N. 894 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 1997
N. 894 Ordinanza emessa il 7 novembre 1997 dal pretore di Fermo sul ricorso proposto da Di Carlo Mario ed altri contro il Ministero di grazia e giustizia Ordinamento giudiziario - Magistrati onorari - Giudice di pace - Compenso mediante indennita' di L. 45.360 per ogni giorno di udienza per non piu' di dieci udienze al mese e di L. 56.700 per ogni sentenza che definisce il processo ovvero per ogni verbale di conciliazione - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo della disparita' di trattamento del giudice di pace, non fruente di altri redditi e, pertanto, impossibilitato, se non abbiente, all'esercizio delle sue funzioni per l'assoluta indadeguatezza del compenso (non commisurato alla quantita' e qualita' del lavoro svolto e insufficiente a garantire a lui e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa) e il giudice di pace possessore di altri redditi. (Legge 21 novembre 1991, n. 374, art. 11). (Cost., art. 3).(GU n.2 del 14-1-1998 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di lavoro promossa dai ricorrenti Di Carlo Mario, Giammarco Ercole ed Ilari Enrica, contro il Ministero di grazia e giustizia (n. 477/97); Rilevato che i ricorrenti, giudici di pace nel circondario di Fermo, domandano la condanna del Ministero convenuto al pagamento della indennita' speciale prevista dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27 come spettante ai magistrati ordinari, tra i quali, secondo l'assunto dei ricorrenti, devono essere annoverati i giudici di pace; Rilevato che la difesa erariale oppone che il compenso spettante ai giudici di pace e' regolato e determinato dall'art 11 della legge 21 novembre 1991 n. 374, che lo denomina indennita' e ne quantifica l'ammontare, sicche' nessun altro compenso ad essi compete; Ritenuto che tale tesi appare fondata, essendo evidente che l'art. 11 citato esprime l'intenzione del legislatore di corrispondere un compenso nella misura determinata dalla norma stessa, senza lasciare spazio ad ulteriori pretese, meno che mai con riferimento a voci della retribuzione dei pubblici dipendenti magistrati ordinari; Ritenuto che peraltro deve dubitarsi della costituzionalita' della norma poiche' essa prevede un compenso inadeguato, siccome insufficiente ed incongruo; Ritenuto che tale dubbio insorge alla stregua della considerazione: 1) della rilevanza, ed addirittura della preminenza costituzionale della funzione giudiziaria; 2) della specifica, effettiva importanza che l'opera dei giudici di pace assume nella amministrazione della giustizia; 3) della inadeguatezza del compenso che la legge prevede per i giudici di pace, in misura sicuramente insufficiente ad assicurare ad essi una esistenza dignitosa; 4) della conseguente impossibilita', per la generalita' dei cittadini, di concorrere, su un piano di parita' rispettoso dei principi costituzionali, alla funzione giudiziaria cosi detta onoraria, che rimane inevitabilmente riservata ai cittadini abbienti, mentre rimangono esclusi i cittadini che, pur essendo in possesso di tutti gli altri requisiti, non fruiscano di reddito diverso ed ulteriore, rispetto alla denominata indennita', prevista e determinata dalla legge per i giudici di pace, in misura assolutamente insufficiente a sovvenire alle loro necessita' di vita; Ritenuto che, per quanto attiene al primo punto, tutto il sistema costituzionale attribuisce preminenza alla funzione giudiziaria, poiche' "la giustizia e' amministrata in nome del popolo" e "i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 della Carta costituzionale), in un contesto di liberta', e di legalita'; Ritenuto che, per quanto concerne il secondo punto, e' di tutta evidenza che la legge conferisce al giudice di pace una competenza vasta ed importante nella quale rientrano controversie di valore che deve essere considerato piu' che rilevante, alla stregua di una valutazione che puo essere compiuta, secondo parametri reperibili tra i fatti notori, ed in particolare con riferimento al reddito medio, ed al medio tenore di vita, quali essi sono desumibili dalle statistiche ufficiali, ed ulteriori, utili elementi di comparazione sono rappresentati dalle retribuzioni previste dalla contrattazione collettiva, e dal livello delle prestazioni previdenziali e assistenziali; sicche' non e' possibile qualificare la giustizia amministrata dai giudici di pace come "giustizia bagatellare"; siffatta opinione e' invero l'espressione di una insensibilita' di soggetti privilegiati nei confronti della grande maggioranza della popolazione, i cui problemi, ed i conseguenti conflitti economici, meritano rispetto e considerazione; ovvero e' il frutto dell'atteggiamento di chi sminuisca la cosi' detta "giustizia minore" per