N. 470 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Corte dei conti - Affidamento alla Corte  dell'individauzione  degli
 enti  assoggettabili  al  controllo  -  Impregiudicata,  per gli enti
 stessi da assoggettare a controllo, la garanzia della tutela  innanzi
 al giudice - Non fondatezza.
 
 (Legge 14 gennaio 1994, n. 20, art. 3, comma 4).
 
 (Cost., artt. 100, 103 e 113).
 
(GU n.1 del 7-1-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,   prof.  Carlo  MEZZANOTTE,    avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,   prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI,  prof.  Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  4,
 della  legge  14  gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni in materia di
 giurisdizione e controllo della Corte dei conti),  promossi  con  sei
 ordinanze  emesse l'8 novembre 1996 (n. 2 ordinanze) ed il 16 gennaio
 1997 (n. 4  ordinanze)  dalla  Corte  di  cassazione,  Sezioni  unite
 civili, rispettivamente iscritte ai nn. 163, 164, 329, 330, 331 e 332
 del  registro  ordinanze  1997  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 15 e 25, prima serie speciale, dell'anno 1997, a
 seguito  di  ricorsi  per  regolamento  preventivo  di  giurisdizione
 proposti  dalla  Federazione  nazionale  dell'Ordine  dei  farmacisti
 italiani, dalla Federazione nazionale degli Ordini  dei  medici,  dei
 chirurghi   e   degli  odontoiatri,  dal  Consiglio  nazionale  degli
 ingegneri, dal  Consiglio  nazionale  del  notariato,  dal  Consiglio
 nazionale degli architetti e dal Consiglio nazionale forense;
   Visti  gli  atti  di costituzione delle Federazioni nazionali e dei
 Consigli nazionali predetti,  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1997 il giudice relatore
 Massimo Vari;
   Uditi  gli  avvocati  Alessandro  Pace per la Federazione nazionale
 dell'Ordine dei farmacisti italiani e per  la  Federazione  nazionale
 degli  Ordini  dei  medici, dei chirurghi e degli odontoiatri, Matteo
 dell'Olio e Antonio Funari per la Federazione nazionale degli  Ordini
 dei  medici,  dei  chirurghi e degli odontoiatri, Mario Sanino per il
 Consiglio nazionale degli ingegneri, per il Consiglio  nazionale  del
 notariato,  per  il  Consiglio  nazionale  degli  architetti e per il
 Consiglio nazionale forense e l'avvocato dello Stato  Giuseppe  Stipo
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con sei ordinanze, tutte di analogo contenuto, due delle quali
 in  data  8  novembre  1996 (r.o. nn. 163 e 164) e le altre in data 8
 gennaio 1997 (r.o. nn. 329, 330, 331 e 332 del  1997),  la  Corte  di
 Cassazione,   Sezioni   Unite   civili,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  4,  della  legge  14
 gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni  in  materia di giurisdizione e
 controllo della Corte dei conti), nella  parte  in  cui  affida  alla
 Corte  dei  conti  l'individuazione  (non automatica e caratterizzata
 dalla ricerca di parametri di riferimento e  di  criteri  valutativi)
 degli  enti assoggettabili al controllo, per contrasto con l'art. 100
 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e  113  della
 Costituzione medesima.
   2.  -  Le  ordinanze  sono  state  emesse  a seguito di ricorsi per
 regolamento preventivo di giurisdizione, proposti  dalla  Federazione
 nazionale  dell'Ordine  dei  farmacisti  italiani,  dalla Federazione
 nazionale degli Ordini dei medici, dei chirurghi e degli odontoiatri,
 dal Consiglio nazionale degli ingegneri, dal Consiglio nazionale  del
 notariato,  dal  Consiglio nazionale degli architetti e dal Consiglio
 nazionale forense, nell'ambito di giudizi  pendenti  innanzi  al  TAR
 Lazio  per  l'annullamento  della  determinazione n. 43 del 20 luglio
 1995, con la quale la Sezione controllo enti della Corte dei conti ha
 sottoposto gli enti menzionati ai riscontri  di  cui  alla  legge  14
 gennaio  1994,  n.  20,  nonche',  di  ogni  altro  atto presupposto,
 connesso o conseguenziale.
   Le Sezioni unite, richiamato il principio della non  sindacabilita'
 in  sede  giurisdizionale  degli  atti  di  controllo della Corte dei
 conti, rammentano che, sulla scorta dell'orientamento  gia'  espresso
 dalla  giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 29 del 1995), la
 disposizione dell'art.  100  della  Costituzione,  nel  prevedere  il
 controllo  sulla  gestione  finanziaria  degli  enti  a  cui lo Stato
 contribuisce in via ordinaria, va intesa nel senso di non  precludere
 al legislatore di introdurre forme di controllo diverse ed ulteriori,
 purche'  ancorate  ad  interessi costituzionalmente tutelati, come in
 sostanza e' avvenuto con l'estensione del controllo della  Corte  dei
 conti   alla   gestione   del   bilancio   e   del  patrimonio  delle
 amministrazioni pubbliche in  genere,  nonche'  alle  gestioni  fuori
 bilancio  ed  ai fondi di provenienza comunitaria, disposta dall'art.
