N. 443 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Commercio - Produzione e commercializzazione di paste  alimentari  -
 Imprese  aventi stabilimenti in Italia - Utilizzazione di ingredienti
 legittimamente  impiegati  in  base  al   diritto   comunitario   nel
 territorio   della   comunita'   europea   -   Omessa   previsione  -
 Incompatibilita'   con   il   principio   costituzionale    di    non
 discriminazione    della    produzione   interna   -   Illegittimita'
 costituzionale - Caratteristiche dei  prodotti  denominati  pasta  di
 semola  di  grano duro e pasta di semolato di grano duro - Difetto di
 rilevanza - Inammissibilita' - Divieto di vendita e di detenzione per
 la  vendita  di  pasta  avente  caratteristiche  diverse  da   quelle
 stabilite dalla legge - Non fondatezza.
 
 (Legge 4 luglio 1967, n. 580, artt. 30, 36, 28 e 31).
 
 (Cost., artt. 3 e 41, primo comma).
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,   prof. Carlo  MEZZANOTTE,    prof.
 Guido NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 28, 30, 31 e
 36 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e
 commercio dei cereali,  degli  sfarinati,  del  pane  e  delle  paste
 alimentari), promossi con n. 3 ordinanze emesse il 15 giugno 1996 dal
 pretore di Pordenone, rispettivamente iscritte ai nn. 960, 961 e 1145
 del  registro  ordinanze  1996  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 40 e 43, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  21 maggio 1997 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso  di  un   giudizio   di   opposizione   avverso
 ordinanza-ingiunzione  emessa nei confronti del legale rappresentante
 di  un  pastificio,  per  avere  prodotto  e  commercializzato  pasta
 alimentare  secca,  denominata  "specialita'  gastronomica  alle erbe
 aromatiche",  contenente  ingredienti   non   consentiti   (aglio   e
 prezzemolo)  dalle  vigenti  disposizioni  di  legge,  il  pretore di
 Pordenone ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3  e  41,  primo
 comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 28, 30, 31 e  36  della  legge  4  luglio  1967,  n.  580
 (Disciplina  per  la  lavorazione  e  commercio  dei  cereali,  degli
 sfarinati, del pane e delle paste alimentari).
   Il giudice a quo muove da due premesse: la prima e' costituita  dal
 rilievo  che, a seguito della giurisprudenza della Corte di giustizia
 delle  Comunita'  europee,  sulla  base  del  principio   di   libera
 circolazione  delle  merci,  i divieti posti dagli articoli impugnati
 non trovano piu' applicazione  nei  confronti  degli  importatori  di
 paste   alimentari,  ai  quali  quindi  e'  consentito  introdurre  e
 commercializzare, nel  territorio  italiano,  paste  secche  prodotte
 all'esteroutilizzando  ingredienti  non consentiti dalla legislazione
 italiana,  sempreche'  tali  produzioni  siano  conformi  alle  leggi
 nazionali  e  non  contrastino  con  i divieti sanciti in generale, a
 tutela della salute, dagli artt.   30  e  36  del  trattato  CEE.  La
 seconda  si  fonda  sull'osservazione  che la stessa legge n. 580 del
 1967, all'art. 50,  consente,  previa  autorizzazione  dell'autorita'
 competente, la produzione di pasta avente requisiti diversi da quelli
 prescritti  dalla  stessa  legge, dal regolamento di esecuzione e dai
 provvedimenti dell'autorita' amministrativa,  purche'  si  tratti  di
 prodotti destinati all'esportazione e non nocivi alla salute umana.
   Conseguentemente, sempre secondo il giudice a quo, la pasta, cui si
 riferisce l'ordinanza-ingiunzione opposta, potrebbe essere senz'altro
 legittimamente  importata  da  uno degli Stati membri della Comunita'
 ovvero  prodotta  per  l'esportazione,  mentre  non  potrebbe  essere
 prodotta  da  un imprenditore italiano per il mercato interno. Di qui
 il  contrasto  della  normativa  impugnata   con   l'art.   3   della
 Costituzione,  dal momento che risulterebbe evidente la irragionevole
 disparita' di trattamento:
     a)  tra produttori e importatori del medesimo prodotto, in quanto
 i  primi,  se  l'alimento  e'  destinato  al  mercato  interno,   non
 potrebbero  produrre  e commercializzare pasta contenente ingredienti
 non consentiti, laddove l'importatore potrebbe  invece  introdurre  e
 vendere in Italia pasta con tali ingredienti;
     b)  tra  produttori che destinino l'alimento al mercato interno e
 produttori che invece lo destinino all'esportazione, i  quali  ultimi
 potrebbero  legittimamente  commercializzare  all'estero  un  tipo di
 pasta contenente ingredienti non consentiti in Italia;
     c) tra  chi  utilizzi  alcuni  ingredienti  non  autorizzati  per
 l'impasto  e  chi, viceversa, secondo quanto permesso dall'art. 3 del
 d.m. 27 settembre 1967, emanato ai sensi dell'art. 30 della legge  n.
