N. 891 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 ottobre 1997

                                N. 891
  Ordinanza  emessa  il 20 ottobre 1997 dal pretore di Ancona, sezione
 distaccata di Fabriano nel procedimento penale a  carico  di  Santini
 Reno
 Processo  penale  -  Dibattimento - Legittimo impedimento a comparire
    del  difensore  (nella  specie:  a  causa  di  evento  sismico)  -
    Lamentata  previsione  indifferenziata di rinvio o sospensione del
    dibattimento  -   Irragionevolezza   del   previsto   rinvio   nel
    presupposto   interpretativo  che  l'eliminazione  dell'inciso  "o
    rinvia"  renderebbe  la  disposizione  riconducibile  ai  casi  di
    sospensioine  della  prescrizione  di cui all'art.  159 del c.p. -
    Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione  penale  -
    Lesione  del  principio  di  buon  andamento della amministrazione
    della  giustizia.
 Processo penale - Rinvio o sospensione del dibattimento per legittimo
    impedimento a comparire del  difensore  -  Sospensione  del  corso
    della prescrizione - Mancata previsione - Violazione del principio
    di  obbligatorieta'  dell'azione penale - Lesione del principio di
    buon andamento dell'amministrazione della giustizia.
 (C.P.P. 1988, art. 486, commi 1  e  3;  c.p.p.  1988,  art.  486,  in
    relazione al codice penale, art. 159, comma 1).
 (Cost., artt. 3, 97 e 112).
(GU n.2 del 14-1-1998 )
                              IL PRETORE
   Letti  gli atti del procedimento penale n. 30296/97 r.g. mod 83, n.
 909/92 r.n.r., a carico  di  Santini  Reno,  ha  emesso  la  seguente
 ordinanza  all'udienza del 20 ottobre 1997 l'avv. Lucia Gatti non era
 presente, avendo fatto tempestivamente pervenire  istanza  di  rinvio
 per gli eventi sismici che avevano interessato il comune di Fabriano,
 sede  del  suo  studio.  Va  precisato che l'avv. Gatti era difensore
 dell'imputato ed il difensore, nominato ex  art.  97,  quarto  comma,
 insisteva  nel  chiedere  rinvio  ai  sensi dell'art. 486 c.c.p., per
 legittimo impedimento del difensore dell'imputato.
   Quanto sopra costituisce una  causa  di  legittimo  impedimento  ai
 sensi dell'art. 486 c.p.p.
   Si  pone  pero'  il problema del termine di prescrizione del reato.
 In assenza di una  norma  specifica,  tale  termine  di  prescrizione
 continuerebbe  a  decorrere,  necessariamente per tutto il periodo di
 durata del legittimo impedimento, che si preannuncia non breve.
   Vero e' che, in  tutte  le  occasioni  di  eventi  tellurici  della
 portata   simile  a  quello  in  essere,  sono  state  emanate  leggi
 eccezionali che dispongono la sospensione dei termini di prescrizione
 per "l'esercizio dei diritti". Ma, a parte il fatto che  ancora  tale
 legge  eccezionale  non  e'  stata emanata, ne' si possono conoscere,
 ovviamente, i termini in cui verra'  redatta,  va  osservato  che  la
 sospensione  del  termine  di prescrizione relativo all'esercizio del
 diritto - che si legge come una sorta di stilema in  tutte  le  leggi
 eccezionali riguardanti le "provvidenze" a favore di zone terremotate
 - riguarda certamente i diritti soggettivi dei privati, ma non sembra