 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, sia pure  lasciando  ferme  -
 come  precisa  il successivo comma 7 - le disposizioni della legge 21
 marzo 1958, n. 259, relativamente agli enti da quest'ultima previsti.
   Tuttavia  - secondo il giudice rimettente - suscita perplessita' il
 fatto che non sia stato esteso, al piu'  ampio  ambito  di  controllo
 contemplato  dalla  citata legge n. 20 del 1994, il procedimento gia'
 previsto dalla legge n. 259 del 1958 per l'individuazione degli  enti
 da  assoggettare  alle  verifiche  della  Corte dei conti, secondo un
 meccanismo affidato all'autorita' di governo ed espresso nella  forma
 del decreto presidenziale.
   Ricorda,  altresi',  l'ordinanza  che  la  stessa  Cassazione,  nel
 ritenere, a suo tempo,  manifestamente  infondata  una  eccezione  di
 illegittimita'  costituzionale della legge n. 259 del 1958, sollevata
 con  riguardo  ai  poteri  spettanti  al  Governo  per  la   predetta
 individuazione  degli  enti,  aveva gia' avuto occasione di osservare
 che l'eventuale alternativa,  rappresentata  dall'attribuzione  della
 relativa  competenza  alla  stessa Corte dei conti, non sarebbe stata
 praticabile "non potendosi affidare al medesimo  organo  deputato  al
 controllo  la valutazione e determinazione di cui si tratta, senza un
 mezzo di tutela degli  enti,  che  sarebbe  difficile  costruire  nei
 riguardi"  di quest'ultimo (vedi Cassazione SS. UU. 9 agosto 1996, n.
 7327).
   In conclusione, ad avviso  del  rimettente,  se  si  considera  che
 l'art.    100  della  Costituzione  appare imperniato sul rinvio alla
 legge come fonte  di  determinazione  dei  casi  e  delle  forme  del
 riscontro  successivo  sugli  enti,  anche  merce'  la  previsione di
 procedure esterne  (eterodeterminative,  secondo  talune  ordinanze),
 come  quella  della legge n. 259 del 1958, e' ragione di perplessita'
 il potere, non privo di profili valutativi, demandato alla Corte  dei
 conti. Risulta, percio', non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' dell'art. 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20
 -  per  contrasto  con  l'art. 100 della Costituzione, in riferimento
 anche agli artt. 103 e 113 - nella parte in cui affida alla Corte dei
 conti stessa, attraverso un potere per giunta non sorretto da criteri
 predeterminati, l'individuazione - non  automatica  e  caratterizzata
 dalla  ricerca  di  parametri di riferimento e, al tempo stesso, come
 sottolineano talune delle ordinanze (r.o.  nn. 163 e 164  del  1997),
 di  criteri  valutativi - degli enti assoggettabili al controllo, pur
 nella riconosciuta immunita' dell'organo in questione  dal  sindacato
 giurisdizionale.
   Nel  sollevare la questione l'ordinanza precisa che la risposta che
 la Corte costituzionale dara' al quesito influira' in ogni caso sulla
 soluzione da adottarsi  in  punto  di  giurisdizione,  essendo  cosi'
 assicurata la rilevanza della questione stessa.
   3.  -  Si  sono  costituite  innanzi  a questa Corte la Federazione
 nazionale  dell'Ordine  dei  farmacisti  italiani  e  la  Federazione
 nazionale degli Ordini dei medici, dei chirurghi e degli odontoiatri,
 deducendo  preliminarmente,  con  difese  di  analogo  tenore, che le
 parti: a) non sono state mai sottoposte a controllo  ai  sensi  della
 legge   n.  259  del  1958;  b)  sono  state  escluse  dal  campo  di
 applicazione della legge n. 70 del 1975; c) non  rientrano  nel  c.d.
 "settore  pubblico  allargato"  di  cui  alla  legge n. 468 del 1978.
 Rilevato, altresi', che la riforma di cui alla legge n. 20  del  1994
 ha semplicemente comportato una estensione soggettiva della tipologia
 del  controllo  successivo  anche  a quelle amministrazioni pubbliche
 (dello Stato, delle Regioni e degli enti locali), che in passato  non
 vi  erano  sottoposte, le Federazioni osservano, quanto all'ambito di
 applicazione della disposizione denunciata,  che  il  comma  7  dello
 stesso  art. 3 della legge n. 20 del 1994 fa, comunque, espressamente
 salve le disposizioni della legge 21 marzo 1958 n. 259: gli enti  non
 facenti  parte  della  "pubblica  amministrazione"  in senso stretto,
 intanto potrebbero essere sottoposti al controllo di  gestione  della
 Corte   dei  conti,  in  quanto  siano  (ancora  oggi)  concretamente
 individuati per il tramite del decreto presidenziale  previsto  dalla
 detta legge n. 259 del 1958.
