N. 449 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Costituzione della Repubblica italiana - Camera dei deputati e Corte
 di appello di Milano - Opinioni espresse dall'on. Umberto Bossi nella
 campagna elettorale per l'elezione del sindaco di Milano  -  Deposito
 del  ricorso  presso  la cancelleria della Corte dopo la scadenza del
 termine  perentorio  dei  venti  giorni  stabilito  dalla   legge   -
 Improcedibilita'.
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici: prof. Francesco GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,    prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con ricorso della Corte d'appello di Milano,
 terza sezione penale, notificato il 31 ottobre  1996,  depositato  in
 cancelleria  il 21 novembre 1996, per conflitto di attribuzione sorto
 a seguito della delibera della Camera dei  deputati  del  31  gennaio
 1996,  che  ha  affermato  l'insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,
 primo comma, della Costituzione, delle espressioni adoperate dall'on.
 Umberto Bossi in un comizio elettorale a Milano il giorno  18  giugno
 1993; ricorso iscritto al n. 29 del registro conflitti del 1996;
   Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  settembre  1997  il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Udito l'avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.
                           Ritenuto in fatto
   1. - La Corte d'appello  di  Milano  ha  proposto,  con  ordinanza,
 ricorso  per conflitto di attribuzione, depositato il 26 luglio 1996,
 nei  confronti  della  Camera  dei  deputati,   in   relazione   alla
 deliberazione  adottata  dall'Assemblea  parlamentare  il  31 gennaio
 1996, con la quale e' stata dichiarata l'insindacabilita', in  quanto
 espressione  di  opinioni  formulate  da  un  membro  del  Parlamento
 nell'esercizio delle  sue  funzioni  (art.  68,  primo  comma,  della
 Costituzione),  delle  frasi pronunciate dall'on. Umberto Bossi il 18
 giugno 1993 in un comizio tenuto nel corso della campagna  elettorale
 per l'elezione del sindaco di Milano; frasi per le quali si procedeva
 penalmente  per il reato di diffamazione aggravata (art. 595, primo e
 terzo comma, cod. pen.)   a seguito di  querela  proposta    dall'on.
 Ferdinando Dalla Chiesa.
   Nel  corso  del giudizio d'appello, avendo l'on. Bossi impugnato la
 condanna inflitta dal pretore di Milano alla pena della multa  ed  al
 risarcimento  dei  danni  in favore del querelante costituitosi parte
 civile, la Camera dei deputati, alla  quale  l'imputato  apparteneva,
 aveva deliberato che i fatti per i quali era in corso il procedimento
 penale  riguardavano l'espressione di opinioni formulate da un membro
 del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni. A seguito  di  tale
 decisione  la parte civile aveva chiesto che il giudizio proseguisse,
 contestando la legittimita' dell'intervento parlamentare, che sarebbe
 stato in contrasto con l'art. 68 della Costituzione, come  modificato
 dall'art.  1  della  legge  costituzionale  29 ottobre 1993, n. 3. Il
 pretore aveva  dato  comunicazione  alla  Camera  dell'esistenza  del
 procedimento   penale,   ma  questa  aveva  solo  il  valore  di  una
 informativa, rimanendo consentito alla Camera di  pronunciarsi  sulla
 insindacabilita'  delle opinioni espresse dal parlamentare solo se il
 giudice non avesse  gia'  ritenuto  l'eccezione  di  insindacabilita'
 manifestamente infondata.
   Il  procuratore  generale  presso la Corte d'appello aveva, invece,
 chiesto l'assoluzione dell'imputato perche' il fatto non  costituisce
 reato,  ai  sensi  degli  artt.  129 e 530 cod. proc. pen., in quanto
 spetta alla Camera valutare le condizioni dell'insindacabilita' delle
 opinioni espresse dai parlamentari, salvo il possibile  controllo  di
 legittimita'   nella   forma   del   conflitto   davanti  alla  Corte
 costituzionale.   Richiamando la  giurisprudenza  costituzionale,  in
 particolare  le  sentenze  n.  1150  del  1988  e n. 443 del 1993, il
 pubblico ministero riteneva che il  controllo  di  legittimita'  puo'
 avere  ad  oggetto  unicamente  la  sussistenza  di eventuali vizi di
 procedura, ovvero l'omessa od arbitraria valutazione dei  presupposti
 di   insindacabilita'.  La  delimitazione  di  tali  presupposti  non
 potrebbe essere effettuata dall'autorita'  giudiziaria  quando,  come
 nel  caso  in  esame,  si fosse pronunciata la Camera di appartenenza
 dell'imputato,   perche'   diversamente   si    verificherebbe    una
 inammissibile interferenza nelle prerogative parlamentari.