 possa  applicarsi,  in  assenza  di  esplicita previsione, all'azione
 penale, che costituisce esercizio  del  c.d.  potere  punitivo  dello
 Stato,  insuscettibile  di  esprimersi in termini di "esercizio di un
 diritto", com'e' proprio dei rapprti intersoggettivi. La recentissima
 ordinanza del Ministro dell'interno  del  13  ottobre  1997,  ha  poi
 disposto  la  sospensione  dei  termini  "relativi  alle controversie
 giurisdizionali  ed  amministrative"  (comma   sesto   dell'art.   11
 dell'ordinanza  n. 2694 del 13 ottobre 1997).  E' pero' assai dubbio,
 anche qui, che tale sospensione riguardi i termini  di  prescrizione,
 agli  effetti  di  cui  al  primo comma dell'art.   159 c.p., proprio
 perche' trattasi di previsione di carattere assai generale  ed  anche
 questa   dettata,   almeno  in  una  prima  sede  interpretativa,  in
 riferimento alle posizioni  soggettive  di  coloro  che  operano  nel
 processo:  anzi,  poiche' l'art. 11 sopra citato tratta unicamente la
 materia fiscale, non e' da escludere, quindi, ed anzi appare piu' che
 probabile, che le controversie "giurisdizionali  ed  amministrative",
 di  cui  parla la norma, siano solo quelle in materia tributaria. Ne'
 si possono trascurare, in ogni caso,  i  delicatissimi  problemi  che
 sorgerebbero  da  un  eventuale  deroga a fonti normative a carattere
 primario  (le  leggi   processuali,   ivi   comprese   quelle   sulla
 sospensione)
  e  l'ordinanza  del  Ministro  che,  sia pure a carattere normativo,
 fonte primaria non e'.
   Molto spesso la Corte costituzionale e'  venuta  ad  occuparsi  sia
 della   sospensione  che  dell'interruzione  della  prescrizione,  in
 riferimento ad ipotesi denunciate dai  giudici  di  merito.  Numerose
 sono  i  provvedimenti  di  reiezione  di  tali  questioni,  sia  con
 sentenze,   sia,   piu'   spesso   con   ordinanze    di    manifesta
 inammissibilita',  sempre  sul  presupposto  che non e' possibile una
 pronuncia additiva (per di piu' in malam  partem)  che  introduca  un
 nuovo caso di sospensione o interruzione del corso della prescrizione
 del  reato,  essendo  questa  una  scelta  che  appartiene alla sfera
 insindacabile e discrezionale del legislatore.
   Va subito detto, in punto  di  rilevanza  della  questione  che  si
 intende  prospettare,  che  non  puo',  ad  avviso di questo pretore,
 costituire un  precedente  rilevante  nella  fattispecie  l'ordinanza
 della  Corte n. 115 del 28 aprile 1983, la quale fa perno sul difetto
 di  rilevanza,  prospettandosi  la  prescrizione  come  astratta   ed
 ipotetica.  Il  quadro  normativo attuale prevede invece pericoli ben
 concreti  di  prescrizione,  sopratutto  nei  successivi   gradi   di
 giudizio,  e  cio'  e' un dato innegabile, ne' ascrivibile, se non in
 minima parte,  ad  un  lassismo  degli  organi  giudiziari  ovvero  a
 posizioni strumentali dei difensori.
   Si  fronteggiano  da  un  lato  le  esigenze che i processi vengano
 celebrati   in   termini   ragionevoli,   dall'altro    il    diritto
 dell'imputato,  "legittimamente  impedito",  ad una idonea difesa per
 cause rientranti nella sua sfera ovvero in quella del suo  difensore.
