N. 62 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 29 dicembre 1997
N. 62 Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in cancelleria il 29 dicembre 1997 (della provincia autonoma di Trento) Ambiente (Tutela dell') - D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 - Regolamento recante attuazione della direttiva CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della flora e della fauna selvatiche, emanato con d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 - Impugnazione della disciplina adottata in detto regolamento nel suo intero testo e segnatamente delle norme degli artt. 1, comma 4, 3, commi 1, 2 e 3; 5 (ivi compreso il richiamato allegato G); 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1 e 3; 11; 12; 15 e 16 (in quanto applicabili, quali in piu' punti del decreto vengono dichiarate, anche nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome), con cui si attribuiscono rilevanti competenze al Ministero dell'ambiente riguardo: a) alla designazione di vari tipi di habitat, da individuarsi dalle regioni e dalle province autonome, quali "Zone speciali di conservazione"; b) alla emanazione di direttive per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale; c) alla valutazione di impatto ambientale (anche per le zone di cui all'art. 1, comma 5, della legge-quadro sulla caccia n. 157 del 1992) di piani territoriali, urbanistici e di settore proposti; d) alla definizione di linee guida per il monitoraggio dello stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse comunitario; e) alla promozione di ricerche e alla indicazione delle misure necessarie perche' le catture o uccisioni accidentali non abbiano un significativo impatto negativo sulle specie in questione; f) alla adozione di adeguate misure affinche' il prelievo, nell'ambiente naturale, degli esemplari di fauna e di flora selvatiche di cui all'allegato E, ed il loro sfruttamento, siano compatibili con il mantenimento di dette specie in uno stato di conservazione soddisfacente; g) ai poteri di deroga ai divieti generali in materia di caccia; h) alla reintroduzione di specie animali e vegetali di cui all'allegato D della direttiva comunitaria e alla introduzione di specie non locali; i) all'esercizio da parte del Corpo forestale dello Stato delle azioni di sorveglianza connesse all'applicazione del regolamento; l) a un potere regolamentare permanente di recepimento di future modifiche agli allegati della direttiva comunitaria - Denunciato contrasto di tali disposizioni, ad eccezione di quelle suscettibili di essere interpretate nel senso che i compiti ministeriali da esse conferiti consistano esclusivamente nella formalizzazione e trasmissione di determinazioni sostanziali assunte in sede locale, con i principi desumibili, in base agli artt. 8, nn. 5, 6, 15, 16 e 21, e 16 dello statuto speciale - che in materia di tutela dell'ambiente attribuiscono alle province autonome una competenza primaria - dagli artt. 7 delle Norme di attuazione statutaria emanate con d.P.R. 19 novembre 1986, n. 526, 4 e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, in forza dei quali, riguardo all'attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di loro esclusiva competenza, le province autonome sono tenute, nei limiti stabiliti dallo statuto speciale, ad adeguarsi alle leggi statali, ma non ai regolamenti, che per l'attuazione delle direttive comunitarie possono bensi', anch'essi, venire emanati dallo Stato, ma solo, essendo immediatamente sostituibili dalla normativa locale, con un'efficacia suppletiva e provvisoria - Mentre e' senz'altro da escludersi, - anche per la omissione, da parte dello Stato, della consultazione con le province autonome richiesta dall'art. 3, comma 3, delle Norme di attuazione statutaria emanate con d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 - che il regolamento in questione possa qualificarsi come atto di indirizzo e coordinamento - Lamentata violazione, altresi', per quelle delle contestate norme in cui si prevede che il Ministero dell'ambiente acquisisca i pareri del Ministero per le politiche agricole e dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica ma non quelli delle regioni, con il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni (posto a sua volta dall'art. 5 della Costituzione) - Rilevata impossibilita', infine, per alcune altre delle disposizioni del regolamento in questione, di ricollegarle, e quindi di considerarle attuative, della richiamata direttiva comunitaria - Riferimenti alle sentenze nn. 126 e 272 del 1996. (D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, intero testo e segnatamente artt. 1, comma 4; 3, commi 1, 2 e 3; 5 (ivi compreso il richiamato allegato G); 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1 e 3; 11; 12; 15 e 16). (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, n. 5, n. 6, n. 15, n. 16, n. 21, e 16; d.P.R. 19 novembre 1986, n. 526, art. 7; legge 9 marzo 1989, n. 86, artt. 4 e 9; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, art. 3, comma 3; Cost., art. 5).