   La   Corte   d'appello,   ritenendo   di   non  poter  disapplicare
 direttamente,  come  invece  richiesto   dalla   parte   civile,   la
 deliberazione  parlamentare,  ha  sollevato conflitto di attribuzione
 perche' la Corte costituzionale stabilisca se  le  opinioni  espresse
 dall'on.  Bossi  nel  comizio del 18 giugno 1993 costituiscano o meno
 esercizio della funzione parlamentare.
   La Corte d'appello ha  presente  che,  secondo  il  giudizio  della
 Camera  dei  deputati, quale risulta dalla relazione della Giunta per
 le autorizzazioni a procedere approvata dall'Assemblea il 31  gennaio
 1996,  le  parole  pronunciate dall'on. Bossi hanno una indissolubile
 connessione  con  l'attivita'  politica  generale  del  parlamentare,
 seppure  esercitata  in  occasione  delle elezioni per il rinnovo del
 consiglio comunale  di  Milano.  Tuttavia,  ad  avviso  dello  stesso
 giudice,    questa   valutazione   non   risolverebbe   il   problema
 dell'applicabilita' o meno  dell'insindacabilita'  parlamentare,  che
 puo' operare solo nei limiti posti dall'art. 68 della Costituzione ed
 e'  diretta  a  garantire  in  ogni  momento  la  liberta' di ciascun
 componente  del  Parlamento  nell'esercizio   delle   sue   funzioni.
 L'immunita'  costituirebbe  una eccezione al principio generale della
 responsabilita'  individuale,  ed  in  quanto  tale  dovrebbe  essere
 interpretata  in  senso  restrittivo.  L'art.  68  della Costituzione
 introdurrebbe un ingiustificato privilegio non  collegato  al  libero
 esercizio delle funzioni parlamentari, se dilatato sino a comprendere
 l'esercizio  di diritti garantiti a tutti i cittadini. Difatti, se il
 diritto  dell'on.  Bossi  di  manifestare  liberamente   il   proprio
 pensiero,  illustrando  tesi politiche generali fuori dal Parlamento,
 fosse da  inquadrare  nell'art.  68,  anziche'  nell'art.  21,  della
 Costituzione,  la  parte  offesa  dalle dichiarazioni rese rimarrebbe
 priva della tutela che altrimenti le spetterebbe.
   La Corte d'appello ritiene che il caso sottoposto al  suo  giudizio
 costituisca  l'occasione  per un chiarimento   in ordine ai limiti di
 esercizio della potesta' parlamentare  e  consenta  di  stabilire  se
 l'art.   68   della  Costituzione    sia  applicabile,  al  di  fuori
 dell'attivita' parlamentare in  senso  stretto,  alle  sole  opinioni
 divulgative  di attivita'  parlamentari, quindi strettamente connesse
 con queste o, invece, ad ogni manifestazione del pensiero di  ciascun
 parlamentare.
   Il  conflitto  di  attribuzione costituirebbe, dunque, il mezzo per
 stabilire se le frasi dette dall'on.  Bossi  nel  comizio  elettorale
 milanese  costituiscono  esercizio  di  attivita'  connessa  a quella
 parlamentare, insindacabile ai sensi dell'art. 68 della Costituzione,
 come ha ritenuto la Camera dei deputati, ovvero se siano  espressione
 politica  non  connessa  all'esercizio di attivita' parlamentare, che
 puo' essere sottoposta  all'esame  del  giudice  penale,  cosi'  come
 chiede la parte civile.
   2.  -  Nella  prima sommaria delibazione in camera di consiglio, il
 conflitto  di  attribuzione  e'  stato  dichiarato  ammissibile   con
 ordinanza  n.  339  del  30  settembre-8  ottobre  1996,  la quale ha
 disposto che, a cura della Corte d'appello di Milano,  il  ricorso  e
 l'ordinanza  venissero  notificati  alla  Camera  dei  deputati entro
 trenta giorni dalla comunicazione alla ricorrente,  effettuata  dalla
 cancelleria  l'8  ottobre  1996.  La  ricorrente  ha  provveduto alla
 prescritta notificazione, effettuata il 31 ottobre, ed ha spedito gli
 atti il 19 novembre a mezzo del servizio postale per il deposito alla
 cancelleria della Corte, cui sono pervenuti il 21 novembre.