 Terreno  di frequente elaborazione concettuale, al riguardo, e' stato
 quello dello "sciopero" degli avvocati. Assai indicativa, addirittura
 piu'  che  per  la  statuizione  in  se'  per  le  implicazioni   che
 necessariamente  comporta, Cass., sez.  Vl, 17 dicembre 1992-5 luglio
 1993, imp. Montapuoli. Testualmente:   "... la  corte  di  merito  ha
 legittimamente applicato il principio del bilanciamento di interessi,
 posti  dall'ordinamento  a  base  dei  diritti  di tutela processuale
 nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, dando prevalenza  a
 quello  dello  Stato,  diretto  ad evitare l'estinzione del reato per
 prescrizione,   rispetto   a   quello  del  difensore  dell'imputato,
 concernente il pur  legittimo  esercizio  dei  diritti  personali  di
 liberta'  indicati nel ricorso, in particolare di quello di astenersi
 dal partecipare alle udienze.  La ragione che giustifica tale  scelta
 va  rinvenuta  nella  concreta  possibilita' di alternativa, rispetto
 allo svolgimento della difesa di fiducia dell'imputato  ...  mediante
 l'istituto  della  difesa d'ufficio, a fronte della impossibilita' di
 sospensione del corso della prescrizione del reato, limitata ai  casi
 tassativamente  indicati nell'art. 159 c.p., ed in mancanza di eguale
 previsione per il caso di esercizio del diritto di sciopero da  parte
 del   difensore   dell'imputato,  nella  forma  del'astensione  dalle
 udienze, che  pure  costituirebbe  una  apprezzabile  eccezione  alla
 regola   generale   (artt.   157  e  160  c.p.)  se  il  legislatore,
 nell'esercizio  del  suo  insindacabile   potere   discrezionale   di
 valutazione    comparata   degli   interessi   generali,   intendesse
 introdurla". Piu' che di bilanciamento, in realta', appare  trattarsi
 di  due  principi in tensione non sanabile, cosicche' prevale l'uno e
 l'altro viene sacrificato, a seconda delle ipotesi.  In  particolare,
 pare  avallata un'intepretazione dell'art.  486 c.p.p. che presuppone
 una sorta di gerarchia nell'ambito della  piu'  generale  nozione  di
 "legittimo  impedimento":  cosa  sarebbe  avvenuto, ad esempio, nella
 fattispecie esaminata dalla Cassazione, laddove l'imputato o  il  suo
 difensore  fossero  ammalati in maniera tale da non poter presenziare
 all'udienza? La risposta appare evidente, nel senso che in  tal  caso
 l'art.  486  c.p.p.  avrebbe  precluso  comunque  la  trattazione del
 processo. E dunque, sembra, che in alcune  ipotesi,  si  avrebbe  una
 sorta  di  impedimento  assoluto,  in altre ipotesi l'impedimento non
 sarebbe cosi' grave da non essere comparativamente  valutato  (o,  in
 termini  piu'  brutali,  da  dover  cedere  il  passo)  rispetto alle
 esigenze di un celere svolgimento del processo.
   Peraltro appare assolutamente inesatto presupporre, sia pure in via
 implicita, questa sorta di gerarchia nell'ambito degli impedimenti di
 cui all'art. 486 c.p.p.,  cosi'  come  non  convince  il  riferimento
 concettuale ad una sorta di composizione fra le contrapposte istanze,
 quelle  relative  al  potere  punitivo  dello Stato e quelle relative
 all'effettiva possibilita' del diritto di difesa.
   Quanto al primo punto, notiamo che il  primo  comma  dell'art.  486
 cp.p.   parla   di   "assoluta   impossibilita'  a  comparire".  Tale
 impossibilita' a comparire  e'  -  sintatticamente  ancor  prima  che
 logicamente   -  legata  a:  caso  fortuito,  forza  maggiore,  altro
 legittimo impedimento; che non vi sia alcuna  gerarchia  tra  le  tre
 ipotesi e' anche confermata dal quinto comma, il quale, relativamente
 al  difensore,  si  limita  a  parlare di "assoluta impossibilita' di
 comparire per legittimo impedimento", laddove e' lapalissiano che  il
 legittimo  impedimento,  a fortiori, non puo' non ricomprendere anche
 il caso fortuito  e  la  forza  maggiore  operanti  nella  sfera  del
 difensore.
