N. 454 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Enti locali -  Trattamento  economico  spettante  agli  assessori  -
 Parlamentari  nazionali  od  europei  nonche' consiglieri regionali -
 Spettanza delle sole indennita' di presenza e non di quelle di carica
 -  Discrezionalita'  legislativa  -  Funzione  di  semplice   ristoro
 forfettario e non di completa reintegrazione delle perdite economiche
 - Ragionevolezza - Non fondatezza.
 
 (Legge 27 dicembre 1985, n. 816, art. 14, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 51, primo comma, e 36, primo comma).
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Francesco GUIZZI;
  Giudici:  prof.  Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA,   prof.
 Gustavo  ZAGREBELSKY,   prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,
 avv. Fernanda CONTRI,  prof. Guido NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  secondo
 comma,  della legge 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e
 indennita'  degli  amministratori  locali),  promosso  con  ordinanza
 emessa  il  22  aprile  1996  dal  pretore di Varese nei procedimenti
 civili riuniti vertenti tra il comune di Varese e Bonomi Giuseppe  ed
 altro,  iscritta  al  n. 898 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 12  novembre  1997  il  giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con ordinanza in data 22 aprile 1996 (r.o. n. 898 del 1996),
 il pretore di Varese - nel  corso  di  due  giudizi  civili  riuniti,
 promossi  dal  comune  di  quella  citta',  per la restituzione delle
 maggiori  somme   percepite   dai   convenuti,   in   occasione   del
 contemporaneo  espletamento  della carica di assessore comunale e del
 mandato  di  parlamentare  nazionale  -  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 14, secondo comma, della legge
 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi  e  indennita'  degli
 amministratori  locali),  nella  parte  in  cui  impone il divieto di
 cumulo della indennita'  di  carica  di  assessore  con  l'indennita'
 parlamentare,  per  contrasto con gli artt. 3, primo comma, 51, primo
 comma, e 36, primo comma, della Costituzione.
   Il rimettente, premesso che le indennita' di carica assessoriale  e
 parlamentare   hanno  entrambe  natura  sostanzialmente  retributiva,
 reputa irragionevole la normativa denunciata che, pur riconoscendo la
 compatibilita' delle due cariche, ha, tuttavia, vietato il cumulo tra
 le relative indennita'.
   Considerato che l'espletamento  delle  suddette  cariche  pubbliche
 comporta, il piu' delle volte, la necessita' di rinunciare agli altri
 impegni di lavoro assunti in modo stabile e continuativo, l'ordinanza
 ritiene  la  disposizione  denunciata  in  contrasto,  anzitutto, con
 l'art.   3, primo  comma,  della  Costituzione,  per  la  sostanziale
 diseguaglianza  che  il  divieto di cumulo cagiona fra chi fruisce di
 redditi esclusivamente derivanti da prestazioni di lavoro (autonomo o
 dipendente) e chi fruisce di redditi da capitale.
   Nel censurare, inoltre, la situazione  di  diminuita  capacita'  di
 ricoprire cariche pubbliche nella quale, in contrasto con l'art.  51,
 primo comma, della Costituzione, si vengono a trovare i cittadini che
 devono   far   ricorso   all'attivita'   lavorativa  per  ragioni  di
 sostentamento, il rimettente, sull'assunto del carattere  retributivo
 delle   indennita'  in  questione,  reputa  la  disposizione  lesiva,
 altresi',  dell'art.    36,  primo  comma,  della  Costituzione,  che
 garantisce una remunerazione proporzionata alle prestazioni rese.
   2.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente
 infondata.
   Secondo l'Avvocatura al giudice rimettente non  sarebbe  consentito
 sindacare  l'uso  del potere discrezionale esercitato dal legislatore
 nel riconoscere la compatibilita' fra la carica di assessore e quella
 di parlamentare,  pur  disponendo  la  non  cumulabilita'  delle  due
 indennita'.
   La  disposizione  stessa  non  apparirebbe irrazionale, considerato
 anche che la contestuale assunzione della carica di  assessore  e  di
 parlamentare comporta, di necessita', una contrazione dell'impegno in
 sede locale e tenuto conto, per di piu', del fatto che il legislatore
 ha introdotto nell'ordinamento un meccanismo di compensazione per gli
 oneri   maggiori   derivanti   dal  doppio  incarico,  disponendo  la
 cumulabilita' dell'indennita' di presenza (spettante  agli  assessori
 in quanto consiglieri comunali) con quella parlamentare.
