N. 456 ORDINANZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Alimenti - Produzione di vini a denominazione di origine controllota
 -  Violazione  di  prescrizione  del   disciplinare   -   Trattamento
 sanzionatorio - Presunta incogruita' - Discrezionalita' legislativa -
 Ragionevolezza - Manifesta infondatezza.
 
 (Legge 10 febbraio 1992, n. 164, artt. 10 e 28).
 
 (Cost., artt. 3, 25 e 27, secondo comma).
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,   prof. Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  10  e  28,
 comma 2, della legge 10 febbraio 1992, n. 164 (Nuova disciplina delle
 denominazioni  d'origine), promosso con ordinanza emessa il 9 ottobre
 1996 dal pretore  di  Bologna,  iscritta  al  n.  1323  del  registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  15  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Ritenuto  che,  nel  corso  di un processo di opposizione a decreto
 penale di condanna alla pena di lire 102 milioni e 250 mila di multa,
 emesso nei confronti del titolare di un'azienda agricola in relazione
 alle contravvenzioni previste e punite dall'art. 28  della  legge  10
 febbraio  1992,  n.  164  (Nuova  disciplina  delle  denominazioni di
 origine), per avere prodotto diverse quantita'  di  vino  Merlot  dei
 Colli  Bolognesi  DOC,  Sauvignon  dei Colli Bolognesi DOC e Cabernet
 Sauvignon dei Colli Bolognesi DOC, risultate all'esame  organolettico
 prive  dei  requisiti richiesti per l'uso della denominazione perche'
 interessate da frizzantatura o da  presa  di  spuma,  il  pretore  di
 Bologna  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27, secondo
 comma, della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale
 degli artt. 10 e 28 della predetta legge;
     che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo, le disposizioni impugnate
 contrasterebbero con il  principio  di  necessaria  offensivita'  del
 reato,  in  quanto  la  sanzione  penale  viene prevista anche per la
 violazione di prescrizioni del disciplinare di produzione di  vini  a
 denominazione  di origine controllata prive, come nel caso di specie,
 della  significativita'  minima  necessaria  a  conferire   al   bene
 giuridico tutela penale;
     che,   sempre   ad  avviso  del  giudice  remittente,  le  stesse
 disposizioni  contrasterebbero  con  l'art.  3  della   Costituzione,
 perche'   irragionevolmente   prevederebbero,  per  le  condotte  ivi
 considerate, una sanzione piu' grave di quella  posta  dall'art.  516
 cod.  pen.  per  identici  fatti  tipici  lesivi  del  medesimo  bene
 giuridico;
     che, infine, secondo il giudice a quo, gli artt. 10  e  28  della
 legge  10  febbraio  1992,  n.  164,  contrasterebbero con l'art. 27,
 secondo comma, della Costituzione, essendo evidente,  a  causa  della
 mancata previsione di una ipotesi delittuosa attenuata per violazioni
 non  comportanti  adulterazione o manipolazione del prodotto, che nel
 caso di specie il legislatore ha fatto  un  uso  irragionevole  della
 propria discrezionalita' nella determinazione della pena;
   Considerato  che  l'art.  28  della legge 10 febbraio 1992, n. 164,
 sanziona con la pena della reclusione fino ad un anno e  della  multa
 da  lire  tre  milioni  a  lire diciotto milioni per ogni ettolitro o
 frazione di ettolitro di prodotto chiunque vende, pone in  vendita  o
 comunque  distribuisce  per  il  consumo con denominazione di origine
 vini  che  non  hanno  i  requisiti  richiesti  per  l'uso  di   tale
 denominazione;
     che   l'art.   10   della  citata  legge,  anch'esso  oggetto  di
 impugnazione, stabilisce che nei disciplinari di produzione dei  vini
 DOCG  e DOC, proposti dai consorzi volontari autorizzati ovvero dagli
 interessati,  e  approvati  dal  Ministro  dell'agricoltura  e  delle
 foreste,  sono  stabiliti, oltre alla denominazione di origine e alla
 individuazione della zona di produzione, la resa massima di uva e  di
 vino  ad  ettaro,  il  titolo  alcolometrico volumico minimo naturale
 potenziale   delle   uve   alla   vendemmia,    le    caratteristiche
 fisico-chimiche   ed   organolettiche  del  vino  nonche'  il  titolo
 alcolometrico volumico minimo richiesto al consumo, le condizioni  di
 produzione  e le caratteristiche naturali dell'ambiente, le modalita'
 dell'esame chimico-organolettico prescritto dalla  CEE  per  tutti  i
 vini   VQPRD,   l'eventuale   periodo  minimo  di  invecchiamento  in
 recipienti  di  legno  e  di  affinamento  in  bottiglia  e,  infine,
 l'eventuale imbottigliamento in zone delimitate;
     che le prescrizioni contenute nel disciplinare, la cui osservanza
 consente  la  utilizzazione  della  denominazione di origine, quindi,
 contrariamente  a  quanto   prospettato   dal   giudice   remittente,
 concernono  aspetti  che, riguardando la individuazione della zona di
 produzione e  dei  vitigni,  il  procedimento  di  vinificazione,  le
 caratteristiche   organolettiche  del  prodotto,  l'invecchiamento  e
 l'imbottigliamento, non attengono ad aspetti formali,  ma  ineriscono
 alle  caratteristiche  che  sole  consentono  di poter qualificare un
 prodotto con quella particolare denominazione;
     che, pertanto, la  previsione  di  una  sanzione  penale  per  la
 violazione  delle  prescrizioni  dei  disciplinari  di produzione non
 appare  affatto  lesiva  del  principio  di  offensivita',  dovendosi
 ravvisare  in  tale  violazione una sicura lesione del bene giuridico
 dell'affidamento del consumatore  nella  sussistenza  di  determinati
 requisiti  di  qualita' in un prodotto che legittimamente gode di una
 denominazione;
     che,  quanto  alla  violazione  del  principio  di   eguaglianza,
 prospettata  dal  giudice  a  quo,  con  riferimento  al  trattamento
 sanzionatorio stabilito dall'art. 516 cod. pen.  (reclusione  fino  a
 sei  mesi  o  multa  fino  a  lire due milioni) per chiunque ponga in
 vendita  o  metta  comunque  in  commercio  come   genuine   sostanze
 alimentari   non   genuine,   difetta  il  requisito  di  una  valida
 comparazione, ponendosi la normativa sulla denominazione dei vini  in
 termini di specialita' rispetto a quella generale sulla vendita delle
 sostanze alimentari e non apparendo, quindi, affatto irragionevole un
 trattamento sanzionatorio piu' severo proprio in considerazione delle
 garanzie  di qualita' che la utilizzazione di una certa denominazione
 comporta;
     che, del resto, la proposizione di una censura ai sensi dell'art.