   D'altro  canto  il  giudice  dispone  della  c.d.  discrezionalita'
 tecnica, per cui deve valutare nel merito se  sussistono  o  meno  le
 condizioni  di  legge  per  il  legittimo  impedimento,  ma  non puo'
 stabilire  l'opportunita'  di  valutare  la  gravita'  del  legittimo
 impedimento  e,  conseguentemente,  decidere  se  trattare  o meno il
 processo. In altre parole, il legittimo impedimento  dell'imputato  o
 del  suo  difensore  c'e' o non c'e', una volta stabilito che vi sia,
 non  puo'  mai  il giudice "affievolire" il diritto di difesa sotteso
 all'impedimento quando vi sia un  interesse  "piu'  forte"  e  quindi
 capace di "degradare" l'interesse contrapposto (prendendo in prestito
 una immagine del diritto amministrativo).
   Ma  anche  nella  specifica motivazione alla base della soccombenza
 del diritto  di  difesa  di  fronte  al  diritto  (rectius,  potesta'
 punitiva)  statuale,  non  puo'  affatto  condividersi l'affermazione
 secondo cui la difesa,  non  esercitata  dal  difensore  di  fiducia,
 sarebbe  comunque  garantita dal difensore d'ufficio. Tale difensore,
 necessariamente nominato ai sensi dell'art. 97, quarto comma  c.p.p.,
 avrebbe  pur  sempre  diritto al termine a difesa che presumibilmente
 chiederebbe, proprio stante la situazione d'impedimento del  collega:
 infatti  non  e'  accettabile l'interpretazione propugnata da taluno,
 secondo la quale al difensore  nominato  ex  art.  97,  quarto  comma
 c.p.p. non si applicherebbe l'art. 108 c.p.p. e cio' sia perche' tale
 interpretazione  e'  smentita  dal  dato letterale (l'art. 108 c.p.p.
 parla   di   "nuovo   difensore   dell'imputato...    designato    in
 sostituzione",  l'art.  97, quarto comma prevede che "il giudice o il
 pubblico   ministero   designa   come   sostituto   altro   difensore
 immediatamente  reperibile";  cfr.  anche,  sull'applabilita'  a tale
 particolare sostituto dell'art. 102 c.p.p., Cass., sez.  I,  n.  3296
 dell'8  ottobre  1991)  sia, e sopratutto, perche' il nuovo codice ha
 cercato di perseguire l'effettivita' della difesa anche del difensore
 nominato d'ufficio, con poteri e facolta'  sostanzialmente  uguali  a
 quelli del difensore di fiducia.
   Pertanto  non  e' affatto assicurata quella pronta celebrazione del
 dibattimento, idonea ad evitare la prescrizione,  laddove  la  difesa
 sia  affidata  al  difensore d'ufficio, perche' quest'ultimo, ex art.
 108 c.p.p. potrebbe (e verosimilmente lo fara') chiedere il termine a
 difesa, con conseguente spostamento dell'udienza.
   L'effettivo contemperamento dei due valori costituzionali di cui si
 sta discutendo sarebbe invece assicurato dalla sospensione del  corso
 della  prescrizione  del  reato  nel caso di impedimenti ex art.  486
 c.p.p. Dal ragionamento sopra fatto, e' evidente che, nel  caso  tale
 contemperamento   non  possa  raggiungersi,  dovrebbe  sempre  essere
 assicurato il  diritto  di  (effettiva)  difesa,  ma  e'  altrettanto
 evidente che la possibilita' di esercizio dell'azione penale verrebbe
 nel  concreto  vanificata  dal  decorso  del termine di prescrizione,
 dovendosi  pertanto  sacrificare  uno  dei  due  valori  di   rilievo
 costituzionale  (scegliere  il  minore  dei  mali).  Il  risultato e'
 comunque inaccettabile, perche' la certezza del diritto e  la  tutela
 del  bene  giuridico,  oggetto della tutela penale, hanno particolare
 rilievo costituzionale.
   Ma, come  sopra  accennato,  tale  risultato  si  puo'  raggiungere
 solamente  attraverso  una previsione legislativa, peraltro auspicata
 da piu' parti. Un'espressa previsione, cioe' che,  nel  caso  in  cui
 occorra  necessariamente  provvedere  a  differire la trattazione del
 processo per il  legittimo  impedimento  dell'imputato  e/o  del  suo
 difensore  per  non  ledere  il  diritto  di difesa, sia nel contempo
 assicurata l'effettivita' dell'esercizio del potere punitivo da parte
 dello Stato.
