N. 453 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Custodia cautelare disposta da piu' ordinanze  per
 reati  in  rapporto  di  connessione  qualificata  - Unificazione del
 relativo termine di durata per la fase di  giudizio  di  primo  grado
 anche  nell'ipotesi  in  cui  il termine di fase sia unico per essere
 stato il rinvio a giudizio disposto con il medesimo  provvedimento  -
 Erroneita'  delle  premesse interpretative da parte del giudice a quo
 - Riferimento  alla  giurisprudenza  della  Corte  di  Cassazione  in
 materia  (vedi  sezioni  unite  25  giugno  1997)  - Riferimento alla
 sentenza  della  Corte  n.    89  del  1996  -  Insussistenza   della
 prospettata disparita' di trattamento - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 297, terzo comma).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando   SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 297,  comma  3,
 del  codice  di  procedura penale promosso con ordinanza emessa il 18
 febbraio 1997 dal tribunale di Genova - sezione per il  riesame,  nel
 procedimento  penale a carico di Tagliamento Giovanni, iscritta al n.
 236 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 29 ottobre 1997 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Il tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi de  libertate
 sull'appello  proposto  avverso una ordinanza emessa dal tribunale di
 Sanremo, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della  Costituzione,
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3, del
 codice  di  procedura  penale,  "nella  parte  in  cui  prevede   una
 unificazione  del  termine  di  custodia  cautelare  per  la fase del
 dibattimento, in presenza di piu' ordinanze cautelari ed anche se  il
 termine  iniziale di fase e' unico, aggravando cosi' senza ragione la
 posizione  processuale  dell'imputato  raggiunto  nella  fase   delle
 indagini  preliminari  da  piu'  ordinanze  cautelari anziche' da una
 sola".
   Premette il tribunale rimettente che nei confronti di un  imputato,
 in  stato  di  custodia cautelare per il reato di cui all'art. 74 del
 d.P.R. n. 309 del 1990 ed altri delitti, ed in forza di due ordinanze
 custodiali emesse prima del rinvio a giudizio, e'  stata  pronunciata
 condanna alla pena di anni 11 di reclusione per i reati di detenzione
 e  porto  di  arma  comune da sparo, illecita detenzione e spaccio di
 stupefacenti e scommesse abusive su partite di calcio.  La  difesa  -
 prosegue  il  giudice  a  quo  -  ha  chiesto di revocare la custodia
 cautelare per tutti i reati  per  i  quali  l'imputato  ha  riportato
 condanna,  in  quanto  dopo  un anno dalla data del rinvio a giudizio
 doveva  ritenersi  scaduto,  per  ciascuno  dei  reati  singolarmente
 contestati,  il termine di fase previsto per il dibattimento di primo
 grado, con  conseguente  scarcerazione  ora  per  allora.  Richiesta,
 questa,  che, essendo stata disattesa in prime cure, ha dato luogo al
 gravame  che  costituisce  l'oggetto  del  procedimento  a  quo.   Il
 rimettente  sottolinea  che  in  altra decisione relativa allo stesso
 imputato e vertente sul medesimo tema, affermo' che,  alla  luce  del
 nuovo  testo  dell'art.  297, comma 3, cod. proc. pen., il termine di
 fase doveva essere ragguagliato al piu' grave  dei  reati  contestati
 con  ordinanza  di  custodia cautelare (art. 74 del d.P.R. n. 309 del
 1990), cosi' unificandosi sulla durata maggiore (un anno e  sei  mesi
 dal  rinvio a giudizio) per tutti i reati connessi con l'associazione
 contestata, e quindi per ciascuna  delle  imputazioni  per  le  quali
 l'imputato  aveva  riportato  condanna;  sicche', sino alla pronuncia
 della sentenza, non si era dunque potuta verificare - per effetto  di
 quella  unificazione - la scadenza del termine di fase per alcuno dei
 singoli reati per i quali l'imputato era detenuto.
   A tali argomenti, prosegue il giudice a quo la difesa ha  replicato
 osservando che il nuovo testo dell'art. 297 puo' trovare applicazione
 soltanto  nell'ipotesi in cui i termini di fase siano diversi: posto,
 dunque, che nel caso di specie  e'  unica  l'ordinanza  di  rinvio  a
 giudizio,  i  termini di fase dovrebbero restare distinti per ciascun
 reato, come avverrebbe nel caso in cui fosse stata adottata una  sola
 ordinanza  cautelare.  L'assunto  non  e' pero' condiviso dal giudice
 rimettente, in quanto la nuova disciplina non richiede che il  rinvio
 a  giudizio  sia  intervenuto in date diverse, per cui l'unificazione
 opera anche in fasi nelle quali il termine iniziale sarebbe  identico
 anche se si considerassero separatamente i vari reati.
