e
 tutti di rilievo costituzionale, ma diviene  piuttosto  un  modo  per
 attribuire  allo  Stato una funzione di  codecisione, di supremazia e
 di vigilanza, non prevista in Costituzione, su funzioni di competenza
 delle  regioni  e  da  esse   esercitate,   imponendo   alle   stesse
 Amministrazioni  regionali, nell'ambito di settori di loro spettanza,
 illegittimi  "moduli  procedimentali  che  condizionano   in   radice
 l'esercizio  delle  riconosciuta  attribuzioni" (sentenza C. cost. n.
 483/1991).
   La reale e pesante incidenza del provvedimento in  questione  sulle
 competenze  regionali  si ravvisa tanto piu' rilevando che la regione
 ricorrente con propria legge  regolarmente  vistata  dal  Governo  ha
 disciplinato  l'esercizio  delle  deroghe  di  cui  all'art.  9 della
 direttiva comunitaria, in piena conformita' con  quest'ultima  (legge
 regionale  n. 70/1997: doc. n. 1). Se il Governo non ha avuto rilievi
 da esprimere su tale legge ha evidentemente  riconosciuto  sussistere
 la   competenza  regionale  in  materia:  dunque  non  puo'  un  atto
 dell'esecutivo emanato senza il rispetto del principio  di  legalita'
 sostanziale,   interferire   su   una   legge   regionale  in  vigore
 vanificandone contenuto e procedure.
   Per gli esposti motivi la prevista obbligatoria  intesa  e'  lesiva
 delle competenze regionali in materia di caccia.
   5.  -  L'art.  3  del DPCM in questione estende la disciplina delle
 condizioni e delle modalita'  delle  deroghe  di  cui  ai  precedenti
 articoli  anche  alla  cattura per cessione a fini di richiamo di cui
 all'art.  4, quarto comma, della legge n. 157/1992.
   Anche tale disposizione e' lesiva delle attribuzioni regionali.
   L'art. 4 della citata legge n.  157  dispone  che  le  regioni,  su
 parere   dell'Istituto  nazionale  per  la  fauna  selvatica  possano
 autorizzare, tra l'altro, la  cattura  per  la  cessione  a  fini  di
 richiamo,  limitatamente  agli  esemplari  indicati  nel quarto comma
 dello stesso articolo.
   L'art. 3 del DPCM pretende  di  limitare  detto  potere  regionale,
 prevedendo anche per esso la obbligatoria intesa con i due Ministeri,
 nonche'  la  presenza  dei  presupposti indicati dall'art. 2 del DPCM
 stesso.  In  tal  modo  con  un  atto  dell'esecutivo,  senza   alcun
 fondamento normativo, si modifica una disposizione di legge statale e
 delle  leggi  regionali  che  hanno  disciplinato  la  cattura per la
 cessione a fini di richiamo.
   Tale  scorretto  uso  delle  fonti  si  traduce  in   una   lesione
 dell'autonomia  costituzionalmente  garantita alle regioni in materia
 di caccia.
   6. - L'art. 4 del DPCM stabilisce che solo l'Istituto nazionale per
 la fauna selvatica di cui all'art. 7   della  legge  n.  157/1992  e'
 abilitato a dichiarare che le condizioni stabilite dagli artt.  2 e 3
 del provvedimento sono realizzate.
   In  tal  modo,  in  difformita'  a  quanto  previsto dalla legge n.
 157/92, si limita solo ad un soggetto sottoposto alla vigilanza della
 Presidenza del Consiglio  dei  Ministri  il  compito  di  controllare
 l'attuazione dell'esercizio delle deroghe, mentre tale controllo deve
 essere  disciplinato  dalle  Regioni  cui compete, per i motivi sopra
 detti, la competenza a disciplinare le deroghe ai sensi  dell'art.  9
 della direttiva comunitaria 79/409.
   7.   -  In  conclusione,  vertendosi  in  una  materia  tipicamente
 regionale coma la caccia (artt. 117 e 118 Cost.) nella quale tutte le
 funzioni amministrative sono attribuite direttamente alle regioni (ai
 sensi dell'art. 99 decreto del Presidente della Repubblica n.  616/77
 e,  soprattutto,  dell'art. 1, comma secondo, del decreto legislativo
 n. 143/1997) e dato il principio  dell'attuazione  diretta  da  parte
 delle  regioni  delle  direttive  recepite  dallo  Stato con norme di
 principio (art. 6 decreto del Presidente della Repubblica n. 616/77),
 non puo' negarsi alle regioni il potere di disciplinare concretamente
 la materia delle deroghe, nel rispetto dell'art.  9  della  direttiva
 comunitaria.
                               P. Q. M.
   Si  chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spetta allo
 Stato disciplinare le modalita' di esercizio  delle  deroghe  di  cui
 all'art.  9 della direttiva 409/79 CEE e, quindi, annullare il d.P.R.
 27  settembre  1997  perche'  invasivo  delle  competenze   regionali
 costituzionalmente  garantite  in  materia  di caccia, per violazione
 degli artt. 117 e 118 Costituzione, in relazione agli artt.  6  e  99
 del  d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616 e dell'art. 1, secondo comma, del
 d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143;
   Si depositano il testo  della  legge  regionale  n.  70/1997  e  la
 delibera di autorizzazione a stare in giudizio.
     Firenze-Roma, addi' 24 novembre 1997
                Avv. Vito Vacchi - avv. Fabio Lorenzoni
 97C1390