(GU n.3 del 21-1-1998 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 14549 del 12 dicembre 1997 (all. 1) rappresentata e difesa - come da procura speciale del 16 dicembre 1997 (rep. n. 21405) rogata dall'ufficiale rogante dirigente del servizio affari generali dott. Tommaso Sussarellu (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv Manzi, via Confalonieri, 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri; per la dichiarazione che non spetta allo Stato di dettare con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della flora e della fauna selvatiche (in Gazzetta Ufficiale n. 248 del 23 ottobre 1997), una disciplina vincolante ed istitutiva di poteri sovraordinati di autorita' centrali dello Stato, destinata ad operare anche in relazione alla provincia autonoma di Trento, nonche' per il conseguente annullamento del predetto regolamento nella parte in cui contiene tale disciplina, e segnatamente negli artt. 1, comma 4; 3, commi 1, 2, e 3; 5 (ivi compreso il richiamato allegato G); 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi l e 3; 11; 12; 15; 16; per violazione: dell'art. 8, nn. 5), 6), 15), 16), 21), nonche' dell'art. 16 dello statuto e delle relative norme di attuazione, con particolare riferimento al decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987 ed al decreto del Presidente della Repubblica n. 266 del 1992; della legislazione statale ordinaria e - in particolare - degli artt. 4 e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e dell'art. 8 della legge n. 59 del 1997; per i profili e nei modi di seguito illustrati. Fatto e diritto 1. - Premessa e quadro generale. Il presente ricorso e' rivolto avverso un atto statale di recepimento della direttiva comunitaria 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della flora e della fauna selvatiche, ma in nessun modo ed in nessuna parte esso e rivolto a contestare il contenuto di tale direttiva, ne' la necessita' che ad essa si dia piena e completa attuazione. Cio' posto, non si puo' tuttavia evitare di inserire la vicenda di tale attuazione nel contesto costituzionale e statutario dei rapporti tra lo Stato e le regioni e province autonome. Va percio' ricordato in primo luogo che la ricorrente provincia ha nelle materie di competenza primaria (quali sono tutte le materie di riferimento della tutela dell'ambiente: urbanistica, tutela del paesaggio, caccia e pesca, alpicoltura e parchi per la protezione delle flora e della fauna, agricoltura, foreste e Corpo forestale) facolta' di diretta attuazione delle direttive comunitarie. Cio' e' stabilito dall'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987, ed e' ribadito dall'art. 9, comma 1, legge 9 marzo 1989, n. 86. Sia consentito anche ricordare - sul piano del fatto e dell'interesse della ricorrente - che la speciale conformazione e le particolari caratteristiche della provincia di Trento rendono per essa particolarmente importanti e vitali le competenze nelle materie oggetto del presente ricorso, dal momento che gia' attualmente le aree protette rappresentano una componente importante del territorio provinciale, e che l'attuazione della direttiva comunitaria ampliera' ancora l'area soggetta a tutela. Il quadro dei possibili rapporti tra fonti statali e fonti locali nell'attuazione delle direttive comunitarie e' disciplinato dallo stesso art. 9 della legge n. 86/1989, distintamente per l'ipotesi che la regione o provincia autonoma abbia gia' dato attuazione alla direttiva o meno. Nel caso sia stata data prima autonoma attuazione le regioni e province autonome, nelle materie di competenza esclusiva, "si adeguano alla legge dello Stato nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti" (comma 3, secondo periodo); in mancanza di attuazione il comma 4 dispone che si applichino tutte le "disposizioni dettate per l'adempimento degli obblighi comunitari dalla legge dello Stato" ovvero dal regolamento autorizzato in base agli artt. 3 e 4 della stessa legge. Da tale sistema deriva che il regolamento con cui si dia eventualmente attuazione alle direttive comunitarie trova applicazione soltanto in via suppletiva, onde assicurare in via provvisoria l'adempimento degli obblighi comunitari, ma non opera mai sul piano dei vincoli tra legge statale e legge regionale, e puo' essere sostituito integralmente dalla normativa locale, senza poter esercitare su di essa alcun condizionamento sul predetto piano. In definitiva, se e' vero che l'attuazione di direttive comunitarie in via regolamentare, prevista in termini generali dall'art. 4 della legge n. 86/1989, non e' a priori esclusa neppure nelle materie di potesta' legislativa regionale, e' altrettanto vero che essa in tali materie non puo' svolgere il ruolo tipico della legge nel definire il quadro delle rispettive potesta' e vincoli tra Stato e regioni (e province autonome), ma puo' svolgere un ruolo puramente sussidiario nel porre una normativa suppletiva, pur se si tratti di un ruolo importante nel corrispondere alle esigenze della responsabilita' comunitaria della comunita' nazionale. Infatti, secondo le accennate disposizioni di norme di attuazione e di legge ordinaria, a definire il quadro delle rispettive potesta' e vincoli tra Stato e regioni e province autonome non puo' essere (nel rispetto delle prerogative costituzionali degli enti interessati) che la legge statale. La