N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 1997

                                 N. 57
  Ordinanza  emessa  il  6 novembre 1997 dalla Corte di cassazione sul
 ricorso proposto dal  legale  rappresentante  della  cooperativa  Tor
 Vergata in Roma
 Processo  penale  -  Misure  cautelari reali - Richiesta di sequestro
    preventivo - Provvedimento di rigetto -  Impugnabilita'  da  parte
    della   persona  offesa  -  Mancata  previsione  -  Disparita'  di
    trattamento  rispetto  ai  rimedi  giurisdizionali  previsti   per
    l'imputato  -  Lesione  del  diritto  di  difesa - Incidenza sulla
    formazione del convincimento del giudice.
 (C.P.P. 1988, artt. 322, 322-bis, 324 e 355).
 (Cost., artt. 3, 24 e 101).
(GU n.7 del 18-2-1998 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  dal
 legale  rappresentante della cooperativa Tor Vergata con sede in Roma
 avverso l'ordinanza del tribunale del riesame  di  Roma  in  data  30
 maggio  1997  comunicata  il  3  giugno  successivo  con  cui  veniva
 dichiarato inammissibile l'impugnazione del provvedimento di  rigetto
 della istanza di sequestro di n. 15 cambiali per complessive lire 150
 milioni proposta dalla cooperativa suddetta al p.m. presso la pretura
 circondariale di Roma.
   Sentita la relazione fatta dal consigliere dr. Pietro Grassano.
   Letti  gli  atti,  rileva: preliminarmente deve essere esaminata la
 questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  322,  322-bis,
 324  e  355  c.p.p.  sollevata  contestualmente  nel medesimo atto di
 impugnazione  dal  difensore  della   ricorrente   cooperativa,   con
 riferimento agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione.
   Secondo  la  difesa  della  ricorrente  le  norme  processuali  sul
 sequestro preventivo, non prevedendo la impugnabilita' ad opera della
 persona offesa  del  provvedimento  di  rigetto  della  richiesta  di
 sequestro,  vengono  a creare una situazione squilibrata fra le parti
 processuali, in quanto, mentre chi subisce il sequestro ha a  propria
 disposizione  ogni  mezzo  per  impugnarlo giudizialmente, la persona
 offesa non e' invece titolare di analoga facolta' giuridica, cio' che
 comporta appunto  la  violazione  degli  artt.  3,  24  e  101  della
 Costituzione,  non  essendo giustificata la diversita' di trattamento
 giuridico riservata dall'ordinamento alla posizione  delle  parti  in
 materia subiecta.
   La  questione  di  legittimita'  costituzionale  appare rilevante e
 dev'essere preliminarmente esaminata, postoche' dalla decisione della
 stessa discende la possibilita' di poter dare adito  ai  procedimenti
 del  riesame e dell'appello previsti rispettivamente dagli artt. 322,
 322-bis e 335 c.p.p.
   Peraltro, la questione non appare manifestamente infondata.
   Devesi  innanzitutto  ritenere come dato impugnabile quello secondo
 cui il sistema processuale penale non  prevede  la  impugnazione  del
 provvedimento  di  rigetto della istanza di sequestro preventivo o di
 sequestro conservativo e che la persona offesa non ha il  diritto  di
 impugnare  i  suddetti  provvedimenti  ancorche'  incidano  sui  suoi
 interessi in quanto il legislatore con gli artt. 321,  322,  322-bis,
 324  e  355  ha  reso  impugnabile  solo il provvedimento positivo di
 sequestro  preventivo  e  non  anche  il  provvedimento  negativo  di
 rigetto.
   Orbene,  in  un  sistema penale processuale che tende a riconoscere
 alla  persona  offesa  nel  processo  penale  la  qualita'  di  parte
 assicurandogli  il  diritto  a  parteciparvi  fin  dalla  fase  delle
 indagini preliminari (artt. 90, 101, 336, 341, 360,  367,  369,  394,
 401,  408, 410, 413, 419, 492, 451, 456, 564, 572) negare alla stessa
 parte la facolta' di sollecitare al  giudice  del  riesame  ovvero  a
 quello  dell'appello  il  controllo  sui provvedimenti del giudice di
 prima istanza quantomeno con riferimento ai provvedimenti  di  natura
 preventiva   o   conservativa  che  incidono  direttamente  sui  suoi
 interessi, puo' venire a vulnerare il principio sancito dall'art.  3,
 primo  comma,  della Costituzione il quale implica necessariamente la
 piena eguaglianza  delle  parti  dinanzi  al  giudice  ed  impone  al
 legislatore  la distribuzione dei poteri, doveri ed oneri processuali
 secondo criteri di pieno equilibrio.
   L'equivalenza nell'attribuzione dei  mezzi  processuali  esperibili
 dalle  parti  (salvo che la particolarita' di tutela della situazione
 dedotta in giudizio giustifichi una disciplina diversificata,  com'e'
 la  situazione  esaminata da Corte costituzionale n. 134 del 1994) e'
 un rapporto di necessaria strumentalita' con le carenze di  azione  e
 di  difesa  sancite  dall'art.  24  della  Costituzione,  si  che una
 distribuzione  squilibrata  dei  mezzi  di   difesa,   riducendo   la
 possibilita'  di  una  delle  parti di far valere le proprie ragioni,
 puo' venire a condizionare impropriamente in suo danno  ed  a  favore
 dell'altra parte l'andamento e l'esito del processo ed a condizionare
 in  pari  tempo il convincimento del giudice orientandolo in un senso
 piuttosto che nell'altro, con  innegabile  violazione  dell'art.  101
 della Costituzione.