 580,  destini  gli  stessi  ingredienti alla preparazione del ripieno
 della pasta.
   Le medesime disposizioni, inoltre, sarebbero lesive, ad avviso  del
 remittente,  dell'art.  41,  primo  comma,    della Costituzione, dal
 momento che le limitazioni all'utilizzazione di taluni ingredienti si
 tradurrebbero in illegittimi limiti  alla  iniziativa  economica  dei
 produttori   italiani,   la   cui   attivita'   verrebbe   ad  essere
 irragionevolmente compressa.
   Quanto alla  rilevanza,  infine,  il  giudice  a  quo  osserva  che
 l'eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle
 disposizioni impugnate determinerebbe  l'annullamento  dell'ordinanza
 oggetto di opposizione.
   2.  - Identica questione e' stata sollevata dallo stesso pretore di
 Pordenone   in   un   altro   giudizio   di    opposizione    avverso
 un'ordinanza-ingiunzione emessa in relazione alla commercializzazione
 di pasta secca non conforme alla normativa vigente per la presenza di
 aglio e prezzemolo nell'impasto.
   3. - Un'altra questione, identica nelle argomentazioni, ma limitata
 agli  artt.  28,  30  e  36  della  legge  n.  580 del 1967, e' stata
 sollevata dallo stesso pretore di Pordenone nel corso di un  giudizio
 di   opposizione   avverso  un'ordinanza-ingiunzione  emessa  per  la
 produzione e la commercializzazione di paste alimentari  (denominate,
 rispettivamente,  Specialita'  al  peperaglio, Specialita' al nero di
 seppia  e  Specialita'  del  Chianti)  contenenti   ingredienti   non
 consentiti,  quali  l'aglio,  il  peperoncino, il nero di seppia e la
 barbabietola.
   4. - E' intervenuto nei giudizi introdotti con la prima  e  con  la
 terza ordinanza il Presidente del Consiglio dei Ministri, con atti di
 identico  contenuto,  sostenendo  che  la  questione sarebbe priva di
 fondamento, dal momento che  le  situazioni  poste  a  raffronto  dal
 giudice  a  quo apparirebbero disomogenee, mentre il quadro normativo
 sarebbe univoco nello stabilire che chiunque (italiano, comunitario o
 straniero)  produca  pasta  alimentare  in  Italia  e'  obbligato   a
 utilizzare   soltanto  gli  ingredienti  consentiti  dalla  normativa
 nazionale. L'Avvocatura osserva, infatti, che, per quanto riguarda la
 prospettata disparita' di  trattamento  tra  produttori  nazionali  e
 importatori,   il  trattamento  riservato  dalla  legge  italiana  ai
 produttori  di  pasta  alimentare  sarebbe  esclusivamente  collegato
 all'ubicazione   dello   stabilimento   di  produzione,  e  che  cio'
 costituirebbe un dato rispetto al quale  il  fatto  che  nel  mercato
 italiano,  in  virtu'  dell'art. 30 del trattato CEE, debba circolare
 pasta prodotta in altri Paesi apparirebbe del tutto irrilevante.
   Analogamente,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  non  potrebbero essere
 poste a raffronto la posizione del produttore per il mercato  interno
 e del produttore per l'esportazione, ne' l'operazione di preparazione
 dell'impasto  con  quella di preparazione del ripieno. A quest'ultimo
 proposito l'Avvocatura rileva, comunque,  che  la  questione  sarebbe
 inammissibile,  dal  momento che la disciplina della preparazione del
 ripieno e' posta da un decreto ministeriale e non dalle  disposizioni
 impugnate.