   Diversamente,  ove  l'art.  3, comma 4, dovesse essere interpretato
 nel senso fatto proprio dalla Corte dei conti, l'individuazione degli
 enti verrebbe a risolversi in una funzione di amministrazione  attiva
 e  non piu' in una funzione analoga a quella giurisdizionale, sicche'
 non vi sarebbe piu' motivo di escludere la tutela innanzi al  giudice
 amministrativo  avverso i relativi atti. Ma neanche questo basterebbe
 ad evitare l'incostituzionalita' della disposizione, di  fronte  alla
 commistione     di     funzioni     amministrative     e     funzioni
 para-giurisdizionali in capo allo stesso organo, in contrasto con  "i
 principi  generalmente validi in tutti gli ordinamenti in cui vige la
 divisione dei poteri".
   La difesa delle predette Federazioni chiede  pertanto:  a)  in  via
 principale,    il    rigetto    della   questione   di   legittimita'
 costituzionale, con una  pronuncia  interpretativa  nel  senso  della
 spettanza  al  Governo  della  potesta'  di determinazione degli enti
 pubblici (in senso lato) da sottoporre al controllo di gestione della
 Corte dei conti, nelle forme previste dall'art. 3, primo comma, della
 legge n. 259 del 1958; b) in via  subordinata,  l'accoglimento  della
 questione nei termini prospettati e per i vizi denunciati dal giudice
 a  quo;  c)  in via ulteriormente subordinata, nell'ipotesi in cui si
 ritenesse di accogliere l'opzione interpretativa  fatta  propria  dal
 giudice  rimettente  e cio' non di meno si giudicasse l'art. 3, comma
 4, immune da vizi di costituzionalita', una  sentenza  interpretativa
 di  rigetto,  a  tal  fine specificando che - limitatamente agli atti
 emanati dalla  Corte  dei  conti  nell'esercizio  della  potesta'  di
 determinazione  degli  enti da sottoporre a controllo - e', comunque,
 ammissibile il sindacato da parte del giudice amministrativo ex  art.
 113 della Costituzione.
   4.  -  Si  sono  costituiti  altresi'  il Consiglio nazionale degli
 ingegneri,  il  Consiglio  nazionale  del  notariato,  il   Consiglio
 nazionale   degli   architetti  e  il  Consiglio  nazionale  forense,
 deducendo, con difese di analogo tenore, l'incostituzionalita'  della
 disposizione  denunciata,  giacche'  essa pretende di far determinare
 dall'ente controllante gli enti sottoposti a controllo.  In  adesione
 alle   argomentazioni   dell'ordinanza   di  rimessione,  si  chiede,
 pertanto, che sia dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della
 disposizione stessa, per contrasto con gli artt. 100, 103 e 113 della
 Costituzione.
   5.  - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
 inammissibile e, comunque, manifestamente infondata.
   6. - In particolare, nell'atto  di  intervento  depositato  per  il
 giudizio  di  cui al r.o. n. 163 del 1997, si nega la sussistenza del
 contrasto fra l'art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, e l'art.
 100 della Costituzione, avendo  la  legge  stessa  stabilito  i  casi
 (gestione delle amministrazioni pubbliche) in cui viene esercitato il
 controllo e le forme (controllo successivo) in cui si procede.
   Affermato che il rimettente tende in sostanza a sindacare il merito
 legislativo, si osserva che dall'art. 100 della Costituzione non puo'
 farsi  discendere,  contrariamente  a  quanto presuppone il giudice a
 quo, la necessita' di procedure esterne che non coinvolgano la  Corte
 dei  conti nella individuazione degli enti, non senza rilevare che, a
 fronte di un controllo stabilito dalla legge n. 20 del 1994 su  tutte
 le  amministrazioni pubbliche, sarebbe stata inutile ogni elencazione
 degli enti.
   Ne' sarebbero pertinenti i riferimenti agli art. 103  e  113  della
 Costituzione,  considerato,  da  un  lato, che la mancata indicazione
 nominativa degli enti soggetti al controllo e' materia estranea  alla
 giurisdizione,  e,  dall'altro,  che  l'attivita' di controllo svolta
 dalla Corte dei conti non si estrinseca in atti amministrativi.
   7. - Nell'intervenire anche negli altri giudizi, il Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri  si  e'  richiamato  alle  difese  ed  alle
 conclusioni di rigetto formulate nel giudizio di cui al r.o.  n.  163
 del 1997.