   La  norma censurata, dunque, introdurrebbe - a parere del giudice a
 quo - un differente termine di fase per imputati che, per i  medesimi
 reati,  siano  colpiti da una sola o da piu' ordinanze cautelari: nel
 primo caso, infatti, i termini di fase restano separati  per  ciascun
 reato;  nel  secondo,  invece, il nuovo testo dell'art. 297, comma 3,
 cod. proc. pen., unifica il termine  per  tutti  i  reati  legati  da
 connessione qualificata.
   Tale  irragionevole disparita' di trattamento, che il giudice a quo
 non ritiene superabile in via interpretativa, sarebbe frutto  di  una
 irrazionale  combinazione  fra criteri diversi: nella prima parte del
 terzo comma, infatti, la scelta del legislatore si  sarebbe  spostata
 dalla  problematica  delle "contestazioni a catena", incentrata sulla
 condotta  degli  uffici,  a   quella   della   complessiva   gravita'
 dell'attivita'   criminosa  dell'imputato;  nell'ultimo  periodo  del
 medesimo comma, escludendo la nuova disciplina ai fatti contestati di
 dibattimento, l'attenzione si  sposta  nuovamente  sull'organo  della
 contestazione,   non   piu'  "sospetto"  attesa  la  fase  in  corso;
 nell'insieme, conclude il giudice  a  quo  "lascia  sopravvivere  una
 differenza  del  tutto  casuale (nell'ottica della commisurazione dei
 termini  di  fase  ad un complesso di reati soggettivamente connessi)
 tra imputati raggiunti da una sola o da piu' ordinanze  cautelari".
   2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  non  fondata.  A
 parere  della  difesa  dello  Stato, infatti, la norma censurata deve
 essere interpretata in conformita' alla  sua  ratio  ispiratrice  che
 consiste,  come  e' noto, nell'intento di evitare le "contestazioni a
 catena".
   Tale ratio osserva l'Avvocatura, porta a ritenere che la previsione
 oggetto di impugnativa  non  possa  trovare  applicazione  quando  si
 tratti  del computo di termini di fase aventi decorrenza unitaria, in
 rapporto ai quali resta evidentemente esclusa la possibilita'  di  un
 artificioso allungamento come conseguenza della successione temporale
 di provvedimenti coercitivi.
                         Considerato in diritto
   1.   -      Il   tribunale  di  Genova  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art.  297,  comma  3,  del  codice  di  procedura
 penale, nella parte in cui prevede, in presenza di piu' ordinanze che
 dispongono la custodia cautelare per reati in rapporto di connessione
 qualificata,  l'unificazione  del  relativo  termine di durata per la
 fase del giudizio di  primo  grado,  anche  nell'ipotesi  in  cui  il
 termine  di  fase  sia  unico,  per essere stato il rinvio a giudizio
 disposto col medesimo provvedimento.  Posto, infatti, che  l'unitario
 termine  di  durata  massima della custodia cautelare viene ad essere
 commisurato  alla  imputazione  piu'  grave,  dalla  norma  impugnata
 deriverebbe, a parere del giudice a quo una ingiustificata disparita'
 di   trattamento   nei  confronti  dell'imputato  raggiunto  da  piu'
 ordinanze di custodia cautelare rispetto all'imputato per il quale  i
 medesimi  fatti e le stesse imputazioni siano stati invece contestati
 con unica ordinanza custodiale. Da qui,  la  dedotta  violazione  del
 principio   di   uguaglianza,  che  viene  invocato  quale  parametro
 costituzionale di riferimento.
   2. - La premessa interpretativa dalla quale ha  tratto  origine  la
 questione  viene  contestata  dall'Avvocatura  dello  Stato; a parere
 della difesa erariale, infatti, essendo la norma volta ad impedire il
 fenomeno delle cosiddette  contestazioni  a  catena,  la  stessa  non
 troverebbe  applicazione  quando si tratti del computo dei termini di
 fase aventi decorrenza unitaria, per i quali  resterebbe  esclusa  in
 radice  la possibilita' di un relativo artificioso prolungamento come
 conseguenza della successione temporale dei provvedimenti coercitivi.