   3. - Si e' costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo
 che il ricorso sia dichiarato inammissibile  o infondato.
   Nell'atto di costituzione, datato 16 novembre  1996,  si  ribadisce
 nel  merito  del  conflitto  che  i  fatti per i quali e' in corso il
 procedimento penale a carico dell'on. Bossi riguardano  l'espressione
 di  opinioni  formulate  da  un  membro del Parlamento nell'esercizio
 delle sue funzioni.  L'insindacabilita' delle opinioni  espresse  dal
 parlamentare  costituirebbe  un momento insopprimibile della liberta'
 della  funzione,   rimesso   alla   valutazione   della   Camera   di
 appartenenza,  per  superare  la quale occorrerebbe dimostrare che la
 condotta del parlamentare e' manifestamente estranea al  concetto  di
 opinione  o  di  esercizio delle funzioni. Nell'esercizio del mandato
 politico  sarebbero  da  comprendere   le   opinioni   espresse   dai
 parlamentari  nel  corso  di  un  comizio tenuto durante una campagna
 elettorale che ha  indubbia  rilevanza  politica,  perche'  cosi'  si
 assicura  la  continuita' del colloquio con l'elettorato del quale si
 ha o si chiede la rappresentanza.
   Ad avviso della Camera dei deputati,  la  Corte  d'appello  avrebbe
 sostanzialmente sollevato un conflitto in ordine all'applicabilita' o
 meno  dell'art.  21  della  Costituzione,  che,  nella  logica  della
 ricorrente,   escluderebbe   l'applicazione   dell'art.   68    della
 Costituzione e comporterebbe la responsabilita' del parlamentare come
 un  comune  cittadino  che  manifesta  il  proprio  pensiero,  con la
 conseguenza che non vi sarebbe irresponsabilita' nell'esercizio della
 rappresentanza parlamentare.  Questa prospettazione sarebbe  erronea,
 perche'  le  due  disposizioni  costituzionali  non sarebbero affatto
 alternative, ma avrebbero applicazioni diverse. L'art. 21  garantisce
 a  tutti  i  cittadini un diritto di liberta' civile, che si esercita
 nell'ambito della convivenza sociale e che, per le sue  modalita'  di
 espressione, incontra i limiti dell'ordinamento generale. La liberta'
 del  parlamentare  nasce,  invece,  nel contesto dell'esercizio della
 rappresentanza politica e per la gestione del mandato  politico,  che
 comporta  istituzionalmente  il  colloquio tra parlamentare e popolo,
 cui appartiene la sovranita' (art. 1 Cost.).   La valutazione  se  vi
 sia  stato  eccesso  dal  mandato  e' affidata alla Camera alla quale
 appartiene  il  rappresentante  e  che  concentra  in  se  stessa  la
 rappresentanza  dei  mandanti.  Spetterebbe,  quindi, alla competenza
 esclusiva della Camera accertare se il  parlamentare  abbia  agito  o
 meno  nell'esercizio  delle  sue  funzioni. Tale potere sarebbe stato
 piu' volte riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze
 n. 1150 del 1988, n. 443 del 1993, n. 129  del  1996,  n.    379  del
 1996),  alla luce della quale la valutazione operata dalla Camera dei
 deputati, fondata su presupposti certamente non arbitrari, appare del
 tutto legittima.
   Il  ricorso,  nei  termini  in  cui  e'  proposto,  ancor prima che
 infondato sarebbe inammissibile, perche' l'art. 21 e l'art. 68  della
 Costituzione  non  pongono  problemi  alternativi e, una volta che la
 Camera  competente  ha  affermato  che  il  parlamentare   ha   agito
 nell'esercizio   delle  sue  funzioni,  non  vi  sarebbe  spazio  per
 accertare se il medesimo abbia esercitato  il  suo  diritto  in  base
 all'art. 21 della Costituzione.