prescrizione dell'art. 4, comma 3, della legge n. 86 del 1989, secondo la quale, "se le direttive consentono scelte in ordine alle modalita' della loro attuazione,o se si rende necessario introdurre sanzioni penali o amministrative od individuare le autorita' pubbliche cui affidare le funzioni amministrative inerenti alla applicazione della nuova disciplina", tocca alla legge comunitaria di dettare le "relative disposizioni" trova una ancora piu' pregnante specificazione quando si tratti di stabilire i rapporti e le potesta' reciproche tra Stato e regioni, secondo la apposita disciplina dell'art. 9. Il regolamento non puo' innovare le competenze reciprocamente stabilite tra Stato e regioni, ma deve limitarsi, recependo la normativa posta dalla direttiva, a statuire le regole sostanziali, procedurali ed organizzative in base alle quali tali preesistenti competenze reciproche possano esercitarsi. La regola ora illustrata circa la funzione e i limiti del regolamento ha una sua ragione profonda, che sta ovviamente nella necessita' che i rapporti tra le istituzioni della comunita' nazionale e delle comunita' regionali siano tracciate dagli organi assembleari rappresentativi, e non dal Governo. E' percio' che il regolamento non puo' operare alterazioni del rapporto Stato-regioni, e che lo stesso regolamento attuativo di direttiva comunitaria in materia regionale e' ammissibile proprio in quanto non si propone e non puo' proporsi lo scopo di alterare o disciplinare tali rapporti, ma soltanto quello urgente e preminente di dare attuazione alla direttiva evitando l'inadempimento dello Stato italiano nel suo complesso. Va sottolineato come l'assetto dei rapporti tra Stato e province autonome qui illustrato sia anche perfettamente coerente con la cornice elaborata - con riferimento alle stesse problematiche ed alle stesse normative - da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 126 del 1996. In tale sentenza si enucleano distintamente le ipotesi in cui le norme comunitarie "possono legittimamente prevedere, per esigenze organizzative proprie dell'Unione europea, forme attuative di se' medesime, e quindi normative statali derogatrici" rispetto al "quadro della normale distribuzione costituzionale delle competente" (punto 5 in diritto, lett c). Tuttavia tali ipotesi devono risultare direttamente dalla normativa comunitaria, e sono eccezionali rispetto alla regola generale secondo la quale "l'attuazione negli Stati membri delle norme comunitarie deve tenere conto della struttura (accentrata, decentrata, federale) di ciascuno di essi", e secondo la quale, dunque, "l'Italia e' abilitata, oltre che tenuta dal suo stesso diritto costituzionale, a rispettare il suo fondamentale impianto regionale" (lett. a). Ma l'ipotesi di deroga al riparto costituzionale di competenze ad avviso della ricorrente provincia pacificamente non ricorre nel caso di specie: e dunque ci troviamo nell'ambito nel quale a ciascun soggetto dotato di autonomia costituzionale spetta di "agire in attuazione o in esecuzione", mantenendosi "entro l'ambito dei consueti rapporti con lo Stato e dei limiti costituzionalmente previsti" (ivi). Entro tali rapporti e limiti "lo Stato e' abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli, a seconda della natura della competenza regionale (e provinciale), per fare valere gli interessi di cui e' portatore" (ivi), tra i quali anche, in particolare, l'interesse ad evitare la responsabilita' comunitaria derivante da inattuazione, in particolare mediante i poteri "di legislazione di principio e di dettaglio suppletiva e cedevole e quelli di indirizzo e coordinamento riconosciuti dall'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86". Ed e' chiaro altresi', in questo contesto, che a ciascuno degli strumenti a disposizione dello Stato corrisponde un effetto proprio e distinto, nell'ambito dei rapporti costituzionali tra i soggetti di autonomia: in particolare, l'attuazione regolamentare di una direttiva non puo' disporre - come sopra esposto - che le norme strettamente necessarie ad introdurre la direttiva nell'ordinamento interno mettendo in condizione i soggetti titolari di competenze nella materia di utilizzarle nell'ambito della cornice normativa europea. A questo criterio non si attiene affatto il regolamento qui impugnato, il quale da una parte illegittimamente assume il ruolo della legge nel definire i rapporti tra Stato e regioni, dall'altra ancor piu' illegittiniamente configura tali rapporti attribuendo alle autorita' centrali dello Stato una serie di compiti e poteri sovraordinati o comunque interferenti con le competenze della ricorrente provincia, la cui intestazione al Ministero non trova in nessun modo giustificazione e copertura nella normativa comunitaria, e che sono percio' illegittimamente invasivi delle autonomie costituzionalmente garantite. Di qui la necessita' che i poteri che determinano una sovraordinazione dello Stato siano fatti cadere, e che quelli che sono in quanto tali necessari per attuare la direttiva vengano riportati alla loro naturale sede costituzionale e statutaria, cioe' al livello locale. 