   8.   -   Con   memoria   depositata   nell'imminenza  dell'udienza,
 l'Avvocatura generale dello Stato ha  insistito  nella  richiesta  di
 rigetto, rilevando che le ordinanze intendono, in sostanza, sindacare
 la  discrezionalita'  del  legislatore  che  ha  voluto  sottoporre a
 controllo tutti gli enti pubblici, onde garantire la regolarita' e la
 legittimita' dell'azione amministrativa. Si osserva in proposito che,
 del resto, non si e' mai  ritenuto  che  la  Corte  dei  conti  abbia
 esorbitato  dai  limiti  costituzionali quando ha reputato soggetti a
 controllo gli atti dell'ANAS ovvero non soggetti a controllo gli atti
 autorizzativi   relativi   ai   contratti   di   lavoro   decentrati;
 analogamente   non   e'   mai  stata  prospettata  una  questione  di
 costituzionalita' quando   il giudice penale,  nei  reati  contro  la
 pubblica  amministrazione,  ha  individuato  direttamente  i soggetti
 contemplati dalla  norma  incriminatrice  ovvero  quando  il  giudice
 amministrativo   ha   fatto   rientrare   gli   ordini  professionali
 nell'ambito degli  enti  pubblici  soggetti  alla  giurisdizione  sul
 pubblico impiego.
   9.   -   Nell'imminenza   dell'udienza,  le  Federazioni  nazionali
 dell'Ordine dei farmacisti e degli Ordini dei medici, dei chirurghi e
 degli odontoiatri hanno depositato memorie  illustrative  di  analogo
 contenuto, con le quali negano che le censure di illegittimita' siano
 volte   a   sindacare   il   merito   legislativo  si'  da  risultare
 inammissibili. Sulla  premessa  della  riconosciuta  immunita'  della
 Corte  dei  conti  dal  sindacato  giurisdizionale,  la  questione di
 costituzionalita' tende, invece, a  stabilire  se  sia  legittima  la
 deroga,  da  parte  del legislatore ordinario, a due principi cardine
 del nostro ordinamento giuridico:   quello della separazione  tra  le
 funzioni     amministrativa     e     giurisdizionale     e    quello
 dell'impugnabilita' in sede giurisdizionale  di  tutti  gli  atti  di
 amministrazione attiva.
   Nel  merito,  la difesa delle citate Federazioni, escluso che dalla
 natura pubblica di un ente si possa far derivare  la  sua  necessaria
 appartenenza  alla  pubblica  amministrazione,  osserva  che  diventa
 sempre piu' difficile individuare con  esattezza  la  latitudine  del
 concetto di pubblica amministrazione; al riguardo in anni recenti, il
 legislatore ha proceduto con metodo prettamente casistico, elaborando
 definizioni  la cui portata, conformemente al fine, non puo' assumere
 un significato generale. Non potendosi, percio',  aderire  alla  tesi
 secondo la quale l'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del
 1993,  conterrebbe  una  definizione  generale  e  onnicomprensiva di
 "pubblica   amministrazione",   l'unico   criterio,    per    evitare
 interpretazioni  arbitrarie,  sarebbe  quello  di restringere il piu'
 possibile l'ambito di una siffatta nozione, limitandolo  allo  Stato,
 alle Regioni ed agli enti locali (ed ai loro enti strumentali).
   Comunque,  anche  a  voler  revocare  in  dubbio (per mera ipotesi)
 quanto detto - ad avviso delle Federazioni - gli enti da sottoporre a
 controllo  di  gestione  sarebbero  esclusivamente  quelli   la   cui
 attivita' e' suscettibile di incidere sul bilancio dello Stato, tra i
 quali vanno, quindi, annoverati quelli a cui lo Stato contribuisce in
 via ordinaria.
   Peraltro,  ove  si  consideri  che l'attivita' degli enti da ultimo
 menzionati anche in precedenza, sotto l'impero della legge n. 259 del
 1958, era sottoposta al sindacato della Corte dei conti, nelle  forme
 del  controllo di gestione, e' evidente che la legge di riforma n. 20
 del 1994 ha  operato  una  semplice  estensione  soggettiva  di  tale
 tipologia  di  controllo  assoggettandovi anche altre amministrazioni
 pubbliche (quelle dello Stato, delle Regioni e  degli  enti  locali).
 Ne  consegue che quando l'art. 3, comma 7, della legge n. 20 del 1994
 fa salve, relativamente agli enti cui lo Stato  contribuisce  in  via
 ordinaria,  le  disposizioni  della  legge  n.  259  del  1958,  cio'
 significa che la  potesta'  di  determinazione  dei  destinatari  del
 controllo,  diversi  da  Stato,  Regioni  ed  enti locali, spetta pur
 sempre al Governo nelle forme previste dall'art.  3  della  legge  in
 parola.
   Nel  negare,  poi,  la  validita'  dell'argomento  che l'Avvocatura
 ritiene di poter trarre dal paragone con  l'attivita'  interpretativa
 svolta  dal  giudice penale, si osserva che, a ritenere che l'art. 3,
 comma 4, abbia attribuito la potesta' di  individuazione  degli  enti
 alla  Corte  dei  conti,  quest'ultima  andrebbe considerata pubblica
 amministrazione dal punto di vista sia oggettivo che soggettivo,  con
 un  inammissibile stravolgimento dal suo ruolo imparziale e neutrale,
 quale delineato dagli artt. 100, secondo comma, e 103, secondo comma,
 della Costituzione.