   Ne'  potrebbe  essere  lamentata  una  disparita' di trattamento in
 relazione alla natura del reddito percepito da coloro che vengano  ad
 assumere  incarichi  elettivi, considerato che, ai sensi dell'art.  1
 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, l'indennita' parlamentare ha la
 funzione "di garantire il  libero  svolgimento  del  mandato"  e,  di
 conseguenza,  non  ha vera e propria natura retributiva, onde sarebbe
 da  ritenere  viziata,  semmai,  la eventuale cumulabilita' delle due
 indennita'.
                         Considerato in diritto
   1. - Con l'ordinanza in epigrafe indicata il pretore di  Varese  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,
 secondo comma, della legge 27 dicembre  1985,  n.  816  (Aspettative,
 permessi  e  indennita'  degli  amministratori locali), il quale, nel
 disciplinare il trattamento economico spettante agli assessori  degli
 enti locali, dispone che i parlamentari nazionali od europei, nonche'
 i  consiglieri  regionali,  possono  percepire  solo le indennita' di
 presenza, e non quelle di carica, previste dalla legge medesima.
   Il giudice  rimettente  ritiene  che  la  disposizione  denunciata,
 imponendo il divieto di cumulo dell'indennita' di carica di assessore
 con   l'indennita'   parlamentare,   contrasti   con   vari  precetti
 costituzionali, e cioe' con:
     l'art. 3, primo comma, per la sostanziale diseguaglianza  tra  la
 posizione di colui che fruisce di redditi esclusivamente derivanti da
 prestazioni  di lavoro (autonomo o dipendente) e colui che fruisce di
 redditi di capitale;
     l'art. 51, primo comma, per la situazione di diminuita  capacita'
 di ricoprire cariche pubbliche in cui verserebbero i cittadini tenuti
 a far ricorso all'attivita' lavorativa per ragioni di sostentamento;
     l'art.  36,  primo  comma,  per  la  lesione  del  principio  che
 garantisce una remunerazione proporzionata alle prestazioni rese.
   2. - La questione va reputata non fondata, per ragioni che, in gran
 parte, si rifanno ad orientamenti gia' espressi  in  argomento  dalla
 giurisprudenza costituzionale.
   La  considerazione  di  detti  precedenti,  unitamente  a motivi di
 priorita' logica, suggerisce, trascurando l'ordine di  prospettazione
 seguito   nell'ordinanza,  di  muovere,  anzitutto,  dalla  lamentata
 violazione  dell'art.  51,  primo  comma,  della   Costituzione   che
 costituisce  il  principale cardine delle garanzie in tema di accesso
 alle  cariche  pubbliche  elettive.  La  Corte,  gia'  da  tempo,  ha
 affermato  che  il  legislatore  ha  l'obbligo  di porre in essere le
 condizioni indispensabili  per  consentire  anche  ai  meno  abbienti
 l'accesso  alle  cariche  pubbliche  e  l'esercizio  delle funzioni a
 queste connesse, come conferma anche  l'art.  69  della  Costituzione
 nell'assicurare  ai  membri  del  Parlamento la corresponsione di una
 indennita' da stabilirsi con legge (v.  sentenza  n.  24  del  1968).
 Anche  se  l'istituto  dell'indennita', come la Corte stessa ha avuto
 occasione di rilevare (v. sentenza n. 193 del  1981),  si  e'  andato
 estendendo  dal  Parlamento alle Regioni ed anche alle Province ed ai
 comuni - in armonia con le tendenze delle moderne legislazioni,  che,
 proprio  al  fine  di  cui  sopra,  vanno  eliminando o attenuando la
 gratuita' delle funzioni pubbliche elettive - la compiuta  disciplina
 delle   implicazioni   d'ordine   economico,  connesse  all'attivita'
 pubblica  svolta,  rimane  nondimeno  affidata,  ferma  restando   la
 garanzia  del  posto  di lavoro espressamente prevista dall'art.  51,
 terzo  comma,  della  Costituzione,  alle  scelte  discrezionali  del
 legislatore  (v., oltre alla gia' citata sentenza n. 193 del 1981, le
 sentenze n. 52 del 1997 e n. 35 del 1981).