   Se si dovesse ritenere illegittima la deliberazione della Camera si
 restringerebbe  l'insindacabilita'  alle sole opinioni espresse nelle
 aule parlamentari, come  era  previsto  dall'art.  51  dello  Statuto
 albertino,  il cui ambito e' stato invece ampliato dall'art. 68 della
 Costituzione, che fa riferimento alle opinioni espresse  ed  ai  voti
 dati  nell'esercizio  delle funzioni parlamentari, e si negherebbe di
 fatto il principio secondo cui le  Camere  sono  giudici  delle  loro
 prerogative,  giacche' esse non potrebbero piu' apprezzare la portata
 della proiezione esterna  del  mandato  parlamentare,  ma  dovrebbero
 limitarsi  a certificare l'avvenuta manifestazione delle opinioni nel
 contesto di atti tipici.
   4. - In una successiva memoria, depositata il 28 gennaio  1997,  la
 Camera  dei deputati ha eccepito l'inammissibilita' del conflitto per
 essere stati depositati il ricorso e l'ordinanza che ne ha dichiarato
 l'ammissibilita', con la prova della prescritta  notifica,  oltre  il
 termine  di  venti  giorni  stabilito dalla legge, essendo tali atti,
 spediti a mezzo del  servizio  postale,  pervenuti  alla  cancelleria
 della  Corte  un  giorno dopo la scadenza del termine. L'eccezione si
 fonda sull'art. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.  87,
 richiamato dall'art. 37 della  stessa  legge,  e  sull'art  22  della
 stessa  legge  che rinvia alle norme del regolamento per la procedura
 innanzi al Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale.  Quest'ultima
 disposizione  renderebbe  applicabile  anche l'art. 36, ultimo comma,
 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, che fissa il termine per depositare
 l'originale del ricorso con la prova delle notificazioni e stabilisce
 che il termine per il deposito del ricorso debba osservarsi a pena di
 decadenza. A sostegno di questa conclusione la  difesa  della  Camera
 dei  deputati  richiama la giurisprudenza costituzionale (sentenza n.
 87 del 1977) e chiede, appunto, una decisione di inammissibilita' per
 decadenza, data la perentorieta' del termine.
   Nel  merito,  se  si  dovesse  ritenere  infondata  l'eccezione  di
 inammissibilita', la difesa della Camera allega "alcuni significativi
 precedenti"  costituiti  da  deliberazioni  adottate dalla Camera dei
 deputati nel corso della XII e  XIII  legislatura  nei  confronti  di
 deputati  ritenuti  non  perseguibili,  perche' il loro comportamento
 rientra  nella  previsione  dell'art.     68,  primo   comma,   della
 Costituzione.  Si  tratta di numerose proposte in tal senso formulate
 dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere, che riguardano  nella
 maggior parte casi di imputazioni per il reato di diffamazione.
   Con  successiva memoria, depositata in prossimita' dell'udienza, la
 difesa della Camera dei deputati ribadisce che la Corte d'appello  di
 Milano  non  ha  rispettato  il  termine  per il deposito del ricorso
 notificato, insistendo per la  dichiarazione  di  inammissibilita'  e
 comunque  per  la  improcedibilita'  del  conflitto,  non  avendo  la
 ricorrente eseguito  nei  venti  giorni  prescritti  gli  adempimenti
 previsti  (artt.  37, 23, 25 e 26 della legge 11 marzo 1953,  n. 87 e
 art. 26, terzo e quarto comma, delle norme integrative per i  giudizi
 davanti alla Corte costituzionale  16 marzo 1956).
   L'inadempimento  della  parte attrice riguarderebbe un fondamentale
 atto di impulso processuale, essenziale nel giudizio per conflitto di
 attribuzione;  giudizio  al  quale  le  parti   possono   rinunciare,
 diversamente   da   quanto   avviene   in   quelli   di  legittimita'
 costituzionale. I termini per gli adempimenti, che non possono essere
 elastici, condizionano le modalita' della procedura e l'inadempimento
 della parte che ha promosso il conflitto farebbe mancare, con il  non
 tempestivo  deposito  del ricorso, una vera e propria istanza perche'
 si proceda al giudizio.  Nel caso manchi il tempestivo  deposito  del
 ricorso  notificato, sarebbe perfino difficile cogliere le ragioni di
 attualita' del conflitto, che  e'  requisito  indefettibile  di  ogni
 giudizio ad iniziativa di parte.
