N. 455 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo   civile   -   Opposizione   ad  esecuzione  immobiliare  -
 Preclusione  al  terzo,  che  abbia   spiegato   intervento   adesivo
 dipendente,  di impugnare autonomamente la sentenza per la tutela del
 proprio interesse - Diversita'  ontologica  degli  istituti  posti  a
 tutela  delle  situazioni  giuridiche d ell'interventore principale e
 del terzo interveniente  ad adiuvandum - Non fondatezza.
 
 (C.P.C., art. 105, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Francesco GUIZZI;
  Giudici:  prof.  Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA,   prof.
 Gustavo  ZAGREBELSKY,   prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,
 avv. Fernanda CONTRI,  prof. Guido NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  105,  secondo
 comma,  del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa
 il 15 novembre 1996 dalla Corte d'appello di Torino nel  procedimento
 civile  vertente  tra  MIX  s.r.l. e l'Istituto Bancario San Paolo di
 Torino s.p.a. ed altro, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 1997
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  5,  prima
 serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  costituzione dell'Istituto Bancario San Paolo di
 Torino s.p.a;
   Udito nella camera di consiglio del 12  novembre  1997  il  giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di un giudizio di impugnazione, instaurato dalla
 parte che in primo grado aveva svolto intervento, qualificato adesivo
 dipendente, la Corte d'appello di Torino, con ordinanza  in  data  15
 novembre  1996,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 105,  secondo  comma,  del codice di procedura civile, nella parte in
 cui,  secondo  l'interpretazione  consolidata  della  giurisprudenza,
 preclude  al terzo, che abbia spiegato intervento adesivo dipendente,
 di impugnare autonomamente la sentenza  per  la  tutela  del  proprio
 interesse.
   Il  giudice  remittente  premette in fatto che il giudizio di primo
 grado, avente ad oggetto  l'opposizione  all'esecuzione  immobiliare,
 era  stato  promosso  dal fideiussore nei confronti del creditore per
 far dichiarare estinta l'obbligazione fideiussoria, essendosi estinta
 quella  principale  per  remissione,  e  che  in  tale  giudizio  era
 intervenuto    il    debitore   principale,   che   aveva   interesse
 all'accertamento dell'estinzione della obbligazione  da  opporre  nel
 giudizio  di rivalsa instaurando dal fideiussore; avverso la sentenza
 con la quale  il  tribunale  di  Casale  Monferrato  aveva  rigettato
 l'opposizione,   ritenendo   legittima  l'esecuzione  intrapresa  dal
 creditore, era stato proposto appello dal solo debitore  intervenuto,
 poiche' il fideiussore vi aveva prestato acquiescenza.
   Il  remittente,  dopo aver ricordato che la norma in esame e' stata
 ed e' tuttora interpretata dalla giurisprudenza di  legittimita'  nel
 senso  di  riconoscere  all'interventore  adesivo  dipendente  poteri
 limitati all'espletamento di un'attivita' accessoria e subordinata  a
 quella   della   parte   adiuvata,   con  esclusione  del  potere  di
 impugnazione della sentenza, cui abbia prestato acquiescenza la parte
 adiuvata, osserva come dalla detta  norma  possano  derivare  effetti
 paradossali e pregiudizievoli per il terzo intervenuto ad adiuvandum.
 In   particolare,  il  remittente  sottolinea  che  quando  il  terzo
 partecipa al processo in qualita' di interventore adesivo  dipendente
 e'  privo  del  potere  di impugnazione, mentre se ad esso e' rimasto
 estraneo potra' dimostrare in un secondo processo, ex  art.  404  del
 codice  di  procedura  civile,  l'esistenza  di  ragioni che dovevano
 determinare una diversa conclusione in ordine al rapporto sostanziale
 pregiudiziale.
   Ad  avviso  del  giudice  a  quo,   sussisterebbe   disparita'   di
 trattamento  tra  situazioni  analoghe;  infatti,  con riferimento al
 rapporto  sostanziale  dedotto  nel  caso  di   specie,   mentre   al
 fideiussore  che intervenga nel processo e' riconosciuto il potere di
 autonoma impugnazione, trattandosi di un rapporto di garanzia propria
 che determina l'inscindibilita' delle cause, ex art. 331  cod.  proc.
 civ.,  il  debitore garantito, nei cui confronti il fideiussore abbia
 gia' intentato azione  di  rivalsa,  non  puo'  invece  impugnare  la
 sentenza  emessa  nel  processo tra fideiussore e creditore, al quale
 egli abbia partecipato quale interventore adesivo dipendente.
   L'intervento nel processo del debitore  garantito  si  risolverebbe
 poi  in  una diminuzione della possibilita' di azione e di difesa del
 medesimo, non potendo egli, attraverso l'impugnazione della sentenza,
 che gli e' preclusa, contrastare i riflessi,  nei  propri  confronti,
 del giudicato tra le parti principali.
   2.  -  La  parte  appellata  del  procedimento  a quo ha depositato
 tardivamente atto di costituzione nel presente giudizio.
                         Considerato in diritto
   1. - La  Corte  d'appello  di  Torino  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 105, secondo comma, del codice
 di procedura civile, che,  nella  interpretazione  consolidata  della
 giurisprudenza,  non riconosce all'interventore adesivo dipendente il
 potere di autonoma impugnazione della  sentenza  per  la  tutela  del
 proprio interesse.
   Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  indicata  norma  si porrebbe
 anzitutto in contrasto  con  il  principio  di  eguaglianza,  per  la
 irragionevole  disparita'  di trattamento che essa opera tra le parti
 del processo riguardo al potere di autonoma impugnazione, il quale e'
 negato all'interventore adesivo dipendente limitatamente alla  tutela
 del  proprio  interesse, mentre e' ammesso in altre ipotesi analoghe,
 quale quella del fideiussore;  inoltre,  la  medesima  norma  sarebbe
 lesiva  del  diritto  di azione dell'interventore adesivo dipendente,
 che non puo' autonomamente tutelare il proprio interesse, sebbene sia
 proprio questo a legittimarne l'intervento nel processo.
   2. - La questione non e' fondata.
   La  disciplina  dell'intervento volontario, contenuta nell'art. 105
 del codice di procedura civile, dimostra come  il  legislatore  abbia
 voluto nettamente differenziare l'ipotesi di colui che interviene nel
 processo  per far valere un proprio diritto nei confronti di tutte le
 parti o di alcune di esse, di cui al primo comma, da quella, prevista
 nel secondo comma, di chi interviene per  aderire,  in  forza  di  un
 proprio  interesse,  alla  domanda  di una parte. Mentre l'intervento
 svolto  per  la  tutela  di  un  diritto  determina  un   ampliamento
 oggettivo,  oltre  che  soggettivo,  della  lite, poiche' con esso si
 introduce  una  nuova  domanda,  che  comunque  modifica   il   thema
 decidendum  fissato dalle parti originarie, l'intervento diretto alla
 tutela di un interesse comporta invece un ampliamento solo soggettivo
 del processo, in quanto l'interventore adesivo dipendente si limita a
 sostenere le ragioni di una parte, senza dedurre un proprio diritto.
   La diversita'  ontologica  degli  istituti  posti  a  tutela  delle
 diverse situazioni giuridiche rappresentate dalle parti intervenienti
 costituisce    il    fondamento    del    consolidato    orientamento
 giurisprudenziale, che  riconosce  poteri  processuali  diversi  alle
 dette  parti; l'interventore principale puo' infatti esercitare tutti
 i poteri propri delle parti originarie, cosi' come,  del  resto,  gli
 sarebbe  consentito,  qualora facesse valere il proprio diritto in un
 autonomo  e  separato  giudizio,  mentre  il  terzo  che  decide   di
 intervenire  nel  processo  soltanto per sostenere le ragioni altrui,
 quando vi abbia  interesse,  non  puo'  che  assumere  una  posizione
 subordinata   rispetto   a   quella  dell'adiuvato,  le  cui  vicende
 processuali egli ha anticipatamente accettato di condividere.    Onde
 e'  del  tutto  ragionevole la preclusione del potere di impugnazione
 rispetto all'interventore adesivo dipendente, quando l'adiuvato abbia
 rinunciato ad impugnare o abbia prestato acquiescenza alla  sentenza,
 poiche'  il terzo intervenuto ad adiuvandum non ha poteri dispositivi
 sulla lite, la cui  decisione  solo  in  via  mediata  puo'  produrre
 effetti giuridici sulla sua posizione sostanziale.
   Deve  escludersi  che  la  norma  in esame, come interpretata dalla
 giurisprudenza,  si  ponga  in  contrasto  con  i  dedotti  parametri
 costituzionali, in quanto, se la parte assume effettivamente la veste
 di  interventore  adesivo  dipendente,  scegliendo  di partecipare al
 processo  in  posizione  subordinata  a  quella  dell'adiuvato  e  di
 espletare  un'attivita'  accessoria,  non  puo'  dolersi  del mancato
 riconoscimento di poteri non esercitati dall'adiuvato, mentre qualora
 la parte, pur dichiarando di intervenire adesivamente,  deduca  pero'
 una autonoma pretesa di diritto, non puo' non riconoscersi ad essa un
 potere  di  impugnazione,  affatto indipendente da quello delle altre
 parti.
   All'interventore adesivo dipendente, piuttosto,  la  giurisprudenza
 riconosce  un potere autonomo di impugnazione, nell'ipotesi in cui la
 sentenza contenga provvedimenti  che  incidono  in  modo  diretto  ed
 immediato   nella   sfera   giuridica   del   medesimo;  trattasi  di
 un'applicazione del fondamentale principio dell'interesse ad agire  e
 piu'  specificamente  dell'interesse ad impugnare, in forza del quale
 l'ammissibilita'  del  gravame  e'  in  stretta   correlazione   alla
 soccombenza,  si'  che  ove  l'interventore  adesivo dipendente abbia
 subito  un concreto pregiudizio, per effetto di statuizioni contenute
 nella   sentenza,   che   su   di   lui   incidano   direttamente   e
 sfavorevolmente,   egli   e'   certamente   legittimato   a  proporre
 impugnazione, a differenza di  colui  che  non  vede  respingere  una
 propria  pretesa di diritto e che solo indirettamente e' pregiudicato
 dalla pronuncia,  contro  la  quale  non  puo'  quindi  avere  alcuna
 potesta'.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  105,  secondo  comma,  del  codice  di  procedura  civile,
 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla
 Corte d'appello di Torino, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                         Il Presidente: Guizzi
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
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