   Il    sistema    delle    norme   denunciate   come   sospette   di
 incostituzionalita'   dimostra   che   il   legislatore   ha   inteso
 tendenzialmente ridurre il regime di stabilita' dei provvedimenti sul
 sequestro  introducendo  il  controllo  sugli  stessi  attraverso  la
 previsione del riesame e quella dell'appello contro  i  provvedimenti
 concessivi della misura richiesta.
   La  revisio  del  provvedimento  impugnato  in  cui  si concreta la
 istanza del riesame e quella  dell'appello,  il  quale  consente,  da
 parte  di  un  giudice  diverso  da  quello  che  lo  ha disposto, il
 controllo sugli errores in procedendo e  in  judicando  eventualmente
 commessi  dal  giudice  della  cautela, e' invece negata alla persona
 offesa dal reato che si ritenga titolare di una situazione di diritto
 sostanziale incisa negativamente dal provvedimento  sul  sequestro  e
 che abbia richiesto senza successo una cautela strumentale a quel suo
 diritto.
   E'  innegabile  che  si  realizzi  in  tal  modo un'amputazione del
 diritto di difesa, in quanto contra tenorem rationis  si  attribuisce
 maggiore  possibilita' di far valere le proprie ragioni a chi resiste
 alla  richiesta  di  provvedimento  cautelare  rispetto  a  chi  tale
 richiesta venga invece a proporre.
   Questa  diversita'  di trattamento non trova alcuna giustificazione
 ragionevole giacche' le due parti - come si e' veduto  -  si  trovano
 nei    confronti    dell'ordinamento    processuale    in   posizione
 simmetricamente equivalente.
   Infatti, il provvedimento, quale che ne sia il contenuto  (positivo
 ovvero  negativo in ordine alla richiesta del sequestro) incide sulla
 sfera personale o patrimoniale tanto dell'imputato che della  persona
 offesa  arrecando pregiudizio agli interessi dell'una o dell'altra in
 misura non valutabile astrattamente.
   Lo squilibrio che il sistema delle norme denunciate introduce tra i
 poteri processuali delle parti nel  procedimento  sul  sequestro  non
 puo'  ragionevolmente ricondursi neppure a un'asserita differenza tra
 la situazione determinata dal provvedimento concessivo del sequesto e
 quella che consegue invece al provvedimento di rigetto per  il  fatto
 che  solo  il  primo  e'  capace  di  determinare  un mutamento della
 situazione preesistente.
   Se e' vero - infatti - che il provvedimento positivo sul  sequestro
 determina  sicuramente  un  mutamento  della  situazione  quo ante in
 quanto lascia istituire un vincolo di indisponibilita'  giuridica  su
 un  bene  o  su  un  gruppo  di beni posseduti dal destinatario della
 misura e' anche vero - tuttavia - che tale mutamento puo' verificarsi
 ed in termini non meno avvertiti anche nel caso  di  negazione  della
 misura, potendo da quel diniego scaturire effetti pregiudizievoli per
 gli interessi dell'altra parte (persona offesa dal reato) posta nella
 impossibilita'  di impedire che dal possesso delle cose pertinenti al
 reato scaturiscano ulteriori e piu' gravi effetti pregiudizievoli sul
 proprio patrimonio.
   Il  sospetto  di  incostituzionalita'  del  sistema   delle   norme
 denunciate pare dunque evidente in quanto:
     a)  realizza  una  evidente disparita' di trattamento fra persona
 offesa ed indagato od imputato, attribuendo a questi ultimi possibili
 rimedi giurisdizionali viceversa negati alla  prima,  si  che'  viola
 l'art. 3 della Costituzione non apparendo la situazione riequilibrata
 dall'intervento  del p.m. che ha un contenuto latamente discrezionale
 e non e' sindacabile giurisdizionalmente;
     b)  impediscono  le  norme  denunciate  la  costituzione  di   un
 contraddittorio  effettivo  fra  le parti a causa dei diversi sistemi
 concessi per la tutela delle rispettive posizioni  in  qua  parte  si
 che' esse violano anche l'art. 24 della Costituzione;
     c)  violano  -  infine - l'art. 101 della Costituzione in quanto,
 attraverso la situazione squilibrata delle parti ai fini della tutela
 strumentale delle proprie rispettive  posizioni  giuridiche,  possono
 condizionare  il  convincimento  del  giudice  orientandone le scelte
 decisionali in un senso piuttosto che nell'altro.
                                P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 322, 322-bis, 324 e 355 del
 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione;
   Sospende il giudizio e dispone l'invio dei relativi atti alla Corte
 costituzionale  a  cura  della  cancelleria  di  questa  sezione  che
 provvedera'   inoltre  alla  notifica  della  presente  ordinanza  al
 Presidente del Consiglio ed ai Presidenti della Camera dei deputati e
 del Senato della Repubblica.
   Cosi' deciso in Roma, il 6 novembre 1997
                         Il presidente: La Cava
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