costituirsi l'alibi per un disimpegno nei confronti della reale, effettiva amministrazione della giustizia, da erogarsi come servizio a tutti i cittadini, con tempi e costi accettabili, mentre si vorrebbe gabellare come "giustizia superiore" una sorta di palestra riservata al dibattito dei massimi problemi, per cui tempi e costi non rappresenterebbero intralcio; Ritenuto che se cio' vale sul piano della rilevanza oggettiva della competenza del giudice di pace, tanto vale altresi' per quanto concerne il profilo dell'esclusivita' e della non surrogabilita' dell'opera di tale giudice, al quale non possono certamente applicarsi le considerazioni, ricorrenti anche nella giurisprudenza, in ordine alla funzione vicaria, complementare e di supplenza dei giudici onorari, considerazioni che possono essere ritenute valide soltanto per diverse figure di giudici onorari, che sostituiscono il giudice togato in caso di necessita', o lo coadiuvano, ma non assolvono, come i giudici di pace, una funzione giudiziaria autonoma e, nell'ordinamento giudiziario, non sostituibile; Ritenuto che, per quanto riguarda il terzo punto, l'inadeguatezza del compenso previsto dall'art. 11 cit. e' di tutta evidenza, poiche' una semplice, elementare operazione aritmetica, quale e' la moltiplicazione del compenso unitario previsto con riferimento alle singole attivita' per il numero delle attivita' possibili nell'unita' di tempo considerata, conduce ad un risultato che deve essere valutato come assolutamente inferiore alle esigenze di vita del cittadino, alla stregua del notorio (art. 115, comma secondo c.p.c.), e del parametro costituzionale di adeguatezza (cfr. l'art. 36 della Carta); Ritenuto che, di tale inadeguatezza il legislatore era ben consapevole, come e' desumibile dalla voluta esclusione di qualsiasi connotato di corrispettivita', laddove si afferma che "l'ufficio del giudice di pace e' onorario" (comma primo dell'art. 11 cit.), si qualifica il compenso come "indennita'", e si prevede la cumulabilita' della indennita' "con i trattamenti pensionistici e di quiescenza comunque denominati" (comma 4-bis aggiunto dall'art. 15 del d.-l. 7 ottobre 1994 convertito in legge 6 dicembre 1994 n. 673); Ritenuto che seppure il legislatore e' sovrano nel denominare come piu' gli aggrada compensi come indennita', ed uffici come onorari, egli non puo' attribuire ad essi natura diversa da quella che essi nella realta' assumono, e caratteri difformi dalla verita'; sicche' a nessuno, e neppure al legislatore e' dato disconoscere che il giudice di pace svolge (o dovrebbe svolgere) con competenza ampia, ed impegno pieno, una funzione vasta, ed insostituibile, di amministrazione della giustizia; sicche' nel vigente sistema, come esso e' regolato, la maggior parte delle controversie civili sono attribuite alla competenza del giudice di pace, e sino ad un valore che la gran parte degli interessati puo' a ragione considerare ragguardevole; e laddove il numero delle controversie e' modesto, cio' deve certamente attribuirsi a disfunzioni ed inefficienza dell'apparato e nell'apparato giudiziario, ed al conseguente scoraggiamento dei potenziali utenti, e non ad una scarsa rilevanza del servizio pubblico - amministrazione della giustizia che i giudici di pace dovrebbero assicurare; Ritenuto pertanto che l'amministrazione della giustizia e' funzione primaria, che essa e' attribuita in parte importante ai giudici di pace, che possono e debbono svolgerla con un impegno che e' (o dovrebbe essere) di assoluta rilevanza, rimane da valutare se l'inadeguatezza dell'indennita', prevista dall'art. 11 cit., costituisca violazione di norma costituzionale; Ritenuto che l'insufficienza del compenso inficia certamente il prestigio del giudice, e pregiudica l'efficienza del servizio, ma non costituisce ostacolo assoluto alla amministrazione della giustizia, sicche' non puo' ipotizzarsi, sotto tale esclusivo profilo, una violazione delle norme costituzionali che prevedono e sanciscono il diritto alla tutela giurisdizionale; Ritenuto che tale insufficienza costituisce peraltro impedimento di fatto all'esercizio della funzione giurisdizionale, mediante la partecipazione ad essa, come giudice di pace, per tutti quei soggetti che non fruiscano di reddito aggiuntivo, con violazione del principio di' uguaglianza dei cittadini, sicche' si costituiscono due categorie: quella dei cittadini abbienti, che possono concorrere alla funzione giurisdizionale come giudici di pace, e quella composta da tutti gli altri cittadini, che da tale funzione sono estromessi, solo perche' non hanno altro reddito, e non potrebbero procurarselo svolgendo attivita' lavorativa, poiche' l'ufficio del giudice di pace richiede impegno costante e gravoso; Ritenuto che tale discriminazione