N. 446 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Domanda di riparazione per ingiusta  detenzione  -
 Proposizione  a  pena di inammissibilita' entro 18 mesi dal giorno in
 cui il provvedimento di archiviazione e' stato pronunciato,  anziche'
 dalla  notifica  di  detto  provvedimento  all'interessato  che abbia
 subito custodia cautelare   - Riferimento alla  giurisprudenza  della
 Corte  in  materia (cfr. sentenze  nn. 185 del 1988, 134 del 1985, 14
 del 1997,  255  del  1974  e  159  del  1971)  -  Irragionevolezza  -
 Violazione  del  diritto  fondamentale  alla tutela giurisdizionale -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.P., art. 315, comma 1).
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 315,  comma  1,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14
 novembre 1996 dalla Corte d'appello di Bologna, iscritta  al  n.  134
 del  registro  ordinanze  1997  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Udito nella camera di consiglio del  15  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -   La Corte d'appello di Bologna, nel corso di un procedimento
 per riparazione di ingiusta detenzione,  con  ordinanza  in  data  14
 novembre  1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo
 e  quarto  comma,  della  Costituzione,  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  315,  comma  1,  del  codice  di procedura
 penale, nella parte in cui prevede che la domanda di riparazione  per
 l'ingiusta     detenzione    deve    essere    proposta,    a    pena
 d'inammissibilita',  entro  diciotto  mesi  dal  giorno  in  cui   il
 provvedimento  di  archiviazione e' stato pronunciato, anziche' dalla
 notifica di detto provvedimento  all'interessato,  che  abbia  subito
 custodia     cautelare,    ovvero    dalla    conoscenza    effettiva
 dell'archiviazione comunque da costui diversamente acquisita.
   Il remittente premette che la questione deve  ritenersi  senz'altro
 rilevante, in quanto la domanda di equa riparazione e' stata proposta
 nel  giudizio a quo oltre il termine di diciotto mesi dalla pronuncia
 del provvedimento di archiviazione.
   Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il  giudice
 a  quo  rileva che, ai sensi dell'art. 314, comma 1, cod. proc. pen.,
 chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile  perche'  il  fatto
 non  sussiste,  per non avere commesso il fatto, perche' il fatto non
 costituisce reato o non  e'  previsto  dalla  legge  come  reato,  ha
 diritto  a  un'equa  riparazione  per  la  custodia cautelare subita,
 qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo  o  colpa
 grave.  Lo stesso diritto, a norma del comma 2 del medesimo art. 314,
 spetta al prosciolto per qualsiasi causa  o  al  condannato  che  nel
 corso  del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando
 con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che
 ha  disposto  la  misura  e'  stato  emesso  o  mantenuto  senza  che
 sussistessero le condizioni di applicabilita'  previste  dagli  artt.
 273 e 280.
   Tali  disposizioni si applicano, alle medesime condizioni, a favore
 delle persone nei cui  confronti  sia  pronunciato  provvedimento  di
 archiviazione (art. 314, comma 3) e, tuttavia - osserva il remittente
 - il sistema normativo vigente non prevede alcun adempimento inteso a
 portare   a   conoscenza   dell'interessato   ne'  la  pronuncia  del
 provvedimento di archiviazione, ne' altri atti che a quella pronuncia
 preludano.
   In questo quadro, secondo la Corte  d'appello  di  Bologna,  l'art.
 315,  comma  1,  cod.  proc.  pen.  solo  in apparenza regolerebbe in
 maniera eguale casi che di eguale trattamento  necessiterebbero,  dal
 momento  che l'interessato e' posto in grado di conoscere l'esistenza
 soltanto dei provvedimenti pronunciati nei suoi confronti nella forma
 della sentenza - attraverso il sistema  delle  notifiche  previsto  a
 pena  di nullita' nell'ambito dei relativi processi - e non anche del
 provvedimento di archiviazione.
   La disposizione censurata determinerebbe, inoltre, una  irrazionale
 compressione  del  diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione
 per chi sia stato destinatario di un provvedimento di  archiviazione,
 poiche'  in  questo  caso  "il  diritto  alla riparazione nasce, e il
 termine  per  il  suo  esercizio  inizia  a  decorrere,  ad  insaputa
 dell'interessato".