   Infondata,  sarebbe,  infine,  sempre ad avviso dell'Avvocatura, la
 dedotta violazione dell'art. 41,  primo  comma,  della  Costituzione,
 posto  che  le  disposizioni  censurate  mirerebbero  a  favorire  la
 qualita' del prodotto e, quindi, la sua affermazione sui mercati  con
 beneficio  dell'economia  nazionale. Non si avrebbe, dunque, nel caso
 di specie, una compressione dell'iniziativa economica, bensi' una sua
 regolamentazione ispirata al  conseguimento  di  risultati  economici
 discrezionalmente valutati.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale, sollevata con
 diverse ordinanze dal pretore di Pordenone, ha ad oggetto  gli  artt.
 28, 30, 31 e 36 della legge 4 luglio 1967, n. 580, nella parte in cui
 prescrivono  che  per  la  produzione industriale di paste alimentari
 secche non possono essere utilizzati ingredienti diversi da quelli da
 essi stessi indicati o autorizzati con il decreto del Ministro  della
 sanita' previsto dall'art. 30.
   Ad avviso del giudice a quo, tali disposizioni contrasterebbero con
 gli  artt.  3  e 41, primo comma, della Costituzione. Quanto all'art.
 3,  il  remittente  denuncia  la  disparita'  di  trattamento  tra  i
 produttori nazionali, ai quali viene imposto di produrre e vendere in
 Italia pasta confezionata unicamente con gli ingredienti autorizzati,
 e gli importatori, ai quali e' consentito introdurre in Italia per la
 vendita  prodotti  di  altri  Paesi comunitari realizzati, secondo le
 regole del Paese di origine, con materie prime anche diverse.  Eguale
 disparita' di trattamento sussisterebbe  poi  tra  i  produttori  che
 destinino  l'alimento  al  mercato  interno  e quelli che, invece, lo
 esportino, ai quali ultimi e' consentito produrre per  l'esportazione
 nella  Comunita'  prodotti  realizzati, secondo le regole del Paese a
 cui sono  destinati,  con  materie  prime  anche  diverse  da  quelle
 autorizzate  in Italia. Il giudice a quo rileva, infine, un'ulteriore
 irragionevole discriminazione tra i produttori che utilizzino  alcuni
 ingredienti  per  il  ripieno  delle  paste  e  quelli che gli stessi
 ingredienti  utilizzino  per  l'impasto,  essendo  la  prima  ipotesi
 consentita e la seconda vietata dal decreto ministeriale di cui si e'
 detto.
   Il remittente deduce anche la violazione dell'art. 41, primo comma,
 della    Costituzione,   perche'   risulterebbe   ingiustificatamente
 compresso  il  diritto  di  iniziativa   economica   dei   produttori
 nazionali.
   Poiche'  le  ordinanze  di  rimessione hanno ad oggetto le medesime
 disposizioni, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi  con
 unica sentenza.
   2.  -  Deve  innanzitutto essere dichiarata l'inammissibilita', per
 difetto di rilevanza, della questione  concernente  l'art.  28  della
 legge  n. 580 del 1967, dal momento che tale disposizione si limita a
 prescrivere  le  caratteristiche  di   fabbricazione   dei   prodotti
 denominati pasta di semola di grano duro e pasta di semolato di grano
 duro,  mentre  nei  giudizi  a  quibus  non  si  pone  un problema di
 denominazione dei prodotti  ai  quali  si  riferiscono  gli  illeciti
 amministrativi oggetto di contestazione, ma solo di presenza, in quei
 prodotti,  di  ingredienti  diversi da quelli autorizzati con decreto
 del Ministro della sanita'  ai  sensi  dell'art.  30  della  medesima
 legge.
   Inammissibile  e',  altresi', la questione relativa all'art. 31, in
 quanto tale disposizione ha ad oggetto la  produzione  di  pasta  con
 impiego  di  uova  e  ne  prescrive  le  caratteristiche,  mentre  la
 possibilita' di utilizzare  anche  nella  fabbricazione  delle  paste
 all'uovo  ingredienti  diversi  risulta  disciplinata  e sottoposta a
 limitazioni dal precedente art. 30.