appare addirittura prevista e voluta dal legislatore, che sembra aver prescelto un modello di giudice di pace ispirato da antiche esperienze, dei tempi in cui si riservava l'amministrazione della giustizia ai maggiorenti, siccome compartecipi del comune sentire dei ceti dominanti; e cio' mediante la discriminazione conseguente alla gratuita' degli incarichi, che li rendeva sopportabili, ed esercitabili, soltanto per coloro che appartenevano al ceto degli abbienti; Ritenuto che un giudice che abbia tale carattere non puo' trovare ingresso nel vigente sistema costituzionale, per assoluta incompatibilita' con i principi democratici che ispirano la costituzione; e poco importa che il ricorso al modello del giudice onorario inadeguatamente retribuito sia stato presumibilmente dettato da mere finalita' di risparmio, o da considerazioni di interesse delle categorie degli operatori del diritto; anche se non ispirata da intenti discriminatori la norma della cui costituzionalita' si dubita produce comunque una evidente e stridente discriminazione; infatti se il giudice di pace deve svolgere attivita' ampia ed impegnativa, l'insufficienza della sua retribuzione esclude, automaticamente, dall'ufficio i cittadini non abbienti, che non potrebbero ad esso dedicare il tempo e l'impegno necessario in quanto sprovvisti di redditi non di lavoro: ne' potrebbe ipotizzarsi che essi siano in grado di trarre guadagno da altra attivita' lavorativa, non esistendo la possibilita' di svolgere una attivita' lavorativa ampia e redditizia per un cittadino incaricato di un ufficio tanto impegnativo quale deve essere ritenuto, per i motivi esposti, l'ufficio del giudice di pace; Ritenuto pertanto che il sistema, cosi' come configurato dall'art. 11 cit., propone soltanto due alternative: la prima, ovviamente inaccettabile, e' che l'amministrazione della giustizia venga resa dai giudici di pace come attivita' ulteriore rispetto ad altra attivita' lavorativa, con pregiudizio evidente ed irreparabile per un servizio pubblico primario: e la seconda e' che alla attivita' di amministrazione della giustizia si dedichino solamente i cittadini che fruiscano di redditi ulteriori, con esclusione di tutti gli altri soggetti; Ritenuto che invece potrebbe considerarsi come rispettoso del principio costituzionale di eguaglianza, e quindi costituzionalmente legittimo, soltanto un trattamento che prevedesse per il giudice di pace un compenso adeguato, tale da consentire a ciascun cittadino, che ne abbia i requisiti, di concorrere all'ufficio, nella consapevolezza che ad esso potra' dedicare il tempo, e l'impegno, ed il lavoro necessari, poiche' gli e' assicurato un adeguato sostentamento: mentre appare lesivo del principio di eguaglianza il trattamento vigente, che costituisce, un fattore di discriminazione, riservando la possibilita' di accedere all'ufficio, e comunque di esercitarlo, a quei cittadini soltanto che abbiano un livello economico tale da metterli in grado di svolgerlo senza preoccupazioni di ordine economico; Ritenuto inoltre che non sussiste la preclusione rappresentata dalla configurabilita' di un vuoto normativo che si aprirebbe nell'ordinamento, se ed in quanto non fosse possibile sostituire alla norma dichiarata costituzionalmente illegittima un'altra norma, desumibile dal sistema, e della cui costituzionalita' non sia dato dubitare; e' infatti evidente che troverebbe applicazione, quantomeno in via analogica, l'art. 2225 c.c., e che i parametri per la determinazione equitativa di un adeguato corrispettivo sarebbero di agevole reperimento; Ritenuto infine che la questione appare rilevante e decisiva, poiche' da essa dipende l'esito del processo, nel quale si controverte della pretesa dei ricorrenti ad un compenso superiore alla indennita' prevista dalla norma della cui costituzionalita' si dubita.
P. Q. M. Visto gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale, dell'art. 11 della legge 21 novembre 1991 n. 374, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, laddove qualificando come onorario l'ufficio del giudice di pace, ed attribuendo al giudice, come tutto compenso, una erogazione denominata indennita', insufficiente a consentire al giudice ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, anche con riferimento alla quantita' ed alla qualita' del lavoro prestato, esclude di fatto dall'ufficio i cittadini che non fruiscano di altro reddito, con violazione del criterio di eguaglianza, tanto piu' grave siccome discriminazione a svantaggio dei meno abbienti, che non possono concorrere all'esercizio di una funzione primaria quale l'amministrazione della giustizia; Dispone la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Fermo, addi' 7 novembre 1997 Il pretore giudice del lavoro: Jacovacci 97C1495