2. - Illegittimita' dell'art. 1, comma 4. Il comma 4 dell'art. 1 dell'impugnato regolamento (relativo al Campo di applicazione) dispone che "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all'attuazione degli obiettivi del presente regolamento nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione". Va detto in primo luogo che, al di la' della apparente ovvieta, non e' agevole intendere il signicato della disposizione. Si potrebbe infatti considerare che gli "obbiettivi" posti dal regolamento altro non sono che gli obbiettivi stessi della direttiva, e che percio' la disposizione si limiterebbe a ricordare alle autonomie speciali il gia' preesistente obbligo di attuazione della normativa comunitaria. Ora, pur non essendo dubbio che, intesa la disposizione in questi termini, essa non avrebbe carattere lesivo, sia tuttavia consentito osservare che intesa a questo modo la disposizione risulterebbe del tutto inutile e priva di contenuto. Inoltre, il vincolo agli obbiettivi della direttiva non vale certo soltanto per le autonomie speciali, ma ovviamente anche per le regioni ordinarie: sicche' anche sotto questo profilo non si intenderebbe il senso della norma. Scartata percio' tale interpretazione "riduttiva", si dovrebbe ritenere che la norma sia rivolta proprio allo scopo di differenziare la posizione delle autonomie speciali da quella delle regioni ordinarie, sottoponendo le prime al "solo" vincolo agli obbiettivi, le seconde all'intera disciplina. Ma anche tale interpretazione non e' soddisfacente. La disposizione risulterebbe ad un tempo inidonea allo scopo che la normativa palesemente si prefigge ed eccessiva rispetto a tale scopo. Essa risulterebbe inidonea allo scopo di dare intanto immediata operativita' alla normativa comunitaria, dato che ne rinvierebbe l'applicazione nelle regioni e province autonome al momento dell'adeguamento; ma risulterebbe anche eccessiva rispetto a tale scopo, dato che verrebbe in ogni modo a subordinare l'attivita' legislativa ed amministrativa della provincia autonoma di Trento agli obbiettivi posti da un atto regolamentare. Non varrebbe obbiettare che il comma 6 dell'art. 9 della legge n. 86 del 1989 espressamente prevede che la funzione di indirizzo e coordinamento possa essere esercitata anche "con il regolamento dell'art. 4". Infatti, la stessa disposizione che prevede tale possibilita' dispone che tale funzione possa essere esercitata con regolamento "sulla base della legge comunitaria"; ed e' da intendere - ad avviso della ricorrente provincia - che tale base nella legge comunitaria non consista semplicemente nell'esistenza in tale legge della autorizzazione alla attuazione regolamentare della direttiva, dato che tale esigenza era ovvia e comunque gia' stabilita dall'art. 4 cui era fatto rinvio, ma debba consistere in quello specifico fondamento legislativo che secondo costante e pacifica giurisprudenza costituzionale e' comunque necessario per l'esercizio in via non legislativa della funzione di indirizzo. Inoltre, sia consentito osservare che se il regolamento qui controverso dovesse intendersi come modo di esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, ad esso non potrebbero non applicarsi le norme specificamente previste per tale funzione dalla legislazione successiva. In particolare, per quanto riguarda la ricorrente provincia, scatterebbe il dovere di previa consultazione stabilito dall'art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 266 del 1992: sicche' il regolamento sarebbe di per se' illegittimo gia' per tale sola violazione. Inoltre non puo' non essere ricordato che l'art. 8 della legge n. 59 del 1997 prevede che gli atti di indirizzo e coordinamento siano emanati dallo Stato previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, mentre dalle stesse premesse dell'atto risulta che la conferenza e' Stato semplicemente "sentita", e che anzi essa ha dato una valutazione sostanzialmente sfavorevole (non essendo stati accolti gli emendamenti cui era subordinato un parere favorevole). 3. - Illegittimita' dell'art. 3, commi 1 e 2. Qualunque sia il significato da attribuire all'art. 1, comma 4, come sopra illustrato, esso e' in ogni modo contraddetto dalla circostanza che nel suo insieme il regolamento qui impugnato appare destinato ad applicarsi direttamente anche nelle regioni speciali e province autonome. Cio' e' in particolare innegabile per quelle disposizioni che, come l'art. 3, esplicitamente si riferiscono anche alle autonomie speciali e segnatamente alle province autonome. Ora, si e' gia' detto in premessa che la ricorrente provincia non contesta in se' l'uso del regolamento quale modo per dare attuazione a normativa comunitaria ed evitare cosi' la responsabilita' comunitaria dello Stato, ma cio' in quanto il regolamento si limiti a produrre tale attuazione nel quadro costituzionale delle competenze, senza alterare i poteri rispettivi di Stato e autonomie. L'art. 3 dispone al comma 1 che le regioni e province autonome individuano "i siti in cui si trovano i tipi di habitat elencati nell'allegato A ed habitat delle specie di cui all'allegato B" ai fini "della formulazione della proposta del Ministero dell'ambiente alla Commissione europea, dei siti di importanza comunitaria, per costituire la rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione comunitaria denominata "Natura 2000"". Il comma 2 precisa poi che il Ministro dell'ambiente, in attuazione del programma triennale per le aree naturali protette, "designa con proprio decreto i siti di cui al comma 1 quali "Zone speciali di conservazione", entro il termine massimo di sei anni, dalla definizione, da parte della Commissione europea dell'elenco dei siti". Il senso di tali disposizioni e' complessivamente poco chiaro nell'individuazione delle responsabilita' rispettive delle autonomie e del Ministero. In ogni modo, essendo escluso che la direttiva 92/43/CEE di per se' esiga o suggerisca l'imputazione al Ministero o comunque ad autorita' centrali di un ruolo di decisione sostanziale, il regolamento volto a recepire tale normativa non puo' introdurre poteri ministeriali che non trovino gia' oggi fondamento e copertura legislativa, e che nei termini indicati invadono le competenze provinciali con le quali interferiscono. In altri termini, tali compiti ministeriali potrebbero essere salvati soltanto se dovessero essere intesi come meri compiti di formalizzazione e trasmissione di determinazioni sostanziali assunte in sede locale. 4. - Illegittimita' dell'art. 3, comma 3. Il comma 3 dell'art. 3 stabilisce che "al fine di assicurare la coerenza ecologica della rete "Natura 2000", il Ministro dell'ambiente d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporto tra lo Stato, le regioni e le provincie (sic) autonome di Trento e di Bolzano, definisce nell'ambito delle linee fondamentali di assetto del territorio, di cui all'art. 3 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, le direttive per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale, che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche". Si tratta di un potere ministeriale che non ha il minimo fondamento nella direttiva da attuare, che interferisce in modo atipico ed anomalo con le potesta' legislative ed amministrative della provincia, e che come tale non potrebbe essere istituito neppure con legge; meno ancora, ovviamente, esso puo' essere previsto da un regolamento, in assenza di qualunque specifico fondamento legislativo. 5) Illegittimita dell'art 5, e dell'allegato G in esso richiamato, nonche' dell'art. 6. L'art. 5 del regolamento, dopo avere disposto al comma 1 che "nella pianificazione e programmazione territoriale si deve tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei siti di importanza comunitaria" (cosa che puo' dirsi gia' insita nel concetto stesso, stabilisce al comma 2 che i "proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistici venatori" devono presentare "nel caso di piani a rilevanza nazionale" una "relazione documentata" di impatto al Ministero dell'ambiente con i contenuti stabiliti nell'allegato G. Uguale onere hanno, secondo il comma 3, i "proponenti di progetti riferibili alle tipologie progettuali" di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 377 del 1988 e quelle di cui agli allegati A e B del d.P.R. 12 aprile 1996, nel caso in cui agli specifici interventi non si applichi la procedura di valutazione di impatto ambientale, qualora questa sia di per se' di competenza statale. Sul base di tali relazioni, secondo il comma 6, il Ministro per l'ambiente dovrebbe effettuare la "valutazione di incidenza dei piani o progetti sui siti di importanza comunitaria", secondo la procedura ivi descritta. L'autorita' competente all'approvazione del piano o progetto acquisisce tale valutazione di incidenza (comma 7) la quale, se negativa, impedisce la realizzazione degli interventi progettati, a meno che questa non sia imposta, in mancanza di alternative possibili, per "motivi imperativi di interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica": ed in tale caso dovranno essere adottate misure compensative per garantire la coerenza della rete (comma 8). Regole analoghe ma piu' restrittive valgono, secondo il comma 9, "qualora nei siti ricadono (sic) tipi di habitat naturali e specie prioritari". La necessita' della valutazione di incidenza e le sue conseguenze sulle decisioni da assumere sono disposte dall'art. 6 della direttiva, ed esse sono al di fuori della contestazione di cui al presente ricorso. Cio' che si contesta invece, e che non e' minimamente imposto ne' soltanto suggerito dalla direttiva, e' che a tale valutazione di incidenza possa essere competente il Ministero dell'ambiente, in deroga all'ordinario riparto delle competenze. Come gia' illustrato, il regolamento puo' soltanto dettare norme idonee ad evitare la responsabilita' comunitaria dello Stato, ma non puo' intervenire a riservare allo Stato potere alcuno, che non sia strettamente necessario per l'attuazione della direttiva, incidendo sul riparto costituzionale delle funzioni. Meno ancora ad esso spetta di individuare una speciale nozione - che fino ad oggi risulta sconosciuta - di "piano di rilevanza nazionale" ne' di affidare alla valutazione statale progetti di opere per le quali non sia prescritta dalla legge la valutazione di impatto ambientale di livello nazionale. Posto dunque che e' assolutamente illegittima la sottrazione di parti di materie alla competenza provinciale, e la loro attribuzione alla sede