                         Considerato in diritto
   1.  -    La  Corte  d'appello  di Bologna dubita della legittimita'
 costituzionale dell'art.  315,  comma  1,  del  codice  di  procedura
 penale,  nella parte in cui prevede che la domanda per la riparazione
 per  l'ingiusta  detenzione  deve  essere   proposta,   a   pena   di
 inammissibilita',   entro   diciotto   mesi  dal  giorno  in  cui  il
 provvedimento di archiviazione e' stato pronunciato,  anziche'  dalla
 notifica  di  detto provvedimento all'interessato, che abbia sofferto
 custodia    cautelare,    ovvero    dalla    conoscenza     effettiva
 dell'archiviazione da lui comunque acquisita.
   Secondo  il giudice a quo, la disposizione censurata contrasterebbe
 con  l'art.  3  della  Costituzione,  per  il  trattamento  deteriore
 riservato  a  chi  proponga  domanda  di  riparazione  a  seguito  di
 pronuncia di provvedimento di archiviazione, rispetto a chi avanzi la
 medesima domanda a  seguito  di  sentenza  di  proscioglimento  o  di
 condanna  divenuta  irrevocabile,  o  di  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere divenuta  inoppugnabile,  poiche'  solo  in  queste  ultime
 ipotesi,  attraverso  le  notifiche,  l'interessato  sarebbe posto in
 grado di  conoscere  tempestivamente  il  momento  in  cui  inizia  a
 decorrere il termine per la proposizione di detta domanda.
   Alla  base delle argomentazioni del remittente sta la constatazione
 che il sistema normativo vigente non prevede alcun adempimento inteso
 a  portare  a  conoscenza  dell'interessato  ne'  la  pronuncia   del
 provvedimento di archiviazione, ne' altri atti che a quella pronuncia
 preludono.    Di  conseguenza,  secondo il giudice a quo, l'art. 315,
 comma 1, del codice di procedura  penale,  contrasterebbe  anche  con
 l'art.   24,   primo   e  quarto  comma,  della    Costituzione,  per
 l'irrazionale compressione che, in caso di  archiviazione,  subirebbe
 il diritto all'equa riparazione, in quanto tale diritto sorgerebbe (e
 il termine per il suo esercizio inizierebbe a decorrere) "ad insaputa
 dell'interessato".
   2. - La questione e' fondata.
   La  disciplina  vigente crea la disparita' di trattamento censurata
 dal giudice a quo, in una materia in cui vengono in considerazione il
 principio di riparazione dell'errore giudiziario insieme  al  diritto
 fondamentale alla tutela giurisdizionale.
   Nonostante  che  la  decorrenza  e  la  durata  del  termine per il
 promovimento dell'azione siano  regolate  in  maniera  apparentemente
 eguale  per tutte le situazioni previste dall'art. 315, comma 1, cod.
 proc. pen., queste risultano tra loro diverse  proprio  in  relazione
 alle  differenti opportunita' che l'ordinamento offre all'interessato
 di conoscere con tempestivita' il momento in cui il diritto  all'equa
 riparazione e' sorto ed e' azionabile.
   Nelle  ipotesi  in  cui  il diritto nasce a seguito di una sentenza
 irrevocabile di proscioglimento o di condanna, o  a  seguito  di  una
 sentenza  inoppugnabile di non luogo a procedere, l'interessato, come
 rileva il giudice remittente, e' a conoscenza delle diverse fasi  del
 processo  attraverso le quali si perviene alla irrevocabilita' o alla
 inoppugnabilita' della decisione: dapprima e' avvertito  dell'udienza
 preliminare,  se  vi  e' stata richiesta di rinvio a giudizio, ovvero
 della data dell'udienza dibattimentale  a  seguito  del  decreto  che
 dispone il giudizio, o del decreto di giudizio immediato; la sentenza
 viene  pubblicata  e,  se  vi  e'  contumacia, notificata; quindi dei
 successivi  gradi  di  giudizio,  delle  relative  sentenze  e  delle
 eventuali   ordinanze   di  inammissibilita'  dei  mezzi  di  gravame
 proposti, egli ha notizia grazie al sistema delle notifiche,  la  cui
 regolarita'  e'  garantita  all'imputato  dalle  sanzioni di nullita'
 previste dal codice di procedura.  La diligenza che  si  richiede  in
 questi  casi  all'interessato  e'  davvero  minima:  per conoscere il
 momento in  cui  il  suo  diritto  alla  riparazione  sorge,  gli  e'
 sufficiente,   se   non   vuole  essere  presente  al  momento  della
 pubblicazione della sentenza, prestare attenzione  alle  notifiche  e
 agli  avvisi  che  via  via riceve durante il processo. Non cosi' nel
 caso  di  provvedimento  di  archiviazione:   il   diritto   all'equa
 riparazione  sorge  e  il  termine per la proposizione della relativa
 domanda inizia a decorrere all'insaputa del titolare; per lui  nessun
 mezzo   appresta   l'ordinamento   per  favorire  la  conoscenza  del
 provvedimento.