   Nel  merito  la difesa della Camera ribadisce le ragioni a sostegno
 della esclusiva competenza della Camera di appartenenza ad  accertare
 l'osservanza  dei  limiti  entro  i  quali  gli atti di esercizio del
 mandato parlamentare devono essere contenuti ed allega gli atti della
 Camera dai quali risulta effettivamente tale accertamento.
                         Considerato in diritto
   1. - Il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, sollevato
 dalla Corte d'appello di Milano, investe la  deliberazione,  adottata
 il  31  gennaio  1996,  con  la  quale  la  Camera  dei deputati, con
 riferimento al procedimento penale nei confronti del deputato Umberto
 Bossi  (condannato  in  primo  grado  dal  pretore  di   Milano   per
 diffamazione aggravata in danno dell'on. Ferdinando Dalla Chiesa), ha
 ritenuto  che  "i  fatti,  per  i  quali e' in corso il procedimento,
 riguardano l'espressione di  opinioni  formulate  da  un  membro  del
 Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni", insindacabili ai sensi
 dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   La  Corte d'appello ritiene che il fatto ascritto al deputato Bossi
 non possa rientrare nell'area delle  attivita'  divulgative  connesse
 alle   funzioni  esercitate  dal  parlamentare,  secondo  la  formula
 contenuta nell'art. 2 del   d.-l. 12  marzo  1996,  n.  116,  vigente
 all'epoca  della  propria  ordinanza  (decreto-legge  successivamente
 decaduto a seguito di mancata conversione in legge),  e  ritiene  che
 l'art.  68, primo comma, della Costituzione non possa essere dilatato
 fino a comprendere ogni attivita' politica del membro del Parlamento,
 anche quelle che ricadono nella libera manifestazione  del  pensiero,
 garantita   dall'art.    21  della  Costituzione  ma  non  immune  da
 responsabilita' verso i terzi.   Le frasi  ritenute  dal  giudice  di
 primo grado come diffamatorie, anche se pronunciate in un comizio nel
 corso  della  campagna  per  l'elezione  del  sindaco  di Milano, non
 potrebbero  essere  ritenute  coperte  dalla   insindacabilita',   ma
 dovrebbero essere viceversa considerate come pronunciate nel corso di
 mera attivita' politica, non connessa all'esercizio delle funzioni in
 relazione  alle  quali  la  Costituzione  sancisce l'insindacabilita'
 delle opinioni espresse.
   2. - Il ricorso, unitamente all'ordinanza n. 339 del 1996 che lo ha
 dichiarato ammissibile, e' stato ritualmente notificato, a cura della
 Corte d'appello di Milano,  alla  Camera  dei  deputati  in  data  31
 ottobre 1996.
   La  stessa ricorrente ha provveduto ad inviare a mezzo del servizio
 postale il ricorso, con la prova della notificazione eseguita, per il
 deposito alla cancelleria della Corte, alla quale e' pervenuto il  21
 novembre successivo.
   3.  -  La  Camera  dei  deputati,  costituitasi  tempestivamente in
 giudizio,  ha  eccepito  l'inammissibilita'  o  improcedibilita'  del
 conflitto,  per  essere  stato depositato il ricorso dopo la scadenza
 del termine di venti giorni stabilito  dalla  legge.  L'eccezione  si
 fonda, da un lato, sugli artt. 25, secondo comma, e 37 della legge 11
 marzo  1953,  n. 87, da cui si evince che il deposito del ricorso per
 conflitto di attribuzione,  nella  sua  seconda  fase,  debba  essere
 effettuato,  con  la  prova delle notificazioni eseguite, entro venti
 giorni dall'ultima notificazione, e, dall'altro, sull'art.  22  della
 stessa legge n.  87 del 1953, dove si stabilisce che nel procedimento
 davanti   alla   Corte   costituzionale   si   osservano,  in  quanto
 applicabili, anche le norme del regolamento per la procedura  innanzi
 al  Consiglio  di  Stato  in  sede giurisdizionale. Attraverso questa
 ultima  previsione   diventerebbe   applicabile   al   conflitto   di
 attribuzione  l'art.  36,  ultimo  comma, del r.d. 26 giugno 1924, n.