   3. - Posto dunque  che  la  disciplina  denunciata  e'  espressione
 dell'ampia   discrezionalita'  di  cui  gode  il  legislatore,  giova
 osservare, altresi', che, ad inficiare la  stessa,  sul  piano  della
 legittimita',   non   puo'  valere  nemmeno  l'evocazione,  da  parte
 dell'ordinanza,  del parametro di cui all'art. 36, primo comma, della
 Costituzione.
   Le  indennita'  considerate  costituiscono,  infatti,  un   ristoro
 forfettario  per  le  funzioni  svolte,  rimesso  al  legislatore sia
 nell'entita' sia nei limiti in cui puo' consentirsene il cumulo, come
 confermano quei precedenti della giurisprudenza costituzionale che, a
 proposito  dell'indennita'  di  carica,   hanno   escluso   qualsiasi
 assimilazione  alla  retribuzione  connessa  a  rapporto  di pubblico
 impiego (v. sentenza n. 52  del  1997,  cit.)  ed  hanno,  del  pari,
 rilevato  che  l'indennita'  percepita  dai  parlamentari  ha  sempre
 assunto, nei presupposti e nelle finalita', connotazioni distinte  da
 detta retribuzione (v. sentenza n. 289 del 1994).
   4.  -  Non  diverse  appaiono  le  conclusioni, anche a valutare la
 questione sotto il  profilo  dell'asserita  violazione  dell'art.  3,
 primo   comma,  della  Costituzione,  in  ragione  della  sostanziale
 diseguaglianza evidenziata dall'ordinanza fra colui  che  fruisce  di
 redditi  di  lavoro  (autonomo  o subordinato) e colui che fruisce di
 redditi di capitale.
   Come gia' altre volte  rilevato  (sentenza  n.  89  del  1996),  il
 principio  di  eguaglianza,  implicando  un  giudizio di relazione in
 virtu' del quale a situazioni eguali  deve  corrispondere  l'identica
 disciplina   e,   all'inverso,   discipline   differenziate  andranno
 coniugate  a  situazioni  differenti,  postula  una  valutazione   di
 ragionevolezza  delle  scelte  operate dal legislatore nell'omologare
 ovvero nel differenziare le varie situazioni.
   Alla stregua di un siffatto  criterio,  la  disposizione  non  puo'
 reputarsi  illegittima,  ove  si  consideri,  da  un  canto,  la gia'
 ricordata discrezionalita' del legislatore  e  ove  si  tenga  conto,
 dall'altro,  della funzione di semplice ristoro forfettario, e non di
 completa reintegrazione delle perdite economiche, che  le  indennita'
 assolvono,   sicche'   non  appare  arbitraria  o  irragionevole  una
 disciplina  che  prescinde  dalle  situazioni  in  cui  concretamente
 versano  gli  interessati,  essendo,  oltretutto,  difficile,  se non
 addirittura irrealizzabile, l'accertamento della diversa entita'  del
 pregiudizio economico che, in via di fatto, ciascun cittadino subisce
 a  causa  dell'assunzione  di  cariche  pubbliche,  in relazione alle
 peculiari fonti del suo reddito.
   In ogni caso e' evidente che a tale pregiudizio  questa  Corte  non
 sarebbe   comunque   in  grado  di  rimediare  con  la  pronuncia  di
 accoglimento sollecitata dal  rimettente,  che,  essendo  volta  alla
 rimozione  del  censurato  divieto  di  cumulo,  non eliminerebbe, ma
 lascerebbe sussistere integralmente la asserita disparita'.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  14,  secondo  comma,  della legge 27 dicembre 1985, n. 816
 (Aspettative, permessi e  indennita'  degli  amministratori  locali),
 sollevata,  in riferimento agli artt. 3, primo comma, 51, primo comma
 e 36, primo comma, della Costituzione,  dal  pretore  di  Varese  con
 l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                         Il Presidente: Guizzi
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
 97C1511