   3. - Il principio secondo il quale, una volta stabilito un  termine
 di  decadenza,  l'interessato  deve  essere  posto  in  condizione di
 conoscerne  la  decorrenza  iniziale  senza  l'imposizione  di  oneri
 eccedenti  la  normale  diligenza e' stato affermato piu' volte dalla
 giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze nn. 185 del  1988,  134
 del  1985, 14 del 1977, 255 del 1974 e 159 del 1971). Si trattava, e'
 vero, di fattispecie in cui il termine di  decadenza,  sostanziale  o
 processuale,  era  piu' breve di quello previsto dall'art. 315, comma
 1, del codice di procedura penale. Ma  in  questo  caso  ulteriori  e
 decisivi argomenti inducono a valutare con maggior rigore una vicenda
 in  cui    nessuna agevolazione e' data all'interessato ai fini della
 conoscenza che e' affidata esclusivamente al suo impegno personale.
   E'  risolutiva,  per  dimostrare  l'assenza   di   un   ragionevole
 fondamento  della  disparita'  di  trattamento  ora  evidenziata,  la
 considerazione  delle  peculiarita'   della   fattispecie,   che   la
 differenziano   profondamente   dalle   altre,   pure   astrattamente
 comparabili, sulle quali questa Corte si e' in passato pronunciata in
 materia di congruita' di termini stabiliti a pena di inammissibilita'
 e di doveri di diligenza delle parti; peculiarita' che fanno apparire
 manifestamente  irrazionale,  in  relazione  ad essa, il fatto che il
 legislatore abbia mancato di apprestare un qualche ausilio  idoneo  a
 favorire   la   conoscenza  tempestiva  del  provvedimento  da  parte
 dell'interessato ed abbia scelto in proposito di gravare quest'ultimo
 di ogni onere. Ne e' risultata in effetti una distribuzione  a  senso
 unico  degli  oneri  processuali,  che  non si addice all'insieme dei
 valori  coinvolti  nella  vicenda   della   ingiusta   detenzione   e
 all'equilibrato e coerente bilanciamento che essa richiede.
   Il  solo  fatto  che operi nel nostro ordinamento, come innovazione
 introdotta nel 1988, l'istituto regolato dagli artt. 314  e  ss.  del
 codice  di procedura penale dimostra indubbiamente che, nella visione
 del legislatore, al rapporto  tra  cittadini  e  Stato  in  relazione
 all'esercizio della giurisdizione penale cautelare, per la quale sono
 essenziali  poteri coercitivi incidenti sulla liberta' personale, non
 sono estranei momenti di solidarieta'. Infatti, l'esborso  a  cui  lo
 Stato  e'  tenuto  per  ingiusta  detenzione, nella ormai consolidata
 elaborazione della giurisprudenza dei giudici  comuni,  si  configura
 non  come  risarcimento  del  danno  derivante  da  un fatto illecito
 ascrivibile  ad  alcuno  a  titolo  di  dolo  o  di  colpa  o   anche
 subiettivamente   non   imputabile,  ma  come  misura  riparatoria  e
 riequilibratrice,  e  in  parte  compensatrice  della   ineliminabile
 componente di alea per la persona, propria della giurisdizione penale
 cautelare.  La  riparazione dell'ingiusta detenzione e' dunque dotata
 di un fondamento squisitamente  solidaristico:  in  presenza  di  una
 lesione  della  liberta'  personale  rivelatasi comunque ingiusta con
 accertamento ex post, la legge, in considerazione della qualita'  del
 bene  offeso,  ha riguardo unicamente alla oggettivita' della lesione
 stessa.