ministeriale, va poi aggiunto che lo stesso art. 5 disciplina la procedura per la valutazione di incidenza anche nei casi in cui il regolamento stesso mantiene la competenza provinciale, stabilendo i contenuti della relazione ed ogni regola procedurale necessaria. Va qui ribadito che anche tali disposizioni - che pure mantengono la competenza locale - sono di per se' invasive di potesta' legislative locali, e possono essere fatte salve soltanto se intese quali disposizioni meramente suppletive, intese a consentire l'immediata operativita' della direttiva e destinate a venire meno in seguito alla legislazione locale, senza potere esercitare su di essa alcun vincolo che non discenda gia' dalla direttiva. In particolare va osservato che esse non possono comunque trovare applicazione - neppure in via transitoria - per quelle opere per le quali sia prescritta dalla legislazione provinciale (e in particolare dalla legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28 come modificata con le leggi nn. 3 e 33 del 1990 nonche' n. 21 del 1993) la piu' gravosa procedura della valutazione di impatto ambientale, la quale applichera' la direttiva comunitaria assumendo in relazione al sito comunitario anche il significato della valutazione di incidenza. L'art. 6 del regolamento dispone l'applicazione dello stesso regime ora descritto "anche alle zone di cui all'art. 1, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157". Per le stesse ragioni sopra esposte dunque anch'esso e' illegittimo ed invasivo, essendo ogni intervento relativo a tali zone di competenza provinciale. 6. - Illegittimita' dell'art. 7, comma 2. L'art. 7, comma 1, dispone che "le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano le idonee misure per garantire il monitoraggio dello stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse comunitario, con particolare attenzione a quelli prioritari, dandone comunicazione al Ministero dell'ambiente". Tale disposizione puo' considerarsi corrispondente al ruolo del regolamento di dare attuazione alla direttiva, senza alterare nella materia i ruoli predefiniti delle regioni e dello Stato. Lo stesso non si puo' tuttavia dire per il comma 2, a termini del quale "il Ministero dell'ambiente definisce con proprio decreto, sentiti per quanto di competenza il Ministero per le politiche agricole e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, le linee guida per il monitoraggio". Infatti con tale disposizione governativa il "Ministero" (non e' chiaro neppure per quale ragione si usi qui e in seguito tale espressione anziche' l'indicazione dell'organo "Ministro": l'arbitrarieta' sarebbe solo aggravata se si intendesse cosi' affidare l'esercizio della competenza ad atti dirigenziali) si arroga un potere di sovraordinazione che corrisponde, di nuovo, ad una ingerenza attuata mediante una anomala e atipica funzione di indirizzo e coordinamento, tuttavia totalmente al di fuori delle relative regole di esistenza e di esercizio. La radicale illegittimita' della disposizione non impedisce di osservare che essa viola anche il principio di leale cooperazione tra Stato e regioni, in quanto, in un procedimento che pure si preoccupa di "acquisire" la voce delle altre amministrazioni statali ritenute interessate al tema, non si preoccupa minimamente di acquisire la partecipazione degli unici soggetti idonei a dare un contributo reale all'elaborazione di eventuali linee guida per il monitoraggio, ovvero le autonomie che ne hanno pratica esperienza e che devono compierlo. Piu' gravemente ancora, la mancata previsione dell'intesa richiesta dall'art. 8 della legge n. 59 del 1997 costituisce una chiara ed illegittima elusione dei vincoli posti dalla legge per gli atti di indirizzo e coordinamento. Con regolamento dunque il Governo si autoassegna poteri sulle regioni e sulle province autonome di Trento e di Bolzano, e si autoesonera persino dai vincoli e dalle modalita' previste dalla legge per l'esercizio di tali poteri| E' palese che solo una pronuncia di codesta ecc.ma Corte costituzionale radicalmente demolitoria di tali poteri puo' riportare i rapporti Stato-regioni nel giusto binario costituzionale. 7. - Illegittimita' dell'art. 8, comma 5. Nei commi da l a 4 l'art. 8 puo' considerarsi attuativo della direttiva comunitaria. Il comma 1, in particolare, riproduce in sostanza i divieti posti dall'art. 12 della direttiva, con riferimento all'allegato IV (corrispondente all'allegato D del regolamento): anche se, per vero, vi sono nel recepimento variazioni delle quali non e' chiaro il significato, quali la soppressione alle lett. a), b) e c) del comma 1 del requisito del carattere "deliberato" dell'azione proibita. Si noti che i divieti non sono nella normativa statale assistiti da sanzioni, e che non in tutti i casi si puo' supporre che sanzioni previste in generale gia' esistano nell'ordinamento, Ma l'impossibilita' di disporre sanzioni e' altra regola codificata per l'attuazione regolamentare delle direttive (art. 4, comma 3, legge n. 86/1989), ed a questo limite il Governo si e' attenuto. Rimane comunque che i primi quattro commi sono annoverabili tra cio' che e' necessario disporre per operare il recepimento della direttiva. Non cosi' per il comma 5, con il quale di nuovo il Governo autoinveste il "Ministero" di un potere di sovraordinazione rispetto alle regioni e alle province autonome. Vi si dispone infatti che il Ministero "in base alle informazioni raccolte" (|) promuova ricerche o addirittura "indichi" le "misure necessarie per assicurare che le catture o uccisioni accidentali non abbiano un significativo impatto negativo sulle specie in questione". Di nuovo, si tratta di un potere ministeriale arbitrario, o di un anomalo ed atipico atto di indirizzo. 