   A questo punto non  puo'  non  riscontrarsi,  a  parere  di  questo
 giudice,   una   tendenza  evolutiva,  sullo  specifico  punto  della
 prescrizione, della giurisprudenza della Corte costituzionale
   Secondo  una  prospettiva  che  si  potrebbe definire sanzionatoria
 rispetto a comportamenti strumentali, si segnala, in questo iter,  la
 sentenza  n.  10  del  9-23 gennaio 1997. E' importante notare che il
 giudice remittente aveva prospettato, in alternativa, la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 37, comma 2 e 124, commi 1  e
 2  del  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non prevedono che, in caso di
 reiterazione della dichiarazione di ricusazione, il  giudice  potesse
 ugualmente  emettere  la  sentenza,  ovvero  nella  parte  in cui era
 preclusa la sospensione dei termini di prescrizione dei reati  per  i
 quali si procedeva.
   La Corte dichiarava assorbita dalla dichiarazione di illegittimita'
 dell'art.   37,   comma  2,  la  questione  prospettata  in  tema  di
 prescrizione, senza dunque  entrare  nel  tema  dell'inammissibilita'
 della questione.
   Ancora  piu'  importante  appare  la precedente sentenza n. 114 del
 23-31 marzo 1994. A parte  l'auspicata  regolamentazione  legislativa
 della  questione,  va  sottolineato  l'esame condotto dalla Corte dei
 rapporti fra l'art. 486 c.p.p. e la  possibilita'  di  sospendere  il
 processo.  L'Avvocatura  dello  Stato aveva rimarcato la possibilita'
 secondo la quale l'art. 486  c.p.p.,  nella  sua  portata  letterale,
 sembrava   demandare   al  giudice  la  possibilita'  di  scelta  tra
 sospensione o rinvio,  potendosi  quindi  ravvisare  nella  possibile
 sospensione una di quelle cui fa riferimento il primo comma dell'art.
 159  c.p.p.    La  Corte  non  accoglieva  tale  interpretazione.  In
 particolare, veniva osservato che ne' sotto  la  vigenza  del  codice
 abrogato  ne'  con  riferimento  al  nuovo  codice di rito, risultava
 essersi  affermata  in  dottrina  o  in   giurisprudenza   una   tesi
 interpretativa   che   avesse   ricondotto   le   ipotesi   di  stasi
 dibattimentale  dovute  all'impedimento  dell'imputato  o   del   suo
 difensore  nel'alveo  del  concetto  di  sospensione del procedimento
 penale.
   Occorre pero' osservare a questo punto:
     1) e' sicuro che l'art 486  c.p.p.  incorre  in  una  "disarmonia
 terminologica" laddove fa riferimento alla sospensione o al rinvio in
 maniera   indifferenziata:   su   cio'  la  Corte  costituzionale  e'
 d'accordo;
     2) laddove il legislatore  prevede  che,  in  caso  di  legittimo
 impedimento,  il  giudice  "sospende  o rinvia" il dibattimento, tale
 espressione  appare  ridondante  da  un  lato  e   di   assai   ardua
 comprensione dall'altro.
   E'   evidente  che,  se  sospensione  e  rinvio  hanno  un  diverso
 significato, e  non  possono  non  averlo,  il  giudice,  laddove  si
 verifichi  l'impedimento  potra',  secondo la portata letterale della
 norma, dalla quale non si puo' prescindere,  sospendere  o  rinviare.
 Ma, se sospende, non rinvia, se rinvia, non sospende. Sospensione del
 dibattimento   e   rinvio   sono  sicuramente  compatibili,  come  ci
 confermano l'art. 477 c.p.p.   (che parla di  "prosecuzione")  e  gli
 artt.  508  e  509 c.p.p. (che parlano di fissazione della data della
 nuova udienza), ma quello che cio' sta a significare e' semplicemente
 che anche nel caso di sospensione,  la  regola  generale  e'  che  la
 successiva udienza venga comunque prefissata.