   La linea ermeneutica prospettata dalla Avvocatura  e'  stata  pero'
 motivatamente  disattesa  da  parte del giudice a quo: scandagliando,
 infatti, le analoghe deduzioni svolte dalla difesa, il rimettente  ha
 osservato come quella tesi non potesse trovare accoglimento in quanto
 contrastante  con  la lettera della legge, la quale, disciplinando in
 modo nuovo i termini  di  fase,  ha  unificato  il  relativo  computo
 ragguagliandolo al termine previsto per il reato piu' grave, tutte le
 volte  in cui siano state emesse piu' ordinanze cautelari e sussista,
 tra i vari reati contestati, quel vincolo di connessione  qualificata
 che la norma ha inteso recepire; l'individuazione di un unico termine
 di   fase,  dunque,  controbilancia,  a  parere  del  rimettente,  la
 sovrapposizione  tra  piu'  ordinanze   applicative,   sicche',   non
 richiedendo la legge che il rinvio a giudizio sia intervenuto in date
 diverse,  l'unificazione  dei  termini  di custodia opera anche nelle
 fasi per le quali il termine iniziale sarebbe identico,  pure  se  si
 considerassero separatamente i vari reati.
   3.  -  La  ricostruzione  del  quadro normativo offerta dal giudice
 rimettente e', dunque, tutt'altro che implausibile e  risulta,  anzi,
 avvalorata  da  ulteriori  considerazioni.  Puo' anzitutto rilevarsi,
 infatti, che la commisurazione  dei  termini  alla  imputazione  piu'
 grave,  nel  caso  di  pluralita'  di titoli custodiali emessi per lo
 stesso  fatto,  era  presente  anche  nell'originario   testo   della
 disposizione  impugnata,  anche  se con effetti limitati alla ipotesi
 del concorso formale di reati ed alle particolari figure di aberratio
 plurilesiva delineate dagli artt. 82, secondo comma,  e  83,  secondo
 comma,  del  codice  penale:  il  che testimonia la continuita' della
 scelta normativa di unificare  in  determinati  casi  il  regime  dei
 termini   di  custodia,  a  prescindere,  evidentemente,  dalla  fase
 processuale considerata.    Inoltre,  l'argomento  che  fa  leva  sul
 secondo  periodo  del  comma  3  dell'art.  297  cod. proc. pen., per
 desumere da esso un riferimento testuale che impedirebbe  alla  norma
 di  operare per la fase del giudizio, non pare conclusivo: la deroga,
 infatti, incentrata sul meccanismo della retrodatazione, non  esclude
 che  il  ragguaglio  alla  imputazione  piu'  grave  dispieghi i suoi
 effetti anche per la fase del giudizio di primo grado. V'e'  anzi  da
 osservare  che  tale  criterio  di  computo rappresenta il coerente e
 simmetrico   completamento   proprio   di    quel    meccanismo    di
 retrodatazione,  nel  senso  che  la pluralita' dei titoli custodiali
 viene si'  unificata,  quanto  a  decorrenza,  alla  data  del  primo
 provvedimento,  ma la durata della custodia - proprio in virtu' della
 unificazione dei vari titoli - non puo'  che  essere  commisurata  ai
 termini previsti per il reato piu' grave.
   D'altra  parte,  sarebbe davvero singolare ritenere che il criterio
 di ragguaglio al reato piu' grave sia stato dettato  per  il  computo
 dei  termini  previsti  per  la fase delle indagini, oltre che per la
 determinazione della durata complessiva e  del  limite  finale  della
 custodia cautelare, ed escludere che la stessa previsione normativa -
 senza   alcuna   espressa   specificazione   in  tal  senso  -  trovi
 applicazione  per  la  fase  del  giudizio:  il   tutto,   va   anche
 sottolineato,  nel quadro di una norma di carattere generale dedicata
 proprio, come recita la relativa rubrica, al "computo dei termini  di
 durata delle misure".
   Ove alle considerazioni teste' svolte si aggiungano le piu' recenti
 acquisizioni  giurisprudenziali,  dalle  quali - come si osservera' -
 possono   indirettamente   trarsi   elementi   di   conferma    circa
 l'applicabilita'  della  disposizione  censurata  anche alla fase del
 giudizio  di  primo  grado,  v'e'  quanto  basta  per  ritenere   non
 conclusiva,  agli  effetti  del  presente giudizio, l'interpretazione
 prospettata dalla Avvocatura dello Stato e, dunque,  non  coltivabile
 su  quella  base  la  richiesta  declaratoria  di  infondatezza della
 questione sottoposta all'esame di questa Corte.