   4. - Se questa e' la  natura  dell'istituto,  la  previsione  della
 notificazione  del  provvedimento  di  archiviazione  - in assenza di
 qualsiasi avviso che preannunci l'eventualita' di un  simile  epilogo
 del  procedimento  - non solo si addice al suo inequivoco significato
 solidaristico ma e' da ritenere, in una ideale gerarchia  degli  atti
 di  riparazione,  il primo fra quelli ai quali lo Stato e' tenuto nei
 confronti di chi, innocente, abbia subi'to ingiusta detenzione; primo
 e, si aggiunga, indefettibile alla luce del canone di ragionevolezza,
 anche in considerazione della tenuita' degli oneri organizzativi  che
 la  notificazione  comporta per l'amministrazione della giustizia, al
 raffronto con il ben piu' gravoso  impegno  che  rappresenta  per  il
 cittadino l'attivita' di informazione e di ricerca della notizia.  Il
 rimettere  dunque  interamente  all'interessato l'onere di iniziativa
 finalizzata alla conoscenza del provvedimento di archiviazione altera
 profondamente la fisionomia dell'istituto, suona come odioso aggravio
 della situazione di ingiustizia che si e' determinata, e rende oscura
 e contraddittoria la complessiva ratio della disciplina: da un  lato,
 questa  suscita  l'idea  di  uno  Stato  che  di  fronte  a  ingiuste
 compressioni della liberta' personale ispira la sua azione a principi
 di solidarieta', che lo  inducono  a  concepire,  nell'alveo  scavato
 dall'art.  24,  quarto  comma, della Costituzione, una riparazione in
 assenza di fatti illeciti o di responsabilita' imputabili ad  alcuno;
 dall'altro, evoca l'immagine opposta: uno Stato cosi' dimentico delle
 vicissitudini  della liberta' personale dei cittadini che non avverte
 neppure  l'esigenza  di  dar  notizia  ad  essi  del  fatto  che   la
 coercizione subi'ta a causa dell'esercizio della giurisdizione penale
 cautelare si e' appalesata obiettivamente ingiusta.
   Tanto  piu'  irragionevole  appare  l'omissione se si considera che
 essa  riguarda  proprio  il  provvedimento  di   archiviazione   che,
 nell'elencazione  dell'art.  315,  rappresenta  l'ipotesi nella quale
 piu' evidente risulta l'ingiustizia della detenzione e piu' manifesta
 l'esigenza di rendere noto  all'interessato  l'esito  favorevole  del
 procedimento.  Negli  altri  casi  previsti  dal citato art. 315 cod.
 proc. pen.  (sentenza  di  proscioglimento  o  di  condanna  divenuta
 irrevocabile;   sentenza   di   non   luogo   a   procedere  divenuta
 inoppugnabile),  infatti,  il  sacrificio   imposto   alla   liberta'
 personale  e'  comunque connesso all'esercizio dell'azione penale che
 si presume essere intervenuto; per di piu' l'interessato, come detto,
 ha piu' facilmente modo di  conoscere,  attraverso  le  notificazioni
 previste in relazione a un processo poi definito, il momento iniziale
 della  decorrenza del termine stabilito per l'esperimento dell'azione
 riparatoria. Nel caso del provvedimento di archiviazione, invece, ne'
 vi  e'  stato  esperimento  dell'azione  penale,  ne'   e'   prevista
 notificazione  della decisione di non esercitarla, con la conseguenza
 che chi ha subi'to detenzione viene lasciato completamente all'oscuro
 dell'esistenza dell'atto che ne  determina  l'oggettiva  ingiustizia,
 con  l'onere, irragionevole in questo contesto, di scoprirlo da solo;
 quasi che nei confronti della liberta'  personale  dei  cittadini  lo
 Stato,  resosi  attivo  per  comprimerla,  possa  rimanere passivo ed
 inerte quando si tratti di rendere piu' agevolmente esperibili rimedi
 riparatori o compensativi nei casi in cui quella liberta'  sia  stata
 ingiustamente offesa.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  illegittimita' costituzionale dell'art. 315, comma 1,
 del codice di procedura penale, nella parte in  cui  prevede  che  il
 termine   per  proporre  la  domanda  di  riparazione  decorre  dalla
 pronuncia del provvedimento di archiviazione, anziche' dal giorno  in
 cui,  ricorrendo  le  condizioni previste dall'art. 314, comma 3, del
 codice di procedura penale, e' stata effettuata la notificazione  del
 provvedimento  di  archiviazione alla persona nei cui confronti detto
 provvedimento e' stato pronunciato.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
 97C1503