   3. -  Delle  residue  disposizioni  censurate  nelle  ordinanze  di
 rimessione,  solo  all'art.  30 sono astrattamente ascrivibili i vizi
 denunciati.  Tale disposizione, invero, nel consentire la  produzione
 di   paste   speciali   contenenti   vari   ingredienti   alimentari,
 subordinatamente all'autorizzazione del  Ministro  della  sanita'  di
 concerto  con  i  Ministri per l'agricoltura e foreste (oggi Ministro
 per le politiche agricole) e per l'industria, per il commercio e  per
 l'artigianato (primo comma, secondo periodo), prevede che nel decreto
 siano  stabilite  le  norme e le modalita' per l'impiego e, nel caso,
 per la produzione, il commercio e la conservazione; e stabilisce  per
 quest'ultima  che, ove necessario, sia prescritta l'indicazione della
 data  di  fabbricazione  e  della  durata  di  conservabilita'  degli
 ingredienti  autorizzati  (primo  comma,  ultima  parte).  L'art.  36
 invece, prevedendo il divieto di vendere o di detenere per la vendita
 pasta avente caratteristiche diverse da quelle stabilite nella stessa
 legge, non assume, per la parte che rileva nel presente giudizio  (in
 cui si tratta di una fattispecie di impiego di ingredienti diversi da
 quelli   autorizzati),   un  rilievo  autonomo,  discendendo  il  suo
 contenuto prescrittivo da quello di altre disposizioni tra le  quali,
 appunto,  l'art.  30.  Le  censure  che  investono  l'art. 36 devono,
 pertanto, ritenersi assorbite in quelle concernenti l'art. 30,  e  in
 questo senso devono essere ritenute prive di fondamento.
   4.  -  Cosi'  individuato  l'oggetto  scrutinabile  nel  merito, la
 questione e' fondata.
   Come gia' questa Corte ha riconosciuto, fin dalla  sentenza  n.  20
 del  1980, la disciplina posta dalla legge  4 luglio 1967, n. 580, in
 materia di produzione e di vendita di paste alimentari, ha  lo  scopo
 di  proteggere  caratteristiche  qualitative proprie della tradizione
 nazionale   ritenute   dal   legislatore   meritevoli    di    essere
 salvaguardate.  La stessa materia e' tuttavia assoggettata anche alle
 qualificazioni  del diritto comunitario, alla luce delle quali quella
 finalita' resta  largamente  frustrata.  In  assenza  di  regolamenti
 comunitari  o di direttive di armonizzazione delle diverse discipline
 vigenti negli Stati membri, il principio operante in  ambito  europeo
 e'  quello della libera circolazione delle merci (fissato dagli artt.
 30 e seguenti del trattato istitutivo della  Comunita'  europea).  In
 forza  di  tale  principio,  quale  esso  si  e'  concretizzato nella
 giurisprudenza della Corte  di  giustizia  della  comunita',  non  e'
 consentito  ad uno Stato membro applicare una normativa nazionale che
 limiti l'importazione di merci prodotte e messe in commercio  secondo
 le  leggi  dello  Stato  membro di provenienza.   E cosi', in base al
 diritto comunitario, lo Stato italiano, salvo che per le finalita' di
 cui  ora  si dira', non puo' porre ostacoli a che in uno Stato membro
 vengano prodotte e destinate al consumo in  Italia  paste  alimentari
 contenenti  ingredienti  diversi  da  quelli  autorizzati dalla legge
 nazionale ma consentiti dal diritto comunitario.   Se  questo  e'  il
 contesto  nel quale le imprese nazionali sono chiamate ad operare, e'
 di tutta evidenza che ogni  limitazione  imposta  dalla  legislazione
 nazionale  alla  fabbricazione e alla commercializzazione delle paste
 alimentari nel territorio italiano, che non rinvenga nel trattato  o,
 piu'  in  generale,  nel  diritto  comunitario  il proprio fondamento
 giustificativo, cosi' da poter essere applicata egualitariamente  nei
 confronti  di  tutta  la  produzione  commercializzata  in Italia, si
 risolve in uno svantaggio competitivo e, in ultima  analisi,  in  una
 vera  e  propria  discriminazione  in  danno delle imprese nazionali.
 Queste vengono ad essere per legge vincolate all'osservanza di regole
 finalizzate alla salvaguardia delle tradizioni  alimentari  italiane,
 laddove   e'   consentito   (o  meglio,  non  puo'  essere  impedito)
 all'impresa comunitaria destinare al mercato italiano prodotti aventi
 caratteristiche difformi da quelle tradizionali.