8. - Illegittimita' dell'art. 10, commi 1 e 3. Considerazioni simili richiede il comma 1 dell'art. 10, secondo il quale "il Ministero dell'ambiente, sentiti per quanto di competenza il Ministero per le politiche agricole e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, qualora risulti necessario ... con proprio decreto stabilisce adeguate misure affinche' il prelievo, nell'ambiente naturale, degli esemplari delle specie di fauna e flora selvatiche di cui all'allegato E, nonche' il loro sfruttamento, siano compatibili con il mantenimento delle suddette specie in uno stato di conservazione soddisfacente". Si resta stupiti dalla disinvoltura (se non si vogliono usare piu' forti parole) con cui nella sostanza il Ministero attraverso il regolamento governativo si dota di poteri la cui intestazione al Ministero non e' in alcun modo disposta dalla normativa comunitaria, poteri che violano il riparto costituzionale delle competenze, e che per di piu' nel caso specifico sono totalmente generici nei presupposti, nei contenuti e nei fini, violando lo stesso principio di legalita'. Il presupposto infatti e' che l'intervento risulti "necessario", il contenuto sono misure "adeguate", i fini uno stato di conservazione "soddisfacente" della fauna selvatica: tutte clausole indeterminate che alla fine rimettono qualunque intervento alla pura discrezionalita' del "Ministero". L'arbitrarieta' di tutto cio' e' palese, e lo diviene ancor piu' quando si esaminino le attribuzioni che tra l'altro il Ministero si e' autoassegnato, descritte dalle lettere da a) ad h). Esse infatti rivelano che in tale modo si vorrebbero espropriare le autonomie costituzionali e la provincia di Trento in particolare delle proprie potesta' di disciplina della materia appartenente alla propria potesta' primaria. Infatti le lettere da a) ad f) consentono al Ministero diretti interventi di regolazione sia generale che locale, mentre le rimanenti lettere attengono alle funzioni amministrative della ricorrente provincia. Naturalmente, quello che qui si contesta non sono i compiti regolativi ed amministrativi in quanto tali - compiti la cui definizione rimonta all'art. 14 della direttiva - ma la loro illegittima intestazione al Ministero; mentre si tratta dei tipici compiti spettanti alla ricorrente provincia. Piu' nascosta, ma non meno percepibile, e' la parziale illegittimita' del comma 3 dello stesso articolo 10. In parte infatti tale disposizione risulta realmente attuativa di quanto disposto dall'art. 15 della direttiva comunitaria da attuare. In questi limiti, la disposizione risulta dunque legittima. Essa tuttavia diverge dalla disciplina comunitaria da un lato la' dove si riferisce alle specie dell'intero allegato E, mentre la normativa comunitaria si riferisce alla sola lettera a) del corrispondente allegato V, dall'altro la' dove essa pone un divieto incondizionato, mentre la normativa comunitaria fa scattare il divieto solo al verificarsi dell'ipotesi contestualmente prevista. Ne' varrebbe obbiettare che, per principio consolidato e generalmente ammesso, la normativa nazionale puo' disporre forme di tutela piu' severe di quelle disposte dalla normativa comunitaria: perche' cio' vale da una parte entro il consueto quadro dei rapporti con la legge regionale (per cui in relazione alla potesta' primaria della ricorrente provincia potrebbe valere soltanto a titolo di riforma economica e sociale, il che non e' certo qui il caso), dall'altra cio' vale appunto per il rapporto tra leggi, mentre e' del tutto precluso al regolamento statale di dettare limitazioni alla legge regionale futura, o introdurre inesistenti limiti nella legislazione regionale vigente se tali limitazioni non siano strettamente necessarie al recepimento della normativa comunitaria. 9. - Illegittimita' dell'art. 11. L'art. 11 risulta particolarmente lesivo delle attribuzioni provinciali in materia di caccia, ed e' anch'esso, come le precedenti disposizioni, completamente arbitrario. Il comma 1 addirittura riserva al "Ministero dell'ambiente" - sentite le solite connesse amministrazioni statali, e come sempre del tutto ignorati i titolari delle competenze costituzionali| - i poteri di deroga ai divieti generali: poteri di deroga che non solo non possono essere intestati al Ministero per le ragioni piu' volte esposte nel presente ricorso, ma che inoltre evidentemente presuppongono valutazioni da compiersi in concreto ed in sede locale, e la cui spettanza al livello locale viene considerata pacifica e normale anche da parte delle istituzioni comunitarie. D'altronde, la stessa direttiva fa obbligo agli Stati membri di comunicare tra l'altro, nella relazione biennale prevista