 1054, che, dopo aver prescritto (nel penultimo comma) che il deposito
 dell'originale del ricorso con la prova  delle  notificazioni  e  coi
 documenti  sui  quali  si  fonda  debba  avvenire entro trenta giorni
 successivi alle notificazioni medesime nella segreteria del Consiglio
 di Stato, statuisce che i termini  e  i  modi  prescritti  in  questo
 articolo  per  la  notificazione  e  il  deposito del ricorso debbono
 osservarsi a pena di decadenza.
   A sostegno  di  questa  conclusione  la  difesa  della  Camera  dei
 deputati  richiama  la  sentenza  di  questa  Corte  n. 87 del 1977 e
 chiede, appunto, una decisione di inammissibilita' o improcedibilita'
 per decadenza, data la perentorieta' del termine.
   In  particolare  l'inadempimento  della  ricorrente  avrebbe  fatto
 mancare  un  fondamentale atto di impulso processuale, essenziale nel
 conflitto di attribuzione, essendo questo rinunciabile,  diversamente
 da  quanto  avviene  nei  giudizi  di legittimita' costituzionale. Il
 deposito, dopo che il  conflitto  e'  stato  dichiarato  ammissibile,
 costituirebbe  una  vera  e propria istanza di decisione, istanza che
 potrebbe  in  ipotesi  venire  a  mancare  dopo  la   lettura   delle
 motivazioni  sull'ammissibilita'.    Nel caso di un omesso tempestivo
 deposito diventerebbe, inoltre,  difficile  cogliere  le  ragioni  di
 attualita' del conflitto.
   4.  -  L'eccezione preliminare, proposta dalla Camera dei deputati,
 e' fondata.
   Il conflitto proposto non e' stato ritualmente proseguito,  con  il
 deposito presso la cancelleria della Corte, nei termini previsti, del
 ricorso  e  dell'ordinanza  che  ne  ha  dichiarato l'ammissibilita',
 tempestivamente notificati.
   La particolare procedura che regola i conflitti di attribuzione tra
 poteri dello Stato prevede due distinte fasi, rimesse  all'iniziativa
 della  parte  interessata.  La  prima  e'  diretta  alla  delibazione
 preliminare e sommaria dell'ammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto
 destinato a sollevare un conflitto tra organi competenti a dichiarare
 definitivamente  la  volonta'  del  potere  cui  appartengono, per la
 definizione della rispettiva sfera  di  attribuzioni  determinata  da
 norme  costituzionali.  La seconda fase, destinata alla decisione nel
 merito, oltre che al definitivo  giudizio  sulla  ammissibilita'  del
 conflitto,  e'  egualmente rimessa all'iniziativa della parte, che ha
 l'onere di provvedere nei termini  previsti  alla  notificazione  del
 ricorso   e   dell'ordinanza  che  lo  dichiara  ammissibile,  ed  al
 tempestivo deposito per il giudizio.
   La  giurisprudenza  costituzionale  ha  gia'  ritenuto  che,   data
 l'autonomia  delle due fasi, affinche' si apra ritualmente la seconda
 fase e' necessario (art. 26, terzo comma, delle norme integrative per
 i giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale)  che  il  ricorrente
 notifichi  il  ricorso  e  l'ordinanza  di ammissibilita' agli organi
 interessati, ed entro venti giorni dall'ultima notificazione depositi
 presso la cancelleria della Corte il  ricorso  stesso  con  la  prova
 delle  notificazioni eseguite (sentenza n. 87 del 1977). Nell'attuale
 regolamentazione si tratta di un  adempimento  necessario,  che  deve
 essere  compiuto  nel termine previsto, giacche' nello stesso termine
 deve aver luogo la costituzione delle parti e  dallo  stesso  termine
 decorre  la  intera  catena  di  ulteriori  termini  previsti  per la
 prosecuzione  del  giudizio  (art.  26,  quarto  comma,  delle  norme
 integrative).
   A  tale adempimento non ha provveduto la Corte d'appello di Milano,
 non  potendosi  considerare  equivalente   al   tempestivo   deposito
 l'affidamento   nel  termine  dell'atto  da  depositare  al  servizio
 postale, in mancanza di una regola generale o speciale, da  applicare
 a questo procedimento, in tal senso. Ne segue che non puo' procedersi
 alla ulteriore fase del giudizio.
                           per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  improcedibile  il  conflitto  di  attribuzione tra poteri
 dello Stato proposto dalla Corte d'appello di  Milano  nei  confronti
 della Camera dei deputati con il ricorso indicato in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                        Il Presidente: Vassalli
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
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