   Alla luce delle  esposte  considerazioni  le  predette  Federazioni
 nazionali   insistono   nelle   conclusioni  assunte  negli  atti  di
 costituzione.
   10. - Con una ulteriore congiunta  memoria,  i  Consigli  nazionali
 gia'   costituiti   in   giudizio,   premessi   brevi   cenni   sulle
 caratteristiche degli ordini  e  collegi  professionali  come  figure
 organizzatorie   di  professionisti  dotate  di  ampia  autonomia  di
 gestione e finanziaria, insistono per l'accoglimento della questione.
   Nell'osservare  che  l'organo   di   controllo   ha   ignorato   il
 procedimento  previsto  dall'art.  3  della legge n. 259 del 1958, ai
 fini della sottoposizione al controllo stesso degli  enti  a  cui  lo
 Stato contribuisce in via ordinaria, la memoria nega che gli ordini e
 i   collegi   professionali   possano   essere   ricompresi   tra  le
 amministrazioni pubbliche di cui al comma 4 dell'art. 3  della  legge
 n. 20 del 1994.
   Evidenziato,  inoltre,  che  manca  anche  un altro presupposto del
 controllo della Corte dei conti, in quanto i Consigli  nazionali  non
 ricevono    nessuna    contribuzione    dallo   Stato,   si   osserva
 conclusivamente che  l'art.  3  della  legge  n.  20  del  1994,  non
 individuando  gli  enti  o  meglio  le  amministrazioni  pubbliche da
 controllare, da' luogo ad un perverso meccanismo, attraverso il quale
 il  soggetto  controllore  sceglie   insindacabilmente   i   soggetti
 controllati.  Di qui il denunciato contrasto con gli artt. 100, 103 e
 113 della Costituzione, giacche', stante la non sindacabilita'  delle
 determinazioni  adottate  in sede di controllo dalla Corte dei conti,
 soltanto il legislatore  potrebbe  individuare,  secondo  i  principi
 costituzionali,  i soggetti da sottoporre ai riscontri della medesima
 Corte dei conti, la  quale  dovrebbe  limitarsi  a  controllare  tali
 soggetti  secondo schemi e modalita' gia' predeterminati dallo stesso
 legislatore.
                         Considerato in diritto
   1. - Con le ordinanze in epigrafe le Sezioni unite della  Corte  di
 Cassazione  hanno  sollevato questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  3,  comma  4,  della  legge  14  gennaio   1994,   n.   20
 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
 conti),  il  quale dispone che la Corte dei conti svolge il controllo
 successivo  sulla  gestione  del  bilancio  e  del  patrimonio  delle
 amministrazioni   pubbliche,   verificando   la   legittimita'  e  la
 regolarita' delle gestioni ed accertando, anche in base all'esito  di
 altri   controlli,   la   rispondenza  dei  risultati  dell'attivita'
 amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge.
   Il rimettente, premesso che  l'art.  100  della  Costituzione,  nel
 prevedere il controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo
 Stato  contribuisce  in via ordinaria, non preclude l'introduzione di
 forme di controllo diverse ed ulteriori, purche' caratterizzate da un
 sicuro ancoraggio a interessi costituzionalmente tutelati  e  che  in
 tale possibilita' rientra la riforma introdotta dalla legge n. 20 del
 1994,  censura il fatto che non sia stato esteso al piu' ampio ambito
 di riscontro definito dal menzionato art. 3, comma 4,  il  meccanismo
 di  individuazione  degli  enti  gia' previsto dalla legge n. 259 del
 1958, affidato all'Autorita' di governo ed espresso nella  forma  del
 decreto presidenziale.
   Dubita,  percio', della legittimita' della disposizione denunciata,
 contrastante, a suo avviso, con il predetto art. 100, in  riferimento
 anche  agli  artt.  103  e 113 della Costituzione, nella parte in cui
 affida alla Corte dei conti, attraverso l'esercizio di un potere "per
 giunta non sorretto da criteri  predeterminati",  l'individuazione  -
 non  automatica  e  caratterizzata  dalla  ricerca  di  parametri  di
 riferimento e, al tempo  stesso,  come  sottolineano  particolarmente
 talune   delle   ordinanze,   di  criteri  valutativi  -  degli  enti
 assoggettabili  a  riscontro,  pur   nella   riconosciuta   immunita'
 dell'organo di controllo dal sindacato giurisdizionale.
   2. - I giudizi, avendo ad oggetto identica questione, vanno riuniti
 per essere decisi con un'unica sentenza.
   La  questione  che essi propongono, da esaminare, secondo le regole
 del giudizio di costituzionalita', nei termini che e'  dato  desumere
 dalle  ordinanze,  senza  rilievo  per  ulteriori profili prospettati
 negli atti e nelle memorie delle parti, non e' fondata.