   Proprio in materia di interscambio comunitario di merci, deroghe al
 principio di libera circolazione  dei  beni  potrebbero  in  astratto
 trovare  nello  stesso  trattato il proprio titolo di legittimazione:
 l'art.  36  giustifica,  infatti,  restrizioni  all'importazione  per
 specificati  motivi  di  interesse  pubblico,  tra  i  quali assumono
 preminente  rilievo,  in  materia   di   circolazione   di   prodotti
 alimentari,  la  tutela  della  salute  umana e, nell'interpretazione
 della giurisprudenza comunitaria, la tutela dei consumatori.
   Ma, nel nostro caso, in cui la stessa  Corte  di  giustizia,  nella
 sentenza  14  luglio  1988  in causa 90/1986, Zoni, ha escluso che la
 disciplina introdotta dalla legge n. 580 del 1967 sia necessaria  per
 rispondere ad esigenze imperative come la difesa dei consumatori o la
 lealta'  dei negozi commerciali o la tutela della salute pubblica, la
 questione e'  se  vincoli  di  protezione  di  tradizioni  alimentari
 possano  essere  legislativamente imposti dalle leggi nazionali anche
 al  di  la'  di  quanto  giustificabile  alla  stregua  del   diritto
 comunitario.
   5.  -  Quello  al  quale  si  e'  ora  accennato  e'  il tema delle
 cosiddette "discriminazioni a rovescio": situazioni di disparita'  in
 danno  dei cittadini di uno Stato membro, o delle sue imprese, che si
 verificano  come  effetto  indiretto  dell'applicazione  del  diritto
 comunitario.   Va chiarito che in questa sede non interessa accertare
 quale sia il regime comunitario di simili discriminazioni,  chiedersi
 se  ed  entro  quali  limiti  esse  siano  rilevanti e possano essere
 denunciate di fronte agli organi della  Comunita'  europea,  come  da
 taluno  si  sostiene,  o se restino ancor oggi, in quell'ordinamento,
 del tutto irrilevanti come indurrebbe  a  ritenere  un'analisi  della
 giurisprudenza  della  Corte  di giustizia. E' peraltro significativo
 che proprio  nella  citata  sentenza  in  causa  Zoni,  che  riguarda
 specificamente  la  legge della quale oggi si discute, si afferma che
 "il diritto comunitario non esige che il legislatore abroghi la legge
 per quanto attiene ai produttori di pasta  stabiliti  sul  territorio
 italiano".  Ed  in  effetti,  risponde  ad  una  ben nota visione dei
 rapporti tra diritto comunitario  e  diritto  interno  ispirata  alla
 separazione dei due ordinamenti, comunitario e nazionale, della quale
 la   citata  sentenza  della  Corte  di  giustizia  non  e'  la  sola
 espressione,  che  provvedimenti  legislativi discriminatori in danno
 delle imprese nazionali  siano  di  regola  irrilevanti  nel  diritto
 comunitario.  Salvaguardato il principio di libera circolazione delle
 merci ed assicurata, nei rapporti tra Stati, l'attuazione del divieto
 di restrizioni quantitative all'importazione o di misure  di  effetto
 equivalente,  gli  Stati  membri  resterebbero  liberi  di  adottare,
 unilateralmente,  una  normativa  che,  senza  toccare   i   prodotti
 importati,  tenda a migliorare la qualita' della produzione nazionale
 o a mantenerla conforme alle  tradizioni  alimentari  interne,  anche
 oltre quanto necessario per assicurare la tutela della salute umana e
 degli  altri valori che, nel trattato, fungono da limite al principio
 di  liberta'   della   circolazione   delle   merci.   Un   eventuale
 atteggiamento  di  tolleranza  nei confronti delle "discriminazioni a
 rovescio" rientrerebbe, insomma, per il diritto comunitario,  tra  le
 scelte  consentite  agli  Stati membri, interamente rimesse alla loro
 libera autodeterminazione di Stati sovrani.
   Ma - si  diceva  -  in  questa  sede  non  e'  il  punto  di  vista
 comunitario  che  interessa. Anche a voler ritenere che, nell'attuale
 fase evolutiva del processo di integrazione europea,  sia  questo  un
 portato   del  rapporto  di  separazione  che  tuttora  sussiste  tra
 ordinamento  comunitario  e  ordinamento  interno,   e'   certo   che
 all'impatto  con  il  nostro  sistema  giuridico,  quello  spazio  di
 sovranita' che  il  diritto  comunitario  lascia  libero  allo  Stato
 italiano  puo' non risolversi in pura autodeterminazione statale o in
 mera liberta' del legislatore nazionale, ma e'  destinato  ad  essere
 riempito  dai  principii  costituzionali  e,  nella materia di cui si
 tratta, ad essere occupato dal congiunto  operare  del  principio  di
 eguaglianza  e della liberta' di iniziativa economica, tutelati dagli
 artt. 3 e 41 della Costituzione, che sono stati invocati a  parametro
 dal giudice remittente.