 3 della Costituzione, sul presupposto della identita' delle  condotte
 sanzionate,  alla  quale  dovrebbe  fare  riscontro  una identita' di
 trattamento sanzionatorio,  risulta  contrastata  dalla  varieta'  di
 trattamenti sanzionatori previsti dalle leggi speciali a tutela della
 esistenza  dei  requisiti  richiesti  per  la utilizzazione di alcune
 denominazioni di origine (si vedano, ad esempio, le  disposizioni  in
 materia  di  formaggi:  art. 9 della legge 10 aprile 1954, n. 125; in
 materia di oli: art. 8 della legge 13  novembre  1960,  n.  1407;  in
 materia di prosciutto: art. 13 della legge 13 febbraio 1990, n. 26);
     che,  quanto alla dedotta violazione dell'art. 27, secondo comma,
 della    Costituzione,    per    irragionevole    esercizio     della
 discrezionalita' legislativa nella determinazione della pena, desunta
 dal  giudice  a quo dalla mancata previsione di una ipotesi attenuata
 per le violazioni di minor rilievo, deve ricordarsi che questa  Corte
 ha  piu'  volte  affermato  che  la  configurazione delle fattispecie
 criminose e la valutazione delle conseguenze penali appartengono alla
 politica legislativa e,  quindi,  all'incensurabile  discrezionalita'
 del legislatore, con l'unico limite della manifesta irragionevolezza,
 che  deve  senz'altro  escludersi  nel  caso  in  cui  due  condotte,
 ancorche' diverse nel disvalore,  siano  tuttavia  trattate  in  modo
 omogeneo sul piano sanzionatorio dal legislatore, in quanto in questo
 caso  l'adeguamento della pena all'effettivo disvalore della condotta
 rientra  tra  i  compiti  del  giudice  nell'esercizio   dei   poteri
 conferitigli dagli artt. 132 e 133 cod. pen;
     che,  nel  caso  di  specie,  essendo  la  pena per le violazioni
 sanzionate dall'art.  28  della  legge  10  febbraio  1992,  n.  164,
 stabilita  tra  un minimo e un massimo ed essendo, quindi, consentito
 al giudice, entro  questi  limiti,  adeguare  la  pena  all'effettivo
 disvalore  della  condotta,  deve  senz'altro escludersi la manifesta
 irragionevolezza del trattamento sanzionatorio;
     che, infine, non  rientra  tra  i  compiti  di  questa  Corte  la
 possibilita'  di  valutare  le  scelte del legislatore in ordine alla
 previsione o meno di ipotesi delittuose attenuate, potendosi soltanto
 rilevare  che,  poiche'  nella  precedente  normativa,   cosi'   come
 osservato  dal giudice a quo, era effettivamente prevista una ipotesi
 attenuata per infrazioni relative a lievi differenze nelle gradazioni
 o alle disposizioni sulla etichettatura (art. 28, secondo comma,  del
 d.P.R.    12  luglio 1963, n. 930, recante "Norme per la tutela delle
 denominazioni  di  origine  dei  mosti  e  dei  vini"),  la   mancata
 previsione   di   siffatta   ipotesi   di   minor  gravita'  risponde
 inequivocabilmente ad una scelta discrezionale  del  legislatore,  la
 quale  non  appare  a sua volta manifestamente irragionevole, potendo
 trovare giustificazione nella maggior diffusione del prodotto oggetto
 di denominazione e nella esigenza di ampliare le forme di tutela  del
 consumatore;
     che,  pertanto, la questione di legittimita' costituzionale degli
 artt. 10 e 28 della legge 10  febbraio  1992,  n.  164,  deve  essere
 dichiarata manifestamente infondata sotto tutti i profili prospettati
 dal giudice a quo;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 10 e 28 della legge 10 febbraio  1992,  n.
 164  (Nuova  disciplina delle denominazioni d'origine), sollevata, in
 riferimento agli artt. 3, 25 e 27, secondo comma, della Costituzione,
 dal pretore di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
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