   Prima  di  affrontarne il merito, conviene richiamare, sia pure per
 sommi capi e per quanto ha rilievo ai fini del presente giudizio,  il
 processo  riformatore realizzato dalla legge 14 gennaio 1994, n.  20,
 nell'intento di adeguare le forme di controllo sulle  amministrazioni
 pubbliche alle esigenze derivanti dalla moltiplicazione dei centri di
 spesa,  connessa,  tra  l'altro,  allo  sviluppo  del decentramento e
 all'istituzione  delle  regioni.   La   legge,   intervenendo   sulla
 configurazione  tradizionale delle competenze della Corte dei conti -
 precipuamente caratterizzate dal riscontro di legittimita' sugli atti
 delle amministrazioni  dello  Stato  e,  successivamente,  estese  al
 controllo sulla gestione degli enti di cui alla legge n. 259 del 1958
 -  ne  ha  modificato  ambito e contenuto, con il triplice effetto di
 assoggettare ad esse tutte le amministrazioni pubbliche, di  ridurre,
 nel  contempo,  l'area  del controllo preventivo di legittimita' e di
 conferire primario rilievo al controllo sulla  gestione,  avente  per
 oggetto  non  gia'  i  singoli  atti,  ma  l'attivita' amministrativa
 considerata nel suo concreto e complessivo svolgimento.
   Questa   Corte,   pronunciandosi   sul   quadro   di    riferimento
 costituzionale  in  cui  si colloca la riforma (v. sentenza n. 29 del
 1995), ha gia' avuto occasione di chiarire che le nuove competenze di
 cui alla norma denunciata non costituiscono attuazione dell'art.  100
 della Costituzione, ma sono espressione di una scelta del legislatore
 ordinario, al quale, come rilevato anche in altre occasioni, non puo'
 reputarsi  preclusa  l'introduzione  di forme di controllo diverse ed
 ulteriori rispetto a quelle puntualmente previste  negli  artt.  100,
 secondo  comma,  125,  primo  comma,  e  130,  purche'  per "esse sia
 rintracciabile in Costituzione un adeguato fondamento normativo o  un
 sicuro  ancoraggio  a  interessi  costituzionalmente tutelati". Sulla
 base  di  una  siffatta  premessa,  il   controllo   previsto   dalla
 disposizione   contestata   -   avente   ad  oggetto  la  valutazione
 dell'attivita' amministrativa non solo in  rapporto  a  parametri  di
 legalita',  ma  in riferimento ai risultati effettivamente conseguiti
 rispetto agli obiettivi programmati, tenuto conto delle  procedure  e
 dei mezzi utilizzati per il loro raggiungimento - e' stato ricondotto
 allo  stesso  disegno  costituzionale della pubblica amministrazione,
 delineato in base ai principi del buon andamento degli  uffici  (art.
 97,  primo  comma,  della  Costituzione),  della  responsabilita' dei
 funzionari (art. 28 della Costituzione), dell'equilibrio di  bilancio
 (art.  81 della Costituzione) e del coordinamento della finanza delle
 Regioni con quella dello Stato, delle province  e  dei  comuni  (art.
 119 della Costituzione).
   Per  quel  che  interessa  il presente giudizio, occorre, peraltro,
 evidenziare come i teste' riferiti principi  si  riverberino  in  due
 tratti  caratterizzanti  la  riforma:  anzitutto, il criterio da essa
 accolto di una  applicazione  tendenzialmente  uniforme  a  tutte  le
 pubbliche  amministrazioni delle nuove regole, proprio in ragione del
 fine ultimo dell'introduzione in forma  generalizzata  del  controllo
 sulla gestione, che e' quello di favorire una maggiore funzionalita',
 attraverso  la  valutazione complessiva della economicita'/efficienza
 dell'azione amministrativa e dell'efficacia dei servizi  erogati;  in
 secondo luogo, la scelta dell'imputazione soggettiva del controllo in
 questione alla Corte dei conti, in considerazione del ruolo che detto
 istituto e' venuto assumendo nel tempo, come organo posto al servizio
 dello   Stato-comunita',  quale  garante  imparziale  dell'equilibrio
 economico-finanziario del settore pubblico.
   3. - Cio' posto, non hanno ragion d'essere i dubbi che  il  giudice
 rimettente  solleva sulla base di un duplice assunto che la Corte non
 ritiene  di  poter  condividere.  E   cioe',   da   un   canto,   che
 l'individuazione  degli enti assoggettabili a controllo avvenga sulla
 base di un'attivita' "non automatica e caratterizzata  dalla  ricerca
 di  parametri  di  riferimento e di criteri valutativi" e, quindi, in
 definitiva attraverso una procedura non conforme all'art.  100  della
 Costituzione:  quest'ultimo,  in  riferimento anche a quanto disposto
 dagli artt. 103 e 113, vorrebbe, invece, esclusa la Corte  dei  conti
 da   tale  individuazione,  giusta  il  diverso  modello  sviluppato,
 coerentemente con i postulati costituzionali, dalla legge n. 259  del
 1958.  Dall'altro,  che  la  procedura  apprestata dalla disposizione
 censurata  venga  attratta  nella  sfera  di   insindacabilita'   che
 caratterizza  gli  atti  di  controllo  della  Corte  dei  conti, con
 conseguente  vanificazione  di  ogni  garanzia  giurisdizionale   nei
 confronti degli enti assoggettati al controllo stesso.