   6.  -  La disparita' di trattamento tra imprese nazionali e imprese
 comunitarie, seppure e' irrilevante per il diritto  comunitario,  non
 lo  e'  dunque  per  il  diritto costituzionale italiano. Non potendo
 essere da questo risolta mediante l'assoggettamento delle seconde  ai
 medesimi  vincoli  che  gravano  sulle  prime,  poiche'  vi  osta  il
 principio comunitario di libera circolazione  delle  merci,  la  sola
 alternativa praticabile dal legislatore - in assenza di altre ragioni
 giustificatrici costituzionalmente fondate - e' l'equiparazione della
 disciplina  della  produzione delle imprese nazionali alle discipline
 degli  altri  Stati  membri  nei  quali  non  esistano  vincoli  alla
 produzione  e  alla commercializzazione analoghi a quelli vigenti nel
 nostro Paese.
   In definitiva, in  assenza  di  una  regolamentazione  uniforme  in
 ambito  comunitario,  il principio di non discriminazione tra imprese
 che agiscono sullo stesso mercato in rapporto di concorrenza,  opera,
 nella   diversita'   delle  discipline  nazionali,  come  istanza  di
 adeguamento del diritto interno ai principii stabiliti  nel  trattato
 agli  artt.   30 e seguenti; opera, quindi, nel senso di impedire che
 le imprese nazionali siano gravate di oneri, vincoli e divieti che il
 legislatore non potrebbe imporre alla produzione comunitaria: il  che
 equivale  a  dire  che  nel giudizio di eguaglianza affidato a questa
 Corte non possono essere  ignorati  gli  effetti  discriminatori  che
 l'applicazione del diritto comunitario e' suscettibile di provocare.
   7. - Va infine chiarito che il vizio di legittimita' costituzionale
 investe  immediatamente  la  legge  e  non  potrebbe  essere imputato
 all'eventuale regolamento adottato ai sensi dell'art. 30 dal Ministro
 della sanita', di  concerto  con  il  Ministro  per  l'agricoltura  e
 foreste  (oggi  Ministro per le politiche agricole) e con il Ministro
 dell'industria. Ed invero, l'interpretazione letterale e  sistematica
 della legge 4 luglio 1967, n. 580, conduce alla univoca soluzione che
 questa,  non solo non ha recepito il divieto, imposto dagli artt. 3 e
 41 della Costituzione, di discriminare la produzione nazionale  delle
 paste  alimentari, ma lo ha del tutto ignorato, lasciando, sul punto,
 ampia discrezionalita' alla fonte regolamentare nel contesto  di  una
 disciplina  ispirata  alla  protezione  delle  tradizioni  alimentari
 nazionali.  La  stessa  idea  che  l'utilizzazione   di   ingredienti
 ulteriori,  anche  se  leciti  nella  legislazione  dei  Paesi membri
 dell'Unione, debba essere sottoposta a una autorizzazione nella quale
 possono essere tutelati interessi diversi dall'igiene e dalla  salute
 umana o da altri valori cogenti per il trattato e per la Costituzione
 italiana,  rende  la  disposizione  che  tale  autorizzazione prevede
 senz'altro incompatibile  con  il  principio  costituzionale  di  non
 discriminazione della produzione interna.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  30 della legge 4 luglio 1967, n. 580  (Disciplina  per  la
 lavorazione  e  commercio  dei  cereali,  degli sfarinati, del pane e
 delle paste alimentari), nella parte in  cui  non  prevede  che  alle
 imprese aventi stabilimento in Italia e' consentita, nella produzione
 e  nella  commercializzazione di paste alimentari, l'utilizzazione di
 ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario,
 nel territorio della Comunita' europea;
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  36 della suindicata legge 4 luglio 1967, n. 580, sollevata
 dal pretore di Pordenone, in riferimento agli artt.  3  e  41,  primo
 comma, della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 28 e 31 della suindicata legge   4 luglio 1967,  n.  580,
 sollevata dal pretore di Pordenone, in riferimento agli artt. 3 e 41,
 primo  comma,  della  Costituzione,  con  le  ordinanze  indicate  in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
 97C1500