   4.  -  Alla  conclusione  della   infondatezza   occorre   tuttavia
 pervenire,  anche se per considerazioni affatto diverse. Il giudice a
 quo parte infatti dalla erronea premessa interpretativa  di  ritenere
 che,  in  ipotesi di piu' reati legati da connessione qualificata, il
 termine di fase sia ragguagliato per tutti i reati a quello  previsto
 per l'imputazione piu' grave, anche se per essa non venga pronunciata
 condanna: una linea, questa, del tutto inaccettabile, perche' finisce
 per    obliterare   completamente   le   conseguenze   che,   invece,
 immediatamente scaturiscono sul piano  cautelare  dalla  sentenza  di
 proscioglimento.    La perdita di efficacia del titolo custodiale che
 consegue, a norma dell'art. 300, comma 1, del codice  di  rito,  alla
 pronuncia della sentenza di proscioglimento per un determinato reato,
 non  puo'  infatti  non  riflettersi  sul computo dei termini di fase
 relativi agli altri reati che con il primo presentino il  qualificato
 nesso di collegamento dal quale scaturisce l'operativita' della norma
 censurata,  sicche',  ove  per  tali  reati  i  termini  di  custodia
 cautelare siano stati non  ragguagliati  alla  pena  stabilita  dalla
 legge  per  ciascuno  di  essi,  ma commisurati alla imputazione piu'
 grave, il proscioglimento da tale imputazione  e,  dunque,  il  venir
 meno  dei  relativi  effetti  cautelari,  automaticamente dissolve il
 nesso tra i reati evocato dall'art. 297, comma 3,  cod.  proc.  pen.,
 proprio  perche'  trattasi  di un nesso rilevante ai soli effetti del
 computo dei termini di durata delle misure e da raccordare,  a  norma
 dell'art.  303,  comma  1,  lettera  b)  dello  stesso  codice,  alla
 pronuncia della sentenza di condanna di primo grado.
   Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno di  recente  avuto
 modo  di  affermare che la disciplina dettata dall'art. 297, comma 3,
 del codice di  rito,  si  applica  anche  alle  situazioni  cautelari
 personali  relative a piu' procedimenti, pendenti innanzi alla stessa
 autorita' giudiziaria, oppure presso uffici giudiziari diversi  (Sez.
 un.,  25  giugno  1997,  Atene);  sicche' l'eventuale proscioglimento
 dalla imputazione piu' grave  all'evidenza  determina  nelle  diverse
 sedi  processuali  la  totale autonomia di ciascuna regiudicanda agli
 effetti del computo dei relativi termini di fase, non diversamente da
 cio' che accadrebbe ove fra i singoli  reati  non  fosse  ab  origine
 esistito il nesso di collegamento dal quale scaturisce l'operativita'
 della disciplina che viene qui in discorso.
   Va   anche  aggiunto  che  le  stesse  Sezioni  unite,  chiamate  a
 pronunciarsi in tema di reato continuato e  computo  dei  termini  di
 custodia   cautelare,   hanno   affermato  -  a  testimonianza  della
 necessita' di operare una valutazione dei singoli reati, quando dalla
 stessa conseguano effetti di rilievo per la liberta' personale - che,
 ove il giudice di  merito,  nell'infliggere  la  pena  per  il  reato
 continuato,  non  abbia  suddiviso  la pena irrogata per i cosiddetti
 "reati satellite" e la suddistinzione o  distinzione  rilevi  per  il
 calcolo  dei termini di durata massima della custodia cautelare o per
 l'accertamento dell'avvenuta espiazione della pena, il giudice  della
 misura  cautelare  deve  porsi il relativo problema e determinare, ai
 soli fini della misura, la pena per ciascun reato  in  continuazione,
 non potendo l'omessa suddivisione o distinzione essere di ostacolo al
 riacquisto  della liberta', qualora di questo riacquisto ricorrano le
 condizioni (Sez. un., 26 febbraio 1997,  Mammoliti).    Affermazioni,
 queste,  che, evidentemente, mantengono la loro validita' in tutte le
 ipotesi di connessione qualificata - unitario essendo, per  esse,  il
 relativo trattamento cautelare - e che assumono uno specifico risalto
 agli  effetti del presente giudizio, in quanto attente a rimarcare la
 ratio di favore che permea il sistema delle  cautele  e,  dunque,  la
 stessa  norma oggetto di impugnativa, come d'altra parte questa Corte
 non ha mancato di sottolineare nella sentenza n. 89 del 1996.
   Dovendosi  pertanto  escludere  nel  caso  di specie la sussistenza
 della prospettata disparita' di trattamento, la  questione  sollevata
 dal  tribunale  rimettente  si  rivela, per quel che si e' detto, non
 fondata.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento  all'art.  3  della Costituzione, dal tribunale di Genova
 con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
 97C1510