   A fronte di tale assetto normativo, o l'espressione di cui sopra va
 intesa  nello  stesso senso di cui agli artt. 477, 508, 509 c.p.p.  i
 quali non configurano altro che  varie  ipotesi  di  sospensione  con
 rinvio  ad udienza fissa, ovvero non ha alcun significato logico, non
 potendo  certo  i  due  termini corrispondere a concetti equivalenti.
 Cio' nonostante, i due termini, nei massimari, si trovano  utilizzati
 in  maniera  assolutamente  indifferente  ed  intercambiabile.  Nella
 prassi  assolutamente  dominante,  poi,  ancora  piu'   curiosamente,
 l'interpretazione   data   all'endiade  usata  nell'art.  486  c.p.p.
 ("sospende o rinvia"), e' quella di un differimento ad altra udienza,
 ove   si   ritenga   sussistente   il   legittimo   impedimento.   E'
 verosimilmente  tale  ultima  situazione quella cui fa riferimento la
 sentenza  n.  114/1994,  laddove  parla   di   linea   interpretativa
 presupposta dal giudice a quo, sin qui priva di adeguati contrasti, e
 che  non  puo' essere disattesa dalla Corte.  Sempre nella prassi, la
 sospensione prevista dall'art. 486 c.p.p.   viene  anche  vista  come
 sospensione ad horas nell'ambito di un'udienza fissata nella medesima
 giornata  anche  tale  interpretazione, tuttavia, se pure puo' essere
 comprensibile dal punto di vista pratico, non  trova  alcun  supporto
 nel   diritto   positivo,  poiche'  si  fonda  sulll'indimostrato  ed
 indimostrabile  assunto  che  il  legislatore,   laddove   parla   di
 sospensione  del  processo,  intenda  riferirsi ad un'interruzione di
 fatto, circoscrivibile al massimo nell'arco di una giornata.
   Ritiene invece questo giudice che la linea interpretativa,  cui  fa
 cenno,  incidentalmente, la Corte, possa essere contrastata alla luce
 di quanto sopra detto. Se cosi' e', le alternative non possono essere
 che due:
     la congiunzione "o" e' una sorta di refuso, un lapsus in  cui  e'
 incorso  il  legislatore, dovendosi intendere non "sospende o rinvia"
 bensi' "sospende e rinvia", con  cio'  ritornandosi  nell'ipotesi  di
 rinvio  ad  udienza  fissa conseguente alla sospensione del processo.
 Basta una mera interpretazione del dato letterale, in tale ipotesi;
     l'espressione "sospende o rinvia" e' insuscettibile di  qualsiasi
 interpretazione  logica  o  accettabile,  non  potendosi  tra l'altro
 individuare - se effettivamente essi sono due istituti differenti  ed
 alternativi  -  quali siano i casi in cui il giudice sospende e quali
 siano quelli in cui  rinvia:  tale  difficolta'  e'  adombrata  dalla
 stessa Corte nella predetta sentenza n. 114.
   La  riconduzione del sistema a razionalita' e civilta' e' possibile
 non mediante una sentenza additiva, bensi'  attraverso  una  sentenza
 declaratoria  di  illegittimita'  dell'inciso  "o  rinvia". Dopo tale
 declaratoria, il periodo e' perfettamente comprensibile, ragionevole,
 impedendo anche l'indebito decorso del periodo  di  prescrizione:  la
 sospensione  del  processo  diviene  non  ipotesi  controversa bensi'
 previsione tassativa, perche' richiamata dal  primo  comma  dell'art.
 159 c.p.