   Sul  primo  punto, si puo' obiettare che la disposizione denunciata
 non prefigura, in realta', nessuna specifica  procedura,  limitandosi
 ad  enunciare un criterio generale che, facendo leva sulla nozione di
 pubblica amministrazione,  e'  di  per  se'  sufficiente  a  definire
 l'ambito  delle  competenze  affidate  alla  Corte,  alla stregua del
 potere proprio di ciascun organo dotato di garanzie procedimentali di
 accertare le situazioni che, in base  alla  legge,  costituiscono  il
 presupposto per l'esercizio delle sue funzioni.
   D'altro  canto  e'  fondatamente  da  escludere  che  le  modalita'
 stabilite dalla legge n. 259 del  1958,  per  l'individuazione  degli
 enti  ai  quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, costituiscano
 un modello di riferimento costituzionalmente obbligato anche  per  il
 controllo  previsto  dalla  disposizione  dell'art. 3, comma 4, della
 legge n.  20 del 1994, come sembra adombrare  lo  stesso  rimettente,
 sebbene  allo  stesso  non sfugga, come si evince dall'ordinanza, che
 l'istituto qui in esame, lungi  dal  ricollegarsi  all'art.100  della
 Costituzione,   si   pone,   in   effetti,   come  espressione  della
 discrezionalita' di cui gode il legislatore ordinario. A sostegno del
 denunciato vizio dell'art.  3, comma 4, della legge n. 20  del  1994,
 non  pare,  dunque,  possibile  argomentare dal controllo contemplato
 dalla legge n.  259  del  1958  che,  pur  introducendo  fondamentali
 innovazioni,   e'  venuta  a  ricalcare,  quanto  alle  modalita'  di
 individuazione degli enti e alla imputazione della funzione, le linee
 ispiratrici di un ordinamento (legge 19 gennaio 1939, n. 129; r.-d. 8
 aprile 1939, n. 720 e r.-d. 30 marzo 1942, n. 442) in base al  quale,
 gia'  prima  della  Costituzione,  la Corte dei conti concorreva alla
 funzione di controllo su enti individuati  da  un  provvedimento  del
 Ministro  delle  finanze  (art. 1 del menzionato regio decreto n. 720
 del 1939),  previo  accertamento  delle  condizioni  stabilite  dalla
 legge.
   La  legge  n.  259  del 1958 - in attuazione dell'art. 100, secondo
 comma, della Costituzione,  secondo  il  quale  la  Corte  dei  conti
 "partecipa  nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge al controllo
 sulla gestione finanziaria dei c.d. enti sovvenzionati dallo Stato  -
 prevede,   come   presupposto   per  l'assoggettamento  a  controllo,
 l'esistenza della c.d. contribuzione statale ordinaria  (intendendosi
 per  tale,  l'assegnazione di contributi corrisposti con carattere di
 periodicita' ovvero la fruizione, con carattere  di  continuita',  da
 parte  degli enti, di imposte, tasse e contributi, ai sensi di quanto
 contemplato dall'art.  2, ovvero, ancora, l'apporto al patrimonio  in
 capitale  da parte dello Stato, giusta l'art. 12) e, al tempo stesso,
 l'assenza di ipotesi  configurate  come  ostative  (art.  3,  secondo
 comma),  quali  quelle  di  enti di "interesse esclusivamente locale"
 ovvero  di  enti  destinatari  di   contribuzioni   di   "particolare
 tenuita'",   "in   relazione   alla  natura  dell'ente  ed  alla  sua
 consistenza patrimoniale e finanziaria".
   La varieta' e molteplicita' di situazioni  considerate  giustifica,
 percio', la previsione, da parte del primo comma del medesimo art.  3
 della   legge  n.  259  del  1958,  di  una  specifica  procedura  di
 ricognizione e valutazione che si conclude con un  apposito  decreto,
 mentre analoga necessita' non si riscontra per l'individuazione degli
 enti  soggetti  al  controllo previsto dalla disposizione denunciata,
 risultando  quest'ultimo  subordinato  al  solo   presupposto   della
 riconducibilita'  dei medesimi enti alla nozione generale di pubblica
 amministrazione.
   4. - Ne' la delineata ricostruzione del  sistema  legislativo  puo'
 essere  messa  in dubbio dal fatto che la norma censurata affida alla
 Corte dei conti il compito di definire "annualmente i programmi ed  i
 criteri  di  riferimento  del  controllo",  secondo  la locuzione del
 menzionato comma 4 dell'art. 3 della legge n. 20 del 1994.