dall'art. 16, "l'autorita' abilitata a dichiarare e a controllare che le condizioni richieste sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, strutture o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali servizi e quali sono gli addetti all'esecuzione" (comma 3, lett. d): e il regolamento qui impugnato ripete pedissequamente tale disposizione, con una ripetizione che risulta alquanto strana dal momento che il Ministero non potrebbe che indicare "se stesso". Il comma 2 dell'art. 11 riprende la disciplina di cui all'art. 15 della direttiva, ma la aggrava nella misura in cui la estende alle specie di cui all'allegato F, mentre la direttiva riferisce i divieti alle specie di cui al proprio allegato V, corrispondente all'allegato E del regolamento. Vanno dunque richiamate sul punto le argomentazioni gia' svolte in relazione all'art 10, comma 3. Il comma 3 dell'art. 11 risulta legittimo se esplicitativo del ruolo comunque spettante al Ministero di tenere i rapporti generali con le istituzioni comunitarie e di trasmettere le informazioni richieste, mentre sarebbe anch'esso illegittimo se inteso come fonte di autonomi poteri decisori. 10. - Illegittimita' dell'art. 12. Anche l'art. 12 prevede ai commi 1 e 2 poteri ministeriali, che risultano illegittimi in quanto eccedano quelli gia' previsti dalla legislazione statale vigente e siano rivolti a creare una subordinazione delle regioni e province autonome a poteri statali. Va infatti considerato che i poteri ministeriali di autorizzazione di cui all'art. 20 della legge n. 157 del 1992 riguardano soltanto le ditte importatrici e soltanto le importazioni dall'estero. In ogni caso il recepimento della direttiva non puo' comportare una subordinazione della ricorrente provincia ad un potere di autorizzazione del Ministero. Il comma 3 dello stesso articolo disciplina l'introduzione di specie non locali subordinandola alla stessa autorizzazione di cui al comma 2, e comunque in termini restrittivi rispetto a quanto stabilito dall'art. 22 della direttiva. 11. - Illegittimita' dell'art. 15. L'art. 15 del regolamento impugnato dispone che "il Corpo forestale dello Stato, nell'ambito delle attribuzioni ad esso assegnate dall'art. 8, comma 4, della legge 8 luglio 1986, n. 349, e dall'art. 21 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, esercita le azioni di sorveglianza connesse all'applicazione del presente regolamento". Per vero, non e' chiaro se tale disposizione sia applicabile alla ricorrente provincia o meno. In premessa, infatti, al penultimo "considerato" si fa espressamente salvo "quanto diversamente disposto per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano". Tale "salvezza" non e' tuttavia ripresa nel corpo dell'articolato, ed in particolare all'art. 15. Non puo' dunque non farsi qui in via cautelativa espressa impugnazione anche di tale disposizione, in quanto estenda i compiti del Corpo forestale dello Stato oltre quelli gia' disposti dalla legislazione vigente: venendo cosi' ad incidere le competenze amministrative della ricorrente provincia sia in relazione alla generalita' delle aree protette sia in relazione al Parco nazionale dello Stelvio ed alla sua peculiare disciplina. 12. - Illegittimita' dell'art. 16. L'art. 16 non e' qui in contestazione nella parte in cui, recependo la direttiva comunitaria, la trasforma in normativa interna. Non e' percio' qui contestato il comma 1 relativamente agli allegati da A ad F. L'allegato G non ha invece, a quel che pare, corrispondenza alcuna con gli allegati della direttiva, e costituisce percio' normativa non necessaria alla sua attuazione. Per quanto gia' detto, dunque, e' illegittimo ed e' invasivo delle attribuzioni provinciali disporre i relativi vincoli nella forma del regolamento del Governo. Il comma 2 istituisce un potere regolamentare permanente di recepimento di future modifiche agli allegati della direttiva, che ad avviso della ricorrente provincia non puo' dirsi compreso nel potere regolamentare disposto dalla legge comunitaria del 1994, n, 146. Si tratta dunque di un potere regolamentare previsto da una fonte regolamentare in materia di competenza provinciale, e pertanto di un potere illegittimo ed invasivo. A maggiore ragione esso sarebbe illegittimo ed invasivo in quanto lo si ritenesse comprensivo anche di un potere di modifica indipendente da variazioni nei corrispondenti allegati della direttiva comunitaria: come d'altronde e' inevitabile dal momento che tra gli allegati del regolamento uno non presenta alcun elemento di corrispondenza.
Tutto cio' premesso, la ricorrente provincia autonoma di Trento come sopra rappresentata e difesa chiede voglia, l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di dettare con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, una disciplina vincolante ed istitutiva di poteri sovraordinati di autorita' centrali dello Stato, destinata ad operare anche in relazione alla provincia autonoma di Trento, nonche' conseguentemente annullare il predetto regolamento nella parte in cui contiene tale disciplina, e segnatamente nelle disposizioni ed articoli qui impugnati. Padova-Roma, addi' 20 dicembre 1997 Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi 98C0003