   In  via  subordinata, non appare a questo giudice azzardata l'altra
 opzione ripetutamente sollecitata dai giudici di merito, sia  perche'
 l'inerzia  del  legislatore, a fronte degli auspici manifestati dalla
 stessa  Corte,  persiste,  sia  perche'  la   portata   additiva   di
 un'eventuale   sentenza   declaratoria   di   incostituzionalita'  si
 limiterebbe a rendere esplicito un principio che  appare  insito  nel
 sistema  normativo, e che non puo' essere applicato proprio in virtu'
 della specifica portata  letterale  del  primo  comma  dell'art.  159
 c.p.p.  Che poi si tratti di una pronuncia in malam partem non sembra
 determinante, perche' la declaratoria  verrebbe  ad  incidere  in  un
 tessuto normativo che non puo' non definirsi a carattere strettamente
 processuale,  e solo in via indiretta, di diritto penale sostanziale,
 limitatamente  ai  riflessi  sulla   regolamentazione   della   causa
 estintiva del reato.
   Sotto  tale  ultimo  profilo,  andrebbe  condivisa  la recentissima
 ordinanza del pretore di Verbania (Gazzetta Ufficiale  n.  41  dell'8
 ottobre   1997,   pag.   87)   la   quale  denuncia  l'illegittimita'
 costituzionale  secondo  paradigmi  gia'  tracciati  (e  sinora   non
 condivisi dalla Corte).  Sul punto va solo precisato che il contrasto
 con  l'art.  97  della  Costituzione  non  si verificherebbe sotto lo
 stretto profilo dell'andamento dell'attivita' giurisdizionale (l'art.
 97 della Costituzione non  riguarda  l'attivita'  giurisdizionale  in
 senso   stretto   secondo  la  giurisprudenza  della  Corte)  ma  per
 l'ingiustificato  aggravio  che  comporterebbe   sotto   il   profilo
 organizzativo-burocratico  delle  cancellerie,  dal  momento  che  le
 strutture giudiziarie dovrebbero farsi carico di destinare  personale
 e  risorse  rispetto  a  numerosi procedimenti il cui esito probabile
 sarebbe quello di un'estinzione del reato:  vistoso, in tal senso, e'
 il caso dell'ingente personale delle procure circondariali.
   Cio' posto, va dichiarata rilevante e non manifestamente  infondata
 la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'inciso "o rinvia"
 contenuto nel primo e nel  terzo  comma  dell'art.  486  c.p.p.,  per
 contrasto con il principio di ragionevolezza sotteso all'art. 3 della
 Costituzione,  nonche'  con  l'art.  112 della Costituzione, relativo
 all'esercizio   dell'azione   penale,    che    sarebbe    altrimenti
 neutralizzato,  ed  anche in relazione all'art. 97 della Costituzione
 c0si' come sopra prospettato.
   In    via    alternativa    e    subordinata,     va     denunciata
 l'incostituzionalita' dell'art. 486 c.p.p., in relazione all'art. 159
 c.p.  ,nella  parte  in cui non prevede fra i casi di sospensione del
 procedimento da cui discende la sospensione  della  prescrizione,  il
 "legittimo  impedimento"  che  rende  necessario  il differimento del
 processo
                               P .Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'   costituzionale  dell'art.  486  c.p.p.,  limitatamente
 all'inciso "o rinvia" contenuto nel primo e terzo comma del  predetto
 articolo, per contrasto con gli art. 3, 97 e 112 della Costituzione;
   In   via  subordinata,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  486
 c.p.p.,  in relazione all'art. 159, primo comma del c.p., nella parte
 in cui non prevede tra i casi di sospensione del procedimento da  cui
 discende  la  sospensione  della  prescrizione  il  differimento reso
 necessario  dalla  sussistenza  di  un  legittimo  impedimento,   per
 contrasto con gli artt. 97 e 112 della Costituzione;
   Sospende  il  procedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente  ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
 cancelleria  al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere, dandosi atto della  lettura  in  udienza
 per  gli altri soggetti destinatari. Si notifichi altresi' al Santini
 Reno.
     Fabriano, addi' 20 ottobre 1997
                         Il pretore: Marziali
 97C1492