   Come e' dato desumere anche dalla gia' citata  sentenza  di  questa
 Corte  n.  29  del  1995,  la  definizione  periodica  di  criteri di
 riferimento non riguarda la sfera di competenza affidata  alla  Corte
 dei  conti  dalla  disposizione  denunciata, ne' la determinazione in
 astratto degli enti in  essa  rientranti,  alla  luce  della  nozione
 fornita  dalla  legge  stessa,  ma  concerne,  in correlazione con il
 contenuto delle nuove funzioni, i parametri di giudizio che la stessa
 Corte dei conti e' tenuta ad osservare. E  cio'  avendo  riguardo  ai
 modelli  operativi  nascenti dalla comune esperienza e razionalizzati
 nelle conoscenze tecnico-scientifiche  delle  discipline  economiche,
 aziendalistiche  e  statistiche, nonche' della contabilita' pubblica,
 in  vista   dell'accertamento   della   rispondenza   dei   risultati
 dell'attivita'  amministrativa  agli obiettivi stabiliti dalla legge,
 come pure della valutazione comparativa dei costi, modi e tempi dello
 svolgimento dell'attivita' stessa.  In questo contesto, il compito di
 determinare annualmente detti criteri si pone come auto-limite inteso
 a razionalizzare ex ante l'opera di controllo sulla gestione.
   Del pari diretta a razionalizzare l'attivita' di  controllo  e'  la
 parallela previsione che impone di definire annualmente i "programmi"
 di  attivita'; previsione, quest'ultima, che si giustifica perche' il
 controllo sulla gestione  non  puo'  indirizzare  le  verifiche  alla
 generalita'  delle pubbliche amministrazioni, ma deve necessariamente
 svolgersi a "campione", attraverso un esame  orientato  di  volta  in
 volta alle materie, ai settori e alle gestioni ritenuti cruciali.  Il
 vincolo  che  in  tal  guisa  si  impone  alla  Corte  dei  conti  di
 predisporre annualmente i  programmi  impedisce,  quindi,  che  essa,
 nell'operare  le  scelte  dei  propri  oggetti, possa individuarli di
 volta  in  volta  a  propria  assoluta  discrezione,  concorrendo  ad
 assicurare,  percio',  ulteriormente,  anche  a garanzia dell'ente in
 concreto controllato, la razionalita' e la  trasparenza  dell'operato
 dell'organo di controllo.
   5.  -  Non  maggior  fondamento  ha la seconda delle premesse dalle
 quali muove il rimettente nel  ritenere  che  l'individuazione  degli
 enti,  rientrando,  per  effetto della contestata disposizione, nella
 competenza della Corte dei  conti,  venga  attratta  nella  sfera  di
 insindacabilita'  che  ne  assiste  le  determinazioni,  si'  da  non
 consentire agli enti  stessi  alcun  rimedio  giurisdizionale  contro
 l'illegittimo assoggettamento a controllo.
   Dal  richiamo  fatto  dall'ordinanza stessa a quella giurisprudenza
 che ha ritenuto gli atti della Corte dei conti non impugnabili in via
 giurisdizionale,   non   puo'   farsi   discendere   il    corollario
 dell'insindacabilita'  anche  della  verifica  delle condizioni e dei
 presupposti di esistenza del potere esercitato. A parte l'ipotesi del
 conflitto di attribuzione, ove, beninteso, sussistano gli estremi per
 l'esperimento dello stesso, va considerato, a tacer d'altro, che  la'
 dove  non  vengano  in  rilievo  le ragioni, connesse alla natura del
 controllo quale funzione imparziale, che in passato la giurisprudenza
 ha ritenuto idonee  a  giustificare  la  sottrazione  degli  atti  al
 sindacato  giurisdizionale, non possono non riespandersi principi che
 la  Corte  ha  ripetutamente  annoverato  fra   quelli   fondamentali
 dell'ordinamento  costituzionale (v. sentenze n. 18 del 1982 e n. 100
 del 1987). Ne discende che le determinazioni della Corte  dei  conti,
 in  ordine all'individuazione degli enti da assoggettare a controllo,
 non escludono, per gli enti stessi la garanzia della  tutela  innanzi
 al  giudice  (art.  24  della  Costituzione),  restando,  percio', in
 discussione non gia' l'an ma solo  il  quomodo  di  detta  tutela  e,
 quindi,  un  problema  di interpretazione della normativa vigente, la
 cui soluzione, ovviamente, esula dall'oggetto del presente giudizio.
   Anche sotto questo profilo la questione  e'  da  ritenere,  dunque,
 infondata,  non  essendo  dato scorgere nella disposizione denunciata
 alcun vulnus del diritto di agire in giudizio, da reputarsi  comunque
 garantito.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  4,  della  legge  14
 gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni  in  materia di giurisdizione e
 controllo  della  Corte  dei  conti),  sollevata   dalla   Corte   di
 cassazione,  Sezioni  unite  civili,  con  le  ordinanze  indicate in
 epigrafe,  per  contrasto  con  l'art.  100  della  Costituzione,  in
 riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
                       Il cancelliere: Fruscella
 97C1527